16.

Mi accorgo di quanto sia tardi, o presto, a seconda dei punti di vista, solo quando entro nel mio dormitorio. A parte qualche studente particolarmente mattiniero e coraggioso che sta uscendo per andare a fare jogging, non c'è nessuno lungo i corridoi. Il silenzio è quasi inquietante, non ho mai visto il dormitorio così deserto.
Dopo aver appurato che la mia sveglia suonerà tra poco più di un'ora, decido di non rientrare in stanza, non voglio svegliare Vic né tantomeno rischiare di addormentarmi, non riuscirei più ad alzarmi a quel punto. Faccio dietrofront, esco di nuovo nell'aria gelida di gennaio e mi metto alla ricerca di un caffè e un muffin. Trovo una pasticceria poco distante e mi ritrovo a gustare ben più di un dolcetto seduta a un tavolo in un angolo. Mentre mastico una delle tante delizie a cui non sono riuscita a resistere, sento il trillo del mio cellulare che indica l'arrivo di un messaggio:

Sogni d'oro, Annalisa.

Ad accompagnare la frase c'è una foto che mi ritrae seduta su quella specie di balcone al cinquantesimo piano del One Canada Square mentre mi lascio accarezzare dal vento freddo con gli occhi chiusi e i capelli sparpagliati sul viso. Nonostante la poca luce, noto subito la mia espressione: sono così serena, quasi rilassata nonostante l'altezza vertiginosa.
Non posso ancora credere che quella foto sia stata scattata solo qualche ora fa, mi sembra passata un'eternità. Che serata incredibile! Ho voglia di urlare, saltare, ballare. Se non lo dico a qualcuno potrei scoppiare.
Chiudo la foto e faccio partire una chiamata, incurante dell'ora. Arrivo al quinto squillo ma non ricevo risposta. Quando penso di mettere giù, sento un tonfo e una voce roca che cerca di formulare una frase.
«Annie, che è successo?» domanda a metà tra la preoccupazione e il fastidio.
«Devo assolutamente raccontarti una cosa», comincio, l'eccitazione ben intuibile dal mio tono di voce che cerco di tenere basso. Non c'è quasi nessuno nel locale, potrei parlare liberamente ma non voglio che la commessa dietro il bancone mi prenda per pazza sentendomi raccontare della mia scalata al grattacielo più alto di Londra con una celebrità.
«Spero che ne valga la pena», ribatte, per niente convinta, dopo uno sbadiglio.
«Ma come?! L'altra volta mi hai fatto una ramanzina di un'ora perché volevi che ti chiamassi per raccontarti il mio post-concerto con Henri e ora ti tiri indietro?» le ricordo. Tutte queste storie per una volta che la chiamo alle sei e mezzo del mattino. Con tutto quello che mi combina, questo è il minimo.
«Sei uscita con Henri? Ma non dovevate vedervi domani?» sbadiglia mentre la sento rigirarsi nel letto.
«No, era oggi. E non immaginerai mai dove siamo andati». Spero di averla incuriosita a tal punto da farla sorvolare sulla bugia che le ho rifilato qualche settimana fa per tenerla buona, quando le ho detto che io ed Henri ci saremmo incontrati domani.
«Dove?» mi invita a proseguire non prestando attenzione alla parte della bugia.
È tutto merito del sonno se riesco a farla franca così facilmente ma non voglio darle il tempo di accorgersene, così inizio subito a raccontare. Mi bastano pochi secondi per avere la sua totale attenzione. Non sono ancora arrivata alla parte della battaglia di cuscini che mi ha già sommersa di imprecazioni ed esclamazioni di sorpresa.
«Ehi, Anni», sento qualcuno chiamare alle mie spalle, facendomi sussultare. Da come ha pronunciato il mio nome, capisco di chi si tratti ancor prima di vederla. Quando alzo lo sguardo, infatti, trovo Vic in versione mi-sono-appena-svegliata-non-sono-in-grado-di-intendere-e-di-volere che mi guarda stupita.
«Ciao Vic, che ci fai qui?» le domando in italiano senza togliere il cellulare dalla guancia. Ho notato che quando mi sforzo di parlare nella sua lingua, lei si addolcisce. Mi auguro solo che non capisca questo trucchetto proprio ora.
«Ma dove eri finita? Quando non sei rientrata a dormire e non hai risposto alle chiamate, mi sono preoccupata», mi rimprovera gesticolando con le braccia. Mi affascina questo loro modo di comunicare quasi involontario ma ben riconoscibile. Spesso mi sono fermata ad osservarla mentre parlava con altre persone e, più la conversazione si movimentava, più i gesti aumentavano.
«Scusa, mi sono addormentata nella stanza di Melanie, la compagna di corso di cui ti parlavo, e avevo il cellulare in modalità silenziosa quindi non ho sentito le chiamate», mi giustifico in tono mortificato. Sembra che mi abbia creduto, forse non faccio così schifo come bugiarda.
«Brava, era piuttosto credibile», conferma Maddie dall'altra parte del telefono, stretto ancora tra la mano e l'orecchio. «Ora passamela, la distraggo io così eviterai di contraddirti e rovinare la prima balla decente della tua vita». Grazie per la fiducia, amica mia. E comunque, non è la prima bugia ben riuscita, te ne ho rifilata una proprio qualche giorno fa a tua insaputa.
«Maddie ti vuole salutare», allungo il cellulare alla mia coinquilina sghignazzando mentalmente. Le lascio chiacchierare per poco perché, nonostante il largo anticipo guadagnato non andando a dormire, devo passare in camera a cambiarmi e attraversare tutto il campus per la lezione di oggi. In pratica, si può dire che sono già in ritardo.

Il cappuccino preso a colazione riesce a tenermi sveglia per le prime due ore di lezione, all'inizio della terza l'effetto è completamente svanito e riesco a stento a tenere gli occhi aperti. Con un paio di altri caffè, arrivo all'ora di pranzo ma sono troppo stanca per mangiare così opto per tornarmene in dormitorio e saltare le lezioni del pomeriggio a favore di una bella dormita. Di questo passo andrà a finire che sarò io a chiedere l'aiuto di Melanie per sistemare gli appunti.
«Ciao Mad», rispondo al telefono trattenendo malamente uno sbadiglio mentre rovisto nella borsa alla ricerca delle chiavi della mia stanza.
«Non ne ero ancora sicura perché non hai finito di raccontarmi stamattina ma immagino che tu non abbia dormito stanotte», ridacchia eccitata.
«Sì, ma non è successo quello che pensi», cerco di smorzare il suo entusiasmo.
«Non ne avevo dubbi, non sia mai che ti lasci andare un po'», ribatte delusa.
«Forse, questa volta riesco a stupirti». Mi chiudo la porta alle spalle e mi butto sul letto.
Le urla di gioia e le esclamazioni di sorpresa di Maddie mentre finisco di raccontarle la mia serata un po' folle riescono a non farmi addormentare. Sembra davvero felice per me, per questa assurda amicizia con Henri e tutto quello che mi è capitato da quando l'ho incontrato. È la prima volta che la sento così favorevolmente colpita per qualcosa che faccio, quasi stento a crederci.
«Henri ti fa bene», dice lei, dopo un lungo silenzio.
«In che senso?»
«Riesce a farti superare i limiti che ti sei imposta da sola, i confini della tua zona di confort».
«E questo dovrebbe essere un bene?» domando insicura. Ho sempre pensato che rimanere entro certi binari fosse la cosa migliore da fare. Non è stato uno sforzo per me, non ho mai vissuto questi limiti come se mi fossero stati imposti, sono state mie scelte e non mi sono mai pentita di ciò che ho fatto. Navigare in acque sicure non è mai sbagliato, no?
«Certo che sì, finalmente potrai provare cose che non hai mai provato». Me la immagino mentre pronuncia queste parole con occhi sognanti. Chissà quali film mentali si starà facendo.
«Perché, invece, ho la sensazione che non mi porterà a niente di buono?» la riporto bruscamente coi piedi per terra.
«Perché è una celebrità e avere a che fare con il loro ambiente non è facile come sembra. Dalla tv sembra tutto una favola ma...».
«Non mi sono mai piaciute le favole», ribatto inorridita, interrompendola. Il principe azzurro non esiste, e quel vissero per sempre felici e contenti è la cavolata più grossa che sia mai stata scritta. Io voglio qualcosa di reale, concreto. Qualcosa di normale.
«Allora qual è il problema?»
«Cosa c'entro io con lui, Mad?» piagnucolo passandomi una mano sul viso dopo aver calciato via le scarpe.
«Niente, ma è proprio questo che piace a entrambi. Siete su due pianeti diversi che si affascinano l'un l'altro». Quando inizia con i suoi viaggi metaforici non la ferma più nessuno.
«È proprio questo il problema», insisto sbuffando. Andiamo, a cosa può portare questa cosa? Niente, assolutamente niente.
«Non essere razionale come al solito. La testa lasciala da parte per una volta, ché finora non ti è stata di grande aiuto», commenta brusca.
«Veramente, l'unica volta in cui non ho usato la testa e ho dato retta a te, sono caduta nel lago semi ghiacciato e per poco non ci rimango secca».
«Avevi sei anni, non vale».
«Ok, basta», scuoto la testa anche se non può vedermi. «Non ha senso continuare a parlarne. Dal momento che non lo rivedrò più, tutti questi discorsi sono inutili». Voglio chiudere il discorso alla svelta e smettere di pensare a lui. Non ho fatto altro tutta la mattina e non posso permettermi di abbassare la guardia fino a questo punto, non per qualcosa che non significa nulla.
«Ecco che si rimette sulla difensiva», mi rimprovera in terza persona come se stesse parlando con qualcun altro. «Lasciati andare una buona volta, cos'hai da perdere?»
Per lei è sempre tutto molto semplice. Non ha mai perso nessuno nella sua vita e, a volte, la invidio per il fatto che riesca a vivere tutto con grande leggerezza.
«Niente», bisbiglio ma in realtà penso tutto

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