28.

Sono tre giorni che piove senza sosta. Vic odia la pioggia e nonostante studi qui da più di un anno, non si è ancora abituata al cielo grigio di Londra. Per questo non ha fatto che parlarmi con occhi sognanti delle sue adorate colline toscane, del profumo di uva e olive che attraversa l'intera campagna in estate. Mi ha invitato a passare qualche settimana da lei durante una delle prossime vacanze e non ho avuto la forza di dirle di no, anche se questo è l'ultimo dei miei pensieri adesso. 

Sono tre giorni che dormo poco e male. Mi sveglio nel cuore della notte e non c'è verso di riaddormentarmi. Ho pensato di saltare le lezioni e provare a recuperare qualche ora di sonno durante il giorno ma stare senza far niente mi dà il tempo di riempirmi la testa di pensieri, così ho scartato subito l'idea e anzi, ho fatto di tutto per tenermi occupata il più possibile, di stancarmi anche fisicamente magari, con la speranza di crollare a letto la sera. 

Sono tre giorni che Henri non si fa sentire. Nelle ultime settimane, a dirla tutta, le chiamate si sono ridotte drasticamente fino a scomparire e ora non risponde nemmeno ai messaggi. Secondo gli ultimi avvistamenti, si trova negli Stati Uniti adesso. È assurdo che io debba venirlo a sapere tramite internet quando, fino a qualche tempo fa, era lui a raccontarmi le sue giornate ed i vari impegni della band. 

Certo, non mi aspettavo che sarebbe durata per sempre, sapevo che ci saremmo allontanati gradualmente, ogni giorno un pochino di più fino ad andare avanti con le nostre vite e magari arrivare a dimenticarci l'uno dell'altro ma credevo che ci avremmo messo molto più tempo. Invece, è cambiato tutto così in fretta e io me ne rendo conto solo ora che i segnali sono impossibili da non notare e che non c'è più nulla da fare. Sono stata cieca per molte settimane, troppo impegnata a tenere unita quel che resta della mia famiglia per dedicarmi a qualcun altro o anche solo per accorgermi di quello che stava accadendo. 

Sono tre giorni che la sensazione che ci sia un tassello mancante in tutta la storia si è acuita e ha preso a martellarmi il cervello e il cuore. 

Ricerco nei meandri della mia mente l'inizio del declino, il messaggio di mayday inviato sulla mia frequenza radio e mai ascoltato ma non trovo nulla di concreto, non c'è un fattore scatenante, un momento preciso in cui tutto è cominciato ad andare a rotoli. Semplicemente è successo e io ho lasciato che accadesse.

"Ehi Anne, che ne dici di andare in giro per negozi", mi aveva proposto Maddie in un giorno di inizi ottobre. 

"Non posso, devo aiutare mia nonna in pasticceria", le avevo risposto quasi scocciata. Le cose non erano più le stesse, doveva averlo capito ormai. 

"L'ho appena incontrata in giardino, mi ha detto di dirti che non è moribonda e che devi smettere di preoccuparti per lei, parole testuali", aveva poi alzato le mani come a dire che lei non c'entrasse niente con quell'affermazione. 

"Come faccio a non preoccuparmi? Ieri l'ho trovata che cercava di spostare i sacchi di cioccolato da cinquanta libbre nonostante i medici le abbiano detto di stare a riposo e non fare sforzi. Di questo passo l'infarto verrà anche a me", avevo ribattuto contrariata mentre infilavo i vestiti sporchi nella lavatrice. Con la nonna fuori dai giochi, mia zia era sempre in negozio e io, quando non ero con lei, pensavo alle faccende di casa. 

"Sai quant'è testarda, non dovresti stupirti più di tanto", aveva fatto spallucce. 

"Beh, questo conferma che sia meglio non lasciarla sola", ero davvero esasperata da tutta la tensione che c'era nell'aria in quel periodo. Mia nonna che non voleva essere controllata, mia cugina che era in piena fase ormonale e subiva il fascino di qualunque bel ragazzo le passasse affianco scoppiando in risatine a dir poco irritanti e Maddie che ogni giorno cercava di coinvolgermi in una delle sue uscite.  

"Quindi non tornerai al college tra una settimana?" voleva palesemente provocare una mia reazione nonostante io mi sforzassi di stare tranquilla e di non sbottare. 

"Non credo che mia zia e mia nonna mi permetterebbero di abbandonare gli studi nemmeno se volessi", avevo risposto semplicemente. 

"Tu lo faresti?" si era bloccata a fissarmi in attesa.

"Se fosse necessario, sì. Hanno davvero bisogno di una mano in pasticceria, chi le aiuterà quando io sarò tornata a Londra? Non ci trovo niente di strano". Possibile che la mia migliore amica non riuscisse più a capirmi? 

"C'è Ashley". 

"L'hai vista ultimamente? Non è per niente affidabile", mi ero lamentata. 

"Guarda che anche noi eravamo così alla sua età", mi aveva sorriso divertita. 

"Parla per te", avevo sbuffato in disappunto. 

"Oh, andiamo. Non ricominciare a fare la quarantenne isterica delusa dalla vita", aveva affermato guadagnandosi una mia occhiataccia. "Manca così poco alla fine delle vacanze, voglio passare un po' di tempo con te. Ultimamente hai rinunciato a tutto. Capisco che ce ne fosse bisogno, ma le cose stanno tornando alla normalità e non puoi sacrificare tutti i tuoi progetti, tutto quello per cui hai lavorato così duramente, non sarebbe giusto nemmeno nei confronti di Katie e Eloise che hanno tanto creduto in te", ci mancava solo la sua strigliata. 

"Non ho rinunciato a niente!" avevo esclamato sbattendo l'oblò della lavatrice. 

"Sì, invece. Non sei praticamente uscita di casa, hai rinunciato all'idea di andare in Italia dalla famiglia di tuo padre, hai smesso di vedere Henri e mi vieni pure a dire che lasceresti l'università", aveva ribattuto con fermezza. Cercava di aprirmi gli occhi ma io non ero pronta ad accettare la verità, così mi limitavo a negare l'evidenza. 

"Il viaggio in Italia è solo rimandato e se io e Henri non ci siamo visti è perché lui è molto impegnato con l'uscita del nuovo album, lo sai benissimo", avevo anche alzato la voce. Volevo solo che tacesse, che smettesse di parlare e mi lasciasse in pace. 

"Quindi tra voi va tutto bene?", continuava ad insistere. 

"Come sempre", avevo mentito, soprattutto a me stessa. 

"Quand'è l'ultima volta che vi siete sentiti?" mi aveva chiesto incrociando le braccia al petto come faceva ogni volta che era convinta di aver ragione.

"Oh, smettila di fare quella che sa tutto. Tu non sai niente di me e di lui e comunque noi non stiamo insieme", avevo sentito una fitta allo stomaco a causa delle mie stesse parole ma quello era un modo per cercare di rimanere distaccata dalla situazione e da lui o per convincere me stessa di poter ancora avere una scelta. Non potevo permettermi di avere bisogno di qualcuno che non c'era. Stavo cercando di andare avanti da sola, avevo messo su una corazza a prova di bomba atomica per proteggermi, anche se non mi accorgevo che, così facendo, stavo tagliando fuori tutti, compresa la mia migliore amica e la mia famiglia. 

"Stai mollando", era una constatazione, un dato di fatto per lei. 

"Non posso mollare qualcosa che non ho", mi ero concessa di ammettere abbassando lo sguardo e il tono di voce.

A distanza di due mesi da quell'episodio penso che Maddie avesse ragione. Io ho mollato, è vero, ma lo ha fatto anche lui. E le prove stanno proprio qui davanti ai miei occhi. Il pezzo mancante del puzzle è finalmente venuto fuori lasciandomi inerme ad affrontare l'enorme voragine che sento espandersi al posto del cuore. 

Con un paio di tocchi sullo schermo del mio cellulare faccio partire la chiamata e resto in attesa della voce della mia unica vera anima gemella. 

"Ciao Annie, stavo giusto per chiamarti", mi saluta allegramente. 

"Abbiamo mollato entrambi", le confesso abbattuta. 

"Le hai viste", si fa subito seria. Ha capito tutto, senza che le spiegassi nulla. "Come ti senti?" mi domanda con cautela. 

Sospiro, come se dovessi prendere la rincorsa per poter dire: "Uno schifo". 

"Sto prendendo la metro. Venti minuti e sono da te", conclude prima di riattaccare. Sono consapevole che Maddie ci impiegherà molto più di venti minuti ad arrivare, ma non mi importa. In questo momento non credo di riuscire a percepire lo scorrere del tempo. Riesco solo a sentire il suono sordo del silenzio dentro di me.  

Mi siedo a terra, è l'unico modo in cui mi sembra di non cadere. Porto le gambe al petto e appoggio la testa chiudendo gli occhi. Le lacrime cominciano a scorrere lente sulle mie guance. Le ho trattenute a lungo, forse troppo, e ora non c'è verso di fermarle. Cadono una dopo l'altra, come un piccolissimo ruscello, senza singhiozzi.

Non mi accorgo di Maddie e Vic finché non sento le loro braccia avvolgermi. Però non mi muovo. Rimango ad affrontare il piccolo mondo parallelo che mi fa compagnia da diversi mesi ormai, popolato dai fantasmi dei miei genitori, dalla paura di perdere mia nonna, dall'amara consapevolezza di aver già perso Henri. Resto lì, a piangere senza piangere davvero, a versare tutte le lacrime che il mio corpo è in grado di produrre. A concedermi un momento di debolezza.

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Che gran casino eh?
Spero di non avervi confuso troppo, nel prossimo capitolo sarà tutto più chiaro. Vi siete già fatte un'idea su cosa possa essere successo?
Fatemi sapere quali sono le vostre teorie...

See you soon 🌟

Z.

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