9.Traditziya

Sofia, aprile 1993

Una Tradizione. Nulla di più. Perché si ostinavano a non capire?

Oppure capivano, ma si divertivano a farle sudare ognuno di quei sacri momenti?

«Oh, Pesho! Ti è rimasta un po' di liutenitza¹ qui!» Silviya aiutò il suo fidanzato a pulirsi un rivolo della salsa rossa dall'angolo della bocca con un tovagliolo, ignorando il richiamo di Yordanka.

«Whooo! Whooo!» esclamava intanto Georgi², le gambe a cavalcioni sulle spalle di Violeta, mentre questa correva sul tappeto rosso che ricopriva l'intera pavimentazione della sala da pranzo, ancora imbandita e illuminata dal sontuoso lampadario in stile vittoriano, facendo gridare il bambino come un matto.

«Violeta stiga li be³!» gridò per l'ennesima volta. Nonostante ormai anche la sorella minore avesse maturato il gene Ephuro, aveva preferito parlarle in bulgaro così che le sue parole arrivassero anche al figlio, sperando nella sua proverbiale obbedienza alla madre. Il dolce Gogo, infatti, notando quanto lei ci tenesse, iniziò a chiedere gentilmente a Zia Leta di metterlo giù.

Yordanka stava giusto per tirare un sospiro di sollievo, rincuorata dalla maturità del figlio di sei anni - a discapito della zietta ormai quasi vent'enne -, quando si alzò la voce di Konstantin: «Ran? Goran dove ti sei andato a cacciare?»

Turbata dalla notizia, non fece caso a Sasho che entrava in quel momento con un fagottino avvolto tra le braccia. «Shh! Si è appena ad-»

«Non ci credo! Non di nuovo! Gorane? Ela tuka!» il richiamo al secondo figlio uscì fuori più che altro come un grido isterico, dal suono talmente straziante che immediatamente intorno a lei si fece silenzio, e tutti si voltarono a osservarla, immobilizzati nelle loro posizioni: Violeta china dopo aver appena poggiato a terra il nipote, una mano ancora ad accarezzare i lunghi capelli del piccolo; Petar e Sisi, intenti a trasportare alcune sontuose sedie in mogano nel luogo da lei designato; Hristo, che stava piegando le lisce tende d'oro scuro in modo tale da far penetrare nell'abitato la luce serale-pomeridiana più adatta; e infine Aleksander, la porta da cui era appena entrato ancora aperta.

E a quel punto, il pianto di un neonato spezzò quel magico attimo di silenzio, provocando un generale verso di sconforto all'intera famiglia. «... dormentato» concluse Aleksander. Così il caos sgorgò nuovamente, e almeno tre volte più confuso rispetto a prima.

Sasho riprese a cullare Kiril, nato da appena cinque mesi, mentre Konstantin, Petar e Silviya andarono a recuperare il piccolo Ran - nomignolo affibbiatogli proprio per il fatto che da quando aveva imparato a gattonare e fare piccoli passetti non faceva altro che correre da una parte all'altra della casa, come per assaporare il più possibile quel nuovo mondo che finalmente poteva esplorare. E ovviamente aveva scelto di farlo anche in quel momento!

La fotocamera, già dettagliatamente impostata sul cavalletto da circa mezz'ora, andò in stand-by, quasi anche lei avesse finito per esasperarsi da quell'attesa. «Non posso crederci!» esclamò esasperata, mettendosi le mani tra capelli.

Ce l'avrebbe mai fatta a scattare quella maledetta foto?

«Sbaglio o questa gravidanza ti sta rendendo più irascibile della precedente, Dance?» la provocò Aleksander, dopo aver appioppato il piccolo a Hristo.

Lei si voltò di scatto per gridargli contro, quando si trovò a pochi centimetri dal viso del marito, la cui schiena era lievemente chinata in avanti per essere alla sua altezza e il cui viso era piegato da un lato, intento a osservarla in tralice. All'improvviso, sentendosi avvampare per quello sguardo d'inchiostro, profondo e infinito come un firmamento privo di bagliore lunare, dimenticò il motivo per cui fosse tanto arrabbiata.

«Magari perché questa volta sarà una femmina» si limitò a rispondere con tono alterato. Ricordava bene come la madre ripetesse spesso che, tra tutti i suoi figli, le femmine fossero sempre quelle a darle meno problemi. Peccato che finora avesse avuto tutti maschi. La speranza però, si sapeva, era l'ultima a morire. «E sbaglio o tu ti fai più sexy ogni giorno che passa?»

Poi, da quando aveva preso a raccogliersi le ciocche sovrastanti in un pratico codino alto, per Yordanka era diventato a dir poco difficile resistere alla tentazione di saltargli addosso anche davanti ai bambini. Lui però aggrottò le spesse ciglia in un'espressione confusa, mentre dal grande sorriso che prese forma sul suo volto germogliarono le sue proverbiali fossette.

«Non funzionava che a ogni insulto dovesse corrispondere un altro insulto?»

«Esattamente! Per questo l'ho fatto» Yordanka si sporse a sua volta in avanti con un mezzo sorrisino, «per prenderti alla sprovvista!»

Quando le loro labbra si incontrarono, il caos intorno a loro iniziò a farsi meno fastidioso alle sue orecchie. Si chiese come fosse possibile che ogni bacio con Aleksander fosse migliore del precedente. Di certo quel hitrez⁵ era a conoscenza di un qualche arcano incanto per soggiogarla, non c'erano alternative!

«Su piccioncini, sbaglio o avevamo una foto di famiglia da fare?» li richiamò Violeta, che non aveva mai apprezzato più di tanto quegli eccessivi mielismi romantici. Continuava a ripetere che non avrebbe intessuto nessuna relazione e che preferiva rimanere scapola fino all'ultimo giorno della sua vita, ma Yordanka era decisa a trovarle un ragazzo, che servisse anche solo a frenarla un po'.

«Da quando ti sei fatta bionda sei diventata peggio di prima!» lamentò Yordanka, tornando con uno sbuffo a sistemare la telecamera. Gli intrepidi partiti alla ricerca del runner erano tornati prima di quel che aveva temuto. Konstantin stava issando il paffutello Goran su una delle sedie, mentre anche gli altri si stavano mettendo in posa. Persino Kiril aveva esaurito le grida con cui torturare i loro apparati uditivi.

«Perfetti! Siete bellissimi!» esclamò Yordanka con le lacrime agli occhi, notando che finalmente stava per farcela. Perché erano così rari i momenti in cui tutto andava come previsto?

«Oh ma per favore, scatta questa foto e basta!» ribatté Leta, roteando gli occhi.

Emozionata, Yordanka mise il conto alla rovescia e corse al fianco di Sasho, gridando: «Tri⁶! ...»

Ran batté le mani, entusiasta dell'allegria della madre, lanciando un gridolino emozionato, che fece spuntare un inaspettato sorriso nel neonato tra le braccia di Aleksander.

«... Dve⁷! ...»

Yordanka sbarrò gli occhi, notando il piccolo scendere agilmente dalla sedia e sgattaiolare verso la fotocamera.

«... Edno⁸!» esclamò Violeta alzando le braccia in simbolo di vittoria - che sarebbero di sicuro venute mosse -, nello stesso momento in cui Goran si avventava sul cavalletto della fotocamera.

«Nooo!» Yordanka si gettò a sua volta in quella direzione per salvare l'apparecchio in caduta libera, mentre questo prendeva a scattare selvaggiamente una foto dopo l'altra.

Fu solo grazie ai suoi cebrim se riuscì ad afferrare al volo la macchina fotografica prima che si schiantasse al suolo. L'ultimo scatto, di sicuro, riprendeva solo la sua enorme faccia sconvolta con le mani protese disperatamente in avanti.

Ce l'aveva fatta. Era stata dura, ma infine ci era riuscita: un'altra foto da aggiungere all'album di famiglia.

Era cominciato tutto con quella vecchissima fotografia impolverata, trovata tra le macerie del primo Vortice.

Negli anni della dominazione Ophlira alla Nova Ephia, non potendo appenderla al centro della parete della sala d'ingresso della loro residenza - che ai tempi era per l'appunto la residenza di Maksim -, l'aveva infilata in un libro altrettanto polveroso e custodito gelosamente con cura, per rimirarla segretamente quando non era osservata da occhi indiscreti. Ottenuta l'Ephia, aveva pensato di appenderla in bella vista, tuttavia le era stato sufficiente vedere l'ombra che aveva oscurato il viso di Petar nell'affacciarsi a quei ricordi avvolti tra le spire di un dolore mai superato, per capire che averli tutti i giorni sotto gli occhi forse non era una buona idea.

Ritornati dal Diavolsko Gŭrlo, la prima volta che aveva nuovamente aperto quel libro, una nota discordante le era saltata all'occhio. Un pezzo sembrava... rovinato. Proprio in mezzo tra suo padre e Petar, il quale però dava parzialmente la schiena alla macchia per volgersi verso Deni. Aveva provato a soffiare via l'alone o qualunque cosa fosse, e, vedendo che non funzionava, vi aveva sfregato sopra con la manica della maglia. Non appena la sua pelle aveva toccato la foto attraverso la stoffa, una scossa fortissima si era irradiata da quel punto, facendola sobbalzare, mentre una sorta di vibrazione le solleticava il corpo intero. Si era scrollata tutta come un gatto dal pelo arruffato, e poi aveva tentato di nuovo, sortendo il medesimo risultato.

A quel punto, aveva compreso: Damnazione della Memoria.

Petar, Sisi e Sasho le avevano raccontato dettagliatamente quanto accaduto quella fatidica notte in cui il loro fratello più piccolo aveva perso la vita. Il cosiddetto colpevole dei Vortici era stato Damnato, proprio davanti a loro. Per qualche strano motivo però, i Vortici stessi non erano stati dimenticati. Yordanka sospettava che ciò fosse derivato dal fatto che questi, pur essendo causati da qualcuno che era stato cancellato, non potessero essere ugualmente debellati dalla memoria collettiva essendo in un certo senso assenza di memoria. Quando aveva affrontato il primo Vortice era stata avvolta da un bozzolo incomprensibile di sensazioni discordanti, e tutto il resto sembrava esser sparito, dimenticato.

Lo stesso non poteva dirsi del ragazzo o della ragazza che il giorno in cui quella foto era stata scattata sorrideva insieme a loro. Adesso non esisteva più. Oppure esisteva, solo e abbandonato, condannato a un'esistenza di completa e assoluta solitudine, forse per l'eternità. Non si sapeva cosa accadesse a coloro che venivano cancellati, e in merito non potevano sorgere che mere ipotesi caratterizzate dall'assenza di prove, dato che nessuno poteva essere chiamato a testimoniare.

Yordanka sperava solo, per lui, che fosse morto. Piuttosto che affrontare una vita del genere, meglio non vivere affatto.

Tuttavia, ciò che nel momento in cui aveva visto la screziatura nella foto l'aveva disturbata più di ogni altra cosa era la sensazione di mancanza, di deprivazione di un pezzo della memoria della loro famiglia. Loro rappresentavano lo Jivonhir; anche i rami che venivano strappati via dal loro albero restavano in qualche modo connessi alle sue radici, tramite la memoria che i restanti serbavano dei perduti. Quel piccolo ramo, invece, era totalmente morto.

A patirne non era solo lui, ma la salute dell'intero arbusto millenario che loro rappresentavano.

Tale sconforto l'aveva dunque portata a conferire la massima importanza a ogni singolo membro della loro famiglia, compresi coloro che ufficialmente non ne facevano parte, come Konstantin e Hristo. Era ormai diventata una tradizione quella di commemorare con una foto ogni piccolo momento importante, o semplicemente quelli belli. E perché non anche quelli brutti? - questi ultimi erano quelli che provocavano maggiori dissensi da parte del resto della famiglia.

«Tutto va ricordato, anche ciò che vorremmo dimenticare.»

Si accorse di aver parlato ad alta voce solo quando la vocina innocente di Gogo chiese, da dietro: «C'è qualcosa che vuoi dimenticare, mamma?»

Yordanka posò sul tavolo le foto appena stampate, e si chinò per portare i suoi occhi alla stessa altezza di quelli del figlio. Le iridi blu, la forma delle sopracciglia e perfino quella del visino ancora in formazione rievocavano il suo fantasma, anche solo vagamente. Georgi somigliava a Viktor sempre di più ogni giorno che passava. Per questo, fin da quando era piccolo, Yordanka si era impegnata a mantenere lunghi e sani i suoi capelli castani chiari ereditati dal ramo Grigorov; gli impediva persino di legarseli, perché, tirati indietro, finivano per far sembrare che li portasse corti, quasi rasati, esattamente come il suo defunto padre.

«No Gogo, no» assicurò il figlio, liberando una sua ciocca che era stata riposta dietro l'orecchio, «è importante ricordare che anche da ciò che è più amaro può sbocciare la dolcezza.»

Lui sorrise e lei lo strinse in un forte abbraccio. Dato che era sempre stato un bambino molto maturo e calibrato, Yordanka non aveva avuto problemi a rivelargli fin da subito che quello che lui chiamava tatko non era il suo vero padre, e che colui che invece aveva contribuito a generarlo era una persona orribile, un subdolo manipolatore che aveva causato la morte del suo giovanissimo zio e che per fortuna aveva lui stesso perso la vita quando il Vortice era giunto allo sbocco delle grotte sulla superficie, insieme a molti altri degli Ephuri presenti. Yordanka non aveva pianto una sola lacrima, e si era resa conto di non aver mai davvero amato quell'essere, era solo stata influenzata. Il rapporto che credeva di aver intessuto con lui non era nulla di paragonabile al legame che la univa ad Aleksander.

«Ti va di aiutarmi a metterla a posto?» propose al piccolo, una volta che si furono districati dall'abbraccio. In risposta lui prese a saltellare felice, correndo per primo al suo posto sul morbido divano dalla fodera floreale e geometrica nel quale erano soliti accomodarsi a sfogliare quel vecchio album.

Alla prima pagina c'era ovviamente la foto più grande, quella della famiglia completa prima del Vortice. «Che bella zia Bilyana» commentò Gogo con sguardo trasognato.

Aveva ragione, né la spigolosa Violeta né lei avevano ereditato la grazia che sempre aveva contraddistinto la più bella delle Grigorove. E forse nessuno l'avrebbe mai riottenuta, dal momento che non aveva ancora generato figli quando aveva esalato l'ultimo respiro.

Girò la prima pagina, fermandosi a quella di cui Petar e Violeta le avevano rimproverato più di tutte la decisione di custodirla. Si trattava della foto di inaugurazione della Nova Ephia, e aveva come protagonista, al centro in primo piano, nientemeno che Maksim Razumov, attorniato da alcuni dei suoi Ophliri più fidati, posti innanzi al cancello d'ingresso che riportava il simbolo della famiglia russa. I quattro giovani Grigorov erano relegati in un angolino, le espressioni immortalate sui visi più cineree dei loro occhi cupi. Il mento di Violeta, intenta a tenere per mano Liuben, era comunque rivolto verso l'alto in segno di sfida. Il volto di Petar era in ombra.

Svoltò un'altra pagina. Questa rappresentava invece il momento in cui aveva ottenuto la giurisdizione dell'Ephia. I loro visi, escluso Petar ovviamente, mostravano una maggiore speranza, una vitalità che prima non si percepiva. Dietro, spiccava lo stemma del loro albero, appena tornato a rifulgere più del sole che rifletteva. C'era solo un punto di quello scatto che Yordanka rimirava con astio e risentimento misti a vergogna.

«Brutto!» esclamò Gogo in una smorfia, indicando il suo padre genealogico.

«Bravo piccolo, proprio così!» gli scoccò un bacio sulla fronte e sfogliò un'altra pagina.

Da lì cominciavano quelle più belle. Dato che il funerale di Liuben non aveva avuto il cuore di fotografarlo, si passava direttamente al festeggiamento del giorno in cui Sisi e Sasho avevano deciso di trasferirsi lì da loro. Non avevano fornito molte informazioni su ciò che li aveva motivati a stabilirsi lì, Silviya aveva semplicemente affermato: «È la cosa giusta da fare».

Nessuno dei Grigorov aveva avuto da obiettare, e anzi ne erano stati più che lieti: gli Ivanov erano in grado di risvegliare parti di loro che avevano creduto perdute; rappresentavano l'una il caldo focolare che intiepidiva il fresco della spiaggia e l'altro il vento che spirava dal mare, riempiendo i polmoni di vita. Quanto all'Ephia di Varna, alla morte dei genitori sarebbe poi passata a dei loro cugini.

Soavemente come se ne avessero sempre fatto parte, i due fratelli si erano presto trasformati in veri e propri rami della loro famiglia. L'amore che era sorto tra Yordanka e Aleksander era sempre esistito, solo sotto forme diverse. A un certo punto si erano resi conto di come i loro battibecchi continui fossero modi per comunicare l'un l'altra un desiderio che si era originato da talmente tanto tempo che non se ne erano nemmeno accorti. Nessuno si era stupito quando, tra un litigio e l'altro, i due avevano preso a scambiarsi i primi timidi baci. Era successo in modo così naturale e soprattutto vero che Yordanka si era spesso chiesta come avesse fatto a non accorgersene prima.

Nella foto seguente erano infatti mostrati lei e Aleksander. Il ragazzo metteva in bella mostra l'anello d'ematite appartenuto alla loro madre, e che Yordanka gli aveva appena offerto come pegno di fidanzamento. I sorrisi di entrambi erano muti comunicatori di una gioia senza pretese, muse della bellezza della vita che si evolveva e andava avanti, nonostante tutto.

Da quel momento iniziava la vera linfa di quell'album: ogni scatto rivelava scorci di vita, anche comune, dato che Yordanka spesso si divertiva a riprenderli quando meno se l'aspettavano.

Da una foto Violeta li fissava con sguardo assassino mentre cambiava il pannolino a un Gogo molto più giovane di quello che ora osservava, ridacchiando, quel frammento di passato immortalato.

In un'altra, si intravedevano, oltre la serratura di una porta socchiusa, Petar e Silviya intenti a chiacchierare con sguardi cupi, concentrati, ma anche affascinati di qualcosa che agli osservatori non era dato sapere. Tuttavia, non si provava la necessità di venirne a conoscenza: la loro intimità era talmente delicata che neanche veniva da chiederselo, non si poteva fare altro che rimirarli affascinati da lontano senza infiltrarsi nel loro spazio sacro. Motivo per cui Yordanka nel momento dello scatto aveva fatto in modo di non rivelare la sua presenza.

Da quando Silviya era entrata nella sua vita, Petar non era più stato lo stesso. Qualcosa si era riacceso in lui, e il loro legame, seppure molto cambiato rispetto a quando erano piccoli, si era solidificato più lentamente e gradualmente rispetto a Yordanka e Sasho, assumendo una forma che nessuno si sarebbe aspettato. Qualunque fosse la magia di quella ragazza, Yordanka le era immensamente grata: non aveva più nemmeno necessitato di controllare gli arti del fratello per essere sicura che avesse smesso di farsi del male.

Una foto nella pagina seguente, tuttavia, le fece spegnere il sorriso; aveva per protagonista sempre Petar, questa volta cupo come suo solito, intento a fissare, immobile, il plettro tra le dita. Un raggio lunare che penetrava da una finestra era l'unica fonte di illuminazione nel decimo anniversario della strage del Primo Vortice.

Tuttavia, Petar quella notte non aveva fatto nessun passo indietro. Nonostante l'evidente sofferenza, non aveva vacillato. Tuttavia, ci era andato vicino.

A Yordanka dava sempre l'impressione che il fratello si trovasse costantemente sull'orlo di un precipizio, o intento a mantenere un precario equilibrio su un filo di seta sospeso nel nulla. Era poco, davvero poco, ciò che lo tratteneva a loro, alla vita, ma era già qualcosa, e finché la fiamma fosse restata accesa, lui si sarebbe impegnato ad andare avanti, ne era sicura.

Andò avanti anche lei, con le foto dell'album, tra le quali si alternavano stampe con l'intera famiglia rigorosamente in posa - ogni volta eventi sudati come quello appena trascorso, ovvio - e altri stralci di vita comune: le risa dei bambini, i litigi, le prime nevicate, tutte le "Survaki"¹⁰, la posatura delle martenitze¹¹, i natali, i compleanni, le passeggiate, gli allenamenti, persino qualche stralcio di missione in città, nonostante la guerra lì a Sofia fosse quasi inesistente. Madre e figlio risero e ricordarono ogni sacro momento, in una sintonia e una calma che solo il maggiore riusciva sempre a trasmettergli - non perché l'altro fosse una peste e l'infante non facesse che piangere e strillare, ovviamente!

Giunta, infine, alle prime pagine vuote, Yordanka porse l'album a Gogo. «A te l'onore!»

Il piccolo, tutto contento, prese una per una le foto scattate quella sera e le ripose con cura oltre il lieve strato trasparente, la punta della linguetta rosa che spuntava da un angolo della bocca per la concentrazione.

Grazie all'intervento tempestivo di Ran, erano uscite fuori tutte così originali che aveva deciso di stampare ogni singolo scatto; viste una di seguito all'altra, infatti, era possibile distinguere in successione il modo in cui si erano svolti i fatti, dal calcetto del bambino al treppiede, alla faccia tonda di Yordanka che salvava all'ultimo la fotocamera. Appena furono posizionate tutte, Gogo e Yordanka le fissarono per un secondo in silenzio, poi si guardarono, e infine scoppiarono a ridere; una risata isterica che si protrasse per quasi un intero minuto, piegandoli in due e lasciandoli infine senza fiato.

«Non mi stancherò mai di voi, mai!» esclamò Yordanka subito dopo, prendendo a fare il solletico al bambino, che rise ancora più forte di prima, fino a lacrimare e ridere ancora.

"Ne stai sfornando uno all'anno!" aveva commentato quella sera Violeta, dopo il suo annuncio relativo alla nuova gravidanza - motivo per cui aveva insistito a fare la foto di famiglia. Aveva ragione, ed era anche faticoso stare dietro a tutto ogni volta, ma non le importava; finché avesse avuto un nuovo figlio da strapazzare esattamente come ora stava facendo con Gogo, avrebbe patito anche mille volte tutte le fatiche e il caos che la vita da madre implicava!

E poi, avevano un vecchio albero, rimasto spoglio troppo a lungo, che necessitava di essere rinfoltito con nuovi, bellissimi e fioriti rami.

Traditziya = Tradizione

Questo è uno dei pochissimi capitoli allegri di Jivonhir e anche uno dei miei preferiti ... non so perché ma rileggendolo dopo aver appena finito uno degli ultimi capitoli di questo arco narrativo mi è quasi venuto da piangere 😢

Comunque, sono cambiate molte cose ed è passato un bel po' di tempo, i nostri Grigorov, persino Petar, hanno trovato la forza di ricominciare a vivere e hanno dato vita a una Vera Famiglia, soprattutto grazie all'aggiunta dei fratelli Ivanov. Per non perdervi con i nuovi personaggi vi metto qui sotto un mini Jivonhir genealogico che aggiornerò man mano che si aggiungeranno nuovi personaggi! 😁

Ovviamente quelli segnati in grigio sono i morti (chissà quanto ci metterà a diventare tutto grigio 🤔😈), e invece i rami intorno servono solo a coprire le impostazioni dell'app che ho usato, mi sono accorta solo dopo che un rametto andava in faccia a Sasho 😅 ma so già che mi perdonerà, in questa famiglia vanno matti per i rami 🤣

꧁ꟻAᴎTAꙅilɘᴎA꧂

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