1.
Finalmente arrivo alla mia fermata. Il viaggio da scuola a qui mi è sembrato infinito. Sono esausta e non vedo l'ora che la giornata finisca ma, come quasi ogni pomeriggio, andrò ad aiutare mia nonna e mia zia in pasticceria. Non me la sento proprio di stare stravaccata sul divano sapendo che loro sono in negozio a sgobbare anche per me. Dar loro una mano, nel mio piccolo, è un modo per ringraziarle per tutto quello che hanno fatto e continuano a fare per me ogni giorno.
Scendo dall'autobus e vengo subito colpita da una raffica di vento che mi fa rabbrividire e alzare il colletto del cappotto intorno al collo. Mi incammino verso la pasticceria, stringendo maggiormente le spalle e rimpiangendo di non aver preso il cappello questa mattina. Ancora qualche minuto e finalmente potrò riscaldarmi.
La strada è stranamente silenziosa, si sente solo il fruscio del vento e qualche passo frettoloso in lontananza. Poco dopo, però, i passi si fanno più vicini, un ragazzo mi supera correndo e guardandosi dietro come se qualcuno lo seguisse. Noto immediatamente che indossa occhiali da sole neri nonostante la giornata nuvolosa e un cappello grigio da cui si intravedono delle ciocche ricce.
In fondo alla via, dopo un ultimo sguardo alle sue spalle, gira a destra e lo perdo di vista.
Penso di tornarmene alla tranquillità di poco prima ma delle urla alle mie spalle mi fanno sobbalzare. Mi giro allarmata e scorgo un gruppetto di ragazze urlanti che corrono nella mia direzione. Mi raggiungono velocemente e procedono senza quasi accorgersi della mia presenza e della mia espressione perplessa. Non fanno che gridare un nome, mi pare di capire Henri, e piangere e gridare ancora. Mi guardo intorno, alla ricerca dell'oggetto della loro crisi di pianto ma non trovo niente o nessuno che possa giustificare una tale euforia.
Al bivio girano a destra ed io, dovendo andare dalla stessa parte, dietro loro.
Possibile che stiano seguendo il ragazzo che mi ha superato poco fa? Beh, una reazione del genere posso concepirla per un personaggio famoso, non per un ragazzo comune. Povero, magari sono delle compagne di scuola innamorate di lui che non riesce a scrollarsi di torno, come succede sempre nei film.
Ridacchio tra me e me per il tragitto rimanente. Ancora pochi metri e sarò arrivata.
«Psss», sento qualcuno alle mie spalle.
Mi volto, il ragazzo di prima esce da dietro un bidone di un vicolo secondario e mi fa cenno di avvicinarmi mentre continua a guardarsi intorno rimanendo nascosto dietro il muro.
«Stanno tornando?», bisbiglia.
Do un'occhiata in entrambe le direzioni e tendo l'orecchio per captare eventuali grida in lontananza.
«Sembra di no», lo rassicuro. «Ma perché ti stanno seguendo?» non riesco a trattenere la curiosità.
Si toglie gli occhiali e mi sorride. Ha un viso pulito, simpatico e contornato da un ammasso di boccoli. Sta per dire qualcosa quando sento di nuovo le urla di quelle pazze avvicinarsi velocemente dalla mia sinistra così, senza pensarci due volte, lo prendo per un braccio e lo invito a seguirmi lungo il vicolo.
Scavalchiamo il muretto in fondo alla stradina e proseguiamo a sinistra fino al retro della pasticceria di mia nonna.
Quando ci chiudiamo la porta del laboratorio alle spalle, ci guardiamo e scoppiamo a ridere.
«Annie finalmente sei arriv-», zia Katie entra sorridendo ma si blocca appena vede che non sono sola. Un solo attimo di smarrimento poi le si illumina il volto.
«Ma tu sei...sei Henri dei Just Us?» si avvicina entusiasta.
«Salve, signora», risponde lui porgendole la mano.
«Se Ashley fosse qui impazzirebbe di gioia! Possiamo fare una foto? Ti prego, se le dico che sei stato qui e non le porto una foto chi la sente» chiede sfacciata.
«Zia ti prego, non esagerare», la ammonisco.
«Non c'è problema», risponde lui con un sorriso.
«Vado a prendere il telefono» annuncia raggiante mia zia prima di uscire dalla stanza.
«Scusala, non so cosa le sia preso, di solito non è così», cerco di giustificarla.
«Non ti preoccupare, lo faccio con piacere», assicura sorridendomi di nuovo.
In pochi secondi, Zia Katie torna con il cellulare, pronta per scattare la foto. Faccio per allontanarmi ma lei mi blocca.
«Annie anche tu, dai», mi spinge leggermente verso quello che ora so chiamarsi Henri.
«Zia, lo sai che odio farmi fotografare», la rimprovero. Ma non c'è verso di farle cambiare idea così, alzando gli occhi al cielo e sbuffando, mi avvicino a Henri e lascio che lei faccia qualche scatto.
«Grazie mille, mia figlia ne sarà entusiasta», squittisce come una delle ragazze che stava inseguendo Henri poco fa. Deve essere impazzita.
«Si figuri, per così poco. Anzi, sono io che ti ringrazio», si volta verso di me, «per avermi salvato da quelle ragazze».
Con la coda dell'occhio vedo mia zia guardarmi con aria interrogativa ma, per fortuna, ha il buonsenso di non chiedere nulla.
«Bene, torno al lavoro. Grazie ancora Henri», conclude prima di lasciarci soli.
«Beh, direi di presentarci», rompe il silenzio, «io sono Henri».
Solo Henri, non aggiunge altro. Non capisco se perché dia per scontato che io lo conosca o perché non ami vantarsi della sua presunta fama. Pensandoci a fondo, il nome Just Us non mi è del tutto nuovo ma sono sicura di non averlo mai visto prima d'ora.
«Piacere, Annie», allungo la mano a stringere la sua.
«Grazie ancora, Annie. Sei stata molto gentile». Ha una voce così profonda nonostante sembri giovanissimo. Mi chiedo quanti anni abbia.
Si toglie il cappello e si passa una mano tra i ricci sistemandosi un ciuffo di lato mentre io continuo ad osservarlo in leggero imbarazzo.
«Mi spieghi cosa stava succedendo là fuori?» chiedo la prima cosa che mi viene in mente, pur di rompere il silenzio.
«Eravamo stanchi di restare chiusi in hotel in attesa di esibirci all'Apollo Theatre stasera così siamo usciti di nascosto per fare un giro. Purtroppo ci hanno riconosciuto quasi subito e hanno cominciato a seguirci. Ci siamo divisi per disperdere le fan e, non so come, io mi sono ritrovato qui», ridacchia per nulla infastidito dall'eccessivo affetto ricevuto.
Certo che è strano: a malapena ho sentito parlare di loro nell'ultimo mese e ora scopro che si esibiscono in una struttura che tiene più di tremila persone e che hanno già delle fan scatenate che li inseguono per tutta la città.
Mi sento a disagio e anche un po' in colpa per non averlo riconosciuto e per non essere pazza di lui o dei Just Us. Eppure, a lui non sembra importare affatto.
«Wow, che profumo!» esclama distogliendomi dai pensieri.
«Zia Katie deve aver appena sfornato i biscotti», gli sorrido muovendo un passo verso di lui. «Andiamo di là, ti faccio assaggiare qualcosa», lo invito a seguirmi in negozio.
«Oh, no, il mio era solo un complimento, non intendevo ottenere qualcosa», si affretta a chiarire arrossendo leggermente.
«Infatti sono io che te lo sto offrendo», alzo le spalle e, prendendolo per un braccio, lo accompagno dietro al bancone. Lo osservo mentre guarda con occhi sognanti tutti i dolci esposti. Sembra un bambino che entra per la prima volta in un negozio di giocattoli e viene attratto da ogni piccola cosa.
«Prendi pure quello che vuoi», lo incita mia zia finendo di pulire un tavolino vicino all'entrata. Henri sembra titubare ancora un po' prima accettare la nostra offerta e tornare a fissare i dolci.
«Sono indeciso, è tutto così invitante», guarda tutto il bancone da cima a fondo più volte senza riuscire a decidere.
«Se vuoi, posso scegliere io qualcosa per te», propongo divertita. «Vediamo se indovino i tuoi gusti».
«Andata», conferma con aria di sfida ma sorridendo.
Prendo un muffin con gocce di cioccolato bianco, un cupcake con mousse alla banana, una fetta di cheesecake ai frutti di bosco, un quadratino di torta al limone e un biscottone al cioccolato e li metto in un vassoio. Ho scelto dei dolci così diversi tra loro che è impossibile non trovare nulla che gli piaccia.
Ci spostiamo di nuovo in laboratorio per evitare che qualche cliente lo riconosca entrando, meglio non vanificare tutti i suoi sforzi di sfuggire a quel gruppetto di fan.
Poso il vassoio su uno dei grandi piani di lavoro in acciaio e glielo avvicino.
«Non fare complimenti», lo invito ad iniziare l'assaggio.
«Così non vale, dovevi sceglierne uno solo», brontola senza perdere il sorriso.
«Non potevo non farti assaggiare più di una cosa. Ma tranquillo, tra questi c'è anche il tuo preferito».
«Davvero?», ridacchia divertito dalla mia sicurezza. «E quale sarebbe?» alza un sopracciglio deciso a rendermi le cose difficili.
«Te lo dico dopo che li hai provati tutti».
Lui prende il cucchiaino che gli avevo messo sul vassoio per mangiare più comodamente i due pezzi di torta e, inaspettatamente, divide tutto a metà.
«Solo se mangi con me», si limita a dire ed io semplicemente annuisco afferrando metà muffin.
Ad ogni assaggio mugola il suo apprezzamento e io continuo a guardarlo fiera delle mie scelte. In realtà, avrei potuto scegliere qualsiasi altra cosa perché i dolci di mia nonna e mia zia sono tutti buonissimi ma questi, in particolare, sono i nostri migliori.
Henri finisce tutto in pochi minuti leccandosi anche le dita prima che gli procuri un tovagliolo.
«Erano...semplicemente favolosi», esclama con entusiasmo mentre io alzo le spalle per niente sorpresa. «Quindi qual è il mio preferito?» aggiunge.
«Questo», gli porgo la mia metà del cupcake alla banana. L'ho lasciato apposta per lui.
«Come hai fatto?» allarga gli occhi stupito.
«Mi piace osservare e, passando molto tempo qui dentro, provo spesso ad immaginare quale sia la scelta dei vari clienti prima che la pronuncino ad alta voce».
«Immagino indovini sempre».
«Quasi», pronuncio prendendogli una mano e mettendo la metà del cupcake sul suo palmo. Noto che sta per obiettare ma scuoto la testa per bloccare ogni sua protesta e spingo la sua mano verso la bocca.
«Anche io lavoravo in una pasticceria fino a qualche mese fa», mi rivela prima di addentare il dolce.
«Ah sì? Qual è il dolce che ti piaceva di più preparare?»
«No, io non cucinavo. Stavo solo alla cassa», risponde prima di finire l'ultimo pezzo di cupcake.
«Quindi non hai mai dato una mano in laboratorio?»
«Solo a lavare i piatti», ammette in tutta sincerità facendoci scoppiare a ridere entrambi.
«Aspetta, hai un po' di mousse qui», istintivamente allungo una mano e passo il pollice sopra il suo labbro superiore pulendolo. Il suo sguardo divertito diventa improvvisamente serio.
Solo ora mi rendo conto di aver superato il confine e di aver invaso il suo spazio personale andando addirittura a toccarlo dopo averlo incontrato per la prima volta mezz'ora fa. Ho sempre odiato quelle persone che ti toccano continuamente mentre parlano anche se ti conoscono da una vita e finisce che sono peggio di loro.
«Scusami», ritraggo subito la mano indietreggiando di un passo.
«Grazie», pronuncia a bassa voce andandosi subito a toccare il labbro, lì dove pochi istanti fa c'era la mia mano.
Rimaniamo a guardarci senza dire niente, sento una tensione tra di noi che non riesco a decifrare. Sembra imbarazzo ma c'è dell'altro.
Abbasso lo sguardo sulle mie scarpe per evitare i suoi occhi, di un verde così intenso che mi sento trapassare da parte a parte.
La suoneria di un cellulare interrompe il silenzio, Henri traffica nella tasca dei suoi jeans e poi risponde.
«Mi stanno venendo a prendere», mi informa dopo aver chiuso la chiamata. L'avevo intuito quando ho sentito Henri dare indicazioni stradali al suo interlocutore.
«Okay», mi limito a dire senza riuscire a sostenere il suo sguardo.
Zia Katie entra con un vassoio gigante e lo porge a Henri. «Così puoi portare qualche dolce anche ai tuoi compagni», spiega.
«Non ce n'è bisogno, davvero», prova a rifiutare.
«Insisto», continua lei.
«Siete davvero troppo gentili», sorride mentre afferra il vassoio. «Troverò il modo di rendervi il favore».
«Figurati, è stato un piacere», mi inserisco nella conversazione. Solo dopo averlo detto, mi accorgo che è davvero stato un piacere incontrarlo e parlare con lui.
Sentiamo un clacson suonare più volte e, quando ci affacciamo, notiamo un furgoncino nero sostare davanti all'ingresso.
«E' per me. Grazie ancora per tutto», guarda prima mia zia, poi me. Sembra quasi dispiaciuto.
«Oh basta così! Non c'è niente per cui ringraziare», replica zia Katie.
Henri le fa un gran sorriso in risposta. Quando sorride così gli si forma una fossetta su entrambe le guance. È carino.
Poi, senza dire niente, mi abbraccia. Il mio cuore comincia a battere all'impazzata e rimango immobile, incapace di muovere un solo muscolo.
Dura tutto troppo poco. In un battito di ciglia lo vedo uscire dalla porta di ingresso e salire sul furgoncino che sfreccia via.
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