Cap. 18: Sopravvissuti

Kevin scosse la testa, allontanando l'orecchio dalla porta, oltre la quale si sentivano i suoni ovattati dei passi e dei lamenti dei non morti che erano riusciti a entrare nel palazzo. Jessie e Madison rimasero in silenzio, come congelati, in attesa.

- Non credo che sappiano dove siamo.- disse alla fine lui - Stanno semplicemente camminando qui fuori, per le scale.-

- Bene, ma abbassa la voce.- si raccomandò Jessie in un sussurro - Se ci sentono è la fine.-

Kevin annuì.

- Va bene... procediamo?-

Lui fece un cenno col braccio, per dire loro di precederlo lungo il corridoio. Kevin andò per primo, seguito da Madison, e insieme superarono la scrivania dell'accoglienza e una piccola sala d'attesa. Tutto era sorprendentemente in ordine, relativamente pulito e integro, una goccia di normalità nell'oceano di caos in cui erano piombati tutti e tre. Evidentemente nessuno era più entrato là dentro dopo l'inizio dell'invasione di zombie che aveva colto il mondo. L'unica cosa fuori norma era il distributore delle merendine, a cui qualcuno aveva sfondato il vetro per recuperare tutto il contenuto.

Superarono porte a vetri che davano su vari uffici condivisi, e una sala riunioni occupata quasi totalmente da un distributore dell'acqua e un grande tavolo di alluminio. A un certo punto raggiunsero l'ennesimo ufficio, e fu allora che Madison si fermò, indicando qualcosa a Jessie.

- Io lavoro qui.- disse - Cioè... lavoravo. La scrivania all'angolo, vicina allo schedario.-

Jessie seguì il suo dito, trovando dall'altra parte un piccolo tavolo su cui riposava in silenzio lo schermo di un computer. L'intera postazione era occupata da fotografie, attaccate col nastro adesivo alla cornice del monitor, al portapenne e anche a una parte della parete lì a fianco, e ritraevano molte persone diverse. Qualcuna Jessie la riconobbe anche, e in moltissime c'era Kevin. Notò anche, non senza una certa sorpresa, che la foto più grande, proprio al centro del mucchio sul muro, ritraeva Madison a tredici anni, insieme a suo padre e a sua madre. Insieme a loro c'era anche lui.

Era frutto di un autoscatto in un bosco, davanti a un paio di piccole tende a due posti e a un fuoco da campo. Ricordava quando l'avevano scattata: erano andati insieme in campeggio, ufficialmente per fare qualcosa tutti insieme in estate, ufficiosamente per evitare che lui frequentasse troppo Rex Baxter, un compagno di classe dell'epoca che, qualche anno dopo, era stato arrestato per rapina a mano armata.

- L'hai ingrandita.- osservò.

Madison fece un sorrisetto.

- Credevi che avessi cancellato tutto?-

- Beh...-

- Ragazzi!- li chiamò Kevin, stando comunque attento a non alzare troppo la voce - Ci siamo!-

Era davanti a una porta di legno con un pannello di vetro oscurato da una veneziana, su cui era scritto "Ufficio del Direttore", proprio in fondo al corridoio. Gli stava facendo cenno di raggiungerlo, mentre trafficava con le chiavi.

- Che ruolo aveva qui?- chiese Jessie.

- Contabilità.- rispose - Lavorava qui da un po'... ha tre anni più di te, sai?-

- Per questo ha tutte le chiavi? Il direttore si fidava?-

- Beh, era il terzo in comando, praticamente.-

Jessie annuì, continuando a guardare Kevin.

- Non gli da fastidio?- chiese - Cioè... un uomo sbuca fuori dal tuo passato così e non dice niente?-

- Come ho detto, non ho cancellato tutto.- sorrise Maddie, dandogli una gomitata - Sono anni che gli racconto di te e di quanto sei... stupido. Sa che non andrei mai a letto con mio fratello.-

Jessie sorrise, dandole una pacca sulla testa, e raggiunse Kevin che ancora armeggiava con le chiavi.

- Trovata?-

- No.- rispose - Mi sa che l'ho lasciata a casa... me la porto dietro solo se mi viene chiesta, accidenti a me...-

- Tranquillo.- ridacchiò lui, brandendo il piede di porco - Era pure ora che cominciassi a usarlo nel modo corretto. Dammi una mano, piuttosto.-

***

La porta cedette con grande facilità sotto la forza di entrambi, aprendosi con relativamente poco rumore. L'interno si rivelò molto differente dal resto dello studio, spingendoli ad allarmarsi e a impugnare le armi.

Le veneziane erano state tutte tirate, oscurando parecchio la stanza. La scrivania era stata rovesciata, e ora giaceva su un fianco, mentre quello che vi stava sopra era stato riposto alla rinfusa in un angolo lontano; le sedie erano state invece messe di lato, formando una sorta di triangolo intorno a una piccola lampada spenta, come se fosse una sorta di bivacco improvvisato. Su una riposava una vecchia giacca a vento verde scuro, insieme a una felpa rossa, e per terra c'erano briciole e incarti vuoti di merendine, probabilmente il contenuto scomparso del distributore. Lo schedario era stato messo per terra davanti alla porta, che tuttavia si apriva verso l'esterno: probabilmente serviva più a fare inciampare che a bloccare l'ingresso.

Jessie fece cenno agli altri di non muoversi, annusando l'aria: c'era odore di chiuso, ma non di putrefazione, e questo era già un buon segno.

- State qui.- sussurrò - Kevin, entra con me, rimani sulla porta e cerca di coprirla. Maddie, dietro l'angolo... se qualcosa esce, mira allo stomaco.-

Entrambi annuirono, serrando la presa sui propri randelli senza fiatare. Jessie entrò per primo, muovendosi con grande cautela, il piede di porco ben stretto tra le dita come se fosse una mazza da baseball. Ridicolo, ma questo pensiero gli fece tornare in mente proprio l'ultima volta che aveva fatto una partita, nemmeno due settimane prima, con Bob Finnigan e i suoi figli. Non il suo passatempo preferito, ma si era anche divertito.

Andiamo, concentrati, Je!

Sentì alle sue spalle Kevin che si muoveva con tutta la circospezione possibile, mentre lui continuava ad avanzare lentamente: in quell'ufficio, a eccezione di uno schedario e una scaffalatura piena di faldoni, non c'erano altri mobili, pur essendo del direttore, quindi l'unico nascondiglio possibile era la scrivania. Se dentro c'era qualcuno, quindi, era appostato senz'altro lì dietro.

Mosse un altro passo, e gli parve di sentire un respiro affettato, quasi un singhiozzo trattenuto con forza. Serrò tanto la presa da sbiancarsi le nocche. Per un secondo vide qualcosa di chiaro, forse la punta di una scarpa, ma scomparve quasi all'istante, e non seppe dire se l'aveva immaginata o se era stata spostata in fretta.

Sentiva che c'era qualcuno lì, ne era sicuro.

Gettò uno sguardo a Kevin e gli fece un cenno col capo, a cui l'amico rispose in modo affermativo, la vanga tenuta in diagonale come una sorta di sbarra.

Mentre tornava a voltarsi, vide una palla con la neve volare verso la sua fronte già martoriata.

***

Gli spari continuarono per alcuni secondi, insieme alle grida e al suono di molti motori che rombavano, falciando Zapata che stramazzò sul divanetto sotto di lui, scivolando dal davanzale su cui si era seduto. Il suo compagno fu più fortunato, e riuscì a mettersi al riparo in tempo, anche se un colpo lo prese a una mano, passandola da parte a parte e strappandogli un grido di dolore. Subito, Ben corse al proprio sacco a pelo, recuperando la pistola, mentre i soldati entravano in allarme.

Quello che stava facendo il caffè fu il primo a raggiungere la porta, guardandosi intorno freneticamente.

Non fece in tempo ad alzare l'arma che venne prontamente freddato da diversi colpi di arma da fuoco, crollando a terra con un singulto strozzato.

Brown agguantò al volo Ben mentre passava, trascinandolo giù. Un istante più tardi alcuni proiettili colpirono la parete dietro il bancone, mandando in frantumi le tazze e rompendo la macchina del caffè.

- Andiamo, cazzoni!- gridò qualcuno, mentre risate sguaiate seguivano a ruota la voce, sovrastando il rombo dei motori che si spegnevano - Vogliamo solo giocare un po'! Che c'è, non volete giocare?-

Altre risatacce gli fecero da eco. Brown si arrischiò a gettare un'occhiata veloce verso l'esterno, sporgendosi appena dal bordo della finestra.

- Una decina di civili armati.- sentenziò - Un gruppo deve essersi avvicinato in silenzio, le moto sono partite dopo che hanno iniziato a sparare. I nostri sono a terra. Uno sul hummer, ha preso la mitragliatrice.-

- Merda...- sbottò Ben.

- Tranquillo, non può usarla.- disse Puckett, controllando le munizioni e togliendo la sicura - Zapata e io abbiamo tolto qualche pezzo proprio per evitare queste situazioni.-

- Bene, ma che si fa adesso?-

- Sono più di noi.- disse il Maggiore - E non credo che vogliano trattare... comunque...-

Prese un tovagliolo da terra e lo sventolò sopra la testa.

- Voglio parlare!- gridò.

Qualcuno zittì le risate e i commenti con veemenza, riducendo i propri compagni al silenzio.

- Cosa?-

- Ho detto che voglio parlare!-

- Ah, ecco... e chi sei?-

- Maggiore Brown, esercito degli Stati Uniti!-

- Ah, bene... io sono l'imperatore del Ghana!- rispose l'altro, scoppiando a ridere insieme ai suoi compagni - E voglio prenderti la macchina, bello! Ha un giocattolo divertente montato sopra! Peccato che non vada!-

Brown scosse la testa, guardando il soldato ferito, che in quel momento si stava stringendo una benda di fortuna attorno alla mano insanguinata. Aveva il volto deformato dal dolore e sudava, ma fece un cenno affermativo quando intercettò il suo sguardo.

- Ho un uomo ferito qui!- disse - E voglio soccorrere i miei uomini! Non intendo attaccarvi, nessuno dei miei lo farà... possiamo aiutarci a vicenda, conosciamo un luogo sicuro che...-

- Noi siamo al sicuro di già, amico!- gridò uno del gruppo.

- Chiudi il becco, tu!- sbottò il capo - Però ha ragione questo cazzone... non ci servi tu, ci serve il tuo mezzo! E magari anche le vostre armi, il cibo...-

Mentre l'uomo elencava le sue pretese, Ben si ritrovò per l'ennesima volta a ringraziare mentalmente Jessie: la quasi infinita lista di suggerimenti che gli aveva fatto compilare si stava dimostrando utile una volta di più.

In mezzo al mucchio ce n'era uno, infatti, che riguardava la manutenzione dei veicoli e come nasconderli quando si fermava per riposare. In quel momento l'auto, che aveva subìto qualche danno a furia di investire morti viventi, si trovava chiusa in officina, sul retro. Con un po' di fortuna non c'erano ancora arrivati.

- Va bene, ora basta.- sbuffò - Io lo tengo impegnato un altro po', vediamo quanto è idiota. Nelson, tu e Puckett andate in cucina e vedete se riuscite a salire sul tetto, forse c'è una botola nel soffitto. Tiratene giù un paio, noi crivelliamo gli altri.-

- Sono parecchi, signore.- osservò Nelson, imbracciando il fucile - Sono un tiratore scelto, non un dio. Potrebbero sopraffarci.-

- Non resterò qui a fare da bersaglio, prima o poi entreranno. Dammi un momento, per favore!- gridò - Stiamo discutendo la tua proposta!-

- Oh, fai, fai!- rise l'uomo là fuori.

Subito, un mormorio confuso disse loro che anche il gruppo di aggressori stava meditando qualcosa, molto probabilmente la loro irruzione là dentro. Il tempo stava scadendo.

- Dobbiamo sbrigarci.- sentenziò - Stanno già esaurendo la pazienza, e noi...-

Un grido folle interruppe le parole di Brown, facendoli sussultare tutti, mentre all'esterno il brusio s'interrompeva bruscamente, spezzato da un urlo disumano di dolore. Subito dopo, qualcuno iniziò a urlare e a sparare di nuovo, e in poco tempo ci fu solo caos là fuori.

- Si sparano tra loro.- disse il soldato ferito, sbirciando fuori - Uno di loro si è trasformato. Mi sembra... sì, segni di un morso sulla mano. Era infetto.-

- Siamo fortunati, allora.- disse Brown - Va bene, armi pronte... sparate nel mucchio, prima che si riorganizzino!-

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