4.

«Ciao Annie, che piacere rivederti. Come stai?» mi saluta allegramente, sembra piacevolmente sorpreso.
«Bene, grazie. Tu?»
«Benissimo, grazie. Abbiamo un'intervista qui in radio per promuovere il nostro primo album in uscita tra qualche mese», risponde raggiante e si volta verso Maddie con aria interrogativa. Solo allora mi ricordo di lei.
«Henri, questa è la mia amica Maddie. Maddie, lui è...beh lo sai», la incoraggio con uno sguardo.
«Ciao Maddie, piacere di conoscerti», le allunga la mano che lei stringe tremando mentre balbetta un misero ciao in risposta. Deve essere sotto shock, non c'è altra spiegazione per il suo mutismo.
«Che ci fate da queste parti?» chiede Henri rivolgendosi di nuovo a me.
«Weekend di svago in occasione del mio compleanno. Ci stavamo dirigendo verso il nostro hotel e chiacchierando siamo finite qui», ci tengo subito a precisare. Non voglio dare l'impressione che li stessimo aspettando. Maddie ne sarebbe senza dubbio capace anche se, in questo momento, sembra sotto ipnosi.
Una voce proveniente dall'altra parte della strada, vicino alla porta d'ingresso dell'edificio, intima ad Henri di sbrigarsi. Solo in quel momento mi accorgo che ci stanno guardando tutti con curiosità, gli altri quattro membri della band più una manciata di altre persone che non riconosco.
«Scusate, devo andare», fa per voltarsi ma poi ci ripensa e torna a guardarmi. «Annie, riusciresti a venire ad Hyde Park verso le quattro?» i suoi occhi verdi mi scrutano con attenzione, speranzosi. «Sempre se non hai altri impegni», si affretta ad aggiungere.
«Ehm, penso di sì. Voglio dire no, non ho impegni», blatero incerta dopo aver ricevuto dalla mia amica una specie di gomitata che mi ha fatto ridestare. Questa richiesta mi ha colta del tutto impreparata.
«Bene, ci vediamo dietro Kensington Palace», mi informa prima di raggiungere gli altri ragazzi.
Riprendo subito a camminare trascinandomi dietro Maddie che non smette di fissare il punto in cui fino a pochi istanti fa c'erano i suoi idoli senza però aprir bocca.
Appena giriamo l'angolo riprende vita e si lascia sfuggire un grido di gioia.
«O-mio-dio! Ho stretto la mano a Henri Byles! Ho stretto la mano a Henri Byles! Giuro che non me la lavo più. Ma ti rendi conto?!» urla senza ritegno.
«Che è assurdo mettere al primo posto lui anziché la tua igiene personale? Sì, me ne rendo conto», replico in tono distaccato.
«Ti ha dato un appuntamento!» grida per l'emozione ignorando la mia risposta. Non sapevo che la sua voce potesse diventare così acuta e fastidiosa.
«Non è un appuntamento», preciso storcendo il naso.
«Ah no? Cos'è allora?»
«È un...» inizio senza sapere bene come terminare la frase, «incontro».
«Un incontro tra un ragazzo e una ragazza che si vogliono conoscere, da soli. Vuoi che controlli la definizione della parola appuntamento sul dizionario?»
Vorrei ribattere ma lei non me lo permette. «Sbrighiamoci ad arrivare in hotel, devi cambiarti, truccarti e...» la interrompo alzando una mano.
«Maddie, prima di tutto, respira. Seconda cosa, non è un appuntamento, non c'è bisogno che ti agiti tanto», la riprendo. In realtà, dentro sto morendo dall'ansia ma, almeno, non mi faccio prendere dal panico come sta facendo lei.
«Sì, certo. E io credo ancora a Babbo Natale», mi guarda storto. «Dammi il cellulare piuttosto».
«Perché?» domando sulla difensiva.
«Voglio ascoltare in diretta l'intervista dei Just Us ovviamente ma il mio è scarico», ribatte porgendomi il palmo della mano come invito a posarci sopra il mio telefono. Scuoto la testa, è davvero un caso irrecuperabile.
Per tutto il restante tragitto non posso dire una parola, è già tanto se mi permette di respirare. Quando arriviamo in hotel l'intervista non è ancora finita quindi devo occuparmi anche del suo check-in mentre lei rimane seduta in disparte con l'orecchio attaccato al mio telefono a ridere da sola come una pazza. Credo che la receptionist stia seriamente dubitato della sua sanità mentale. Come darle torto, del resto.
Entriamo nella nostra stanza che sono quasi le tre e mi prende una fortissima agitazione. Mi guardo allo specchio sconsolata. Dovrei veramente cambiarmi o truccarmi? Non posso esagerare altrimenti Henri noterebbe la differenza. Mi ha vista poco fa, se mi rivede tra un'ora completamente truccata e vestita elegante penserà che voglia far colpo. Non ho nemmeno portato vestiti eleganti per questo week end, non avevo certo in programma di incontrare Henri, anche se sono sicura che Maddie rimedierebbe qualcosa se glielo chiedessi. Però, a quel punto, non sarei più io. No, no, niente cose strane. Un paio di jeans e una maglietta andranno benissimo. Il vero problema sarà convincere lei a lasciarmi andare così.

«Il tuo Romeo poteva anche essere più preciso sul punto d'incontro. Kensington Palace è immenso», si lamenta appena arriviamo a destinazione.
«Potevi chiederglielo, Miss ho-perso-le-parole», la prendo in giro. Lei cambia subito argomento.
«Ok, le quattro sono passate quindi è ora che me ne vada. Se hai bisogno di qualcosa, chiamami. Ci rivediamo in albergo più tardi. Divertitevi», alza le sopracciglia e sorride mentre pronuncia quest'ultima parola ma se ne va senza aspettare una mia risposta.
Comincio a guardarmi intorno nella speranza di scorgere la sagoma di Henri ma, per almeno cinque minuti, niente. E se mi dà buca?
Mi siedo su una panchina lì vicino e cerco di rilassarmi guardando il verde che mi circonda. È spuntato anche un po' di sole, speriamo sia un buon segno. Chiudo gli occhi e faccio dei lunghi respiri, l'aria è così fresca in questo parco.
«Ciao Annie, scusa il ritardo», riapro gli occhi appena mi sento chiamare. Henri ha il fiato corto, immagino abbia corso. «Ho fatto prima che ho potuto. Aspetti da molto?», chiede visibilmente dispiaciuto.
«Cominciavo a pensare che mi avresti dato buca», lo provoco mentre continuo ad osservarlo. Indossa un paio di jeans, una felpa grigia col cappuccio tirato sulla testa e i soliti occhiali da sole. Questa volta, anche le sue fan più accanite stenterebbero a riconoscerlo. O, almeno, lo spero. Vorrei evitare di essere assalita da un gruppo di ragazzine indemoniate.
«Non avrei mai potuto. Devo salvaguardare la mia reputazione di gentleman», risponde stando al gioco.
Fa scorrere la zip della sua felpa verso il basso fino a metà e infila una mano dentro estraendone un fiore bianco. Anzi, dall'estremità del gambo sono spuntati due fiori e un terzo deve ancora sbocciare. Credo sia una fresia.
«Per te», me lo porge mentre il cappuccio gli ricade sulla schiena liberando i suoi ricci ribelli.
Balbetto un grazie prima di afferrare lo stelo e rigirarmelo con delicatezza tra le dita. È davvero bellissimo.
«Non conosco il significato della fresia quindi spero di non fare gaffes ma quando l'ho vista, ho pensato a te», mi rivolge un ampio sorriso.
«Ah sì?» chiedo prima di portarmi il fiore al naso ed inspirarne il profumo.
«È delicato, dolce e perfetto nella sua semplicità. Non ha bisogno di farsi notare attraverso colori vivaci o forme strane. Gli bastano dei piccoli petali bianchi per catturare lo sguardo».
Apro e chiudo la bocca diverse volte, prima di riuscire a formulare una frase di senso compiuto. Poi, però, vengo distratta da un movimento alle sue spalle e il mio pensiero scivola via.
«A proposito di catturare lo sguardo», parlo a bassa voce, «ci sono due ragazze che ti stanno indicando. Forse è meglio se ti rimetti questo», porto le braccia oltre il suo collo per afferrare il cappuccio della sua felpa e risistemarglielo sulla testa.
«Andiamo di qua», posa una mano sulla mia schiena per indicarmi la strada. Proseguiamo lungo uno dei sentieri sterrati che attraversano il parco fino ad un albero vicino al lago. Ci sediamo a terra con la schiena appoggiata al tronco. Siamo molto vicini, le nostre braccia si sfiorano ma non sento nessun imbarazzo.
«Vieni spesso qui?»
«Qualche volta. Ultimamente siamo spesso a Londra per registrare l'album e, quando riesco, vengo a rilassarmi qui», gli si distende il viso mentre lo dice. «È la prima volta che vieni a Londra?»
«No, ma questa volta è diversa dalle altre. Maddie mi ha portata a visitare la UCL dove vorrei venire a studiare a settembre», racconto entusiasta.
«Mi sembra di capire che ci tieni molto».
«Sì, spero davvero di riuscire ad entrare ma solo una persona su dieci viene ammessa», sospiro sconsolata. «Piuttosto, com'è andata l'intervista?» meglio cambiare discorso altrimenti mi faccio prendere di nuovo dal pessimismo cosmico.
«Molto bene, abbiamo parlato un po' del disco che stiamo registrando e risposto a qualche domanda inviata dalle fan». Mi sembra così strano stare qui a parlare di fan e di album come se parlassimo di scuola o di uscite tra amici ma, allo stesso tempo, risulta tutto così naturale.
«Immagino che vi faranno un sacco di domande strane».
«Qualcuna», ammette ridendo. «Ma anche le nostre risposte a volte sono strane», continua.
«Tipo?» domando curiosa.
«Alla domanda: cosa vi piacerebbe fare che ancora non avete fatto, Lucas ha risposto mungere una mucca», cerca di trattenere le risate. Io, invece, scoppio a ridere di gusto.
«Magari voleva solo assicurarsi che nessuno lo avrebbe copiato», riesco a dire tra una risata e l'altra. «Tu, invece, cos'hai risposto?»
«Un banalissimo bungee jumping», minimizza.
«Eh sì, in quanto a originalità mucca batte bungee jumping dieci a zero».
«Prova a batterla tu la mucca», mi sfida ridendo.
«No, ci sono tante cose che mi piacerebbe provare ma non mi viene in mente niente di così originale. Opterei per un semplice viaggio a Sydney», concludo sognante.
«Ottima scelta. Piacerebbe anche a me andare in Australia».
«Magari un giorno ci andrete in tour», suggerisco.
«Sarebbe fantastico ma per ora è una meta lontana».
«Cosa avete in programma per i prossimi mesi?»
«Oltre alla promozione del disco, stiamo organizzando una tournée per fine anno qui in Gran Bretagna. Ci saranno un paio di date anche a Manchester», puntualizza fermandosi a guardarmi come se si aspettasse una risposta. Mi sta forse invitando al suo concerto? No, starò sicuramente fraintendendo.
Posso già immaginare la reazione di mia cugina quando lo verrà a sapere. Supplicherà talmente tanto sua madre di darle il permesso di andarci che alla fine zia Katie cederà per sfinimento. E a chi chiederà di accompagnarla se non a me? Non lo ammetterò mai ma, diversamente da come sarebbe stato fino a qualche mese fa, ora l'idea non mi dispiace affatto. Sghignazzo sotto i baffi senza farmi notare.
«Sei agitato all'idea di esibirti davanti a tante persone?»
Questo per loro sarebbe il primo vero tour, immagino siano elettrizzati ma anche un po' spaventati.
«Un po' sì, ma non vedo l'ora di iniziare», gli brillano gli occhi per l'emozione.
«Anche mia cugina non vedrà l'ora», dico ad alta voce quasi senza accorgermene.
«Le è piaciuta la foto?»
«Piaciuta è dire poco», confermo e gli racconto di come non abbia fatto altro che portarsela ovunque, persino a dormire, rigorosamente dopo aver tolto la metà che ritraeva me. Di come la sua camera sia ovviamente piena di poster dei Just Us e di tutte le ragazze che vengono in pasticceria da quando sanno che lui è stato lì. Lo ringrazio infinitamente per la pubblicità gratuita che ci ha fatto su Twitter e lui mi assicura che anche gli altri ragazzi e lo staff hanno trovato i dolci buonissimi.
«Nick si è messo in testa di venirvi a trovare in negozio per provare tutti i dolci che preparate e noi saremmo felicissimi di accompagnarlo».
Mia zia ne sarebbe super felice e anche Ashley. Un pochino, forse, anche io. Ma forse.
«Avete intenzione di venire di corsa come hai fatto tu?» lo prendo in giro non trattenendo una risata.
«Ma senti che spiritosa. Visto che ti piace tanto ridere, ti accontento subito!» esclama in tono minaccioso prima di prendere a farmi il solletico sui fianchi. Io mi dimeno e rido, più cerco di sfuggire a quelle dita, più lui non molla la presa e continuo a ridere fino a non respirare più e a ritrovarci entrambi stesi sul prato. Lui appoggiato su un fianco con le braccia pronte a scattare di nuovo all'attacco e io a pancia all'aria con le gambe rannicchiate in posizione di difesa.
Qualche ciocca riccioluta gli finisce davanti agli occhi distraendolo per un istante. Mentre si passa la mano tra i capelli per rimetterli al posto ne approfitto per passare al contrattacco. Così, scopro che anche lui soffre molto il solletico ed è un piacere sentirlo ridere così liberamente. Continuo senza pietà finché, entrambi esausti, ci stendiamo sull'erba a riprendere fiato.
«Raccontami le cose più strane che vi sono capitate finora», riprendo a parlare appena torno in me. Lo guardo in quei bellissimi occhi verde menta e mi perdo nelle mille espressioni che fa elencandomi tutti gli scherzi che i ragazzi si sono fatti da quando si è formata la band. Le sue labbra si muovono su e giù mostrando e nascondendo le fossette che ho iniziato ad apprezzare particolarmente. È così allegro e spontaneo mentre parla che mi perdo completamente nei suoi racconti, a tal punto da avere l'impressione di aver vissuto quei momenti insieme a lui e i ragazzi.
Andiamo avanti non so quanto a chiacchierare, scherzare e guardarci mentre il sole scompare dietro le nuvole sempre più dense e la luce del giorno si affievolisce.
Come la scorsa volta, il suo cellulare interrompe l'atmosfera spensierata che si era creata e lo informa che il suo tempo libero è scaduto.
Mi saluta con un abbraccio e un «ci vediamo presto» che mi lasciano confusa e disorientata. Lo osservo allontanarsi pensando che non lo vedrò mai più e, di colpo, mi sento profondamente triste.

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