8. Ruoli che s'invertono

A volte, quando si è una coppia di emotivi anonimi in grado di comunicare poco e male, utilizzare un escamotage può fare miracoli. A volte può essere un cane, a volte può essere un bambino. Nel nostro caso l'escamotage - o meglio, l'ambasceria - è rappresentata da poeti e scrittori. Attraverso le loro parole Anthea e io ci conosciamo meglio. Scopro che ama l'Italia - ma l'Italia vera, non quella stereotipata dei film e di TLC - e che vorrebbe visitarla tutta, senza tralasciare niente. Che forse un giorno vorrebbe andare a studiarci. Ama il latino come se fosse la sua lingua madre e quando le chiedo perché è così appassionata mi risponde: "È una lingua eterna" ed è così innamorata mentre lo dice che per un secondo avverto la magia che permea il suo pensiero. È così bella mentre recita versi e parafrasa passi che per la prima volta dopo molto tempo trovo attraente qualcuno. Che strano modo di scoprire di trovarsi a proprio agio con una persona, vero?

Chissà quanto tempo trascorriamo nella nostra bolla di pace lontana nello spazio e nel tempo della festa. Un'ora? Due? Non ne ho idea, ma vorrei che non finisse mai.

Solo che, esattamente come accade ad una bolla di sapone, prima o poi sul suo percorso capita un ostacolo che la fa scoppiare. E così accade alla nostra, quando il mio cellulare trilla irrispettosamente.

"Perdonami." Dico ad Anthea, estraendolo dalla tasca dei pantaloni. Lei sorride e continua a guardare il cielo, facendo dondolare le sue gambette. Ho un nuovo messaggio WhatsApp.

Ma dove sei finito, playboy?

Ah. È Ruben. Controllo l'ora e inarco le sopracciglia: è quasi mezzanotte.

"Hey, abbiamo fatto tardi."

"Perché dici così?"

"Mancano dieci minuti a mezzanotte."

Anche lei sembra stupita, ma subito dopo sorride socchiudendo gli occhi, facendo danzare tutte le lentiggini del suo viso.

"Non me ne sono accorta."

"Neanche io. Ma a quanto pare... Siamo richiesti. Il mio amico vuole sapere dove sono."

"Oh. Allora, forse, anche le mie..."

Apre la piccola borsa di cuoio che ha con sé e controlla i suoi messaggi su un cellulare Samsung vagamente datato. Lo spegne subito dopo.

"No. Non mi hanno cercato." Risponde, con un sospiro.

"Aspetta."

Apro la conversazione con Ruben e gli rispondo: Dove sei?

Ruben ricompare subito online. Noto che ha appena cambiato la sua immagine del profilo e, come volevasi dimostrare, ora assieme al suo bel faccino da putto ci sono i visi delle amiche di Anthea.

Le mie amiche stanno andando via.

Quindi all'improvviso hai bisogno di me?

No, Involtino. Voglio andare a casa perché ho sonno. Ma sei ancora con la tizia lentigginosa?

Mi sale subito il fastidio per come Ruben porti poco rispetto per gli altri, ma poi mi ricordo che si tratta essenzialmente di un caso perso e mi limito a rispondergli:

.

Va' che le sue amiche la cercano.

"Ruben dice che Jennifer e Pamela ti stanno cercando. Sono ancora assieme. Se troviamo lui troviamo anche loro." Dico ad Anthea. Lei annuisce e fa per tirarsi in piedi senza aggiungere altro. Ma io ho ancora qualcosa da dire.

"Posso... Posso tentare un'ultima citazione?"

Lei si ferma nell'atto di alzarsi, mi guarda e subito dopo riprende a sorridere.

"Di chi?"

"Un tale che abbiamo già nominato. Fa più o meno così: Se a una fanciulla in fiore offerto venisse un invito a banchetto serale..."

Con mia grandissima gioia completa la frase.

"Al bel trobador d'Oriente non si darebbe dolor di infausto diniego."

Prima che io possa dire o chiedere altro, Anthea toglie dalla borsa rimasta aperta un taccuino rosso, lo apre su una pagina vuota, ci scrive velocemente un numero di telefono e la strappa senza quasi far rumore. Me la tende e io l'accetto e le nostre mani tardano a lasciarsi, mentre ci guardiamo sorridendo.

"Per quanto rimarrai a New York?" Le domando in un sussurro.

"Due settimane." Mi risponde. "Sono qui solo da mercoledì."

Sembra allo stesso tempo un'infinità e una briciola di tempo. Ma al momento non importa: la cosa che davvero mi interessa è che non partirà domani.

"Andiamo a cercare quei tre." Le propongo con un sorriso. Questa volta ci alziamo assieme e torniamo, più o meno volontariamente, nella zona dei divanetti bianchi. Non mi pare che gli invitati abbiano iniziato ad andare via e la musica a palla continua a esserci, sicura e prorompente, ma a quanto pare Ruben è stanco della serata. Lo individuo subito, mentre continua a giocherellare con il cellulare. Le amiche di Anthea sono di fianco a lui, con una faccia vagamente confusa. Credo che l'alcol sia finalmente entrato in circolo.

"Ruben!"

Lui alza la testa e mi guarda. Per un secondo sembra completamente rimbambito dalla musica, poi associa la mia voce alla mia faccia e solleva una mano per salutarmi. Subito dopo i suoi occhi saettano su Anthea. Non riesce a nascondere bene la sua incredulità. Glielo farò presente più tardi.

"Dove eravate finiti?" Ci chiede, guardando me, quando siamo abbastanza vicini per evitare di urlare.

"Abbiamo guardato il cielo." Gli rispondo e con la coda dell'occhio vedo la mia amica sorridere.

"Thea!"

All'improvviso anche Jenny e Pam si ricordano di lei. Sorridono, si alzano - o almeno ci provano - e ci vengono incontro. Mi scosto un po' per non impedire l'affettuosa riunione e guardo il mio amico immusonito.

"Quindi vuoi andare?"

"Sì. Mi sono svegliato presto stamattina."

Come se io ci credessi.

"Okay."

"Ragazze, è stata una splendida serata, ma ora Ruben deve far riposare il suo importantissimo cervello armeno." Dice, rivolgendosi alle due ragazze incollate ad Anthea.

"Ci vediamo." Rispondono loro assieme, facendogli uno striminzito cenno di saluto. Mi sa che Ruben non si è comportato molto bene, per ricevere un così freddo congedo. Io guardo Anthea e lei guarda me. Sorride e si scolla di dosso le sue due amiche dalla sbornia triste.

Con mio grande stupore, mi tende le braccia e mi stringe in un brevissimo abbraccio, che dura giusto il tempo di dirmi: "A presto."

Senza controllarmi, le poso una mano sui capelli e rispondo: "Molto presto. Grazie, Anthea."

"Grazie a te."

Si stacca con un sorriso ed è come se non ci fossimo mai detti niente. Dubito che le due ragazze e Ruben ci abbiano sentiti. E va benissimo così.

"Andiamo. Buonanotte a tutte!"

"Buonanotte, ragazzi."

Prima di abbandonare definitivamente la festa ed entrare nel locale di vetro in cui si trova l'ascensore, rivolgo un'ultima occhiata ad Anthea. Il mio cuore salta un battito quando incrocio il suo sguardo.

"Jess? Ti dai una mossa?"

Ruben è già al suo interno e tiene aperte le porte con una mano. Ha una faccia molto più scazzata di prima. Lo raggiungo e le porte si chiudono definitivamente sulla festa.

"Che c'è? Non ti è piaciuta la festa?" Gli chiedo, mentre penso al foglietto di carta che riposa prezioso nella tasca dei miei jeans. Lui si stringe nelle spalle, appoggiandosi alla parete dell'ascensore.

"Diciamo che quelle due ragazze se la sono un po' presa quando ho spiegato loro di Tanya."

"Essere sfruttati non piace a nessuno, sai."

"Non è sfruttamento. Era un favore."

Silenzio per un po'.

"Comunque Tanya ti ha risposto?"

"No."

"Mi spiace."

"A me no."

Mente sapendo di mentire, ma lascio perdere. In questo momento non riesco ad essere grave come al solito: l'unica cosa che mi frulla in testa è il pensiero che a breve uscirò con Anthea. Uscirò davvero con una ragazza. Con lei. È una cosa... Incredibile. Più ci penso, più mi sembra tutto estremamente irreale e fiabesco.

"Ma... La ragazzina con cui sei arrivato?"

Ruben mi distoglie immediatamente dalle mie fantasie felici. Lo guardo e vedo che ha cambiato sguardo: ora sembra malizioso.

"Abbiamo parlato un po'. Era molto carina."

"Quantifica quel carina. Carina da vorrei farmela o carina da sì, dai, non male, però è meglio se non ci vediamo mai più nella vita?"

"Lo sai che sei peggio di un animale? Se questi sono i tuoi due estremi, non mi stupisco che Tanya si comporti così con te."

"Ora non stiamo parlando di Tanya e me. Dai, su, di cosa avete parlato?"

"Tante cose."

"E?"

"E cosa?"

L'ascensore arriva al piano terra ed emette un tenue trillo di avviso mentre le porte si aprono. Ruben si stacca dalla parete, esce e si caccia le mani nelle tasche. Era partito come un boss della mafia sudamericana ed ora supera la soglia del palazzo di Palmer con la faccia di uno che ha perso tutto al casinò.

"E quindi cosa vuoi fare con lei?"

"Niente. Non so. Oh, Bub. Ma che domande fai?"

"Domande normali."

Nicchio un po', considerando che dirlo a Ruben equivale farlo sapere a tutti i miei amici. In fondo, però, non mi pare né una vergogna né un peccato, così gli rispondo: "Ci vediamo a cena, penso."

"Uuuuh!" Ruben si risveglia all'improvviso, il mio personale Dottor Stranamore. "Davvero? Hai un appuntamento?"

"Tutto ancora da decidere."

"Sì, va beh, come no. Quando ci esci?"

"Non lo so, rimane a New York solo due settimane."

"E datti una mossa, allora. Cuccala ora che puoi."

Cerco di ignorare l'imbarazzo che le sue parole mi fanno montare dentro e ringrazio il buio delle scale della metro che nascondono le conseguenze. Non so cosa rispondere, mi chiudo nel mio silenzio, ma Ruben è troppo impegnato con il suo cellulare per rendersene conto. Quando finalmente troviamo posto sul vagone - quasi totalmente vuoto - della metropolitana, controllo i messaggi e ne trovo uno da Serafina. Non l'avevo sentito.

Sta andando tutto bene, vero?

Serafina: un capo feroce e la migliore delle madri.

Sto già tornando a casa.

Perché?

Dietro quella semplice parole, dietro quel semplice punto interrogativo c'è un mondo di fastidio che si sta lentamente innalzando come un muro. Lo so. La conosco.

Perché Ruben voleva tornare a casa.

Ah sì? E tu no?

Bomba in fase di disinnesco.

Ti sorprenderà ma no. Ho conosciuto una ragazza simpatica e ci ho parlato tutta la sera. Lo sai che legge il nostro giornale?

Serafina si mette subito a scrivere, ma io decido di aggiungere una cosa che la blocca per mezzo minuto:

E ha detto che i tuoi sono i suoi articoli preferiti.

Beh. Come darle torto.

Rido e Ruben alza gli occhi da WhatsApp per lanciarmi un'occhiata stranita. Controlla subito il nome della chat e sbuffa. Probabilmente si aspettava che fossi già intento a scrivere con Anthea.

Sono contenta che ti sia divertito, Jess.

Anche io che tu avessi ragione, Sef.

Io ho sempre ragione.

"Jess, dobbiamo scendere."

È davvero bizzarro come i ruoli nella vita si possano invertire. Poche ore fa quello allegro e ottimista era Bub, mentre ora si comporta esattamente con la stessa voglia di vivere che dimostravo uscendo di casa. Io invece sono stranamente sereno. Sereno e positivo. Cosa che non capita spesso nella mia esistenza.

Il nostro appartamento ci accoglie con la stessa faccia con cui l'avevamo lasciato. A ben pensarci, anche se sembra trascorso mezzo secolo, siamo usciti nemmeno quattro ore prima. Ruben si ritira nella sua stanza, sempre con il cellulare in mano, mentre io prima controllo che Honey stia bene. Chiudo la porta della mia camera da letto cercando di capire cosa fare. Devo rispondere a Serafina, ma poi? Dormire? Leggere? Scrivere ad Anthea? Mi arrovello sull'ultima questione per almeno una decina di minuti, in piedi a fissare le lenzuola del letto. Alla fine mi dico che sarebbe un po' esagerato. No? Rischio di metterle angoscia. Le scriverò domani, decido. Anche perché non so dove sia, cosa stia facendo, se sia già tornata o casa o no. Intanto scrivo a Serafina, ma compare solo una spunta: nel frattempo deve essere andata a letto. O, più semplicemente, ha spento il cellulare per mettersi a scrivere. Odia avere distrazioni.

Ci penserò domani mattina, penso. È sempre così facile procrastinare al giorno dopo.

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