13.

«Cosa ci facciamo al One Canada Square a quest'ora?» chiedo prima di oltrepassare la porta di vetro, sapendo che non riceverò una vera risposta.
«Seguimi», si limita infatti a dire con uno strano sorriso.
Superiamo l'immenso bancone all'ingresso girandogli attorno, non c'è nessuno nei paraggi, e arriviamo davanti ai varchi automatici che conducono agli ascensori. Il problema è che si possono oltrepassare solo con un tesserino e, a meno che Henri non riesca a farne apparire magicamente qualcuno, ne siamo sprovvisti.
Si guarda attorno e, come nulla fosse, scavalca i varchi mentre io rimango immobile a fissarlo sbigottita.
«Cosa fai ancora lì? Muoviti», mi rimprovera sottovoce allungando un braccio verso di me per aiutarmi a scavalcare.
«Che cavolo vuoi fare?» bisbiglio continuando a controllare che nessuno si sia accorto di noi.
«Sbrigati o ci scopriranno». Mi fa segno di seguirlo. Perché non sembra per niente preoccupato? Quante leggi stiamo infrangendo? Scavalcare un varco è un reato molto grave? No, immagino di no ma la violazione di domicilio sì e questa ha tutta l'aria di esserlo. No, non se ne parla. Già vedo le nostre foto segnaletiche sbattute in prima pagina su tutti i giornali.
«Annie», mi richiama afferrandomi il braccio, «non ci scoprirà nessuno se ce ne andiamo da qui alla svelta».
Una volta nella vita la si può anche fare una cazzata, giusto? Se mi fa andare nei casini, giuro che... Interrompo la mia lotta interiore tra giusto e sbagliato e, con uno scatto, salto il tornello. Henri mi trascina lungo il corridoio continuando a stringermi il braccio e ci infiliamo insieme nel primo ascensore che si apre.
«È questo il tuo modo di farmela pagare per averti stracciato a ping-pong, vuoi farmi arrestare?» domando appoggiandomi alla parete specchiata dell'ascensore per riprendere fiato, neanche avessi corso una maratona.
«No, pensavo più a questo», si fionda sulle mie labbra e, in un millisecondo, dimentico tutte le cose poco carine che volevo dirgli.
«Stai cercando di distrarmi per evitare che ti stili la lista di tutte le leggi che stiamo infrangendo?» gli sorrido scostandomi leggermente da lui. Non risponde, mi fissa con aria divertita per un po', poi riprende a baciarmi. «Vuoi visitare le centinaia di uffici dell'edificio?» scherzo per non farmi prendere dall'agitazione. Inutilmente. Mi tremano le gambe da quando siamo entrati e i suoi baci mi rassicurano e allo stesso tempo mi agitano ancora di più.
«Ho in mente qualcosa di molto meglio». Il sorrisino da furbetto che gli si è stampato in faccia non lascia presagire nulla di buono ma tanto siamo già dei trasgressori di legge.
«Se nessuno ci scopre», puntualizzo con il tono da saputella che Maddie mi rimprovera sempre. Chissà cosa direbbe Maddie se mi vedessi ora.
«Ti prometto che se verremo arrestati pagherò la cauzione anche per te», sghignazza trascinandomi fuori dall'ascensore dopo aver controllato che non ci sia nessuno lungo i corridoi.
«Ora sì che mi sento tranquilla», ribatto sarcastica.
Solo dopo alcune rampe di scale capisco dove ci stiamo dirigendo. Arriviamo all'ultimo piano, una targhetta blu ci indica l'ingresso al tetto. Henri sembra più sorpreso di me nel trovare la porta aperta. Cosa pensava di fare se fosse stata chiusa?
Entriamo in quello che sembra un immenso locale caldaie. C'è un costante rumore di aria ventilata in sottofondo, come fossimo all'interno di un gigante condizionatore e ci sono tubi di ogni grandezza che percorrono il pavimento in tutte le direzioni. Ci guardiamo un po' intorno, incerti della direzione da prendere ma, dopo qualche passo, Henri mi indica un'altra rampa di scale in lontananza.
Ricordo quando Vic, qualche giorno dopo il suo arrivo a Londra, mi aveva chiesto di portarla a visitare il grattacielo con il tetto a forma di piramide e la punta che si illumina a intermittenza di notte, così l'aveva descritto. Le avevo risposto che il One Canada Square non era aperto al pubblico e che al massimo avremmo potuto fargli delle foto da fuori. E guarda dove mi ritrovo adesso: all'ultimo piano del secondo edificio più alto del Regno Unito, con accesso vietato al pubblico, su dei gradini in ferro che deduco conducano proprio alla piramide del tetto.
Non ho mai fatto nulla di così avventato e pericoloso in tutta la mia vita. Penso che il cuore mi esploderà nel petto da un momento all'altro.
Superiamo un'ultima porta e tutto diventa nero, il buio è interrotto solo dalla luce lampeggiante della piramide. L'ambiente è abbastanza piccolo, riesco a vedere le quattro pareti oblique intorno a noi stringersi sopra le nostre teste. La struttura non è completamente chiusa ma composta da pannelli fissati in orizzontale intervallati da piccoli spazi aperti. L'alternanza di parti aperte e chiuse richiama un po' la torre del gioco Jenga dopo aver tolto qualche blocco di legno, solo in versione molto più grande e stabile. Su ogni lato, poco sopra la mia testa c'è una grossa apertura con al centro un faro puntato verso l'esterno.
Non posso credere di essere davvero a pochi centimetri da quel luccichio visibile anche a chilometri di distanza, quel bagliore su cui chiunque passeggi di notte nelle vicinanze posa gli occhi almeno una volta.
Delle scalette poste sotto ogni faro, permettono di salire e sporgersi da quella specie di finestre senza vetri. Henri è già salito su una di esse e mi invita a raggiungerlo. Così, in pochi secondi, mi ritrovo di fronte ad uno spettacolo mozzafiato. Ero talmente presa dall'idea di stare facendo qualcosa di illegale da non aver pensato alla meravigliosa vista che avrei potuto ammirare da quest'altezza. Si vede tutta Londra da qui: il Tower Bridge, 30 St. Mary Axe o, come la chiama Maddie, la supposta gigante, la Tower 42; per non parlare del Tamigi che, illuminato dai palazzi lungo il suo corso, è una meraviglia.
Henri si mette a sedere sul bordo lasciando le gambe a penzoloni fuori dall'apertura e per poco non mi prende un infarto.
«Sei pazzo? Torna dentro, non voglio vederti precipitare da più di duecento metri», urlo con voce stridula, quasi isterica.
«Ma tu lo corri mai un rischio? Rilassati e goditi il panorama», mi suggerisce tornando a scattare le foto col cellulare.
In realtà, no. Non mi piace correre rischi inutili, mi piace rimanere in acque conosciute e programmare le mie giornate, fissare degli obiettivi e dedicarmici anima e corpo fino a raggiungerli, e poi fissarne altri, ancora più grandi. Non amo perdere tempo e di solito tengo tutto sotto controllo. Tutto tranne questo.
«Fan di Henri Byles spinge il suo idolo giù dal cinquantesimo piano», annuncio seria imitando il tono impostato delle presentatrici dei tg. Lui scoppia a ridere battendo la mano destra su una coscia. Nonostante la poca luce, riesco a vedere chiaramente le fossette apparire ai lati della sua bocca. Mi prendo giusto qualche secondo per guardarlo e imprimere nella mente la sua espressione allegra e il suono della sua risata.
«Credevo non fossi una mia fan», mi lancia uno sguardo provocatorio.
«Infatti non lo sono, ma tutti lo penserebbero e incolperebbero me della tua morte», preciso facendolo ridere di nuovo. Come fa ad essere così bello anche con quel giaccone che quasi lo nasconde e il cappuccio della felpa tirato sui ricci indomabili?
Ricaccio indietro le mie paranoie e i miei pensieri poco casti. Ormai sono qui, tanto vale andare fino in fondo.
Mi siedo anche io con le gambe oltre il bordo, il cuore a mille per la paura di cadere e inizio a ciondolarle come fa Henri. Un inaspettato senso di leggerezza mi invade e, senza accorgermene, piego la testa posandola sulla sua spalla. Lui fa lo stesso appoggiandosi contro di me mentre entrambi continuiamo a osservare la bellissima città sotto di noi. Tira un gran vento e fa veramente freddo ma non ci importa, rimaniamo l'una contro l'altro, contemplando Londra, sospesi nel vuoto e forse anche nel tempo.
«Scusa per questo pomeriggio», interrompe improvvisamente il silenzio sovrastando il rumore del vento.
«Per cosa ti stai scusando?» lo guardo confusa.
«Non volevo tenerti chiusa in albergo insieme a quei quattro pazzi ma, con le fan e i paparazzi ammassati all'ingresso, il nostro management non ha voluto sentire ragioni. Da quando sono uscite quelle foto di noi un po' ubriachi dopo una festa, ci stanno col fiato sul collo, ancora più di prima, e cercano di evitare altri scandali». Tiene lo sguardo abbassato, quasi si vergognasse.
«Non mi sembravano così terribili, quelle foto», gli dico accennando un sorriso. «Sì, Maddie me le ha inviate, ovviamente», rispondo prima ancora che me lo chieda.
«Hanno costruito una certa immagine della band e non vogliono rischiare di rovinarla», mi spiega brevemente.
«Come facciamo ad essere qui, allora?» domando ingenuamente. Non credo che questa scalata fuorilegge rientri esattamente nel tipo di reputazione che la band sta cercando di ottenere.
Henri apre la bocca per dire qualcosa ma subito la richiude e comincia a guardarsi le mani, come se potesse trovare la risposta tra le sue dita o le pieghe dei suoi palmi.
«Non mi dire che... siamo usciti di nascosto». Non è una domanda, so già che è così.
In effetti, mi era sembrato strano il modo in cui mi aveva trascinata fuori dall'hotel quasi correndo e continuando a guardarsi indietro, come se qualcuno potesse seguirci.
«Anche questa volta hai preso la macchina di Paul senza il suo consenso, vero?» lo guardo sorridendo, ormai rassegnata alla sua allergia alle regole. Alza le spalle e muove la testa in segno d'assenso lanciandomi uno sguardo da sì-sono-stato-io-ma-non-volevo-farlo-apposta che mi fa venire ancora più voglia di baciarlo. Stavolta, lo faccio davvero, mi allungo verso di lui e gli do un bacio leggero, tenero. Poi un altro.
«Non c'è problema per oggi. Mi sono divertita un sacco, i ragazzi mi piacciono».
«Anche tu piaci a loro. In realtà, hai conquistato tutto lo staff presente, in particolare Lou».
Le mie labbra si allargano in un sorriso, soddisfatta di aver fatto una buona impressione, soprattutto sulla loro make-up e hair stylist. Lei è davvero adorabile.
«Cos'è questa storia del giro del mondo?» chiedo, ricordando le parole di Lucas prima di salutarci.
«Ci sono delle novità ma te lo racconto mentre ti riporto al dormitorio. Mi sto congelando quassù», si stringe maggiormente nel suo cappotto per ripararsi da una folata più forte.
Un'ultima occhiata al paesaggio notturno e ci avviamo verso l'uscita. Decidiamo di scendere per le scale, troppa adrenalina ancora in circolo per riuscire a restare fermi in ascensore.

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