27.
"Annie, cos'è successo?" mi chiede Henri allarmato dalla mia faccia sconvolta.
"Devo tornare a casa. Come faccio adesso? Cazzo, cazzo, cazzo", cammino su e giù per la cucina cercando di tornare lucida e trovare una soluzione.
"Calmati e spiegami cosa è successo", ferma il mio andirivieni prendendomi delicatamente per i fianchi.
"Mia nonna si è..." balbetto ancora sotto shock, "si è sentita male. Devo correre da lei ma sono a più di duecento miglia da casa, dannazione!" sbotto cedendo alla frustrazione e mi divincolo dalla sua presa.
"Non ti preoccupare, posso..."
"E invece mi preoccupo", lo interrompo. "Non so come stia mia nonna, vorrei precipitarmi in ospedale ma non ci sono treni veloci fino a domattina e quello normale che parte tra un'ora ci mette più di sei ore per arrivare ma io ho detto a zia Katie che andavo da un'amica a un'ora di macchina da casa quindi non posso giustificare un'assenza di sette ore e impazzisco alla sola idea di non avere notizie di mia nonna per tutto questo tempo. Oddio mia zia mi ucciderà, cosa cavolo le racconto?" butto fuori tutto d'un fiato riprendendo a muovermi avanti e indietro, non sono nemmeno sicura di aver fatto un discorso di senso compiuto. Quando sono agitata tendo a straparlare e definirmi agitata, in questo preciso momento, è un eufemismo.
"Ok, innanzitutto respira", Henri mi si piazza di nuovo davanti posando le mani sulle mie braccia. "Stai tranquilla, ti porto io in ospedale. A quest'ora dovremmo trovare poco traffico e con una spinta sull'acceleratore, possiamo arrivare in due ore", la sua voce calda e tranquilla scioglie un po' di tensione accumulatasi al centro del mio petto. Registro le sue parole con qualche secondo di ritardo e sento i muscoli del mio corpo allentarsi per il sollievo. Lo so, non dovrei accettare, è da egoisti fargli attraversare quasi tutto il paese ma è una situazione di emergenza e non saprei proprio come altro fare.
"Lo faresti davvero?" lo supplico con lo sguardo.
"Certo!" esclama senza il minimo tentennamento. "Mettiamoci qualcosa di asciutto e andiamo. Vuoi che ti presti un paio di pantaloncini e una maglietta?"
"No, dovrei avere un cambio". Ringrazio Maddie per essere così maledettamente invadente e per aver riempito la mia borsa di cose, tra cui un paio di leggings neri e una maglietta azzurra in più.
Il viaggio è snervante, il più lungo della mia vita. Siamo partiti da mezz'ora e non sono riuscita a spiccicare parola, nonostante i tentativi di Henri di distrarmi, sono troppo in ansia e non vedo l'ora di arrivare. Per di più, ho provato a chiamare mia cugina per avere aggiornamenti ma non risponde e credo che Henri stia andando quasi al doppio della velocità consentita, cosa che non mi aiuta a non dare di matto.
Cerco di concentrarmi sulle luci degli edifici che incontriamo lungo la strada e lascio che la mia mente vagare liberamente, collegando un pensiero dietro l'altro senza che averne il pieno controllo.
"Sai, sembra assurdo, ma mi ritengo fortunata, se così si può dire, per aver perso i miei genitori quando ero troppo piccola per rendermene davvero conto. Forse è un bene che io non abbia ricordi di mio padre e mia madre, come farei altrimenti a convivere con una mancanza così grande?" do voce ai miei pensieri. Non so perché Henri riesca, senza chiedere, a tirare fuori tutto di me.
"Sono sicuro che in fondo non li hai davvero dimenticati. Forse hai solo smesso di riportare a galla quei ricordi perché ti fanno troppo male", suggerisce con spontaneità. Forse ha ragione. Non mi permetto mai di pensare a loro per più di una manciata di secondi, ogni volta mi ripeto che non ha senso rimuginare sul passato perché tanto non lo possiamo cambiare. Quindi cerco di concentrarmi sul presente, su tutto quello che ho invece di quello che non ho più o non ho mai avuto.
"Sono cresciuta con mia zia e mia nonna, sono sempre state loro i miei punti di riferimento da che ne ho memoria. Senza di loro sarei sola al mondo", constato tristemente.
"C'è anche la tua famiglia italiana", ribatte Henri.
"Non conosco davvero i miei parenti italiani, di alcuni non ricordo neanche il nome".
"Beh a questo si può sempre rimediare, no?"
"I miei nonni mi chiedono sempre di andare a trovarli. Avevo pensato di andarci davvero alla fine di questa estate, prima di tornare al college", è la prima persona in assoluto a cui lo confido. Non ne ho parlato con nessuno, nemmeno con Maddie.
Ripenso all'ultima videochiamata di un paio di settimane fa, la nonna non smetteva più di raccontarmi gli ultimi pettegolezzi: mio cugino Cristian era appena stato lasciato dalla ragazza, lui aveva provato a negarlo ma il suo viso diventato improvvisamente rosso come un peperone mi aveva dato conferma della versione della nonna; sua sorella Diana, invece, aveva rifilato un pugno ad un suo compagno di scuola che la prendeva in giro da giorni e i miei zii erano stati convocati dal preside; qualche sera prima i nonni avevano partecipato ad un torneo di non ho capito quale gioco ma avevano perso alle semifinali e il nonno ancora non l'aveva digerita. Mi forniva così tanti dettagli che era impossibile non immaginarsi le varie scene come se le avessi viste dal vivo con i miei occhi. Ed era così contenta che riuscissi a capire quasi tutto quello che diceva e che non avessi bisogno delle traduzioni di mio cugino.
Le lezioni con Vic sono servite davvero, non sono ancora molto brava a rispondere, non mi sento abbastanza sicura, ma sono certa che mi farà esercitare fino allo sfinimento.
La vibrazione del cellulare mi riporta alla realtà facendomi sobbalzare.
"Ashley", rispondo secca col cuore in gola.
"La stanno operando, sembra che abbia avuto un infarto. Non sappiamo altro. Stiamo aspettando che esca dalla sala operatoria", mi informa sconsolata. "C'è anche papà", aggiunge. Se zio John, padre di Ashley, nonché ex marito di zia Katie è nella stessa stanza con la zia, la situazione è davvero grave. L'ultima volta che li ho visti insieme, tre anni fa, lei gli stava lanciando tutto quello che le capitava a tiro e lui si faceva scudo con il cuscino del divano. Qualche giorno dopo quell'episodio, la zia mi ha detto che lui la tradiva ma non è mai scesa nei dettagli né è mai più tornata sull'argomento, almeno non con me. Peccato, erano davvero una bella coppia e John mi è sempre stato molto simpatico. L'unica figura maschile che ricordo della mia infanzia.
"Sono lì tra mezz'ora", concludo la telefonata stringendo i denti per non scoppiare a piangere. Se fossi all'aperto, riprenderei a camminare, tanto per tenermi occupata, ma sono chiusa in un'auto in corsa e non posso sfogarmi in nessun modo.
"Ho paura di perderla", ammetto in un sussurro passandomi le mani sul viso.
"Da quello che mi hai sempre raccontato, si capisce che tua nonna è una tipa tosta, vedrai che ce la farà", Henri cerca di rincuorarmi. "Vieni qui", mi invita poi ad appoggiare la testa contro la sua spalla mentre lui continua a sfrecciare lungo l'autostrada praticamente deserta. Obbedisco senza dire nulla e mentre mi accarezza i capelli, mi lascio sfuggire qualche lacrima liberatoria. Che poi di liberatorio hanno ben poco, la preoccupazione continua ad opprimermi e non sarò mai davvero tranquilla finché mia nonna sarà in ospedale, probabilmente nemmeno dopo.
Quando imbocchiamo il viale d'ingresso dell'ospedale, il cuore mi va a mille.
"Henri, non so davvero come ringraziarti", gli dico mentre accosta davanti alle porte scorrevoli dell'entrata.
"Me lo hai già detto almeno cento volte, non ti preoccupare, l'ho fatto con piacere".
"Promettimi che mi permetterai di sdebitarmi in qualche modo", gli propongo.
"Non è necessario", mi guarda con dolcezza.
"No, davvero. Se potrò fare qualcosa per te, ti prego, dimmelo", insisto. Devo sapere che non gli ho fatto fare questo viaggio per niente, e che un giorno potrò ricambiare e aiutarlo come lui ha fatto con me.
"D'accordo", si arrende infine, forse più per farmi contenta che per vera convinzione. "Ora vai da lei. Ci sentiamo più tardi", mi incoraggia con un sorriso.
Per un secondo penso di chiedergli di restare, ho davvero bisogno del suo supporto. Poi accantono l'idea, sarebbe chiedergli troppo, non voglio farlo sentire in dovere di restare, né metterlo a disagio vista la situazione delicata. Così lo saluto e con l'ansia che mi divora lo stomaco, corro dentro.
"Annie, finalmente", mi viene incontro Ashley lungo il corridoio del reparto di rianimazione.
"Cosa hai fatto ai capelli? Sembra che tu abbia appena finito di far sesso", questo suo commento fuori luogo mi lascia interdetta.
"Tu che ne sai di come sono i capelli dopo il sesso?" le domando insospettita e infastidita facendola sbiancare. Perché apre la bocca senza pensare?
"Annie, sei qui", mi raggiunge zia Katie. Ha gli occhi arrossati e sembra che possa spezzarsi da un momento all'altro. La abbraccio e cerco di essere forte abbastanza da sostenere entrambe. Ma non so come si fa.
Restiamo in attesa per ore, Ashley che dorme stesa su tre sedie, mia zia che si lascia addirittura abbracciare da John ed io che osservo la scena per qualche minuto prima di togliere lo sguardo, imbarazzata come se avessi assistito, senza averne il diritto, a qualcosa di troppo intimo.
Eppure, l'immagine di loro due vicini, a cercare di sostenersi, continua a frullarmi in testa ma la stanza è diversa, c'è un letto di fronte a me e loro sono appoggiati alla finestra. La zia sta piangendo e suo marito la stringe forte, la sorregge quasi. Entrambi sono più giovani e io... io sono stesa in un letto. Provo a muovermi ma non ci riesco, provo a dire qualcosa ma l'unica cosa che mi esce dalla gola è poco più di un mugugno. Comunque sufficiente ad attirare l'attenzione di zia Katie che si getta sul mio letto e mi sorride tra le lacrime.
Credo di aver appena rivissuto i miei primi momenti di coscienza dopo l'incidente in cui morirono i miei genitori. Non mi era mai successo prima d'ora e quasi mi manca l'aria. Mi dirigo alla finestra della sala d'aspetto, la spalanco e inizio a prendere dei respiri profondi. Giusto il tempo di riprendere il controllo delle mie emozioni e qualcuno alle mie spalle pronuncia il nome di mia zia. È il chirurgo che ha appena finito di operare la nonna. Dice che l'operazione è andata bene e che ora non resta che aspettare che lei si riprenda. Le sue parole arrivano alle mie orecchie come ovattate, le mie gambe smettono improvvisamente di reggermi e mi accascio al suolo come gelatina mentre mi sembra di tornare a respirare davvero dopo un'infinità di ore.
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Ecco svelato cos'è successo.
Vi aspettavate che nonna Eloise si sentisse male? Cosa ne pensate del gesto di Henri?
Curiosi di saperne di più? Non temete, il prossimo capitolo è più vicino di quanto pensiate ;)
Per domande, dubbi, curiosità, non esitate a lasciare un commento o scrivermi in privato 🌟
See you soon
Z.
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