10. Orchestrina Terza Età
La domenica pomeriggio è sempre stata un lasso di tempo senza un perché. Un buco nero nel filo dei giorni della settimana. Un momento pressoché morto, che normalmente impiegavo come magazzino dei pensieri depressi. Poi, a un certo punto nella mia esistenza, ho capito che non potevo andare avanti così e ho deciso di porvi rimedio. In che modo?
Dovete sapere che in una zona molto tranquilla del quartiere in cui abito c'è un piccolo edificio a due piani, color mattone, circondato da un minuscolo giardinetto recintato con alberi di piccola taglia e un sentierino di ghiaia. Un posto pacifico, abbastanza anonimo. Niente di che, all'apparenza. Ma in realtà, in quel basso palazzo, si nasconde un mondo vivace, agitato, ancora con un'incredibile voglia di vivere.
Ebbene sì: si tratta di una casa di riposo. La Birch Grove Nursing Home. Casa di Riposo Boschetto di Betulle. Le betulle nel giardinetto non ci sono, ma i nomi dei ricoveri per la terza età spesso mentono.
Perché vi sto dicendo queste cose? Semplice: non sapendo cosa farmene della mia domenica pomeriggio decisi, un paio di anni fa, di iniziare a fare una specie di volontariato in questa piccolo ospizio. E anche questa domenica pomeriggio non faccio eccezioni.
Il Boschetto, come lo chiamiamo tra noi, non è un posto molto frequentato. Al suo interno dimorano una ventina di anziani, tutti ormai oltre la settantina. Le visite di figli, nipoti e pronipoti non sono così frequenti come uno potrebbe pensare e queste persone, se lasciate da sole, tendono lentamente a spegnersi. Per questo, di sabato e di domenica, un piccolo gruppo di giovani volontari si occupa di intrattenerli per qualche ora con varie attività: c'è chi si occupa di arte, chi di lettura, chi ancora di sport. E poi ci sono io, che mi occupo di musica.
Come tutti i miei colleghi, anche io ho il mio gruppo di fiducia da seguire. Lavoro con loro da quando ho iniziato questa attività. Sono cinque e penso di non esagerare quando dico che sono i peggiori vecchietti che io abbia mai incrociato sul mio cammino. Si tratta di due uomini e tre donne.
Il più anziano del gruppo è Wilfred Sullivan, ottantasette anni, conosciuti da tutti come il Generale Sullivan. È un ben piantato signore di colore, ormai sulla sedia a rotelle, che ebbe il suo ruolo in buona parte delle guerre, dagli anni Cinquanta in poi. La sua ultima missione, durante la Guerra del Golfo, si portò via la sensibilità delle sue gambe. Ma il Generale sembra crucciarsi più per i suoi baffetti ormai bianchi che per il resto.
La sua degna compagna in carrozzina si chiama Melody Gates ed è la cantante del gruppo. Bella signora che persiste nella fede in Dio e nella tinta per capelli, sotto un visino con labbra a cuore rigorosamente colorate di rosso corallo nasconde un'anima da ribelle. Temo che nessuno dei suoi cinque figli abbia lo stesso padre.
La migliore amica di Melody è May Singleton. Tra tutte sembra la più normale e tranquilla: parla poco, sorride spesso, ha il tipico viso di una nonna produttrice di biscotti, con candidi ricci e caldi occhi color nocciola. Ma è un'acqua cheta. Una vecchina con il cuore di una pestifera bambina di undici anni. Non si è mai sposata e la cosa non mi stupisce. Adora essere indipendente, soprattutto per un motivo molto concreto: scoprire tutto su tutti.
L'altra nonnina è molto diversa dalle sue colleghe. Non ha l'aspetto rassicurante tipico di una signora di una certa età: possiede un volto dalle fattezze caraibiche - giamaicane, per essere precisi - con una massa di capelli crespi bianchi, tenuti indietro da un cerchietto rosso fuoco. Ha ancora buona parte dei denti e legge tutti i giorni il giornale inforcando un paio di occhiali neri da uomo. Il suo nome è Marge Campbell, ma da tutti è conosciuta come Margarita. Il perché? Diciamo che è una donna dedita ai vizi.
L'ultimo - ma non meno importante - è Jacob Jacobson, il più giovane - solo settantasette anni, praticamente un adolescente - e il più chiacchierone della banda. È ebreo, fiero di esserlo e fiero dei suoi quattro figli, dieci nipoti e ventitré pronipoti. Tutti molto ebrei. Vive alla casa di riposo da quando è rimasto vedovo - saranno una decina d'anni - e da molto tempo ha stretto un legame forte con Margarita. Ma, credetemi, non come uno ci si può aspettare da due teneri vecchietti negli ultimi anni fiorenti. La definirei piuttosto un'associazione a delinquere.
Bene, questo è il mio gruppo. Interessante, no?
Quando arrivo al Boschetto, alle due in punto, sento immediatamente una voce conosciuta che si leva dalla saletta di musica del primo piano.
"E non mi toccare, Goji! Ho ancora le gambe, lo hai notato?"
"Ma, signor Jacobson..."
"Aaaah, basta. Basta! Se cado e mi rompo il femore sarò affar dei miei figli. Non tuo."
"Teoricamente, signor Jacobson..."
Arrivo appena in tempo per vedere Jacob mentre si siede scocciato sulla sua poltrona preferita mentre Stuart, il più giovane tra gli infermieri, gli sta dietro con la paura che cada per davvero. Con spregio il vecchietto sistema i piedi in ciabatte sullo sgabello davanti a sé e sorride al ragazzo.
"Vedi? Anche oggi non riceverai una denuncia per omissione di soccorso."
"Jacob!" esclamo. Entrambi si voltano a guardarmi. Vedo del tangibile sollievo sul volto di Stuart.
"Ciao, Jess."
"Oh, guarda chi si vede. Il nostro cinesino artista."
"Anche io sono felice di vederti."
Appoggio la custodia del violoncello e faccio un cenno a Stuart.
"Tranquillo, me ne occupo io."
Grazie sussurrano i suoi occhi e le sue labbra, mentre fugge dalla presenza di uno dei peggiori residenti del Boschetto. Sorrido a Jacob e scuoto la testa, mentre lui sospira rumorosamente affondando nella poltrona.
"Finalmente quel Goy se n'è andato. Sono sempre più infastidito dalla sua presenza. Signor Jacobson qui, signor Jacobson là... mi crede rincitrullito?"
Goy è la parola ebrea che Jacob usa sempre per indicare tutto ciò che non rientra nel Popolo Eletto. Goji è la versione che utilizza con Stuart, perché il poveretto non capì la parola la prima volta che la sentì e chiese a Jacob cosa volesse dire utilizzando il nome di una bacca.
"È solo preoccupato per te, perché sei un nonnetto spericolato."
"Avresti dovuto conoscermi quando ero giovane. Allora sì che ero spericolato. Ora cerco solo di non morire di noia, in questo ospizio di Goym."
"Ma quando la smetterai, vecchio cicalone?"
Nel vano della porta compare Melody, accompagnata da May, che è da tempo immemore la responsabile della sua carrozzina. La seconda si illumina quando mi vede.
"Jess! Caro!"
Rispondo al saluto alzando un cappello invisibile. "Signora... E signorina."
"Cosa vuoi, Melody? Non stavo mica parlando con te. Piuttosto, dov'è Marge?" Chiede Jacob, disinteressandosi in modo palese delle due arrivate e cercando qualcuno alle loro spalle.
"Arriva. Chi si occupa di Genny altrimenti?"
"Se sentisse che lo chiami ancora così darebbe in escandescenze." Le ricordo, mentre do un bacio a May e l'aiuto a sistemare l'amica al suo posto.
"Se sentisse? Ma se è sordo!"
"Chi è sordo?"
Se è vero che se si parla del diavolo spuntano le corna, se si parla del Generale Sullivan spunta lui stesso in tutto il suo splendore di sedia a rotelle e baffi, accompagnato dalla più scattante vecchina dell'America Centrale.
"Ciao, Jess."
"Generale. Ciao, Margarita."
"Margie!" Esclama Jacob. "Li hai portati?"
"Dico solo che il sordo è appena arrivato." Rincara la dose Melody.
"Mel, smettila di dar fastidio a Genny." Aggiunge May.
"Genny? Ancora?"
"Certo che li ho portati."
Mentre Melody, May e il Generale iniziano a bisticciare come al solito - le prime due sono delle bambine pestifere che si divertono a farlo impazzire - Marge abbandona il suo accompagnatore e recupera una borsetta di plastica che teneva appesa su uno dei due manici. Mi passa di fianco facendomi un sorriso e subito dopo appoggia sul tavolino davanti a Jacob una piccola scatola di legno scuro e lucido. Li fisso e sospiro, arreso.
"Che lusso." Esclama il signor Jacobson, piegandosi verso la scatola e sollevando appena il coperchio.
"Direttamente da Cuba." Dice soddisfatta Marge. "Robert me li ha portati ieri."
Robert è l'unico figlio maschio di Marge. È capitano di una nave mercantile di una grande azienda di import-export. Ed è il peggior viziatore della propria madre che io conosca.
Jacob infila due dita nella scatola e ne estrae un lungo sigaro, se lo porta al viso e lo annusa. Subito dopo fa un gran sorriso alla sua amica.
"Ottima scelta."
"Ci basteranno per un paio di settimane. A meno che non ne vendiamo un paio alla camera 13."
"Questa volta però li facciamo pagare il doppio."
Cosa vi avevo detto? Associazione a delinquere della terza età.
"Ragazzi, non vorrei mettere fretta a tutti quanti, ma... Iniziamo?" Chiedo, sapendo bene che i miei cinque vecchietti sarebbero anche capaci di passare un paio d'ore come stanno facendo. May e Melody smettono di torturare il povero Sullivan e mi rispondono: "Scusa, caro", lasciando finalmente respirare il Generale, che borbottando gira le ruote della carrozzina fino all'armadio in cui tiene il suo strumento. Anche se è parecchio anziano e non ha più i polmoni di una volta, ama ricordare i bei tempi nell'esercito suonando la tromba. Mi volto a guardare Marge e noto che magicamente ha fatto scomparire la scatola. È più veloce di uno scoiattolo, quando vuole.
"Bene." Dice tra i denti - perché sì, si è comunque infilata un sigaro in bocca - prendendo posto al vecchio pianoforte a coda che è praticamente di sua proprietà. "Cosa vogliono sentire questi falsi giovani?"
E detto ciò strimpella qualche nota di The Entertainer di Scott Joplin, la sua preferita. Melody sbuffa e dice, sopra le note: "Qualcosa di più cantabile, Margarita."
"Puoi sempre fare nanananà, Mel."
"Sono una cantante."
"Allora fai nanananà in playback."
"Come i cantanti fanno sempre ai concerti." Conviene Jacob, anche lui sigaro-munito acceso - chissà dove lo tengono l'accendino - togliendo dalla piccola custodia a fianco della poltrona il suo violino antico.
"Non cantano in playback. Almeno, non tutti." Preciso, mentre recupero una sedia.
"Certo che lo fanno, Jess. Lo hanno sempre fatto."
"Io no." Puntualizza Melody.
"Ma tu non vali." Risponde Marge. "Tu cantavi nei locali. Mica puoi cantare in playback nei locali. Ti scoprono subito."
May si siede accanto a me con la sua armonica e mi sorride. "Sei tu il capo, Jess. Diccelo tu."
Tutti mi guardano, in attesa. Ci penso un po' e alla fine propongo: "Che ne dite di Sinatra?"
"Veeecchio!" Protesta Jacob.
"A me piace." Dice il Generale. "Possiamo fare Fly me to the Moon?"
"No." Ribadisce il più intrattabile ebreo che io abbia mai conosciuto.
"Certo che sì." Ribatté Marge, e dà il la con le prime note. Melody si stringe nelle spalle e si prepara a cantare con la sua bella voce, mentre anche io mi unisco al gruppo pizzicando le corde del violoncello. Alla fine, quando anche May ha cominciato a soffiare nel suo piccolo strumento, Jacob si arrende e improvvisa. Devo dire che tutti sono molto portati per la musica, ma il signor Jacobson ha un talento in più: quello dell'improvvisazione. Ha il ritmo nel sangue. E ciò è divertente, dal momento che non faceva il musicista di lavoro, ma il commercialista. Per quanto ne so è stata sua moglie Linda a fargli nascere la passione. Doveva vederci lungo, la signora Jacobson.
Ma il mio vecchietto talentuoso ha anche un difetto: utilizza l'improvvisazione come un'arma. Dopo nemmeno un minuto e mezzo di canzone, infatti, Fly me to the Moon all'improvviso inizia a ribollire e muta. Muta, trasformandosi in Another bite to the dust.
"Oh, ma andiamo." Protesta Sullivan, ma il gioco consiste proprio in questo: adeguarsi. Nessuno l'ha deciso e nessuno l'ha pianificato. È semplicemente successo che, dati i gusti molto eterogenei del gruppo, ci si diverta così: cambiando la canzone come in una specie di juke-box vivente. A Stephanie piacerebbe tantissimo questo gruppo di anziani vivaci. A proposito, chissà come è andato il provino. Continuo a chiedermelo e puntualmente lo dimentico.
Distratto per un secondo da questo pensiero mi perdo il nuovo cambio di canzone - questa volta è Melody che alza la voce e intona Thank you for the music - e stecco.
"Hey, cinesino!" Mi apostrofa Jacob. "Stai attento!"
"Stai attento tu." Mi difende May, per poi darmi di gomito. "Come se lui non steccasse mai, con quel dannato violino."
"No che non stecco." Ribatte infastidito, lanciandosi in un virtuosismo più barocco che ABBA, mentre la puzza di sigaro ha ormai invaso la nostra saletta. Ormai ci sono abituato.
Quando Melody sta per intonare per la seconda volta il ritornello - sul verso Who found out that nothing can capture a heart like a Melody can si emoziona sempre - cambio elegantemente la melodia in qualcosa di più moderno, qualcosa come Elastic Heart. È molto più recente del nostro solito repertorio, ma io so che loro la conoscono. Conoscono tutte le canzoni di Sia, grazie a me e, sì, alla radio. Infatti nessuno si stupisce e Melody mi fa un occhiolino.
La domenica pomeriggio, come ogni domenica pomeriggio da due anni, trascorre incredibilmente veloce tra canzoni, dispetti, motivetti rag time e puzza di sigaro. Come al solito, dopo una mezz'oretta, ci troviamo il pubblico sulla porta, un gruppetto di vecchini annoiati, chi in treppiede chi in sedia a rotelle.
"Le mie groupie." Dice Jacob ogni volta e io rido, perché non ha tutti i torti. Però questa volta mentre rido, penso a quello che non ho ancora fatto. E mi decido, mentre May decide di dedicare la chiusura a Walking back to happiness di farlo la sera stessa.
Anthea, spero tu sia pronta, perché io non lo sono affatto.
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