Cap. 37: Allevamento sperimentale
L'interno era ampio e, se non fosse stato per le finestre alle pareti, sarebbe stato anche molto luminoso. c'erano alcuni lucernari sul soffitto, ma erano stati tappati tutti a eccezione di uno, che invece era stato sfondato per lasciar passare la colonna di fumo prodotta da un bidone pieno di legna, su cui Ben gettò rapidamente un secchio di terra per soffocare le fiamme, ormai inutili.
Si trovavano nella sala principale, dove normalmente avrebbero dovuto trovarsi le panche della navata, ora ammassate in un angolo e ridotte a un mucchio di schegge e assi spezzate, sicuramente per alimentare il fuoco. L'altare era stato usato come tavolo improvvisato, infatti c'erano ancora una sedia accanto e degli avanzi sopra, insieme a una pistola e a un pacchetto di sigarette aperto.
Un sacco a pelo disfatto era gettato da una parte, vicino ad alcuni abiti aggrovigliati, altri avanzi e ad una bottiglia d'acqua mezza vuota, e dalla parte opposta della sala c'erano armi di fattura sicuramente militare, sistemate un po' alla rinfusa.
- Scusate il disordine...- disse Ben - ... siamo qui da un po' e non ho avuto molto tempo per riordinare, oggi.-
- Dove sono tutti?- chiese Carol.
Ben ebbe un attimo di spaesamento, cadendo dalle nuvole.
- Tutti?- chiese.
- Avevi detto che avevate trovato un elicottero caduto, stavate aiutando i sopravvissuti.- gli ricordò Madison.
- Ah, sì...- ridacchiò lui, agitando vagamente una mano - Sì... no, loro... sono andati.-
- Andati?- ripeté lei, sgranando gli occhi.
- Sì... ci hanno preceduti. Verso la base.- chiarì - Sono venuti a prenderli con un camion. Non avevamo modo di portarli con noi...-
- Perché non li avete seguiti?- chiese Carol.
- Brown voleva rimanere. Pensava ci fosse qualcun altro. Poi voi avete chiamato...- agitò di nuovo una mano, scuotendo la testa - Aaah, il punto è che ora siamo tutti qui, no? Dai, mettetevi comodi. Io salgo sulla torretta e vedo dove sono gli altri.-
- Non li puoi chiamare?- chiese Jessie, mentre lui usciva di nuovo.
- No, abbiamo esaurito le batterie delle radio.- rispose - Tranquilli, ci metto poco.-
Uscì in fretta, chiudendosi la porta alle spalle.
- Il tuo amico mi sembra un po' strano.- commentò Alex, incrociando le braccia.
- Beh... ne ha passate tante.- rispose Jessie.
- C'è comunque qualcosa.- disse Madison, muovendo qualche passo incerto nella stanza - Forse dovremmo ripartire subito. Troviamo quei suoi amici soldati e andiamo via.-
- Tra poco sarà notte.- le ricordò Carol - E questo posto sembra abbastanza sicuro. Ha porte solide e muri spessi.-
- Come tutte le chiese.- commentò Kevin, guardando il crocifisso appeso alla parete dietro l'altare - Perché non ne abbiamo mai cercate prima?-
- Perché non avevamo molte alternative.- rispose Jessie - Piuttosto, pregate che nella sacrestia ci sia acqua corrente... mi voglio lavare.- aggiunse, dirigendosi verso la porta in fondo alla navata.
- A giudicare da Ben, direi di no...- commentò Day.
I servizi igienici si rivelarono abbastanza puliti, e la pressione dell'acqua sufficiente a far funzionare la doccia. Finalmente i saponi che Maddie aveva insistito tanto per caricare furono veramente utili a tutti, consentendo loro di darsi una bella pulita per la prima volta in molti giorni. Jessie colse anche l'occasione per sistemarsi la barba, anche se in modo un po' approssimativo, prendendosi il suo tempo prima di uscire dal bagno: non era la prima volta che si rifugiavano in un posto dove era possibile lavarsi, ma tra la fretta, i problemi, la costante minaccia degli zombie, i drammi e tutto il resto avevano sempre finito con lo sciacquare sì e no le mani prima di mangiare. Figuriamoci se aveva trovato il tempo per radersi.
Quando ebbe finito si concesse un momento per guardarsi bene allo specchio: i tagli che si era procurato nell'incidente con la macchina erano ancora lì, ma avevano già cominciato a rimarginarsi e nel giro di un paio di giorni sarebbero guariti di sicuro. I più recenti (come quello originatosi dal suo impatto col telaio di alluminio della porta) avevano ancora bisogno di un po' di tempo, mentre i lividi avevano invece assunto una colorazione giallastra.
Senza più sporcizia e con la barba un minimo più curata, comunque, sembrava quasi normale, anche se un po' ammaccato. Era la prima volta dall'inizio di quella storia che si sentiva di nuovo un essere umano.
Ben tornò solo molto tempo dopo, quando ormai avevano tutti finito di lavarsi (a parte Madison, ancora chiusa in bagno). Jessie notò che aveva gli occhi un po' arrossati, e aveva recuperato il cappello.
- Ehi.- gli disse Jessie, che in quel momento stava aprendo con Kevin, Amy e Carol alcune scatolette di tonno per la cena - Allora?-
Lui si avvicinò in silenzio, lo sguardo un po' annebbiato, fermandosi ad alcuni passi da loro.
- Cosa?- chiese confusamente.
- Brown e gli altri.- gli ricordò Alex, che stava esaminando le armi insieme a Day- Quando tornano?-
- Ah... è troppo tardi. Il sole sta tramontando, avevano detto che si sarebbero accampati da qualche parte se non avessero fatto in tempo.- rispose Ben.
Jessie aggrottò la fronte, alzandosi in piedi.
- Sei sicuro di stare bene?- gli chiese - Sembri davvero provato.-
Lui scosse la testa, sorridendo. Il suo sguardo cadde di nuovo su Day, che distolse il proprio.
- Sì, è tutto a posto.- rispose - Questi giorni sono stati... parecchio difficili. Ho fatto amicizia con persone che ho visto morire davanti a me, non ho quasi dormito, e poi... sai, Meg e i bambini...-
Jessie annuì.
- Se qualcosa non va...-
- Jessie... sto bene!- rise lui, allargando le braccia - Davvero.-
Prese dalla tasca un foglio ripiegato e glielo tese.
- Tieni, questo è per te.- disse - Nell'elicottero precipitato c'era un telefono satellitare funzionante. Ho dovuto spegnerlo per conservare batteria, ma prima abbiamo chiamato la base. Gli abbiamo riferito quello che avete detto a me... mi hanno dettato questa roba, è per te.-
Jessie prese il foglio, un po' perplesso, e lo aprì.
Signor Shaw
Io sono il dottor Cordova, un tempo vicedirettore del CDC. Mi trovo al momento all'interno della Base Ultima Speranza sotto la protezione di un gruppo di militari insieme ad alcuni civili provenienti dal territorio.
Io e i miei pochi colleghi stiamo lavorando ad una cura. Abbiamo avuto modo di stabilire che questo morbo si è originato a causa di una combinazione mutante della recente influenza con un pericoloso prione, che hanno aggredito il cervello delle persone infettate producendo gli effetti che vediamo. Le risparmio i dettagli per quando potremo parlare.
A quanto mi ha detto il suo amico, il signor Vikers, lei è attualmente in compagnia di una persona che dopo un'aggressione da parte di un infetto ha mantenuto la propria salute.
Se ciò è ancora così, la prego di chiamarmi quanto prima. Sicuramente comprenderà l'importanza di quella persona. Lei potrebbe salvare il mondo.
- Era parecchio eccitato quando gliel'ho detto.- ridacchiò Ben.
- Perché non mi hai dato questo foglio prima?- chiese Jessie, sventolandolo - Dai, dov'è il telefono?-
- Ah, lascia perdere...- commentò lui - Ormai è tardi. Tolgono l'energia non necessaria alla base dopo il tramonto, ha detto di chiamarlo dopo l'alba. Domani potrai parlarci.-
- Non potremmo almeno provarci?- chiese Kevin.
- Non servirebbe, ve l'ho detto.- insisté Ben, iniziando ad accigliarsi - E poi il satellitare se l'è portato via Brown, finché non torna lui non possiamo usarlo comunque.-
Jessie scrollò le braccia, sconfitto.
- Va bene.- disse - In questo caso, tanto vale mangiare. Ne riparleremo domattina.-
***
Si accamparono nella navata, senza parlare molto, infilandosi ognuno nel proprio sacco a pelo. Malgrado la stanchezza Jessie rimase per un po' a fissare il soffitto, insonne, le orecchie tese per cogliere qualsiasi segnale di allarme: Ben aveva detto più volte che non serviva montare la guardia, perché quell'edificio era sicuro e nessuno sarebbe riuscito a entrare, neanche gli zombie, la maggior parte dei quali ormai lontani dalla città.
Lui d'altra parte non si sentiva sicuro. Era un posto nuovo, per loro sconosciuto, e anche se davanti agli altri aveva negato e lo aveva difeso, Ben gli era sembrato diverso dall'ultima volta che si erano visti. Voleva stare tranquillo, e almeno per qualche ora montare la guardia. Avrebbe dormito sul furgone durante il viaggio.
- Ehi!-
Il sussurro di Maddie lo fece quasi rotolare per lo spavento, inaspettato e improvviso come un colpo di cannone.
- Maddie!- sibilò furioso, voltandosi verso di lei - Mi hai spaventato a morte!-
Lei si strinse nelle spalle, avvicinandosi carponi. Per un istante davanti agli occhi di Jessie balenò l'immagine di una piccola undicenne ossuta che s'infilava nel suo letto perché aveva paura dei fulmini.
- Voglio uscire.- disse, riportandolo alla realtà.
- Cosa? Perché?- chiese Jessie, sedendosi.
- Perché voglio vedere cosa c'è nell'altro edificio.- rispose Madison, accigliata - Prima di farmi la doccia ho guardato fuori dalla finestra e l'ho visto uscire da lì.-
- Non ti piace proprio, Ben.- commentò Jessie.
- Andiamo, anche tu hai pensato che c'è qualcosa di insolito in lui, te l'ho letto in faccia.- disse Maddie, roteando gli occhi - E non raccontare storie a me. Forza, accompagnami!-
Lo strattonò per il braccio finché non si fu messo in piedi, costringendolo a seguirla con le scarpe in mano. Sgusciarono in silenzio fuori dalla chiesa, nell'aria scura e fredda della notte. Il cielo era coperto, e l'unica fonte di luce si rivelò essere la torcia che Madison aveva portato con sé; continuando a tirarselo dietro si diresse verso il retro dell'edificio, costringendolo a saltellare nel tentativo di mettersi l'ultima scarpa. Puntò direttamente verso la doppia porta del padiglione ottagonale che avevano visto arrivando, fermandosi solo quando furono davanti alla porta, lasciandolo finalmente andare.
- Cosa pensi di trovare qui dietro?- chiese Jessie, stringendo i lacci.
- E io cosa ne so?- chiese - Per questo lo voglio sapere. È sospetto, no?-
- Io...- Jessie scosse la testa - Boh, non lo so. Ma come speri di fare?- chiese, indicando la serratura - Sarà sicuramente chiusa a chiave, no?-
- E tu forzala!-
- Ho lasciato il piede di porco sul Transit.-
- Dio!- sbottò lei - Sei inutile!-
- Siamo nei pressi di una chiesa, devi proprio imprecare contro Dio?-
Maddie fece un verso esasperato, dandogli una serie di pugni sulla spalla per poi guardarsi intorno, scandagliando il terreno con la torcia. Trovò un sasso particolarmente grosso e lo lanciò contro il pannello di vetro. Riuscì solo a fare un bel po' di rumore e a far ridacchiare Jessie.
- Prova tu, che sei così bravo.- sbuffò.
Lui raccolse la pietra e si avvicinò al vetro, colpendolo con tutte le proprie forze più di una volta. Gli ci vollero un paio di colpi (era piuttosto solido, solo nei film lo rompevano al primo colpo) ma riuscì a mandarlo in frantumi, aprendo la strada.
- Spera che non ci abbiano sentito.- commentò, prendendo la torcia e precedendola.
Superarono il piccolo ingresso e aprirono la porta successiva, stavolta di metallo; un odore tremendo uscì come una folata di vento disgustoso, facendoli tossire tutti e due, chini con le mani sul naso nel disperato tentativo di non vomitare.
Era un fetore nauseabondo, metallico e dolciastro allo stesso tempo, e saturava tutto il padiglione. Tossendo, Jessie puntò il fascio di luce nel buio, ora veramente preoccupato, illuminando la stanza.
***
Day si rigirò nel sacco a pelo, svegliata da un sogno orribile di cui riusciva a ricordare solo pochi dettagli: c'entravano sua madre e suo fratello, di questo era sicura. Forse anche un leone.
In ogni caso, aveva troppa paura e provava troppo disagio per riaddormentarsi: il duro pavimento freddo della chiesa non era un giaciglio molto comodo, neanche con la stuoia isolante a fare da filtro, e poi iniziava a sentirsi sempre più esausta in generale. Si vergognava un po' al pensiero, ma sperava davvero che Jessie avesse ragione dicendo che, in quanto preziosa ai fini di una cura, la trattassero con tutti i riguardi e le dessero un dannato letto per dormire. Forse era una cosa infantile e un po' egoista, ma sacchi a pelo e fondi di furgone non favorivano il riposo, e con tutto quello che era successo le mancava la miserabile vita da precaria che abitava in un monolocale che faceva prima.
Si ridistese sulla schiena con un sospiro sfinito, chiudendo gli occhi un momento e invocando il sonno. Smise di farlo quando sentì qualcosa di freddo e duro sulla fronte.
Riaprì gli occhi, trovandosi la canna di una pistola in mezzo alle sopracciglia.
***
Sul fondo della sala, che sicuramente era stata un refettorio, c'erano tre persone inginocchiate a terra. O meglio, tre zombie.
Erano una donna, una ragazzina forse dell'età di Amy e un bambino di sei o sette anni, tutti a quattro zampe sopra un corpo ormai ridotto praticamente all'osso che, a giudicare dai resti dei vestiti, un tempo era appartenuto a un militare. Robuste catene erano legate saldamente alle loro caviglie, impedendo loro di allontanarsi troppo dal calorifero a cui erano stati assicurati.
La donna aveva i capelli neri, sfatti e insanguinati, che le arrivavano fino alle spalle. Dei tre era quella che aveva ricevuto più morsi di tutti, forse perché aveva usato il suo corpo per proteggere i bambini, e infatti ne aveva diversi sulle braccia, sul collo, sul torso e sulle gambe.
La ragazzina aveva i capelli castano scuro, portava una gonna strappata e le mancava almeno mezzo braccio. Malgrado il volto sfigurato dalla malattia, Jessie riuscì a vedere una somiglianza con la madre; entrambe, probabilmente, erano state molto belle in vita.
Il bambino, invece, aveva un che di familiare, dei tratti squadrati e appuntiti che non gli erano estranei. I suoi capelli erano neri, ma ne mancava una parte, strappata brutalmente via insieme a un po' di scalpo. Era il più famelico dei tre, e squarciava interi brani di carne con le mani prima di portarseli alla bocca.
C'erano altri due cadaveri nella stanza, oltre a quello che stavano divorando. Uno era già totalmente scarnificato, e giaceva abbandonato in un angolo ridotto a un mucchio di ossa insanguinate e intaccate dai segni dei denti; l'altro era ancora integro, almeno per il momento, a eccezione di un foro di proiettile sul petto. Apparteneva a un uomo sulla cinquantina, dai capelli già bianchi e dal taglio regolare, anche se un po' disordinati dai giorni di fuga. Jessie si avvicinò cautamente, sempre coprendosi il naso e respirando il meno possibile, guardando le piastrine.
- Maggiore Jordan Brown.- recitò.
Madison ebbe un singulto.
- Oddio...- gemette - Jessie... da quanto credi...?-
- Giorni. Forse da prima che chiamassimo.- rispose.
Madison guardò i tre morti viventi, così impegnati a mangiare da non badare granché a loro. Aveva gli occhi lucidi.
- Pensi che...-
- Sì, lo penso.- rispose Jessie, guardandoli a sua volta - Non ci sono superstiti. L'elicottero aveva caricato qualcuno infetto che ha contagiato gli altri, e per questo è precipitato. Loro sono la famiglia di Ben.-
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