18.
Quasi salto le scalette di fronte all'ingresso del mio dormitorio e mi ritrovo sul marciapiede umido mentre il freddo pungente di fine febbraio mi colpisce con tutta la sua brutalità. Mi guardo intorno alla ricerca di un SUV scuro o qualcosa di simile ma non trovo nulla che gli somigli. Solo quando sento una voce urlare Annaliiiiiiisa mi accorgo del taxi fermo sul ciglio della strada a un centinaio di metri e di Henri che si sta sbracciando con quasi tutto il busto fuori dal finestrino.
Appena salgo, mi stringe in un abbraccio e comincia a blaterare cose senza senso. Ha i capelli arruffati e gli occhi rossi ma sembra la persona più felice del mondo.
«Tu sei veramente matto. Cosa ci fai qui a quest'ora?»
Fatico a rimanere seria a vederlo così su di giri. Lancio un'occhiata all'autista, che mi sta osservando dallo specchietto retrovisore, ma non dice niente, si limita a sorridere e alzare di spalle.
«Te l'ho detto, volevo farti vedere questa», ribatte Henri sventolandomi la statuetta davanti agli occhi. La prendo e la osservo un po'. Fa davvero un certo effetto vederla dal vivo, me la immaginavo più piccola e molto più pesante.
«Perché sei venuto in taxi?» domando restituendogli il premio.
«Perché nessuno mi avrebbe accompagnato qui e non sono in grado di guidare», ammette con un grandissimo sorriso. Ha ancora addosso i vestiti della serata, eccetto per il papillon. Come diavolo fa ad essere così bello anche da ubriaco?
«Sei arrabbiata con me per averti svegliato così presto?» continua, guardandomi con occhi dispiaciuti. Non che lo sia davvero, ma è veramente impossibile rimanere arrabbiata con quegli occhi verdi che ti chiedono scusa e quelle labbra increspate in un broncio. Chissà quante sgridate è riuscito a scampare da bambino grazie a questa espressione.
«In realtà, mi sono svegliata per caso. Avevo il telefono in modalità silenziosa, non mi sarei mai accorta delle chiamate, altrimenti». Se la mia precisazione risulta un po' altezzosa, lui non sembra notarlo. Semplicemente non voglio dargli modo di pensare che io sia sempre disponibile per lui e che basti una chiamata per farmi arrivare in capo al mondo.
Sì, brava, ripetitelo altre mille volte e forse sarà vero.
«Avrei trovato un altro modo».
«Tipo suonare il clacson fino a svegliare tutto il campus?» lo prendo in giro ridacchiando.
«Mi piace la tua risata». Le sue parole non sono che un sussurro ma bastano a provocarmi una fitta di calore al petto.
«Devi essere proprio ubriaco, stai straparlando», sorrido imbarazzata.
«Dico solo la verità».
C'è qualcosa in lui, forse il modo in cui mi fissa, l'intenzione che leggo in fondo ai suoi occhi che per un attimo mi fa vacillare.
«Certo, una verità che domani nemmeno ti ricorderai».
Cerco di nascondere la delusione che mi provoca questa ipotesi ma non posso non considerare il fatto che qualunque cosa faccia o dica in questo momento sia condizionata dalla sua poca lucidità.
«Non sono messo così male», ribatte piccato guardandomi con sfida, quasi a volermi dimostrare che mi stia sbagliando. Vorrei davvero fosse così.
Mi soffermo ad ammirarlo qualche secondo di troppo. La luce di un lampione che filtra appena, la mia mano che si allunga a sfiorargli le labbra. Lo squillo del suo cellulare interrompe il silenzio e Henri fruga nelle tasche più e più volte senza risultato. Seguendo la suoneria, intercetto il telefono sotto il sedile dell'autista e, vista la scarsa lucidità del suo padrone, per nulla intenzionato ad affrettarsi a rispondere, decido di farlo io al posto suo.
«Pronto?»
«Chi è?» chiede allarmata una voce maschile, registrata in rubrica con il nome di Cal.
«Io sono Annie, Henri è qui con me», lo informo subito.
«Annie? Non conosco nessuna Annie», replica confuso. Sto per controbattere ma delle voci in sottofondo mi fermano. Sembra che Cal stia parlando con qualcuno vicino a lui ma non riesco a capire nulla.
«Annie sono Paul, Henri sta bene?» mi domanda preoccupato.
«Benone, è solo un po' ubriaco», minimizzo trattenendo una risata per il pizzico datomi da Henri in segno di disaccordo.
«Ti dispiacerebbe riaccompagnarlo qui? Se è con te almeno so che è al sicuro». Lo sento tirare un sospiro di sollievo.
Paul mi dà l'indirizzo che passo subito al taxista, rimasto per tutto il tempo in silenzio a guardare la scena dallo specchietto. Sono sicura che si farà delle grosse risate non appena usciremo da qui.
Dopo una ventina di minuti, arriviamo a destinazione: un edificio bianco illuminato da una dozzina di faretti lungo tutto il perimetro. Non si capisce se sia un hotel o una grande casa privata. Il taxi si ferma davanti al cancello, Paul ci viene incontro e apre lo sportello dal lato di Henri.
«Sei il solito rompipalle», lo saluta uscendo dall'auto e dandogli una leggera spinta. Non lo dice con cattiveria, anzi, sembra quasi divertito dalla situazione.
«Grazie, Annie. Sei stata davvero molto gentile, a quest'ora poi», Paul si rivolge a me ignorando Henri. «Permettimi di pagarti il viaggio di ritorno».
«Lei viene con me», lo interrompe Henri voltandosi e allungando la mano verso di me.
«Henri, è tardissimo. Ho lezione tra poche ore e tu devi dormire», provo a dire con calma, come si fa con i bambini.
«Per favore, resta», sussurra guardandomi con aria supplichevole. E chi sono io per dire di no a Henri Byles? Non aspetta nemmeno che dica sì, sa già di aver vinto.
Mi prende per mano e mi scorta dentro anche se sarebbe più corretto dire che io e Paul scortiamo lui dentro. Senza di noi, sarebbe caduto almeno una decina di volte.
La sua camera è molto più piccola di quanto mi aspettassi: c'è giusto lo spazio per un letto matrimoniale e un mini-bagno. In effetti, fermandosi una sola notte non c'è bisogno di chissà quali confort.
«Mi hai fatta salire per cantarti la ninna nanna?» ironizzo per scaricare la tensione. È la prima volta che sono sola con lui in una camera da letto e, per quanto possa sembrare assurdo, sono più preoccupata delle mie reazioni che delle sue.
«Anche per rimboccarmi le coperte», aggiunge sorridendo.
«Certo», lo assecondo, «metti il pigiama e fila a letto». Con una pacca sul materasso, lo invito a infilarsi sotto il piumone, proprio come faceva zia Katie con me quando ero piccola. Lui ride divertito e, con pochi rapidi gesti, si toglie i vestiti e rimane in boxer.
«Non uso il pigiama», si giustifica mentre io non riesco a staccare gli occhi dal suo petto. Non mi hanno mai fatto questo effetto le foto di attori o modelli semi nudi con fisici molto più scolpiti di quello di Henri eppure, eccomi qua a fissarlo come un'ameba.
«Quindi, queste coperte me le rimbocchi o no?» mi ricorda, dopo essersi steso come da me richiesto. Senza dire una parola, afferro il lembo di piumone alla sua destra e, facendo attenzione a non sfiorarlo, lo copro fino al mento mentre lui continua a sorridere mettendo in mostra le sue fossette. Quanto vorrei abbassarmi a mordicchiargliele. Mi schiarisco la voce per scacciare il pensiero. «Beh, allora buonanotte, Henri».
«Dove pensi di andare?» mi blocca afferrandomi per il polso. «Quando ti ho chiesto di restare, non intendevo per darmi la buonanotte e scappare. Non ho cattive intenzioni, lo giuro», mi assicura. Sono io che potrei averle, dannazione!
Faccio il giro del letto, calcio via le scarpe e mi accomodo sotto la coperta accanto a lui con ancora addosso la morbida tuta che uso per dormire. Se avessi saputo cosa sarebbe successo, mi sarei cambiata e, soprattutto, pettinata.
«Avvicinati, non mordo mica», insiste mettendomi una mano su un fianco e tirandomi a sé. Sono così vicina che posso sentire il suo alito dolciastro probabilmente dovuto ai cocktail che ha bevuto durante la serata. Non è fastidioso, al contrario, rende la sua bocca ancora più invitante. Alla fine, non resisto e lo bacio dolcemente. Lui risponde con un altro bacio e ci ritroviamo ben presto con le gambe intrecciate, le mani l'uno tra i capelli dell'altro e le lingue che giocano a rincorrersi.
«Se non ci fermiamo subito, dovrò farmi una doccia fredda», ammette staccandosi controvoglia dalle mie labbra. A chi lo dice!
«Buonanotte Henri», dico dandogli le spalle per non cadere più in tentazione.
«Buonanotte», mi sussurra all'orecchio attaccandosi alla mia schiena e stringendomi da dietro con un braccio. «Mi sei mancata», aggiunge pochi istanti prima di addormentarsi.
Se questo è un sogno, non svegliatemi. Quando riaprirò gli occhi tra qualche ora, sarà tutto svanito. Io tornerò alla mia routine e lui non si ricorderà nulla di questa folle notte, o almeno, della parte che ha passato con me.
«Annie», mi sento chiamare mentre qualcuno mi scuote con delicatezza. Apro gli occhi, confusa e, quando metto a fuoco l'ambiente, trovo Paul che mi accoglie con un sorriso. «Hai detto a Henri che hai lezione stamattina così ho pensato di avvisarti. Sono le sette, spero di non averti svegliato troppo tardi».
«Grazie Paul», riesco solo a dire, raccogliendo le forze per scansare il piumone e uscire dalla nuvola di calore che mi avvolge. Quando faccio per alzarmi, mi accorgo del braccio di Henri che mi tiene ancora stretta a lui e sento il suo respiro tra i capelli. Mi stacco lentamente per non svegliarlo, accarezzo il suo braccio nudo e vorrei che questo momento durasse all'infinito. Mentre mi preparo per andarmene, lo sento muoversi nel sonno. Lancio un ultimo sguardo nella sua direzione e lo ritrovo steso di traverso con la testa rivolta verso il fondo del letto. La vista di Henri addormentato, con i capelli sul viso e la bocca schiacciata contro il piumone mi ossessionerà per mesi. È dolce e sexy allo stesso tempo. Devo scappare da qui.
Rientro in dormitorio quasi un'ora dopo, le mie amiche sono già pronte per andare a lezione.
«Eccoti finalmente», mi accoglie Vic.
«Dove sei stata? Stavamo per venire a cercarti. Sei uscita in pigiama?» mi chiede Maddie squadrandomi dalla testa ai piedi.
«Volevo farvi una sorpresa e andarvi a prendervi la colazione ma c'era tanta di quella gente che ci ho messo una vita», mento, porgendo loro il sacchetto di muffin e biscotti che stringo tra le mani. Ringrazio internamente il mio cervello per aver prodotto e messo in atto l'idea di prendere qualcosa da mangiare dall'hotel di Henri in modo da avere un finto alibi per la mia assenza al loro risveglio.
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