47.
Lucas
«Luc, da questa parte», Nick mi fa cenno di raggiungerlo in fondo al corridoio dell'ennesimo piano che stiamo controllando.
«Se ti sei fermato di nuovo davanti ad un distributore di patatine, giuro che...»
«Shhhh», mi zittisce, continuando a gesticolare con la mano prima di entrare in quello che, solo ora, scopro essere un bagno.
Sbirciando oltre la porta, trovo Annie seduta a terra, con gli occhi chiusi e la testa appoggiata alle piastrelle grigie della parete. Ha il respiro affannato e le mani appoggiate alle ginocchia che tremano leggermente. Sembra abbia una specie di attacco di panico. Anche Henri ne ha sofferto, soprattutto all'inizio della nostra carriera ma, da quando ha cominciato a frequentare Annie, gli episodi sono praticamente scomparsi. Al minimo sentore di malessere, gli bastava chiamarla per tranquillizzarsi all'istante.
Incredibile come quei due si facciano inconsapevolmente del bene e poi finiscano a farsi volontariamente del male.
«Ehi, Annie», Nick si avvicina lentamente.
Lei apre gli occhi di scatto e lo guarda. Sembra sollevata ma infastidita allo stesso tempo.
«Sto bene», risponde all'espressione preoccupata di Nick, gli occhi che brillano di tenacia.
È forte e molto orgogliosa. Non ha nessuna intenzione di lasciarsi sopraffare dalla rabbia o dalla tristezza nonostante il suo corpo voglia fare il contrario.
«Vuoi che ti porti dell'acqua?» aggiunge piegandosi sulle ginocchia di fronte a lei.
«No, non ce n'è bisogno, tranquillo», accenna un sorriso, il respiro leggermente più regolare.
«Continua a fare dei respiri profondi», intervengo io in un tono più di rimprovero che di conforto, restando appoggiato ad uno stipite con le mani nelle tasche dei jeans.
«Ci sei anche tu? Vi ho detto che sto bene, non guardatemi come se fossi malata», alza gli occhi al cielo, scocciata. «Tornatevene alle vostre camere o a qualsiasi cosa steste facendo».
«Stavamo per uscire», la informo in tono neutro.
«Bene, bravi. Andate pure», ci incita roteando la mano più volte in direzione della porta.
«Vieni con noi», propongo ignorando completamente il suo volerci cacciare.
«Dove?» domanda spiazzata.
«In un locale in centro».
«Stai scherzando?! È un tuo strano modo di sfottermi o cosa?» sgrana gli occhi, incredula.
Aggrotto le sopracciglia senza capire, di certo non mi aspettavo questa reazione.
«Ti sto solo invitando a passare qualche ora spensierata senza il peso di tutto il resto», ribatto con irritazione. È così difficile credere che io possa essere gentile con qualcuno?
Lei sembra dubitare della sincerità delle mie parole.
«No, davvero, non mi sembra il caso. Non ho nemmeno i miei vestiti», piagnucola tirando la stoffa grigia che ricopre le sue gambe.
«Te l'ho già detto, puoi spogliarti quando vuoi. Ricordi?» sghignazzo.
Lei incrocia le braccia e mi guarda come faceva mia mamma quando, da piccolo, mi beccava a mangiare di nascosto i biscotti appena sfornati. Nick mi fissa con la bocca spalancata, il mento che gli arriva quasi al pavimento come nei cartoni animati.
«Era una battuta. Stai perdendo il senso dell'umorismo, lo sai?» la rimbecco scherzosamente. Voglio solo strapparle un sorriso.
«Che fine hanno fatto i tuoi vestiti?» si inserisce Nick, con la stessa dolcezza che metterebbe se avesse di fronte una bambina. In fondo, un po' lo sembra dentro quegli abiti così grandi. Eppure, non le stanno affatto male.
«È scoppiato un temporale mentre venivamo qua in moto e quando siamo arrivati ero così bagnata che ho dovuto lasciare i miei vestiti al servizio lavanderia per farli asciugare». Non è un caso se non nomina in alcun modo Henri.
«Facciamo così», attiro l'attenzione di entrambi, «Nick recupererà i tuoi vestiti appena pronti e ci raggiungerà direttamente al locale. Vero, Nick?» chiedo conferma a parole ma gli impongo di non contraddirmi con gli occhi.
«Certo», borbotta poco convinto.
«Nel frattempo, io e te possiamo raggiungere gli altri», sorrido per cercare di risultare più convincente.
«Quali altri?» si affretta a dire, quasi spaventata. Suppongo abbia paura che ci sia anche Henri. Sono quasi tentato di chiudere questi due testoni a chiave in una stanza così o si riappacificano o si scannano definitivamente.
«Solo il mio amico Sten e Mike, il cugino di Nick. Li hai conosciuti entrambi, no?» la rassicuro.
Lei annuisce ma non accenna ad alzarsi dal pavimento.
«Ci conviene sbrigarci perché Henri potrebbe arrivare da un momento all'altro», mento controllando il corridoio dietro di me come se lui potesse davvero raggiungerci. Lake lo terrà in ostaggio a suon di prediche per almeno un'altra mezz'ora ma lei non lo sa e questo è il tasto giusto su cui far leva per convincerla ad uscire da qui.
Lancio uno sguardo a Nick, che mi osserva con perplessità per qualche istante, poi, sembra capire le mie intenzioni e sta al gioco. Questo sì che è un evento da festeggiare.
~
Il locale è ormai quasi pieno, la musica sempre più alta e la pista troppo affollata. Annie sta ballando con gli altri, sembra essere ancora un po' sulle sue ma sta finalmente sorridendo.
La osservo da uno degli sgabelli di fronte al bancone stringendo tra le mani una pinta di birra e dannazione, vorrei che Helene fosse qui.
Sposto lo sguardo al pavimento ma l'immagine di Hel non svanisce dalla mia mente. I suoi occhi sorridenti, le sue dita tra i miei capelli. Sbuffo, scrollo le spalle e torno ad indossare la mia maschera. Va tutto bene, va tutto benissimo.
Annie si siede sullo sgabello alla mia sinistra. «Tutto ok?»
«Alla grande», sorrido con troppo entusiasmo, forse per convincere anche me oltre lei.
Lei non dice nulla, mi scruta in silenzio. Sono costretto a distogliere lo sguardo, i suoi occhi puntati addosso mi fanno sentire a disagio, quasi come fossi di colpo nudo lì davanti a tutti.
«Quando smetterai di fingere che lei non ti manchi?» domanda con nonchalance mentre a me sembra di ricevere un pugno allo stomaco.
È una cosa che si limita ai membri della band o è così brava a leggere tutte le persone che incontra?
«Quando tu ammetterai di essere innamorata di Henri». La miglior difesa è l'attacco.
Annie scoppia a ridere. «Non credo ce ne sia bisogno».
«Allora perché non lo dici ad alta voce?» infierisco. So di star rigirando il coltello nella piaga ma almeno sto allontanando la sua attenzione da me.
«Perché non voglio sentire la mia voce che pronuncia quelle parole ripetersi all'infinito nella mia testa», abbassa lo sguardo, il piano nero del bancone improvvisamente più interessante di qualunque altra cosa.
Visto com'è andata con Henri, questa non è una giornata particolarmente fortunata per le mie chiacchierate ma forse Annie sarà più ragionevole.
«Quasi tutto quello che scrivono sul suo conto è una stronzata, Annie», comincio speranzoso.
«Anche quello che riguarda Krystal?»
«È vero che passano del tempo insieme, ma non sono una coppia», mi rendo conto che la risposta è un po' vaga ma davvero non saprei dare una spiegazione più chiara.
«A questo punto, non fa differenza per me», sospira triste ma determinata a non lasciarsi piegare.
«Ti sei mai chiesta perché lui non abbia mai avuto una ragazza in questi anni?» riprovo con quella che mi sembra un'argomentazione decisamente più convincente. «Intendo una vera storia, non provare nemmeno a nominare Teale perché due mesi scarsi di comparsate sui giornali di gossip non si contano nemmeno», preciso subito.
«Veramente, ne hanno parlato anche ai notiziari», cerca di smontare la mia tesi ma la rimetto in riga con un'occhiataccia.
«La risposta a cui stai alludendo tu non è abbastanza, non più. Io non sono il tipo che vive alla giornata senza dare un nome alle cose e mi sembra di valere molto più di questo».
Mi è improvvisamente tornata voglia di picchiare Henri.
«Fammi solo un favore, non mollare. Non lasciarlo andare», non demordo. Lei è l'unica che può fargli superare le sue paure.
«Basta parlare di me», scrolla la testa lasciandomi intendere di averlo già fatto, di averlo lasciato andare. «Come vanno le cose con Helene?» cambia argomento.
Un altro buco nell'acqua, questo ancora più grosso di quello con Henri. Tutta colpa del riccio che, quando si tratta di sentimenti, non vede più in là del suo naso.
Finisco l'ultimo sorso di birra, lei rimane in silenzio in attesa della mia risposta.
«Ci siamo augurati buona fortuna e ognuno è andato per la propria strada», replico asciutto.
«Quando te la andrai a riprendere?» continua come nulla fosse. Non so se essere più stupito per la sua sfacciataggine o intenerito per la sua semplicità che sfocia quasi in ingenuità.
«Quando tu riuscirai a reggere cinque giri di vodka», la prendo in giro. Non è l'unica a non voler parlare della propria vita privata.
«Andata», mi risponde con un sorrisetto divertito.
«Cosa? Annie, stavo scherzando» ridacchio ma mi accorgo che la sua espressione è serissima.
Per quanto insista a dire che si tratti solo di una battuta, lei non mi ascolta. Al contrario, si sporge oltre il bancone e attira l'attenzione del barista, per poi dirgli qualcosa all'orecchio. Poco dopo, il tipo mette davanti a noi una decina di bicchierini e comincia a riempirli di un liquido trasparente.
«Annie, sul serio, era una battuta. Non-»
«Cosa c'è Stevenson? Hai forse paura di perdere?» mi lancia uno sguardo di sfida.
Qui finisce male. Dov'è Nick quando serve?
Un paio d'ore e molti shottini più tardi, io e Nick a stento riusciamo a tenerla in piedi. È completamente abbandonata a noi, con le braccia intorno alle nostre spalle e la testa ciondolante all'indietro mentre ride senza nessun motivo.
«Quanto cazzo l'hai fatta bere, Luc?» sibila tra i denti.
«Io? Ho praticamente steso Sten e Mike pur di non farla bere. Per non parlare di non so quanti bicchierini di vodka ho dovuto regalare a chiunque ci passasse accanto e quanti ne ho buttati giù io stesso». Non sono ubriaco ma nemmeno sobrio, insomma.
«Dove si sono cacciati quei due?» lo vedo setacciare il locale alla ricerca dei nostri amici.
«James li sta riportando in hotel. Piuttosto, tu dov'eri finito? C'hai messo una vita ad arrivare. Magari avresti potuto aiutarmi a tenerla a bada». Per quanto sia stato divertente vederla senza freni inibitori, ho seriamente temuto che esagerasse e si sentisse male.
«Abbiamo dovuto fare un giro assurdo per sviare i paparazzi. Volevo evitare che ci trovassero perché mi aspettavo questo tipo di finale ma con te al posto di Annie».
Di sicuro, non mi aspettavo questo quando le ho proposto di uscire con noi.
«Hai visto, Stevenson? Ho vinto la scommessa, ora devi andare da lei», biascica Annie, continuando a inciampare sui propri passi.
«Quale scommessa?» chiede severo. Se non avesse addosso Annie, avrebbe sicuramente incrociato le braccia al petto con l'espressione di chi aspetta una spiegazione ma sa già che riceverà solo bugie.
«Non vedi che straparla?!» tento di chiudere il discorso.
«Luc, hai fatto una scommessa con Annie per farla ubriacare?» per un attimo mi sembra di vedere del fumo uscirgli dalle narici.
«Certo che no, perché avrei dovuto? Era solo una fottutissima battuta che, però, lei ha preso alla lettera, ovviamente».
Annie ridacchia ancora, finché non le esce uno strano singulto.
«Ok, è meglio che ce ne andiamo prima che cominci a vomitare», suggerisce Nick. «Vado a prendere le sue cose, ce la fai a tenerla?»
«Penso di sì».
Nick si sfila con cautela il braccio di Annie e dopo essersi assicurato che io la regga senza problemi, si avvicina al bancone per recuperare i suoi vestiti.
Quando è arrivato, lei era già ubriaca e non c'è stato verso di convincerla a cambiarsi. Quindi, indossa ancora i vestiti di Henri e le maniche della felpa continuano a ricadergli sulle mani.
Nel tentativo di tirarsele su per l'ennesima volta, perde l'equilibrio. Nonostante l'alcol in circolo, i miei riflessi sono ancora ben funzionanti, così riesco a riprenderla per i fianchi e ad evitare che cada. Lei finisce con una guancia schiacciata contro la mia spalla e le braccia a circondarmi la schiena in una specie di abbraccio improvvisato che, non so per quale strano motivo, la fa scoppiare a ridere.
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