76. Tutti i lunedì sono uguali ma alcuni lunedì sono più uguali di altri
Non dico sia un trauma tornare al lavoro dopo un weekend passato a divertirsi con la propria ragazza, spensierati, molto lontano da casa e da ogni problema della vita quotidiana, passando un paio di pomeriggi tra musica, feste, ottimo cibo, interessanti scoperte in campo ebraico, ma...
Sì. Lo è.
"Buongiorno un cazzo." È la risposta di Serafina al mio normalissimo saluto. Sta digitando scocciata sul suo portatile, in preda a chissà quale rabbia sacra. Temo c'entri la sua famiglia, non so perché.
"Che hai?"
"Hanno avuto da dire su Goethe."
"Chi?"
"I maledetti parenti."
Come volevasi dimostrare: c'entrava la sua famiglia.
"Non vogliono che lo porti dietro?"
"Non dovrei nemmeno averlo, un cane. I cani per i romanichal sono animali che portano sfortuna. Non bisogna neanche toccarli."
"E quindi?"
Pigia talmente forte il tasto INVIO che temo che voli via con un saltello.
"E quindi verrà lo stesso con me."
"Sei sicura? Non sarebbe meglio lasciarlo qui, alla signora Schultz?"
"Sarebbe stato meglio sì, ma loro mi hanno sfidato."
"Oddio, Sef." Esclamo, un po' esasperato. È già sufficientemente una mattina pesante senza che ci si metta anche lei. "Pensa a Goethe! Come pensi che vivrà il viaggio in aereo? Eh?"
Serafina smette di digitare come se stesse scrivendo un articolo shock e alza gli occhi su di me. Per un secondo temo che sia pronta a entrare negli X-men e che mi friggerà con un fffzzp sul posto, invece sembra quasi tranquillizzarsi.
Mah. Donne.
"Già. Anche questo è vero. Devo pensare al bene del mio piccolino." Decreta.
"Bene, sono contento che abbia deciso di ragion..."
"Anche perché il mio Goethe non si merita di certo di conoscere quelle scimmie allo zoo che ho come parenti."
"Sef."
"Cosa? È vero. Peggio che scimmie."
Alzo gli occhi al cielo e decido di abbandonarla al suo destino. Voglio solo prendermi un caffè alle macchinette e iniziare a lavorare, niente più, niente meno.
Mi trascino al piano di sopra, saluto Miranda e Jeb che si stanno godendo un tè sulla panca al fianco dei distributori e aspetto a occhi chiusi che per magia il caffè mi compaia sotto il naso.
"Weekend impegnativo?" Mi domanda Miranda, aggiustandosi gli occhiali.
"La vita è impegnativa." Le rispondo, attingendo a piene mani dalla vena sotterranea della mia melodrammaticità. La ragazza rossa ridacchia, mentre il suo fidanzato tenta un'azione sovversiva e mi dice: "Ho portato una torta."
"Per chi?"
"Per tutti."
"Che torta?"
"Crostata alla frutta." Mi comunica molto serio.
"Fresca?"
"Certo. Decorata questa mattina."
La macchinetta mi avvisa che la mia bevanda degli dei è pronta. Mi abbasso per prenderlo e intanto decreto: "Come cambiano velocemente, questi lunedì. Basta una buona parola, un buon caffè e tutto risplende."
Entrambi ridono e io sono felice di sentire la loro bella risata. MI rintano in ufficio sentendomi leggermente meglio e concentrando il mio scazzo sulle gioie dell'esistenza: la colazione, la caffeina, le crostate super buone del nostro Masterchef, la chiamata a Anthea del mezzogiorno. Sì, va decisamente meglio. Mi metto al lavoro più positivo di prima e per almeno venti minuti sembra andare tutto bene, nonostante il testo pieno di errori e completamente sprovvisto di bibliografia. Fortuna che sono qui a posto.
Tuttavia, trascorsa quasi una mezz'oretta, inizio a sentire una strana sensazione... come un presagio. Mi deconcentro, fatico a correggere con cura, mi innervosisco.
Poi, come se l'avessi chiamato, ecco comparire sulla soglia del mio ufficio il bel faccino di Silas.
"Ciao, disturbo?" Mi chiede, aprendosi in un sorriso convinto. Ha gli occhiali da sole incastrati nei capelli chiari, lo sguardo fiducioso e io invece ho solo voglia di dirgli di no e di chiedergli di allontanarlo.
Sospiro, sopprimendo la mia coscienza e gli faccio un cenno stanco.
"Prego. Hai bisogno di qualcosa?"
Bravo Jess, educato ma fermo. È così che si fa.
Silas entra. Si siede composto sulla sedia davanti alla mia scrivania. Alza le mani e posa con infinita grazia una specie di opuscolo dai colori tenui. Io lo fisso senza riusciva a capire cosa sia, non ho nemmeno voglia di impegnarmi nel tentare di leggere al contrario quelle piccole lettere in rosa scuro.
"Cos'è?" Gli domando, senza sentirmi eccessivamente in colpa per la mia freddezza.
"Un opuscolo informativo."
"Di cosa?"
"Frequento un circolo sociale." Mi risponde, tendendomi il dépliant. "Potrebbe interessarti."
Lo prendo, ma ancora prima di leggere, Silas pronuncia le parole magiche: "È per la tua confusione. Potrebbe darti una mano, sai? Il mio pastore dice che bisogna essere pazienti con coloro che non vogliono aiuto, perché non sempre siamo liberi di comprendere le nostre scelte sbagliate. Ci vuole tempo."
Sorride, come se le nobili parole appena pronunciate fossero rivolte a un problema di droga o di ludopatia e non alla mia decisione di cambiare sesso.
Avrei dovuto aspettarmelo ancora prima di leggere che quel volantino metà rosa e metà azzurro parlava proprio di queste cose. Il titolo dice tutto: Maschio e femmina li creò...
Non lo apro neanche. Glielo ritendo. Lui si schermisce e tenta di parlare, ma io oggi proprio non ho voglia di ascoltare le sue scuse.
"Grazie, Silas. Non penso di essere interessato."
"Tienilo, almeno. Guarda che non c'è nessuna condanna, io ti voglio aiutare."
"Senti..."
"Il Diavolo ci tenta e ci conduce su una via sbagliata, ma questo non vuol dire che tu sia cattivo. Solo che sei confuso."
Lo fisso. In silenzio. Per qualche istante. Lui nemmeno abbassa lo sguardo.
"Silas." Dico. "Non sono nemmeno cristiano."
"Sì, ma..."
"Vengo da una famiglia cinese, Silas. Non sono nemmeno cristiano. Come puoi pensare che io creda che il Diavolo mi stia seducendo?"
"Il Diavolo non ha religione, Jess. Chiamalo come vuoi: Diavolo, Satana, Belzebù, Male... non importa, sempre tale rimane. È il principio maligno che vuole rovinare l'umanità."
Okay, ora sono curioso.
"Bene. E come pensi che io stia rovinando l'umanità?" Gli chiedo curioso.
Lui ci pensa un attimo prima di trovare una risposta che lo soddisfi.
"Facendoti star male. Tu non hai attributi maschili, no?"
"No." Rispondo con molta calma.
"Perciò Dio, o la Natura, come preferisci, non voleva che tu fossi uomo."
"Non sono maschio biologicamente parlando, ma non penso che per essere uomo basti avere il pene, Silas."
Ecco, l'ho detto. Lui mi guarda stupito, come se non si aspettasse proprio questa uscita.
"E allora cosa rende l'uomo uomo, secondo te?"
"Il sentirsi tale." Rispondo semplicemente. "Molto semplice."
"Allora se io domani mi sentissi cane, diventerei cane?"
"Senti, Silas, li conosco già questi esempi. Strano che tu abbia parlato di cane, di solito si riferiscono a un elicottero."
"Beh? Non vale, comunque?"
"No." Dico con fermezza. "Perché sentirsi donna o uomo rientra nello spettro umano. L'identità di genere non è semplicemente composta da cosa hai in mezzo alle gambe, altrimenti tutti i veterani amputati o le persone sterili o la gente con una malattia genetica dovrebbero formare un nuovo genere. Chiaro?"
"Quelle sono mancanze fisiche."
"Pensa un po', il cervello è un organo tanto quanto il resto e la mente è un suo prodotto."
"L'anima è divina, Jess. Non è un semplice dato biologico..."
"Io non mi arrogo di sapere la verità sull'anima. Ti sto solo dicendo come va il mondo, e mi permetto di farlo dall'alto della mia esperienza. Sono contento che tu non abbia mai avuto dubbi sulla tua identità di genere e probabilmente anche sulla tua sessualità, ma non tutti sono così fortunati da ritrovarsi nel corpo giusto."
Adamantino, come se non avesse ascoltato nemmeno mezza parola di quelle che ho pronunciato, mi indica con un sorriso tranquillo il dépliant.
"Sono venuto con quello apposta. Per qualche motivo, probabilmente... e lo dico con molto rispetto... hai avuto un trauma da giovane o qualcosa del genere... ed è per questo che ora la tua anima femminile rifugge il confronto con il corpo che Dio ha scelto per lei. Perché questo lo capisci, vero? Dio non compie errori."
"Dio non compie errori." Concordo. "E, infatti, io sono solo un uomo."
Silas scuote la testa, sospira come un padre paziente, dopodiché torna a sorridere con quel sorriso per cui comincio a provare una profonda irritazione.
Si alza e ignora la mia offerta di ridargli ciò che mi ha portato.
"Sono sicuro che sceglierai la strada giusta." Dice fiducioso, prima di farmi un cenno di saluto e andarsene, bello e tranquillo com'è entrato, assolutamente ignaro delle nubi che ha nuovamente portato su di me.
Tutti i lunedì sono uguali, ma alcuni lunedì, maledetti loro, sono più uguali di altri.
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