74. Boston Jewish Party - la funzione

La sinagoga di Israele è un posto semplice ma allo stesso tempo imponente. Non ha nessuno dei decori opulenti che possiedono alcune chiese cristiane - quella cattolica di Amos e quella greco-ortodossa di Eirene - eppure ha una sua speciale eleganza, composta da alte e strette finestre che lasciano filtrare generose lame di luce dorata che inondano le panche di legno scuro e, il pulpito e gli epigrafi alle pareti. Molti bassi candelabri cadono paralleli lungo i due lati della navata principale. Ogni cosa mi dà un'idea di calma e meraviglia, perché c'è silenzio interrotto solo da qualche soffice mormorio, nonostante la sinagoga sia praticamente piena. 

Siamo seduti sul lato sinistro, al fianco di alcuni cugini di secondo grado della festeggiata. Gabriel e sua moglie assieme ai loro altri figli e Jacob sono tutti seduti tra le prime panche, in attesa che sia il turno di Eliza. Il rabbino sta ancora eseguendo la funzione che per l'occasione è tutta in ebraico, quella del sabato, così io non capisco niente. Eliza è seduta da sola vicino al rabbino ed è pronta a divenire una figlia del comandamento, come mi ha spiegato Anthea. Finora ho solo capito che la Torah è un testo estremamente sacro dal modo in cui l'hanno tirata fuori dall'arca sacra. Poco altro. Non so neanche cosa Eliza dovrà fare.

"Pensavo avrebbe letto lei." Sussurro ad Anthea, quando è il rabbino a prendere il rotolo e a leggere utilizzando una specie di manina, per non toccare il testo sacro.  

"Quello è uno yad." Risponde lei, come se mi avesse letto nel pensiero. "Sta solo iniziando, Jess."

"Ma tu ci stai capendo qualcosa?"

"Qualche parola."

"Sta benedicendo questa giornata." Ci spiega uno dei cugini, un giovanotto diciottenne che mi sembra di aver visto nell'impresa dello striscione. "Dice i nomi della ragazza, poi la inviterà a cantare."

"Cantare?" Chiedo, stupito.

Il ragazzo mi sorride e mi fa segno di attendere. Thea mi stringe una mano, come a dirmi di stare buono e in silenzio. Ubbidisco: è così carina nel suo vestito verde e la sciarpa. Fortunatamente non c'è bisogno di aspettare molto, perché la signorina viene presto invitata sul pulpito dove, leggendo dalla Torah, intona un canto mentre segue il passo. È una cosa bizzarra, ma è incantevole. Eliza, corti capelli neri, occhiali come sua madre e un viso ricoperto di lentiggini, indossa un bell'abito color crema e porta lo scialle sacro che Anthea ha chiamato tallit. Ha una voce incerta, ma anche molto armoniosa. Prende fiato a scatti, come se stesse emergendo dall'acqua ritmicamente e in un certo senso è proprio così: abbandona la cantilena per respirare. Il canto si spande in tutta la sinagoga, rimbalza sulle pareti, dipinge di sacralità ogni cosa. Eliza completa il suo brano senza troppe difficoltà e sorride ai suoi genitori, perché sa di avercela fatta. So che nonostante tutto anche Jacob è contento. Probabilmente si è perfino commosso. 

Il rabbino completa il rito a me tanto sconosciuto con il sollevamento della Torah e successivamente con l'accensione di una candela attraverso le mani di Eliza. La piccola trema ma non riesce a fare a meno di sorridere. 

"Ora invito il padre di Eliza, Gabriel, a pronunciare un discorso." Dice improvvisamente il rabbino, in inglese. 

Non mi aspettavo questa parte. Mi sembrava una cosa più da matrimonio. Gabriel, vestito di tutto punto, si alza, si aggiusta nervosamente la giacca blu e lo yarmulke, dopodiché sale i tre scalini del pulpito, riceve la benedizione, sfiora le spalle di sua figlia e poi si rivolge al pubblico, mentre estrae dalla tasca dei pantaloni un foglietto tutto spiegazzato.

"Ehm, sì." Inizia, non nel migliore dei modi. Non riesce a non sembrare sull'orlo di una crisi di nervi dall'ansia. "Sì." 

Tossicchia e si asciuga la fronte con un fazzoletto che cava dal taschino della giacca. Mi chiedo se non stia morendo di caldo.

"Scusate, sono un po' emozionato." Si scusa, con un sorriso. Tossicchia di nuovo e questa volta riesce ad articolare il discorso. "Sembro alla mia prima volta, qui, in questa sinagoga. Come ben sapete, è il mio terzo mitvazh in questo luogo, eppure non riesco a non emozionarmi ogni volta che uno dei miei figli vive questo momento."

Anthea e io abbiamo conosciuto i fratelli maggiori di Eliza, Aaron e Leo, poco prima di arrivare alla sinagoga. Uno dei due ha già una figlia. È da quel momento che tento di capire quanti anni abbia la signora Jacobson.  

"In particolare questo mitvazh ha qualcosa di speciale, per me e per la mia famiglia."

Guarda Eliza, le sorride. La bambina abbassa lo sguardo e diventa tutta rossa. Gabriel torna a parlare con il pubblico. 

"Eliza non ha vissuto bene i mesi prima di questa occasione, sapete anche questo. Persone poco corrette, in ambiente scolastico e di amicizia, o almeno così si credeva, hanno insultato la sua decisione - perché è sua, nessuno della nostra famiglia è mai stato costretto a tutto questo - di diventare una donna all'interno della religione della sua famiglia. È una responsabilità che la mia bambina ha preso sulle sue spalle nonostante la sua età, quando normalmente il mitvazh non è altro che un'occasione per festeggiare. Eliza ha impegnato i suoi pomeriggi nello studiare la Torah, perché questa cerimonia aveva e ha un valore fondamentale per lei. Ha voluto cantare, perché alle orecchie del Signore sono gradite parole melodiose." 

Gabriel prende un respiro e io mi ritrovo seduto congelato, senza aver compreso appieno il suo discorso. Non mi sarei mai aspettato che un uomo come lui decidesse di pronunciare un discorso del genere. E neanche avevo immaginato che la decisione di Eliza avesse potuto sollevare un polverone nella sua scuola. Ma che sta succedendo al mondo? Lancio uno sguardo ad Anthea e noto il suo stupore. Almeno non sono l'unico. 

"Sono molto orgoglioso di Eliza, non tanto perché oggi è qui, con noi, a condividere la gioia dei figli di Dio - ovviamente sono contento anche per questo! - ma perché è stata una sua decisione. Mia figlia ha preso la propria strada nonostante i molti ostacoli che si è trovata davanti. Ha scelto il percorso più difficile ed è arrivata alla sua meta. Eccola qui, senza aver sbagliato nemmeno una parola."

Gabriel guarda di nuovo sua figlia e c'è una sincera, splendente emozione nei suoi occhi. Una commozione che mi ferma il battito del cuore per qualche istante. 

"Se questo non la rende una donna, non so cos'altro possa farlo."



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