36.

Sono confusa, mi trovo in un parco e non so come ci sono finita.

C'è una bambina sull'altalena. Ha dei lunghi capelli biondi e un vestitino a fiori bianco e lilla. È ferma immobile, le gambe a penzoloni oltre il sellino, le mani strette intorno alle catene ai lati del viso, leggermente inclinato verso il basso. Sembra triste.

Mi avvicino con cautela guardando in giro, il parco sembra deserto. Che ci fa qui tutta sola?

«Sei triste perché non c'è nessuno che ti spinge?», mi accovaccio di fronte a lei con un sorriso incoraggiante. «Se vuoi posso farlo io», continuo. Spero che non si spaventi di me, in fondo sono una sconosciuta per lei. Lei, però, non risponde, scuote solo la testa in diniego.

Si sta facendo buio, è ora di tornare a casa ma la bambina è sola, non posso lasciarla qui e andarmene. Devo fare qualcosa.

«Dove sono la tua mamma e il tuo papà?» le chiedo con dolcezza.

«Non lo so», piagnucola lei tirando su col naso.

«Ti va se ti aiuto a cercarli?» propongo con la speranza di guadagnare la sua fiducia.

Lei alza lo sguardo su di me, mi fissa per qualche istante con quei suoi occhi ambrati così familiari da lasciarmi senza fiato. Poi fa cenno di sì con la testa.

Mi appresto ad aiutarla a scendere dal seggiolino ma una voce femminile attira la mia attenzione. «Annalisa», mi chiama.

Mi guardo attorno, controllo in ogni direzione, ma non vedo nessuno. Eppure, la voce era nitida, non posso essermela solo immaginata.

«Annalisa, vieni», mi incita ancora. È una voce calda, dolce, mi sembra di conoscerla ma non riesco ad associargli un viso.

Mi abbasso di nuovo verso l'altalena per occuparmi della bimba ma lei non c'è più. Un attimo prima era accanto a me e ora non c'era più, semplicemente sparita nel nulla.

Comincio ad agitarmi perché c'è evidentemente qualcosa di strano, il respiro si fa più accelerato e il buio è sempre più profondo.

«Sono qui tesoro», continua la voce. Il modo in cui fa scivolare le parole tra le labbra, il tono gentile, amorevole, risveglia qualcosa dentro di me.

«Mamma?» mi ritrovo a chiedere guardando verso il cielo. Non so perché, è stata una reazione istintiva, del tutto inconsapevole. Forse è direttamente il mio cuore ad aver parlato.

«La mia Annalisa», esclama strappandomi un sorriso.

Improvvisamente, una figura appare dall'altra parte del parco. Ormai è notte, non si vede più nulla ma devo avere una super vista da gatto perché riesco a distinguere senza problemi la sua corporatura e i lineamenti del viso. È un uomo, abbastanza alto, folti capelli neri e quel sorriso che tante volte ho fissato nelle fotografie di famiglia. Di quando ancora lo eravamo.

«Papà», pronuncio in italiano, come ero solita fare da piccola, non mi ero mai ricordata di questo dettaglio prima d'ora. Corro verso di lui che mi aspetta a braccia aperte scoppiando di gioia. Gioia che si trasforma presto in dolore quando realizzo che non riesco minimamente ad avvicinarmi a lui, come se stessi correndo su un maledetto tapis roulant. Continuo a correre ancora e ancora finché la figura sbiadisce davanti ai miei occhi e io crollo a terra.

«Annalisa», mia madre mi chiama ripetutamente, ma questa volta sembra preoccupata. La sua voce si fa sempre più lontana fino a svanire e lasciarmi nel silenzio più totale e nell'angoscia. Presto, però, si aggiungono dei lamenti di bambina, sono certa sia la stessa incontrata poco fa, che chiama a gran voce la mamma e il papà senza ricevere risposta. Quando scoppia a piangere e a lanciare urli di disperazione, la stessa che sento esplodermi dentro, riesco finalmente a riaprire gli occhi e ad uscire da quell'incubo.

Vic dorme beatamente con le cuffie ancora nelle orecchie, riesco a sentire il brusìo della musica da qua, la sveglia segna le tre del mattino.

Faccio dei respiri profondi per tentare di tranquillizzarmi ma la mia è un'inquietudine interna, un senso di dolore lancinante che parte dallo stomaco e divora tutto fino al petto e non riesco a scrollarmelo di dosso. Dopo diversi minuti senza miglioramenti, senza fermarmi a pensare troppo su quello che sto per fare, afferro il cellulare sopra il comodino e faccio partire una chiamata.

«Annie, che ci fai sveglia a quest'ora?» risponde al terzo squillo.

«Non riesco a dormire», sussurro per non svegliare Vic, anche se dubito che mi senta visto il volume della musica, e per non far notare a lui quanto sono scossa.

«Preoccupata per gli esami imminenti?»

«No, volevo solo sentire la tua voce», mormoro. L'unica che abbia il potere di farmi sentire al sicuro.

«È successo qualcosa?» domanda apprensivo. Si è accorto del mio pessimo stato d'animo, lo so. Scuoto la testa ma dubito che il rumore della mia nuca che sfrega contro il cuscino possa fargli capire la mia risposta.

«Che stavi facendo?» cambio bruscamente discorso e non tento nemmeno di nasconderlo.

«Louise ha appena finito di sistemarmi i capelli». Ora capisco tutto il chiasso che sento in sottofondo. Ci saranno almeno una decina di persone in quella stanza.

«Quindi hai deciso di farli crescere ancora?» chiedo con la speranza di distrarmi da tutto il casino che sento dentro. Stando a quanto ho potuto vedere durante la nostra videochiamata di ieri, Henri ha i capelli così lunghi che in pochi giorni la bandana non basterà più, dovrà legarli direttamente in un codino o in un mini-chignon per tenerli a bada.

«Non lo so, per ora mi limito a non tagliarli», me lo immagino sorridere.

Sento il vociferare in sottofondo attenuarsi fino a cessare, segno che Henri si stia spostando.

«Ok, ora siamo soli. Che c'è che non va?» mi mette con le spalle al muro.

«Deve per forza esserci qualcosa che non va?» provo a fingere ancora un po' che sia tutto ok. «Ci siamo sentiti altre volte in orari come questo», spiego.

«Sì, ma tu non eri mai così triste», ribatte deciso ma con una tale dolcezza da lasciarmi senza parole. Come fa ogni volta a capirmi così bene?

«Ho fatto un brutto sogno», ammetto parzialmente fissando il soffitto.

«Allora ho proprio quello che ti serve per rallegrarti un po'. Non puoi immaginare cosa ha fatto stamattina Lake a Nick durante un'intervista», annuncia entusiasta. In un'altra occasione l'avrei incitato a raccontarmi tutto con impazienza ma, in questo momento, non riesco a scacciare le urla della bambina dalla mia mente. Sono ancora lì, che mi perforano i timpani, attraversandomi la pelle e il cuore.

«...ma a quanto pare non sei particolarmente interessata alle sue figuracce», conclude l'aneddoto che non ho minimamente ascoltato.

«Scusa», bisbiglio e mi rannicchio sotto il lenzuolo senza aggiungere altro.

«Riesco a sentire la tua angoscia fino a qua. Cosa non mi stai dicendo? Mi sto preoccupando», insiste dolcemente.

«È l'anniversario della loro morte», confesso dopo un lungo sospiro.

«C'erano loro nel sogno?»

«Sì», confermo ricacciando indietro le lacrime arrivate dal nulla. Alzo gli occhi al soffitto e poi li chiudo sforzandomi di mantenere il controllo. Non posso scoppiare a piangere ora.

«Ti sei mai concessa di piangerli davvero?» mi mette con le spalle al muro. Nessuno era mai stato così diretto con me su questo argomento, nemmeno Maddie. Eppure, Henri lo fa con una tale sensibilità e attenzione, senza traccia di giudizio, da non darmi neanche fastidio.

«Non lo so», rispondo incerta, ho sempre cercato di pensarci il meno possibile.

«Non si può sempre far finta che il passato non esista. Qualche volta bisogna andargli incontro invece di scappare». Nonostante la delicatezza con cui mi sta parlando, mi sembra di aver appena ricevuto un calcio allo stomaco. Perché è vero, per quanto mi ostini a non guardare indietro, il mio passato c'è e io non l'ho mai affrontato.

Le lacrime premono per uscire e non so quanto a lungo riuscirò a tenerle a bada.

«Sono qui», aggiunge poi e questo basta a far crollare ogni resistenza, ogni piccola particella di forza di volontà rimasta e a farmi lasciare andare ad un lungo pianto silenzioso.

Rimango col telefono vicino all'orecchio mentre le lacrime cadono senza sosta e mi lascio sfuggire qualche singhiozzo. Henri resta in silenzio tutto il tempo ma lo sento talmente vicino che è come se mi stesse cullando tra le sue stesse braccia.

Non so quanto tempo dopo, i singhiozzi si placano, le ultime lacrime cadono sul cuscino, ormai completamente bagnato, e mi sento finalmente un po' sollevata.

«Mi manchi», mi lascio sfuggire in un sussurro.

«Perché non mi raggiungi e passi un po' di tempo qui?» propone speranzoso. Solo all'idea di essere di nuovo tra le sue braccia il mio cuore prende a galoppare.

«Mi piacerebbe ma non posso, lo sai che ho gli esami tra poco», rifiuto controvoglia.

«Mancano ancora un paio di settimane, no? Un po' di svago non ti farà male. Da quanti giorni sei rinchiusa nella tua stanza?»

«Non mi tentare, sono emotivamente instabile in questo momento, non te ne approfittare», lo ammonisco scherzosamente strappandogli una risata. Dio, quanto mi piace sentirlo ridere, la voce sempre bassa e profonda diventa improvvisamente squillante ed emana in modo naturale un'immensa allegria.

«Sarà meglio che mi rimetta a dormire». Ha già perso troppo tempo con me.

«Vuoi che ti canti una canzone per farti addormentare?» propone inaspettatamente.

«Una ninna nanna apposta per me?» ripeto sorpresa.

«Aspetta», lo sento correre, aprire una porta, far cadere qualcosa, imprecare.

«Stai distruggendo l'intero stadio?» lo prendo in giro.

«L'unica cosa distrutta qui è il mio piede. Quanto pensi possa pesare una chitarra? Un affarino così leggero, non può fare tutto questo male», si lamenta.

«Sei davvero la creatura più goffa che io abbia mai conosciuto», esclamo trattenendo una risatina.

Henri inizia a pizzicare le corde della chitarra, già dalle prime note la canzone è inconfondibile ma sono davvero curiosa di sentire la sua versione.

You with the sad eyes
Don't be discouraged
Oh I realize
It's hard to take courage

Non ho parole. La sua voce è perfetta, bassa, a tratti roca, e mi avvolge e rilassa allo stesso tempo. Potrei rimanere ad ascoltarlo per ore.

Show me a smile, then
Don't be unhappy
Can't remember when
I last saw you laughing
If this world makes you crazy
And you've taken all you can bear
You call me up
Because you know I'll be there

Se la scelta della canzone, all'inizio, mi era sembrata casuale, ora capisco che no, Henri l'ha scelta apposta per me. Perché canta ogni singola parola con un'intensità e un'intenzione tali da lasciarmi senza fiato.

«Grazie», riesco solo a dire.

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Heilààààà
Questo capitolo mi ha impegnata più del previsto ma alla fine eccolo qui! Spero vi piaccia.
Non vi sembrano molto dolci insieme? ♥️😍
Fatemi sapere che ne pensate, mi trovate qui ;)

See you 🔜

Z.

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