30. La mia ragazza unicellulare

Non sono mai stato un appassionato di vestiti. No, davvero: quelle poche volte in cui mia sorella, da bambino, mi costringeva a seguirla per negozi, provavo la stessa sensazione che deve vivere un cane che viene portato dal veterinario a tradimento. E vi giuro che non lo dico solo perché quelli che ero costretto a provare erano abiti da bambina. Nossignore. Ho sempre trovato lo shopping una perdita di tempo: perché andare a caccia di tendenze quando si ha un guardaroba classico come il mio? Io sono un uomo da jeans e polo. Al massimo da camicia, rigorosamente bianca. Un uomo semplice, che non pretende molto, né da sé stesso né dai creatori della moda. 

Eppure la sera di giovedì mi coglie sul baratro di una crisi di nervi, davanti allo specchio del mio armadio, mentre sono intento a valutare quale, tra le cinque camicie abbandonate con ordine sul letto, possa essere la scelta migliore. 

"Guarda che hai già fatto colpo sulla ragazza." Dice Ruben, che è seduto alla mia scrivania con la scusa del sostegno morale, mentre in realtà sta scorrendo le immagini di Facebook e solo ogni tanto mi lancia un'occhiata e un'opinabile consiglio. 

"Sì, beh, grazie. Lo so che ti suona strano, ma vorrei fare buona impressione anche sulle sue amiche."

"Ma cosa te ne frega." Ribatte lui, ormai dimentico del favore fattogli per riportare Tanya all'ovile. 

"Sei un ingrato."

"Meglio che paranoico."

Gli lancio un'occhiataccia e decido che non vale la pena sprecare il fiato con lui. Allo stesso tempo capisco che devo stare sul semplice e mi accontento della camicia che ho addosso, che ha il taschino decorato ed è sufficientemente sobria.  

"Sai già che tipo di festa sarà?" Chiede ancora Ruben, a cui palesemente dà fastidio che io sia stato invitato senza di lui. 

"Suppongo tranquilla. Niente di che."

"E quindi oggi la saluti?"

Colpo basso, Bub. Temporeggio aggiustando il colletto della camicia. "Non so. Forse domani la accompagno a prendere il treno."

"Quando torna qui?"

"Non lo so."

"Secondo te funzionerà?"

"Ruben."

"Cosa? Ti sto facendo delle domande più che legittime."

"Mi stai facendo venire l'ansia."

"Beh, lo chiedo per il tuo bene."

"Certo che spero che funzioni. Ma non posso saperlo ora. Dipende tutto da come reagirà una volta tornata a casa." Al pensiero mi rattristo. "Magari capirà che è stato tutto un fuoco di paglia."

"Da come ne parli non sembra il tipo che vuole sperimentare cose nuove tipo un ragazzo trans. Altrimenti avrebbe già tentato di portarti a letto, ti pare?"

Questo discorso non mi piace granché, ma suppongo che abbia ragione. Anche se sinceramente non avevo mai pensato all'opzione della trasgressione. Certo che Ruben ha capacità ansiogene davvero spettacolari. 

"Sono pronto." Affermo, controllando come al solito che il cerotto non si noti sotto la manica della camicia. Lo cambio sempre, ogni sera, ogni ventiquattro ore. Questo mi ha espressamente ordinato la mia endocrinologa. Quando sono in giro la sera faccio una capatina al bagno per cambiarlo. Devo ubbidire, se non voglio uno sbalzo ormonale. 

Ruben annuisce e mi guarda. Accenna un sorriso. "Sei proprio bello."

"Oh, grazie."

"Pronto proprio per andare a vendere ravioli al vapore alla festa."

"Sono contento di non doverti portare." 

Esco dalla porta, mentre lui sta dicendo altro. Passo per il salotto e controllo Honey. Povera piccola, non ho avuto molto tempo da dedicarle in questo periodo. Noto che non è in giro, sicuramente starà già dormendo nella sua tana. Beh, per me la notte è ancora giovane. Andiamo a questa festa. 


Cosa mi aspetto da questa serata? Non saprei, ma sicuramente non quello che trovo al mio arrivo. Avevo supposto che sarebbe stata una festicciola di addio per una ragazza timida e riservata, in cui avrei incrociato tra i presenti qualche conoscente e le sue amiche. Non avevo nemmeno sfiorato col pensiero l'idea di un party vero e proprio, che possiede più il gusto di festeggiamenti da college. 

Perché è questo che mi trovo davanti quando salgo al piano numero Quindici indicatomi da Anthea qualche ora fa. La porta è aperta e sul pianerottolo si riflettono luci lampeggianti che vanno di pari passo con la musica elettronica che rimbomba fin dentro l'ascensore. Alzo un sopracciglio a notare un paio di ragazzi intenti a dondolare e ridere sull'ingresso, un bicchiere di plastica pieno di quella che sembra birra a giudicare dalla schiuma. Cosa diavolo hanno combinato quelle due pazze?

Mi infilo nello spazio lasciato libero nell'ingresso e piombo in quella che sembra una discoteca di frodo in casa privata: il corridoio è ingombro di persone che si muovono sull'onda del ritmo. Ci sono solo brevi sprazzi di luci colorate a illuminare i loro visi, così non riesco a riconoscere nessuno. Molto probabilmente perché in realtà non c'è proprio nessuno da riconoscere. 

Accendo il cellulare mentre il mio percorso finisce all'imboccatura di quello che pare proprio un salotto e cerco messaggi di Anthea. Nulla. Mi guardo attorno nella speranza di individuarla in questa bolgia, ma l'unica cosa che localizzo è il DJ alla console che spara raggi stroboscopici ovunque, nei pressi delle due grandi vetrate che danno sulla strada. Ha appena messo su un remix di Titanium, non è neanche malaccio, se solo la gente non si muovesse a caso, giusto per sistemarsi in ingombranti capannelli da mercato. Ho tutta l'intenzione di scriverle un messaggio su Whatsapp, quando mi pare di avvertire un ...Ess! Da qualche parte alle mie spalle.  Mi volto giusto in tempo prima di ritrovarmi Anthea tra le braccia. 

"Hey!" Dico, davvero sollevato di vederla. Sono costretto a urlare per farmi sentire.  "Non pensavo avessi così tanti amici a New York!" 

Un improvviso nastro di luce azzurra illumina il suo sorriso. Mi sembra stanchissima e un po' comicamente arresa. Mi prende entrambe le mani prima di rispondere: "È più forte di loro. Ne hanno approfittato per dare una festa."

"Cosa hanno detto a tutti questi qui?"

"Che era una festa di arrivederci. Ma come vedi il motivo principale non è quello più importante."

Non so bene come mai, ma questa cosa un pochino mi indispettisce. Certo è che Jennifer e Pamela avrebbero potuto valutare altre soluzioni per una festa con la loro timida amica a cui le feste non piacciono più di tanto. Lancio uno sguardo d'intorno per individuare un posto più tranquillo in cui parlare, ma fortunatamente è la stessa Anthea a pensarci, trascinandomi con sé fuori dal salotto, in un altro corridoio, fortunatamente meno affollato. La musica è comunque molto forte, ma qui riusciamo ad abituarci al buio e guardarci. Sono contento di vederla comunque sorridere, nonostante la sorpresa indetta dalle sue amiche. 

"Come stai?" Le domando. 

"Bene, sono contenta che tu sia qui."

"Ti stavi divertendo?"

"Più o meno."

"Jenny e l'altra?"

"Un attimo impegnate a parlare con alcuni loro amici. L'hanno organizzata con amore, davvero. Te l'avevo detto che la città le ha un po' cambiate. Ora pensano che sia necessario organizzare una mega festa per ogni singola cosa che accade. La loro amica Heather ha dato una mano."

Heather? È un nome che forse mi suona famigliare. L'ho già sentito, probabilmente alla festa in cui l'ho conosciuta. Ma non indago oltre. L'abbraccio stretta e le sussurro: "Se vuoi possiamo ballare."

"Certo! Non vedo l'ora!" Esclama in un farfuglio, affondata com'è nella mia camicia. Subito dopo avverto le vibrazioni della sua risata ed è bellissimo saperla allegra. Si stacca per guardarmi e chiede: "Vuoi qualcosa da bere?"

"Ho visto della birra in giro, mentre entravo."

"Vieni!"

Ci muoviamo di nuovo, abbandonando il corridoio per rituffarci nel cuore della festa, ma solo per prendere la via della cucina, improvvisamente trasformata in bar. C'è un piccolo gruppo di persone che si sta servendo alla spina da una botticella di metallo e anche Anthea recupera un bicchiere per me.

"Tu non prendi niente?" Le domando, notando che non sembra intenzionata a brindare. 

"No, non mi piace la birra."

"Non c'è una Coca - Cola in questo posto?"

Lei ride, mentre mi passa il bicchiere pieno, sporcandosi le dita con un po' di schiuma. "Tranquillo, non ho sete."

"Troviamoci un riparo tranquillo." Le propongo, circondandole le spalle con un braccio. Lei si poggia a me e ho come la sensazione che in fondo mi sia grata per quello che ho appena detto. Circumnavighiamo un gruppo di vivaci ballerini che hanno cominciato ad alzare le mani al cielo seguendo la musica e ci dirigiamo verso quello che risulta essere un piccolo balconcino. Non l'avevo minimamente calcolato, ma neanche gli altri invitati devono averlo notato, perché è deserto. Finalmente usciamo a prendere una boccata d'aria, anche se l'aria calda e umida della sera lascia ben poco spazio al sollievo. 

Bevo un sorso dal mio bicchiere, prima che il sorriso di Anthea mi distragga dalle luci dei palazzi. 

"Sono così contenta che tu sia qui." Ribadisce. Sembra stranamente emozionata, forse addirittura un po' nervosa. 

"Sicura che vada tutto bene?" Le domando. Lei annuisce, ma non mi sembra molto certa della sua stessa risposta. Provo a indovinare il motivo per cui mi pare tanto sulle spine. "Non hai voglia di tornare a casa?"

"Non troppa."

"Se fosse per me, potresti stare un'altra settimana qui."

Sorride, ma si vede che è un commento che la rattrista. "Non posso. Ho un esame, ti ricordi? E poi non posso vivere sulle spalle delle mie amiche."

A me sembrano piene di soldi, ma tant'è. In effetti non è buona educazione trasferirsi abusivamente a casa loro. Dovrei evitare di fare questi pensieri egoisti, ma ogni volta che ricordo che domani dovrò salutarla e che la data in cui ci rivedremo è ancora da decidersi, mi si stringe il petto e provo una sensazione di angoscioso soffocamento. È un po' come quando si è pronti a lasciar andare una barchetta di carta in un torrente: l'ho ancora tra le mani ma so che è destinata ad andarsene. Eppure sono terrorizzato, perché una volta che l'avrò lasciata, non è certo detto che riuscirò a ritrovarla. Potrebbe affondare, andare alla deriva o semplicemente troppo lontano. Così vedo la nostra relazione. Fragile e delicata come carta, una vera opera d'arte minuziosa, pronta però a perdersi. Generalmente non sono un pessimista, ma a volte mi lascio prendere dallo sconforto e, come ho già detto una volta, ho fiducia in Anthea ma non in me stesso. 

"Certo. Lo dicevo perché mi mancherai."

"Anche tu mi mancherai. Cercherò di tornare presto."

Immediatamente provo una piacevole sensazione di dolcezza in mezzo al petto. L'ha detto lei, non gliel'ho chiesto io. Tornerà. 

"Possiamo trovare un modo. Domani come vai in stazione?"

"Mi accompagna Pam."

"Se vuoi, posso venire."

"Parto con il treno delle dieci. Non sei al lavoro?"

"Sì, ma passo prima. Che ne dici?"

"Jess, io ti voglio bene."

È un'affermazione che esula dal nostro discorso e sinceramente non mi aspettavo che sarebbe stata pronunciata tanto presto. Rimango per un secondo immerso in uno stato di profonda quiete emotiva, in cui non avverto altro che il freddo del mio bicchiere che lentamente mi intirizzisce le dita, la leggerissima brezza che mi sfiora la nuca e la presenza di Anthea al mio fianco. Non sento la musica, non sento le risate, non sento nient'altro. Sono incastrato nella resina d'ambra di un momento esemplare. 

Solo che, nel momento in cui sto per risvegliarmi e risponderle che sì, anche io le voglio bene, la portafinestra si apre di scatto e il viso di un individuo non ben identificato si affaccia, pendendo verso di noi. 

"Uuuuh!" Ulula. "Ecco dove ti eri nascosta, Atthea." 

Ci voltiamo assieme e incrocio il mio sguardo con quello di un ragazzo alto, con corti capelli castani, un sorriso luminoso e due occhi palesemente lucidi a causa dell'alcol. Anthea si irrigidisce appena al mio fianco e dopo un secondo di imbarazzo, risponde: "Ciao."

"Ti ho cercato per tutta la festa!" Si lamenta lui, incastrando nel pertugio della finestra un braccio massiccio, per abbeverarsi come una gazzella al suo bicchierone di birra. "Jenny non sapeva dove ti eri cacciata."

Mi sta venendo un dubbio. Un dubbio atroce. 

"Ciao." Gli dico, alzando la voce in modo vivace nella speranza che la sua mente obnubilata dall'alcol si renda conto che c'è un'altra persona su questo balcone. 

I suoi occhi vacui si posano su di me, come se fossi appena entrato nel suo campo visivo a mo' di falena che sfarfalla allegramente in giro. 

"Hey, bello." Mi dice, un pochino più spento di prima. "Non mi ricordo se ti conosco. Comunque io sono Troy."

Ecco. Sapevo di averci preso. 

"Piacere. Io sono Jess."

"Sto interrompendo qualcosa?" Improvvisamente la birra deve essere defluita tutta al fegato, perché la mente del ragazzo sta improvvisamente tornando lucida. Temo proprio che sia la mia presenza ad avergli indotto questo metabolismo ultraveloce. Non mi lascia rispondere, comunque, proseguendo con un: "Ma è il tuo ragazzo, Atthea?"

Anthea non ci pensa due volte e risponde: "Sì."

"Ahn." Troy sembra deluso, ma se ne sta facendo una ragione. "Peccato. Scusa, bello."

Scusa, bello? Si scusa con me? Dovrebbe scusarsi con lei, non è mica una mia proprietà.  

"Non volevo molestartela. Vero, Atthea?"

"Archaea." Lo correggo. 

"Ah sì, giusto. Archaea." Alza il bicchiere di birra ormai vuoto con sguardo sconsolato per un ultimo saluto e poi fa retromarcia senza voltarsi, probabilmente per la paura di rimanere incastrato nel vano della porta con la faccia fuori e il culo dentro. Appena la finestra torna socchiusa, Anthea scoppia in una risata che viene direttamente dal cuore. 

"Archaea?!"

"Ma non si chiamava mica Travis o Trevor?"

Anthea non riesce a smettere di ridere. Si copre la bocca con la mano nel tentativo di limitare le risate, ma ha gli occhi lucidissimi e sta quasi piangendo. A un certo punto inizia anche ad avere il singhiozzo, tanto che anche io mi metto a ridere. 

"Quindi sono il tuo ragazzo?" Le chiedo, stringendola a me con un braccio. Lei si appoggia e tra un hic! e l'altro ribatte: "Sono una donna... impegnata." 

"Ed è fantastico, perché sto assieme a un fortissimo organismo unicellulare!"

"Metanogeno!" Esclama, ricominciando a ridere. "Termofilo!"

"Ora penserà che ti chiami davvero Archaea. Ti cercherà su Facebook con quel nome."

"Troverà delle pagine molto interessanti in cui potrà farsi una cultura. Non pensi?"

Un po' comincio ad amarla. Come se fosse possibile fare il contrario.  

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