83. Kevan l'anticonformista
La casa a cui arriviamo col taxi non è conciata come quella dei genitori di Serafina, ma rimane poco più che un rudere. Si trova lungo una strada molto trafficata, è piccola e grigia e ha attorno quello che sembra un giardinetto lasciato completamente a se stesso. Quando scendiamo, l'autista chiede a Sef se è sicura che sia il posto giusto. Lei gli risponde che purtroppo lo è, paga e chiude la portiera, per non dovergli dare altre spiegazioni.
"Siamo migliorati" le faccio notare, nel tentativo di falla sorridere. Lei non risponde: si guarda in giro attentamente, sembra quasi respirare l'aria. All'improvviso mi ricordo quello che sua madre le ha detto: in casa di sua nipote si trova anche sua sorella. Mi chiedo come sarà.
"Andiamo" ordina, avvicinandosi alla scrostata porta di casa, scattando come se qualcuno l'avesse pizzicata. La seguo, esattamente come ho fatto mezz'ora fa, sperando che questa volta vada meglio.
Bussa, ma prima ancora che la sua mano tocchi per la seconda volta il legno, il battente viene spalancato.
Vorrei dire di non trovarmi stupito dall'apparizione della copia del mio capo, ma...
"Kisha".
"Oh, ciao".
Kisha Celli è identica a sua sorella. Non è pacchiana come la madre e ha un viso delicato, color porcellana. Mi aspettavo stupidamente un volto truccato di arancione, come quello delle donne del programma di TLC - programma che ora odio, quante aspettative sbagliate! - e invece Kisha non ha niente di tutto ciò: sembra solo una versione più scialba e più spenta di Serafina. È più bassa di lei, un poco più in carne a parte per il viso scavato e le pesanti borse sotto gli occhi, ha gli stessi capelli castani e grandi occhi scuri. Osserva sua sorella come se stesse valutando ogni singolo cambiamento che riesce a scorgere in lei, come se volesse accertarsi della persona che si trova davanti.
"Alla fine sei arrivata" dice, quando sembra soddisfatta dallo studio.
"Incredibile. O forse non sai che sono venuti a cercarmi a New York".
"Era da un bel po' che non ti facevi viva".
"Ho le mie ragioni, no?".
Kisha la fissa in silenzio, poi sposta lentamente lo sguardo su di me. Ha due occhi d'onice, vivaci ma fermi quanto quelli di un corvo.
Torna a guardare la sorella.
"Il tuo amico non può entrare in casa. Lo sai".
"Non toccherà niente, promesso".
"Non può, Seph".
Serafina sbuffa. "Credi davvero a queste cazzate?".
Kisha si stringe lentamente nelle spalle e si fa di lato per lasciarla passare. "Mi spiace" mi dice, socchiudendo la porta non appena sua sorella è entrata.
"Starò qui" rispondo disilluso.
"Farò veloce" mi rassicura Sef. Le faccio un cenno di incoraggiamento e non appena il battente mi preclude la possibilità di capire il mistero delle donne romanichal legato alla vita, decido di trovare un angolino in cui sedermi e controllare il cellulare. Mi sento terribilmente in colpa verso Anthea, per tutto ciò che è accaduto il giorno precedente. Mi sento sporco per aver guardato un'altra donna e la sensazione aumenta quando mi ricordo che è una cara amica, nonché il mio capo. Mi siedo su un ceppo di legno indurito dagli elementi, proprio sul margine del cortile inselvatichito ed estraggo il cellulare dalla tasca dei pantaloni. Apro WhatsApp ed entro nella chat con Anthea. Non è online da ore, ma dentro di me c'è un bambino colpevole, terrorizzato di essere scoperto nelle sue malefatte. Senza pensarci ulteriormente, chiudo l'applicazione e la chiamo.
Il telefono suona a vuoto per qualche secondo. Poi, Anthea risponde.
"Jess?" chiede sorpresa. "Ma non sei al battesimo?"
"Sì e no. O meglio, non ancora" mi esce, in un mezzo balbettio.
"Cosa fai? Sei fuori dalla chiesa?"
"No... ho accompagnato Serafina a casa di sua sorella per... per fare queste cose romanichal. Io non posso entrare in casa".
"Perché?"
"Gli uomini non possono partecipare, da quanto ho capito".
Anthea si mette a ridacchiare, sorprendendomi. "Molto bene. Vedi? Anche loro ti riconoscono come tale".
Ci metto un attimo a capire cosa lei voglia dire. Sorrido.
"Già".
"Non fare l'impuro e stai attento a non far arrabbiare i parenti maschi".
"Tranquilla, Thea. Non ho intenzione di gettarmi in una rissa da televisione".
"Bene, meglio così" risponde lei, per poi aggiungere: "Mi manchi".
La risposta automatica che mi sale alle labbra si blocca in gola. Ieri sera ho guardato un'altra donna. Ho pensato fosse davvero bella. Sensuale. Un giorno lontano da Anthea e sono preda di questi pensieri. Chi sono diventato?
"Anche tu" miagolo alla fine, con la voce strozzata.
"Sicuro che vada tutto bene?"
"Sì, sì" farfuglio rapidamente, per poi alzarmi dal ceppo, con l'impellente e incontrollabile desiderio di una fuga. "Ora devo andare, Thea. Mi aspettano".
"Oh, tranquillo. Io sto studiando e ne avrò davvero per molto. Ci sentiamo stasera?"
"Sicuro" rispondo io, prima di riattaccare. Mi do dell'idiota perché non l'ho nemmeno salutata per bene, ma ormai è tardi. Sospiro, mi guardo in giro, mi chiedo cosa potrei fare nell'attesa.
Fortuna che non ce n'è affatto bisogno.
"E tu chi cazzo sei?"
Mi volto all'improvviso e mi trovo a fronteggiare un ragazzetto. Non avrà più di diciotto anni, è magro come un chiodo e ha i capelli irrigiditi dal gel in tanti sottili spuntoni, come quelli di un porcospino. Ha i tratti del viso affilati, occhi sottili, quasi a mandorla, e una bocca che sembra un taglio in una tela, privo di labbra. La cosa che più mi colpisce - e mi sento una persona orribile nel pensarlo - è che indossa una camicia. Bianca, pulita, normale. Mi sarei aspettato una canottiera sudicia al posto di quell'indumento tanto semplice quanto elegante.
"Sono... cioè... sono Jess" balbetto, preso alla sprovvista. Il ragazzo mi osserva sempre più sospettoso e fa per avvicinarsi di un passo.
"E chi cazzo è Jess?"
"Un amico di Seraph" rispondo, questa volta un po' più sveglio di prima. Lui non si muove, ma non sembra essere meno minaccioso. Solo dopo un attimo la sua bocca si rilassa, anche se non sorride.
"Sei lo scopamico della zia di Angel, vero?"
"Lo..." inizio io, preso alla sprovvista. Subito dopo sento le mie guance andare a fuoco, ma spero che il mio interlocutore senza peli sulla lingua non lo noti. Ho già capito di chi si tratta.
"No. Sono solo un amico" gli rispondo. Gli tendo una mano, sperando che lui contraccambi la stretta senza commentare. "Jess, appunto".
Il diciottenne lancia un'occhiata alla mia mano come se si trattasse di una tagliola. Alla fine contraccambia la stretta. Ha le dita sottili ma il palmo è ruvido.
"Kevan" risponde, accennando un sorriso che all'apparenza sembra un ghigno, a causa delle labbra così sottili. "Sono il marito di Angel".
"Anche tu qui fuori?" gli domando.
"Meglio per gli uomini rimanere fuori dalla casa di una puerpera" mi risponde lui. "Non si sa mai che spiriti potrei portare vicino a mia figlia".
"Spiriti?"
Kevan mi guarda come se si fosse appena reso conto di aver condiviso un'informazione basilare con un povero idiota. Fortunatamente, sembra prendere atto che io sia totalmente ignorante in tema e aggiunge: "Superstizione romanichal. Non che ci creda, ma meglio evitare di far incazzare gli spiriti, no? Metti che esistono per davvero..."
Devo dire che il ragazzino non mi sta antipatico a pelle come il cognato di Serafina. Sembra molto più alla mano di quello che dovrebbe essere suo suocero.
"Già" concordo semplicemente. "Quindi... questa è la tua prima bambina?"
Che conversazione surreale da fare con un diciottenne.
"Sì" risponde lui e sembra gonfiare il petto, anche se è magro come un chiodo e l'unica cosa che fa è raddrizzarsi in tutta la sua altezza. "La bambina più bella di tutta la comunità".
"Non dubito".
"Fortuna che ha preso tutto dalla famiglia mia e da quella di Kisha" commenta, sempre con quel suo ghigno. "E non assomiglia a quella merda di River".
Le mie metaforiche antenne si drizzano nell'esatto istante in cui sento quelle parole. Avevo dato per scontato - stupido Jess! - che tutti i maschi della famiglia fossero alleati tra loro, ma forse mi sono sbagliato. Non c'è da sorprendersi, in fondo: ancora non mi capacito che ci sia qualcuno in grado di apprezzare quell'animale, e lo dico dopo aver vissuto con lui una delle mezzore più orrende della mia vita.
"L'ho conosciuto ieri" comunico al ragazzo.
"Immagino la bella impressione. Quanta merda ti ha vomitato addosso, a te e alla zia di Angel? Tanta o tantissima?"
Il suo sorriso ha smesso di essere divertito. Ora sembra un ringhio.
"Ha avuto il coraggio di dire che non sono un vero uomo, perché sua figlia ha partorito una femmina".
Chissà perché quel commento non mi stupisce.
"A me non interessa se è una femmina" chiarisce Kevan. "Sarà una bambina bellissima e si chiamerà come mia nonna. River dovrebbe imparare a sputare meno nel piatto degli altri, quando nel suo non fa altro che cagarci dentro".
Ora sì che muoio dalla curiosità di sapere tutti i retroscena della famiglia. Vorrei tanto iniziare a domandare il perché di quei commenti così acidi nei riguardi di suo suocero, dimenticandomi che conosco quel ragazzetto da meno di mezz'ora, ma in quel momento la porta di casa si apre, seguito da una serie di risatine che sembrano tanti scampanellii.
Mi volto e vedo cinque o sei bambine, agghindate a festa, di un'età compresa da i tre e i dieci anni, saltellare piene d'eccitazione. Subito dopo, dalla porta spalancata spunta il muso di un passeggino rosa, coperto da un lenzuolino bianco. Alla guida, una ragazzina di circa diciassette anni, dai capelli castano scuro e il viso emaciato ma ben truccato. Al mio fianco, Kevan sembra scalpitare come un giovane cavallo. Capisco al volo che quella deve essere Angel. Dietro di lei, Serafina e Kisha, fianco a fianco. Si nota davvero che sono sorelle, anche se Sef sembra una diva nel suo vestito verde e sua sorella solo la sua assistente, costretta in un abito blu elettrico fin troppo appariscente per il suo viso stanco.
"Sarà una bella festa" pronostica Kevan, aprendosi in un sorriso spettacolare non appena Angel intercetta i suoi occhi. Anche la ragazza sorride e penso che, alla fine, tutto non sarà così tremendo come temuto.
Credo.
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