70. La comunione ebraica

Il Boschetto ci accoglie con un'insolita allegria perché Jacob, una delle sue colonne portanti, è allegro.

Appena ci vede arrivare si toglie dalla bocca il sigaro che si stava godendo da solo e ci apostrofa: "Guarda chi si rivede. La piccola ebrea."

"Salve, Jacob." Sorride lei. Fortunatamente una notte di riposo le ha fatto bene e ora le ombra sono gli occhi si sono attenuate. Sembra perfino più rilassata, forse perché non deve più mantenere segreto il motivo della sua stanchezza. Le lascio la mano per rovesciare la mia sul fianco, fermandomi sulla soglia della nostra saletta. 

"Scusa? E io?"

"Tu hai perso importanza." Mi sistema lui, agitando una mano e arricciando il naso.

 "Sentiti semplicemente lusingato per avere al fianco questa bella creatura e non un'altra occhi a mandorla come te. In fondo bastate e avanzate, non vi pare? Da soli voi cinesi siete un miliardo. Direi che è tempo di smetterla con..."

"Ma non ti vergogni, vecchio caprone?" Lo interrompe Melody, comparando dietro di me. Per poco non mi investe.

"Ciao, Mel. Dov'è il resto della truppa?"

"Oggi ci siamo solo noi. Sul è con i suoi nipoti, May con sua sorella."

"E Marge?"

"Marge è partita." Mi informa sogghignando Jacob. "Cuba. Robert è passato a prenderla oggi."

"Immagino vi mancherà." Dico. Anthea si siede nel suo posticino al pianoforte e mi contraddice subito: "Immagino che da Cuba porterà parecchio materiale interessante."

Jacob batte le mani e la indica orgoglioso.

"Vedi? Ebrea! Sveglia come una volpe! Ha capito più di te che sei qui da secoli."

Ho capito ormai come andrà questo andazzo: Thea sarà per sempre la favorita di Jacob. Non so se esserne contento o preoccupato.

"Jess, questo vecchiaccio ci ha detto che ha deciso di andare alla comunione di sua nipote."

"Bat mitzvah! Bat mitzvah, donna!" 

Melody sbuffa e sussurra: "È semplicemente una comunione ebraica."

"Sono due cose ben diverse, maledizione! Anthea, Anthea, diglielo!"

Lei mette le mani avanti e ribatte: "Io non me ne intendo davvero, non sono stata cresciuta così, glielo avevo detto..."

"Ah." Risponde secca Melody. "Un'altra?"

Per poco non scoppio a ridere. Melody e Jacob non si amano, ma hanno spesso un conto aperto per quanto riguarda la religione. Mel è una delle più care affezionate del pastore che viene a dir messa al Boschetto, un giovane pel di carota dall'aspetto pacifico, cosa che non è mai stata digerita dal signor Jacobson. Che, infatti, esclama: "Sempre meglio che una groupie della messa!"

"Ma che stai dicendo? Stai berciando, come al solito."

"Il pastore Russell sarebbe d'accordo con me. Te lo mangi con gli occhi."

"Se il Signore non avesse voluto farci apprezzare le beltà del Cosmo, ci avrebbe fatto nascere ciechi."

Anthea si mette a ridere dopo aver fatto almeno un tentativo apprezzabile di contenimento delle risate, ma così facendo riporta immediatamente l'attenzione su di sé. C'è un motivo se me ne sto zitto zitto, mentre i due litigano: se mi impiccio, come fa di solito il povero infermiere Stuart, i due si alleano contro di me. In questo caso non è un'alleanza, ma un interrogatorio. 

"Quindi è vero." Dice Mel. "Sei come Jacob."

"Non proprio. Mia madre era ebrea."

"Quindi sì, lo è anche lei." Aggiunge subito Jacob. Melody lo ignora e continua a rivolgersi solo alla mia ragazza. 

"Non hai ricevuto i sacramenti ebraici?"

"No. Sono stata battezzata secondo rito cristiano."

Melody si volta a guardare sorridente e vincente il suo avversario. Io non mi stupisco più di tanto: questo lo sapevo. Per una volta, so qualcosa. In ogni caso drizzo bene le orecchie, perché Thea mi ha promesso altre informazioni e temo proprio che il modo per venirne in possesso sarà attraverso i miei anziani amici.

"Che idiozia." Brontola Jacob. "Come può tua madre aver scelto quella strada? È contro la natura conservazionistica di noi ebrei. Cosa hanno detto i suoi genitori?"

"Mia madre non parlava più con i suoi. Io non conosco i miei nonni."

Sia Jacob sia Mel per un attimo non trovano cosa dire. Anthea li guarda, poi sposta lo sguardo su di me. Le accenno un sorriso: sapevo anche questo.

"Anche questa cosa va contro le leggi." Commenta Jacob. "Quindi ora voglio sapere perché."

"Perché mia madre fece l'errore di portare vergogna sulla sua famiglia." Risponde tranquilla Thea. 

"Cosa può aver mai fatto quella donna?" Esclama Melody.

"Me." È la risposta di Anthea. "Me e mio fratello."

Sul volto di entrambi passa la sorpresa, poi le emozioni bipartono, c'è un bivio sentimentale: Jacob vira sul triste - perché lo conosco abbastanza per riconoscere il suo sguardo cupo - mentre Melody si infiamma di indignazione. 

"Cosa?! Che razza di genitori sono quelli che smettono di voler bene a una figlia perché dà loro dei nipoti?"

"È scappata con un goy?" Chiede invece Jacob, che tra i due più si avvicina alla comprensione della faccenda. Anche questa storia, più o meno, la conosco. Non nei particolari, ma Thea l'aveva già accennata a me e a Ruben, tempo fa. Ho comunque paura di quello che mi aspetta: temo le parole che usciranno dalla sua bocca,  che sicuramente faranno male a lei e di conseguenza anche a me. So per certo cosa significa non essere accettati, ma non nel senso che Thea sta per spiegare. 

"Era un goy sposato." Chiarisce, lasciando di stucco Melody. "Molto più grande di lei."

"Tutto qui?" Osa ancora la bella signora bionda. "Solo perché era un po' più maturo e non ebreo?"

"Era sposato." Completa Anthea. "Ho tre fratellastri maggiori. Era sposato quando conobbe mia madre. Aveva diciannove anni ed era appena entrata nella sua azienda come operaia. Era amica della mia sorellastra minore e bazzicando per casa sua..."

Lascia intendere come prosegue la storia, non serve molta fantasia per immaginarsi il finale del racconto. Ce lo vedo bene, quella deprecabile persona che rappresenta il mio cosiddetto suocero, a irretire la giovane amica della figlia. Non dubito che fosse bella quanto Anthea. E se le cose stanno così...

"Beh?" Scatta Melody, che pensavo assorta in chissà quale riflessioni. "Se lui le è andato dietro, significa che con sua moglie non funzionava. Non sarà la prima né l'ultima a rappresentare una prova del nove per un matrimonio."

"Mio padre lasciò sua moglie solo quando scoprì che mia madre era incinta." Precisa Anthea. "Non aveva intenzione di farlo. Ma c'era in ballo molto più di una relazione. C'era un bambino."

Thea si ferma, corruga la fronte, riprende: "Sperava in un figlio maschio decente, perché la sua prima moglie gli aveva dato solo uno smidollato. Purtroppo gli è andata male anche in questo caso."

Ho fatto bene a drizzare le orecchie ma, anche se vorrei saperne di più, Thea continua immediatamente, non lasciando spazio a domande: "E poi sono nata io, quando mia mamma aveva ventitré anni. Aveva smesso i rapporti con i suoi alla sua prima gravidanza, perciò non penso che i miei nonni sappiano nemmeno come io sia fatta."

"È inconcepibile." Afferma sicura Melody. "Mia madre non lo fece con me dopo tre figli da tre diversi uomini, non vedo perché farlo con quella poverina della tua mamma. Era così giovane! Così ingenua, innamorata!"

"Così stupida." Commenta serafico Jacob. Tutti lo guardiamo, ma è Mel quella che quasi urla: "Sei tu che sei stupido, Jacob! Non osare!"

"Mi dispiace, ma per le regole è così." E lo dice con tristezza, sorridendo ad Anthea. "Per i tuoi nonni è stato un tradimento inconcepibile. Lo capisci, ragazza? A volte siamo vecchi, siamo vecchi dentro. È sbagliato, ma a volte è così."

"Lo so." Risponde lei, che non appare nemmeno un poco offesa dalle parole di Jacob. "Lo so. Io non li odio. Posso comprenderli, anche se non posso perdonare. Perché hanno abbandonato mia madre anche se era una persona debole." Scorgo della rabbia nelle sue parole. "Una persona debole in mano a un manipolatore. È per questo che sono battezzata e conosco solo una manciata di parole di Yiddish, quando dovrei parlarlo fluentemente. È per questo che devo ritenere la possibilità di frequentare l'università come il più grande dei doni provenienti da un sultano. È per questo che lei non è più qui, ora. Che non è più qui da quindici anni."

La rabbia si manifesta in piccoli pugni stretti, denti serrati, occhi lucidi. Capisco che ci stiamo avventurando in un terreno molto pericoloso e all'improvviso smetto di volerne sapere altro. Va bene così. Va benissimo così. Non voglio che Anthea si alteri. È a New York per stare in pace, con sé stessa e il mondo: devo impedire che questo proposito naufraghi.

"Se non sbaglio eravamo qui per suonare." Mi intrometto, con voce un po' troppo squillante. "Guardate che Anthea non c'è sempre. Non sempre possiamo fare il juke-box."

Jacob e Melody capiscono l'antifona. Si preparano per iniziare e Anthea sembra trasecolare, ricordandosi improvvisamente perché è lì. Mi lancia uno sguardo di scuse, ma io sorrido e scuoto la testa. Tutto a posto.

Faccio per dare il tempo quando Jacob, senza dare l'idea di preoccuparsi più di tanto della faccenda, controllando una delle corde del suo violino, dice: "Comunque noi siamo gente aperta. Quel disgraziato del mio primo figlio ha due matrimoni alle spalle e ora è impegnato per la terza volta."

"Oh." Dice Thea. "E come si chiama questa?" 

"Bruno." Ribatte lui, scoppiando a ridere come la terribile volpe ebrea che è. 

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