60. Litigi e sparizioni, quasi la fine del mondo

"Grazie. Per Jacob, intendo."

"Mi sembrava una buona idea."

"Suppongo si rivelerà tale."

Vorrei negarlo a me stesso, ma il gelo calato tra Anthea e me è palpabile dal momento in cui siamo usciti dal Boschetto. Abbiamo preso la metro, siamo tornati a casa mia per recuperare la sua borsa da viaggio e salutare Ruben, abbiamo ripreso la metro e ora siamo qui, in attesa del suo treno. In tutto avremo speso una cinquantina di parole. Normalmente non succede questo. Normalmente Anthea parla molto con me, è vivace, sorridente. Invece ora mantiene gli occhi bassi e continua a torturare la linguetta della cerniera del borsone. 

Non che io sia più attivo, in realtà. Scoprire l'ennesima cosa nuova nei suoi riguardi mi ha gettato nello sconforto e nella preoccupazione di non conoscerla affatto. Non so se sia corretto esserlo, ma sono un po' arrabbiato con lei. Mi sento ferito e anche un po' ingenuo, visto che io le ho raccontato ogni cosa e lei ha finora centellinato le informazioni. Fino alla sera prima pensavo di voler andare con calma con lei, ma non intendevo su ogni cosa! Almeno non le informazioni basilari!

"Comunque non sapevo parlassi Yiddish." Commento, non riuscendo a contrastare il costante pungolo di fastidio che ho nella testa. "Non sapevo neanche che tua madre fosse ebrea."

"Non ne abbiamo ancora parlato."

"Non ne abbiamo mai parlato."

Lei alza lo sguardo dal suo continuo giocherellare e mi guarda. Per un secondo temo di dover fronteggiare i suoi occhi inquietanti, quelli da donna adulta, ma mi ritrovo a fissare lo sguardo triste di una bambina sgridata.

"Le cose sono molto complicate." Mi dice.

"Non pensavo che le mie fossero così semplici."

"Non lo sono. Non sto dicendo questo."

"Quindi?"

"Quindi cosa?"

"Quindi, visto che è così complicato, continueremo così? Con te che mi dai briciole di informazioni e io che mi accontento?"

"È così che la vedi?"

"Beh, non saprei. Tu come la vedi? Sai praticamente tutto di me."

"Non si conosce mai tutto di una persona."

"Tu neanche ci provi a farti conoscere."

Lo dico con un po' troppa verve, ma me ne rendo conto solo quando ormai l'ultima sillaba ha lasciato le mie labbra e Anthea sussulto,  presa di sprovvista. Mi fissa e arrossisce un po', anche se non saprei dire se per rabbia o imbarazzo. 

"Non sono abituata a... parlare di me e..."

"Pensi che io lo sia?"

"Lasciami parlare, Jess!"

Mi zittisce con fastidio, quasi urla, guardandomi negli occhi. Sono così agitato che vorrei rispondere con lo stesso tono. Dio, è la mia prima litigata e mi sento già così male. Vorrei chiederle scusa ma allo stesso tempo urlarle addosso. Fortunatamente opto per un cauto silenzio. 

Lei respira pesantemente e continua: "Capisco che per te sia stato difficile raccontarmi la tua vita. Credimi, lo posso capire e sono lusingata dall'onore di averla sentita. Ma... tu hai trovato il momento giusto e io no."

"Cosa c'è di più difficile di raccontare una transizione?" Esclamo, ma so di aver appena detto una cazzata. Una cazzata egomaniaca, che immediatamente mi fa sentire piccolo, stupido e indegno. Non mi ero reso conto di pensare alla mia storia nei termini di qualcosa di più speciale di quella degli altri. Per la paura di aver rovinato un mese di relazione, non attendo che Anthea mi castighi con una risposta più che meritata e aggiungo: "Scusa, scusami. Non volevo dirlo davvero. Sono un idiota. Perdonami. Non..."

Come tutta risposta mi arriva un pugno ben assestato sul braccio. Un pugno che genera anche un certo dolore. Non posso dire che non sia giustificato, perciò sto zitto e accolgo questa reazione. 

"Scusa." Sussurro ancora.

"Senti, Jess. Lo so che è tutto molto strano, ma il fatto è che anche io lo sono. Ho bisogno di un po' di tempo per raccontare tutto, anche perché non hai idea di che ginepraio sia la mia famiglia. Sì, forse quando ti racconterò ogni cosa non sembrerà così complesso quanto la tua transizione, ma ho paura di presentarti le cose in modo sbagliato. Io mi fido di te. Te l'ho detto dalla prima volta che siamo usciti. È che ho bisogno di capire come dirti tutto."

"Hai ucciso qualcuno?"

Finalmente accenna un sorriso. "No."

"Hai iniziato una transizione anche tu?"

"No!"

"Sei figlia di un mafioso."

"Sei sempre più fuori strada." Ride. Sono così contento di sentirla ridere, ancora se ancora non riesco a capire perché tutto questo mistero. Mi dico che posso ancora aspettare, che sicuramente Anthea avrà i suoi motivi per tenermi tanto sulle spine. Almeno spero.

"Quindi finora cosa so? Che tua madre era ebrea, che hai un fratello di sangue, che tuo padre ha altri tre figli. Dammi un altro indizio."

"Sai anche che non so suonare il piano."

"Qualcosa di più intimo?"

Lei sembra pensarci un attimo, poi accenna un mezzo sorriso che ha qualcosa di triste e dice: "Che mi piace vivere intensamente la vita."

Non penso che sia molto diverso dal dirmi che non sa suonare il piano, ma lascio perdere. È palese che non mi voglia dire nulla di sostanziale. 

"Te lo prometto." Dice all'improvviso. La guardo: ha improvvisamente le guance in fiamme e gli occhi accesi. Quasi avesse la febbre. 

"Cosa?"

"Settimana prossima te lo racconterò."

"Perché non oggi?"

"Perché oggi è una bella giornata."

Mi acciglio. "Cosa vuoi dire con questo? Che non vuoi rovinarla? Avrò l'ansia per una settimana."

"No. Sto solo dicendo che oggi è una bella giornata. Guarda, c'è il sole. Stamattina c'era anche un arcobaleno."

"Un avanzo di arcobaleno."

"E poi il sigaro dei vecchietti ha davvero bruciato il raffreddore."

"Ti sembra che sia così semplicemente perché non ti senti più né gola né narici."

"Sei noiosissimo quando fai così."

"Sono noiosissimo sempre."

"Quando fai così sì. Per il resto smettila o ti tiro un altro pugno."

"Provaci." La sfido, solo per vederla girarsi verso di me con entrambe le manine chiuse in atteggiamento aggressivo. Non fa nemmeno in tempo ad avvicinarle al mio braccio che afferro i suoi polsi e la tengo ferma. Ha le braccia esili e anche se si agita come un pesce, non riesce a liberarsi. 

"Sai, io mi arrenderei." Le comunico con nonchalance. 

"Tu. Non io." Mi risponde altera. 

Alzo le mie mani portando dietro anche le sue e quando sono certo che rimanga in quella posizione, le lascia andare e l'abbraccio. Posso dire di essere sopravvissuto alla prima litigata, vero? È andata proprio così. Ne ho la conferma quando lei ricambia e posa la guancia contro la mia spalla. 

"Grazie." Sussurro, rivolto a qualsiasi divinità mi abbia aiutato o semplicemente ad Anthea, che ha perdonato la mia frase infelice. 

"Porta pazienza con me." Risponde lei. "Tanta pazienza."

"Ne ho tantissima."

"Lo spero."

La voce automatica annuncia l'arrivo del suo treno. Sospiro. Sapevo che il momento sarebbe arrivato, ma almeno sono contento di non doverle dire arrivederci nel pieno di un litigio.

"Quindi... al prossimo weekend?" Le domando, mentre mi alzo. Anche lei si tira in piedi, si getta il borsone sulla spalla e mi guarda. 

"Certo."

"Ma tuo padre ti lascerà venire?"

"Lo farà. Non avrà scelta."

Ridacchio per nascondere il mio nervosismo a quel commento. E poi semplicemente il treno si ferma senza un cigolio al nostro fianco. Le sorrido, prima che Anthea mi getti le braccia al collo, mi trascini al suo livello e mi baci. In questo momento le lascerei fare qualsiasi cosa. 

"Buon ritorno a casa."

"Grazie. Anche a te."

"Cerca le parole." Le sussurro e lei sogghigna, ma tristemente. Chissà perché. Chissà perché questo discorso pare così amaro. 

Anthea mi fa un ultimo cenno prima di salire sulla sua carrozza. Sparisce al suo interno e poi la sua testolina ricompare dietro il primo finestrino sulla destra. Mi fa un sorriso, mi saluta di nuovo, ma poi viene distratta da una persona che sta per sedersi al suo fianco e in men che non si dica il treno riparte. 

Lo guardo mentre si allontana, conscio e inquietato da quello che è appena successo tra di noi. Mi chiedo se avrà ripercussioni. Se Anthea ci penserà e mi bollerà come imbecille, dopo una riflessione più approfondita. Rimango a guardare i binari, pensoso e preoccupato, quando il mio cellulare squilla. Lo pesco subito dalla tasca con il cuore in tumulto, credendo che sia Anthea. Ma non lo è. 

"Ruben? Hey, tutto bene?" Domando preso di sprovvista. Bub non mi chiama praticamente mai.

"È successa una cosa."

Davanti ai miei occhi scorrono terribili immagini di Tanya, Tanya e ancora Tanya. Quello che dice subito dopo, perciò, è un pugno nello stomaco.

"Eirene è sparita."


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