Capitolo 9



Sherlock decise di fare una passeggiata nel giardino interno dell albergo, se non altro per evitare tutti quei vecchiacci sulle sedie a dondolo che facevano la guardia all’ingresso.

Notò che quello, dopotutto, era davvero un bel posto; non gli sarebbe dispiaciuto visitarlo in circostanze migliori. L'intero edificio era circondato da piante in vaso, verdi come se qualcuno le avesse appena dipinte con vernice fresca, prati curati e palme ondeggianti al vento: un giusto tocco esotico ottenuto senza nemmeno uscire dagli Stati Uniti.

Il sole stava appena cominciando a tramontare sul mare, e Sherlock si rese conto di non avere mai visto uno spettacolo simile in vita sua. Quando stava a New York poteva ammirare l'alba, ma era impossibile apprezzare un tramonto marino sulla East Coast, a causa del predefinito cammino del sole, che cala sempre a Ovest.

Quello che aveva davanti agli occhi ora era lo spettacolo magico di un disco infuocato, bollente come un ferro arroventato, che si preparava ad immergersi nel fresco del mare scintillante e del cielo violetto dell'imbrunire. Ombre lunghe crescevano sulla spiaggia come macchie di inchiostro, e notò che, a quelle latitudini, il sole si muoveva molto velocemente, tant'è che pareva quasi scivolare giù dal cielo come un attore all'inchino finale.

Sarebbe rimasto volentieri a godersi quello spettacolo seduto su un belvedere che dava sulla costa, ma vide che c'era gente. Non voleva litigare ancora con qualcuno, così optò per riposarsi su una panchina vuota sotto una delle tettoie dell'hotel.

Una volta seduto gradò la sensazione di non poggiare più il suo peso sui piedi. Considerò con una punta di orgoglio di avere fatto grandi progressi, in soli due giorni, nel portare i tacchi alti. Il segreto doveva essere camminare piegando leggermente le ginocchia e piantando bene il piede per terra, in modo da non forzare la caviglia. L'unico problema era che quell'andatura gli rendeva quasi istintivo, per il bene dell'equilibrio, muovere i fianchi esattamente come una donna. Ripensò alle parole di Greg e provò nuovamente una breve camminata civettuola, e sul suo volto cominciò ad apparire un sorrisetto lezioso, come quelli di certe ragazze quando vogliono apparire particolarmente provocanti. Si sentì fiero della sua recita.

Forse il suo amico aveva ragione: doveva fare finta di essere mascherato, ecco cosa doveva fare; se si fosse mosso con la sicurezza che avevano le musiciste del gruppo (e anche Greg), magari avrebbe destato meno sospetti.

Per un piccolo istante immaginò come avrebbe potuto essere la sua vita se fosse stato veramente una donna così sicura di sè, distinta, in grado di stregare gli uomini con una sola occhiata piena di malizia.

Arrossì vergognandosi dei suoi pensieri e tornò a sedersi.

In primo luogo, lui era un uomo, inoltre adesso era solo; in pubblico il suo carattere rispettoso aveva sempre la meglio, e per comportarsi come lui immaginava ci voleva almeno una piccola dose di egoismo e sottile disprezzo per il prossimo. Non cattiveria, no. Diciamo piuttosto una sorta di sfiducia negli altri che ti portava a contare sempre su te stesso, e a fare affidamento sulle tue qualità pensando che solo loro avrebbero potuto trarti d'impiccio.

Sherlock non si sentiva affatto una femme fatale. Semmai sarebbe stato la versione femminile di un cavaliere, quindi, forse, una dama. Ma non voleva essere una dama inerme. Uomo o donna, di certo lui non desiderava apparire debole e invece tutte quelle cavolo di molestie gli facevano capire che gli altri lo vedevano proprio così.

Poggiò la schiena sulla panchina e sospirò afflitto. Nessuno si sarebbe mai sognato di mettere una mano sul sedere a Natasha, ne era sicuro.

-Signorina?- sentì chiamare una voce tranquilla.

Il suo sguardo incontrò quello gentile di un uomo di mezza età , elegante nel suo completo a tinta unita con le spalline dorate e la targhetta col nome: P.J. Coulson, diceva. Probabilmente lavorava in albergo.

Notò che tra le mani guantate di bianco teneva un piccolo vassoio, con sopra una tazzina di porcellana fumante di un liquido scuro e diversi dolcetti.

-Posso offrirle un tè- domandò.

Sherlock non sapeva cosa fare. A giudicare dall'uniforme sembrava un tipo importante, non come quel pervertito del facchino, ma non si poteva mai dire. Nella sua vita nessuno, a parte Greg, gli aveva mai dato qualcosa gratis.

-Non ho soldi con me, non credo di poterla pagare.-

-Lo consideri un omaggio da parte mia. Sono Philip Coulson, il concierge del Seminole Ritz. Ma può chiamarmi Coulson, se lo desidera, signorina.

-Holmes. Stephanie Holmes- si presentò.

L'uomo sembrò attendere qualcosa, ma Sherlock non capì di che si trattasse. Alla fine Coulson sorrise. -Lei non è una ragazza che si lascia baciare la mano, vero?-

Sherlock arrossì. No, io non sapevo che volesse cio...-

-Non si preoccupi. Viene da un ambiente modesto? Anche io sa, le convenzioni sociali sono dure da imparare. Le chiedo scusa, non volevo metterla a disagio.-

-Ma no, mi scusi lei. Vuole sedersi?- offrì il riccio.

-Non credo sia appropriato da parte mia- tentennò.

-Per favore- insistette Sherlock, che voleva rimediare alla gaffe.

Alla fine l'uomo posò il vassoio tra loro e si sedette sulla panchina.

-L'ho vista passare davanti all'ingresso e dirigersi qui. Volevo dirle che si è comportata in modo molto giusto con l'uomo che ha incontrato nella hall. Non è sconveniente per una donna perbene reagire alle provocazioni. E' stata semplicemente dignitosa nel controllarsi tanto- si complimentò il concierge.

-Lei dice?- chiese Sherlock poco convinto, addentando un pasticcino e leccandosi le briciole imprigionate sul rossetto.

-Certamente. Sarei intervenuto di persona, in caso contrario. Se qualcuno dovesse darle ancora fastidio venga pure a lamentarsi da me. Abbiamo un efficiente servizio di sicurezza.-

-Grazie, ma ho solamente reagito d'istinto. E'che non mi piacciono le persone che si approfittano degli altri- bevve un sorso dalla tazzina.

-E' Darjeeling. Lo trova di suo gradimento?-

Il ragazzo non sapeva che cosa fosse il Darjeeling, ma fece comunque un sorriso timido.

-Molto. Grazie, signor Coulson.-

-Può darmi del tu, se vuole, signorina Holmes.-

Mentre Steve mangiava un nuovo pasticcino, alle mandorle stavolta, e cavolo se erano buoni, un giovane uomo in uniforme scura con corti capelli rossicci e due vispi occhi scuri sbucò da un angolo e si rivolse a Coulson.

-Finalmente. Volevo informarla che la band di Philadelphia ha già fatto i bagagli. Suoneranno ancora stasera e andranno via durante la notte, così facciamo in tempo a riorganizzare la sala per le ragazze prima di domani sera.-

Poi si accorse della presenza di Sherlock. Mi scusi, non sapevo fosse in compagnia.-

-Niente di male- disse lui. Mycroft, ti presento la signorina Stephanie Holmes; signorina Holmes, questo è Mycroft , il nostro dinamico responsabile della sicurezza.-

Stavolta Sherlock allungò la mano perchè lui vi posasse cerimoniosamente un bacio di circostanza.

-Mycroft? Sei il fidanzato di Anthea?-

-Conosci Anthea?- chiese Mycroft; il riccio annuì con la testa.

-Fantastico. Non avrei mai immaginato che lei si fosse fatta un'amica come te- Coulson gli lanciò un'occhiataccia, -come lei- si corresse Mycroft. Sembra una ragazza troppo dolce e tranquilla per una come Anthea.-

E ridaglie! Pensò Sherlock. Un altro che lo vedeva come una stupida ragazzina sempliciotta. Probabilmente quel tipo non lo pensava con cattiveria, ma a Sherlock non piacque ugualmente. Fece in modo di non darlo a vedere, e si mise in bocca un altro dolcetto.

-Adesso credo proprio che dobbiamo lasciarla signorina Holmes. E' stato un grande piacere conoscerla, e se vorrà ancora pasticcini me lo faccia sapere. Li facciamo qui in hotel, e mi vanto di affermare che sono piuttosto buoni- Coulson recuperò il vassoio vuoto, e sorrise nuovamente a Sherlock, che invece diventò rosso un'altra volta, scoprendo di avere mangiato tutte le paste senza offrirne neanche una.

-Non si deve vergognare. Tutti abbiamo qualche piccola debolezza.-

-La sua è la dipendenza dal lavoro- scherzò Mycroft, e ricevette un velato rimprovero prima che si allontanassero.

Sherlock li salutò sorridendo ad entrambi.


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