Cap. 32: Sintomatologia non pervenuta

Appena erano arrivati Day si era rintanata in una camera da letto in disparte al primo piano, chiudendo la porta. Jessie, in piedi in corridoio, raccolse dal pavimento la gavetta che avevano lasciato lì qualche ora prima, la scatola di zuppa ancora chiusa al suo interno.

- Day?- la chiamò, battendo un paio di colpi alla porta - Day, apri, devi mangiare.-

Attese una risposta che tuttavia non venne. Mise l'orecchio sul legno, sentendo un singhiozzo sommesso e un naso che veniva soffiato. Di certo non stava dormendo.

Okay... io l'occasione gliel'ho data.

Aprì la porta senza aspettare il permesso, trovando la stanza immersa nella penombra. Il sole era ormai già tramontato da quasi un'ora, e la luna era l'unica cosa che illuminasse la stanza, filtrando attraverso un buco nelle nuvole e dalla finestra, che Day non si era curata di tappare. Non che fosse fondamentale, considerando che probabilmente non aveva nemmeno lasciato quel letto.

La camera in sé era piccola, molto probabilmente appartenuta a un bambino, parecchio disordinata e ingombra di giocattoli mal riposti, poster di squadre di football e baseball e un intero scaffale di libri di scuola polverosi. Sulla piccola scrivania sotto la finestra c'era una lampada rovesciata e un terrario rotto.

Day era sdraiata sul letto posto di traverso a metà parete, e gli dava le spalle. Si era stretta al cuscino con tutte le sue forze, e se ne stava immobile sul proprio fianco come se fosse un tronco abbattuto.

- Okay, lo so, sei a pezzi.- disse Jessie, chiudendo la porta - Mi dispiace per quello che è successo, ma è importante che ti riprenda. Normalmente potresti rimanere lì dove sei fino a morire di fame, ma nella nostra situazione sarebbe davvero il minore dei problemi.-

Day continuò a ignorarlo, strofinandosi il naso con le dita, senza voltarsi.

- Pensi che vorrebbero questo?- chiese - Che ti lasci andare? Abbiamo bisogno di te, Day, e lo devi fare anche per loro.-

Non ci fu ancora una benché minima risposta, e anzi si strinse ancora più forte al cuscino, raccogliendo le gambe in posizione quasi fetale. Trattenendosi dal roteare gli occhi, Jessie posò la gavetta sul comodino e allungò la mano verso la sua spalla.

- Non toccarmi!-

Sorpreso, Jessie si immobilizzò per un attimo prima di tirare indietro il braccio.

- Scusa.- disse subito dopo Day, girandosi sulla schiena. Aveva il volto lucido di lacrime e gli occhi gonfi - Io... voglio solo starmene in pace, Jessie.-

- Day...- sospirò lui, sedendosi sul bordo del materasso - Ora lascia che ti dia un consiglio da chi sa come ti senti.-

La ragazza lo guardò dal sotto in su, sfregandosi gli occhi con una manica.

- Lo sai? Come lo sai?- chiese.

- Nel modo più ovvio.- rispose - Avevo undici anni quando i miei sono morti.-

Day rimase in silenzio per un momento, mettendosi a sedere lentamente.

- Non lo sapevo.- disse.

- Sì... dopo sedici anni che ci convivi tendi a non pensarci troppo.- ammise - E quando è successo ho attraversato tutte le fasi descritte da qualsiasi manuale di psicologia infantile, inclusa questa.- ripensò per un momento al periodo immediatamente successivo al funerale, quando ormai gli era impossibile negare quanto accaduto - Io ce l'ho avuta a morte con loro.- raccontò - Ero arrabbiato perché se n'erano andati, e subito dopo ho iniziato ad avercela con chiunque altro. Tutti volevano parlarmi di "come mi sentivo", volevano che "esternassi le mie emozioni".- scosse la testa senza sorridere - Volevo solo stare chiuso in una stanza a cuocere nel mio brodo, ma nessuno voleva lasciarmi solo. Ho fatto più a pugni in quel periodo che in tutto il resto della mia vita.-

Day non disse niente, lasciando andare il cuscino in modo quasi inconsapevole, lo sguardo fisso sulle proprie ginocchia. Alla fine chiuse gli occhi e sbuffò.

- Non ti voglio prendere a pugni... credo.-

- Aspetta, non ho finito.- disse Jessie - Manca la parte in cui l'ho superata.-

- E quando è successo?-

- Quando ho smesso di piangermi addosso.- rispose - Ma non ho fatto tutto da solo, ovviamente... Maddie e la sua famiglia mi sono stati vicini. Lei irrompeva anche in camera mia e saltellava sul mio letto gridando che voleva giocare, quando era piccola. Tu puoi appoggiarti a noi come io ho fatto con loro.-

Day sospirò ancora, passandosi le mani sulle guance madide con le mani.

- Immagino che siate tutti stanchi di me, vero?-

- Perché lo pensi?-

- Perché finora non sono servita a niente. Mi sono solo fatta salvare.- rispose - Tutto quello che so fare è dire che un quadro è bello e scrivere di quanto il municipio sprechi per pubblicizzare un evento pubblico invece di pulire le strade. Tu sei un elettricista zombologo, Alex è un soldato... persino Kevin è stato più utile, ed è solo un ragioniere.-

- Okay, questo non diciamolo a Kevin...- ridacchiò Jessie - Ti preoccupi troppo del nostro giudizio ma, se può farti stare meglio, parlare con te mi piace. Se non altro allevia la tensione.-

- Cosa vuoi dire?-

- Abbiamo viaggiato più di mezz'ora prima di arrivare a Tea, stamattina, e a malapena pensavo agli zombie.- rispose - E anche ieri sera... non era una delle mie storie preferite, ma te l'ho raccontata abbastanza volentieri, tutto sommato. Sei divertente, Day. Non sottovalutare l'importanza del divertimento, nella nostra situazione. Può salvare la vita, e tu puoi sempre imparare a fare qualcos'altro.-

- Tipo?-

- Beh, non lo so... io oggi ho imparato a sparare.- disse Jessie - A te va di imparare a cablare un appartamento?-

Day scoppiò a ridere, anche se smise abbastanza presto, guardandolo con gli occhi un po' rossi.

Successivamente Jessie perse un po' il filo degli eventi e non seppe dire con certezza come fosse successo, ma si ritrovò Day che lo teneva stretto e lo spingeva sul materasso, cercando al tempo stesso di togliergli la maglietta.

***

In effetti Jessie spense completamente il cervello a quel punto, dimenticandosi di dov'era e di cosa aveva intorno. Mise l'apocalisse degli zombie e le persone che aveva visto perdere la vita in un cassetto chiuso a chiave, insieme al pensiero di essere sdraiato sul letto di un bambino ignoto e forse morto in una casa estranea con un mucchio di gente al piano inferiore (tra cui una ragazzina) che a malapena conosceva e con Maddie e Kevin ad appena un corridoio e mezzo di distanza. Smise anche di preoccuparsi del fatto che entrambi avevano bisogno di farsi una doccia.

Si limitò a rispondere a baci e carezze, mentre una tensione che nemmeno sapeva di avere cominciava a sciogliersi, liberando i suoi muscoli doloranti e la testa invasa dalle preoccupazioni. Il suo lato più istintivo ed egoista ebbe il sopravvento, imponendogli di lasciar perdere tutto per una volta e pensare solo a se stesso, stavolta per davvero.

Rispose ad ogni gesto di Day che, forse per disperazione, forse per sentirsi viva, gli stava dando e chiedendo. Entrambi sentivano il bisogno di un po' di calore umano.

Le loro bocche si separarono di rado, solo per tirare un sospiro o poco di più, eppure in qualche modo Jessie riuscì a sfilarsi la maglietta e cominciò a fare lo stesso con Day, passandole le mani sulla schiena, risalendo lungo la sua spina dorsale fino al gancio del reggiseno, sentendo la pelle liscia e regolare della donna sotto le dita.

Solo dopo qualche istante il suo cervello gli disse di tornare indietro, scuotendosi in un modo o nell'altro dal torpore che l'aveva colto, avvertendolo che i suoi polpastrelli avevano percepito un'irregolarità sul suo fianco sinistro, qualcosa di ruvido, di frastagliato.

Toccò di nuovo, e comprese che era una crosta.

Riprendendosi completamente, Jessie la allontanò appena, guardando sorpreso il suo fianco, e vide chiaramente una ferita che aveva già iniziato a rimarginarsi.

Era il segno di un morso.

***

- Ah, quello...- disse Day, seguendo il suo sguardo - Tranquillo, non è niente... è stato uno degli zombie che mi hanno aggredita qualche sera fa, quando ero con Sloper.-

Si chinò di nuovo su di lui, ma Jessie la allontanò ancora.

- Day...- disse con voce tremante - Ti hanno morsa... tre giorni fa?-

- Beh... sì.- rispose lei, confusa - Dai, te l'ho detto, non è niente.-

- No... Day, non è una cosa che puoi cancellare con un "non è niente"!-

Lei sbuffò, sedendosi a cavalcioni sul suo stomaco con le mani sui fianchi, accigliata. Jessie continuò a fissare il suo fianco nudo e poi lei, incredulo e con il cervello di nuovo attivo, che adesso lavorava a mille senza più volersi spegnere.

- D'accordo, un tizio mi ha morsa, e allora? È quello che fanno, lo hai detto tu, ci mangiano vivi! Ora, vuoi continuare a parlare del mio morso o vuoi scopare?-

- Day, non capisci?-

- Io capisco solo che se non ti va devi solo dirlo, senza fare...-

- Day... Day!- esclamò Jessie, prendendole il volto tra le mani e costringendolo a guardarlo negli occhi - Tu sei immune.-

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