38.

L'attesa sembra infinita. Dovrebbero iniziare ad imbarcare i passeggeri entro qualche minuto ma il tempo sembra andare al rallentatore.

Sento il cellulare vibrarmi in tasca seguito dall'ansia ad attanagliarmi la gola. Nessuno, tranne Vic, sa che sono in aeroporto e voglio che le cose rimangano così. Non credo sia Henri, ci siamo sentiti poco fa mentre stava rientrando in hotel dopo l'ennesimo concerto. Non so come abbia fatto, dal momento che credevo non esistessero più, ma è riuscito a procurarmi un biglietto aereo con data aperta quindi lui non sa, a meno che non sia io a dirglielo, se e quando lo raggiungerò.

Sbircio lo schermo col cuore in gola e per poco non balzo dalla sedia, vedendo chi mi sta chiamando. Che tempismo!

«Ciao nonna», la saluto con un po' di agitazione. Spero che non senta troppo casino in sottofondo e soprattutto prego qualunque divinità o entità superiore in ascolto di fare in modo che non vengano fatti annunci proprio in questo momento.

«Tesoro, come stai?» mi chiede più dolcemente del previsto. Lei non ha mai amato le smancerie, è più il tipo di persona che dimostra affetto semplicemente con la sua presenza e la sua saggezza. Lei è quella che ti fa riflettere con una frase detta al momento giusto o ti spiazza con domande scomode, battute e allusioni.

«Al solito, sono un po' sotto pressione per gli esami ma niente di preoccupante», tento di rassicurarla e sviare subito eventuali altri discorsi.

«So che questi ultimi giorni sono stati difficili per te», lascia la frase in sospeso. Alla faccia dello sviare.

«Sto bene, nonna», ribatto con sicurezza. Non voglio affrontare la questione proprio adesso, soprattutto non mentre con un orecchio rimango all'erta, pronta a chiudere la chiamata fingendo che sia caduta la linea qualora captassi suoni o rumori tipici dell'aeroporto.

«Non c'è bisogno che tu ti finga forte ad ogni costo. Mostrare le proprie fragilità non significa essere deboli ma coraggiosi», mi snocciola una delle sue innumerevoli perle di saggezza. Dovrei proprio segnarmele da qualche parte, ne ha sempre una per ogni occasione. Potrei farne una raccolta ed intitolarla "Scuola di vita da Eloise", sono sicura che avrebbe un successo incredibile.

«Non sto fingendo, anzi, sto prendendo sempre più coscienza delle mie ferite. Ho capito che hanno bisogno di molte più attenzioni di quelle che ho dato loro finora e che non sono per niente rimarginate, ma ci sto lavorando», mormoro ricacciando indietro le lacrime. «Come sta zia Katie?» tento di distogliere l'attenzione da me.

«Si tiene occupata come al solito». Ha sempre fatto così, è l'unico modo per lei di superare i momenti in cui la mancanza di sua sorella si fa sentire con più forza, come in questo periodo dell'anno o a Natale.

«Tu come stai?» le chiedo apertamente. In fondo, anche per lei è molto dura, ha pur sempre perso una figlia. Nonostante siano passati ormai più di quindici anni, lo vedo ancora il velo di tristezza e dolore che copre i suoi occhi quando guarda le foto appese in casa sua o quando, improvvisamente, si ferma a guardarmi con malinconia e mi dice che assomiglio molto a mia madre. Non oso immaginare quanto possa essere straziante per lei convivere con questo peso sul cuore.

«Bisogna gettarsi dentro l'uragano per attraversarlo, non ignorarlo». Lo sto già facendo, nonna. Ne sto attraversando più di uno, poi.

Sorrido e sono certa che lei abbia sentito il leggero sbuffo divertito. «Ti voglio bene, nonna».

«Non c'era bisogno del foglio, ti ho riconosciuto subito, James».

«Non mi pare ci siamo mai incontrati prima», abbassa il cartoncino che riporta il mio nome visibilmente confuso dalla mia sicurezza.

«Mi sono fatta inviare una tua foto da Paul», confesso. «Sì, lo so, sono un po' diffidente», rispondo al suo sguardo perplesso. Ridacchio al ricordo della mezza scenata che ho fatto a Paul la prima volta che l'ho incontrato. Questa volta volevo essere preparata ed evitare fraintendimenti.

«Beh, comunque piacere, io sono Annie», allungo la mano che James stringe prontamente sorridendo divertito.

«Lascia che ti aiuti con la valigia». Non faccio in tempo ad obiettare che' la sta già trascinando verso l'uscita facendomi strada verso la macchina. Per un attimo mi sento una donna d'affari che gira il mondo per lavoro e gode di un trattamento di favore (viaggio in prima classe, autista/facchino) che non sono convinta di non meritare.

Le ore di volo mi hanno decisamente provata e per fortuna non ci sono stati scali. Non ho avuto il coraggio di guardarmi allo specchio del bagno in aeroporto, così mi sono lavata le mani tenendo la testa bassa e ignorando completamente il mio riflesso. Cosa di cui ora mi pento amaramente mentre sto raggiungendo la palestra all'ultimo piano dove pare che Henri si stia allenando. Perché questo ascensore deve avere delle luci così impietose e degli specchi su tutti i lati? Dio, sembro l'amico spazzacamino di Mary Poppins con le occhiaie e delle strane macchie rossastre su tutta la faccia al posto della fuliggine. Di questo passo, anziché stupirlo, va a finire che lo spavento per come sono conciata.

L'idea di fargli una sorpresa non dicendogli che l'avrei raggiunto, visto che il biglietto aveva data aperta e che non ho mai confermato ad Henri di averlo ricevuto, mi era sembrata piuttosto buona ma non avevo messo in conto che la mia faccia sarebbe stata assolutamente impresentabile una volta a destinazione.

Spero che non si sia insospettito per la mia assenza nelle ultime dieci ore. Gli ho mandato un messaggio poco prima di salire in aereo dicendogli che avrei passato il pomeriggio in biblioteca e un altro appena atterrata in cui mi lamentavo per non essermi accorta del telefono completamente scarico, ma non sono sicura di essere stata abbastanza convincente. Io e Paul abbiamo anche deciso che al posto suo sarebbe venuto a prendermi James in modo che lui non si allontanasse dall'hotel e da Henri e quindi non desse nell'occhio.

James fa scattare piano la serratura della palestra ed apre lentamente la porta per farmi entrare di soppiatto.

Henri sta correndo, o meglio sta facendo finta di correre, sul tapis roulant mentre l'allenatore lo sprona a fare sul serio ancora per qualche minuto. Lui, in risposta, si mette a ballare a tempo di musica, muovendosi goffamente per restare in equilibrio sul tappeto.

Mi avvicino con cautela anche se l'unica cosa che vorrei davvero fare è corrergli incontro. Per fortuna, Henri è di spalle così mi sistemo dietro di lui senza che se ne accorga.

«Forse dovresti valutare l'idea di lasciare la tua carriera da cantante per dedicarti al ballo». Doveva essere una battuta ad effetto per rivelare la mia presenza ma, dopo averla detta ad alta voce, mi sembra più che altro una frase senza senso. Comunque, dal modo in cui Henri si gira di scatto e sgrana gli occhi per lo stupore, capisco che non ha prestato davvero attenzione a ciò che ho detto.

Incespica sui suoi stessi passi e per poco non cade dal tapis roulant. Si riprende all'ultimo secondo e scende definitivamente da quell'attrezzo per concentrarsi su di me. Credo stia cercando di capire se io sia reale o uno stupido scherzo della sua immaginazione. Dopo interminabili secondi di confusione, finalmente il suo viso si illumina di uno dei più bei sorrisi che gli abbia mai visto fare e senza che me ne renda davvero conto, me lo ritrovo addosso, con il naso affondato tra i miei capelli e le braccia che mi stringono forte. Se questo non è il Paradiso, non so davvero cosa possa esserlo.

«Non vedevo l'ora di rivederti», non è che un sussurro ma alle mie orecchie queste parole arrivano come fossero appena state urlate ad un megafono. Forse sto per impazzire: non mi rendo più conto del tempo e dello spazio, non so più dove mi trovo, non sento più niente, solo la sua presenza, il suo corpo premuto contro il mio che non accenna a staccarsi e il mio cuore che sembra voler prendere a pugni il mio torace.

Sono ancora in trance quando Henri mi circonda con un braccio e mi accompagna fuori dalla palestra, incurante dei richiami del suo personal trainer, concludendo il suo allenamento senza troppi sensi di colpa.

Appena fuori dalla porta, mi guarda con un ghigno malizioso e senza darmi il tempo di reagire, mi afferra per le gambe e mi carica in spalla. Mi lascio sfuggire un paio di urletti di sorpresa prima di prenderlo a pugni sulla schiena intimandogli di mettermi giù. Lui ridacchia ignorando le mie minacce e continua a camminare sempre più veloce. La visuale da quella posizione capovolta non è delle migliori ma mi pare proprio di non vedere nessuno nei paraggi. Grazie al cielo, il tragitto dalla palestra alla sua camera è troppo breve per correre seriamente il rischio di incrociare qualche altro ospite dell'hotel. Ci risparmiamo occhiatacce e risatine maliziose.

«Sapevo che saresti venuta», sorride soddisfatto sfiorandomi le labbra dopo avermi adagiata con cura sul letto.

«Non sono riuscita a sorprenderti neanche un po'?» metto il broncio.

«Scherzi? Stavo quasi per scivolare dal tapis roulant e schiantarmi al suolo. Non mi aspettavo arrivassi oggi ma sentivo che avresti accettato di venire, anche se non mi hai mai detto di aver ricevuto il biglietto». Lo guardo senza dire nulla, scruto ogni particolare del suo viso, alla ricerca anche del più minuscolo cambiamento. Mi riempio di gioia quando non trovo nulla di diverso dall'ultima volta che l'ho visto, mi da l'illusione che io non mi perda niente di lui, che io sia abbastanza presente nella sua vita da registrare i suoi mutamenti in tempo reale tanto da non stupirmi di vederlo coi capelli più lunghi o con degli accenni barba sotto il mento.

«Chi ti è venuto a prendere? Paul è sempre stato nei paraggi oggi, anche più del solito, ora che ci penso».

«Ho le mie conoscenze», resto vaga rifilandogli la stessa frase che lui ha usato con me in un paio di occasioni.

L'aria fino a quel momento rilassata e allegra, si fa d'un tratto carica, intensa.

Henri è ancora a cavalcioni su di me, i suoi occhi ancorati ai miei in uno scambio silenzioso che non dice niente ma dice tutto. Rimaniamo nella nostra bolla per un tempo che sembra infinito finché Henri abbassa lo sguardo sulle mie labbra come se non aspettasse altro che divorarle. In uno slancio di intraprendenza, interrompo la sua contemplazione. «Che aspetti?» lo invito indirettamente a baciarmi, perché, sinceramente, è una vita che non assaggio la sua bocca e mi è mancato da impazzire.

«Volevo solo imprimere ogni dettaglio del tuo viso nella mia mente», risponde serio.

«Posso sempre mandarti una foto». Non sono abituata a sentirmi dire questo genere di cose in generale, figuriamoci da lui. Mi serve tempo per processarle, meglio sdrammatizzare con un po' di ironia.

«Chi ti dice che non le abbia già?» mi sorride sfacciato.

Devo ammettere che mi é capitato, in un paio di occasioni, di rubare qualche scatto mentre Henri dormiva o era troppo concentrato su qualcosa per accorgersi che lo stessi fotografando di nascosto. La possibilità che anche lui mi abbia immortalata, senza che lo notassi, stesa accanto a lui o in uno dei tanti momenti in compagnia dei suoi compagni di band e dei loro amici mi rende stupidamente felice. A tal punto da volerlo ringraziare per avermi dato anche solo un pensiero su cui crogiolarmi per il resto della mia vita.

Lo bacio di slancio, sorprendendolo per l'irruenza e rendendo subito evidenti le mie intenzioni mentre infilo le mani sotto la sua maglietta e la sollevo verso la testa.

«Aspetta, fammi fare una doccia. Sono sudato per l'allenamento», si discosta dolcemente.

«Non importa», mugugno in segno di protesta.

«Voglio darti il meglio di me, non il peggio», scende dal letto e comincia a spogliarsi.

«Lo sai benissimo che prenderei tutto», ribatto con un filo di voce.

Voglio prendere tutto. Tutto quello che sei disposto a darmi e anche ciò che ti ostini a nascondere. Le tue paure, le tue abitudini folli, i ritagli dei ritagli di tempo libero, che poi libero non lo è mai davvero; le videochiamate a scatti in piena notte, i tuoi attacchi di panico; il silenzio quando devi tenere a riposo la voce e pur di non rinunciare alle nostre chiamate, utilizzi un'applicazione online che parla al tuo posto; gli occhi arrossati quando hai la febbre. Voglio tutto.

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Here you are the next chapter!
Scusate l'attesa, ma oltre ad aver scritto un capitolo più lungo del solito, l'ho praticamente buttato giù con quello che pubblicherò la prossima volta (spero nel week end) quindi mi ci è voluto un pò di più del previsto.
Comunque, finalmente Annie raggiunge Henri nella grande 🍏
Cosa pensate faranno i due piccioncini?
Vi è piaciuta la reazione di Henri alla vista di Annie?
Let me know what you think and what you expect 🌟

Love 😍,

Z.

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