8.2.Nadejda

«Il percorso pensato per i turisti Letargianti, lo stesso che abbiamo attraversato anche noi, ha una profondità di trecentocinquanta metri circa» spiegò concitato Petar, leggermente a disagio per tutti gli occhi addosso, e con urgenza per il sole che si avvicinava pericolosamente al letargo notturno. «Tuttavia, la reale profondità della grotta si aggira attorno ai mille metri, al suo interno sono presenti alcune delle cascate più alte del mondo e gran parte non è ancora stata esplorata dall'uomo perché troppo irraggiungibile e pericolosa. Più avanti, infatti, il percorso si fa accidentato e troppo ripido, sono innumerevoli le persone che, da quando la Gola esiste, non sono più tornate indietro».

Raggiunto il fiume, si fermò un attimo per studiarne la formazione e l'ingresso attraverso il quale penetrava nelle profondità della terra. Gli altri lo seguivano, silenziosi e attenti, senza perdersi una sola parola.

«A renderla davvero famosa, però, è il mistero che si aggira attorno alle acque che penetrano al suo interno. Pare infatti, che qualunque cosa in esse contenuta non risbuchi mai più in superficie, l'unica a sboccare è l'acqua stessa, vuota e limpida, come se una gola inghiottisse tutto il resto. Da qui il nome, che associato a uno degli ingressi che somiglia alla testa di un diavolo, le ha fatto guadagnare questo appellativo.»

«Okay, sembra una cosa molto inquietante, ma questo cosa c'entra con Liuben?» lo incitò Violeta, mentre un piede ticchettava nervosamente, gli occhi che seguivano la direzione dell'acqua del ruscello.

«Ovviamente sono state fatte delle ricerche scientifiche,» si affrettò a spiegare Petar, «ed è stato verificato, colorando l'acqua, che quella che entra da questo punto» indicò la direzione verso cui presto si sarebbero diretti, «non è la stessa che risbuca poi fuori nel tempo stimato in relazione al suo percorso - all'incirca cinque o dieci minuti - ma esce all'esterno solo dopo diverse ore. Quindi, la domanda senza risposta è: dove va in tutto questo tempo?»

Deglutì, mentre una fitta al cuore gli rammentava quante volte aveva pronunciato quelle parole e affrontato quei discorsi insieme a Denislav. «La nostra... la mia teoria, è che l'acqua penetri talmente in profondità, dopo lunghissimi e complessi giri all'interno di un enorme sifone sotterraneo, fino a raggiungere un luogo sconosciuto in cui tutto ciò che è contenuto in essa si sedimenta lasciandola a proseguire da sola il suo corso verso l'uscita. E se il Consiglio tenesse Liuben lì dentro? Quale luogo migliore di uno che non può essere raggiunto per sperimentare manovre di mens potenzialmente pericolose e per contenere un nemico all'apparenza indistruttibile?»

Gli altri annuirono, convinti ed emozionati dalle sue parole, mentre la speranza che aveva pervaso, inaspettata, Petar, si distribuiva anche a loro.

«Ottimo lavoro Pesho¹⁰» affermò Aleksander, posando una mano sulla sua spalla. «Quindi tu suggerisci di trovare questo posto seguendo il corso d'acqua?»

«Esattamente. In un modo o l'altro dovremmo pur arrivarci, anche se sarà molto pericoloso. Nessun Letargiante è mai sopravvissuto, ma noi siamo Ephuri, quindi possiamo farcela... credo. È un tentativo un po' avventato, lo so, ma...»

Yordanka lo fermò avvicinandoglisi, un lieve sorriso intenerito a lucidarle gli occhi d'ardesia. «Ma è tutto quel che abbiamo» concluse per lui, «e ce lo faremo bastare.»

«Dobre be¹¹, non perdiamo tempo allora! Andiamo!» esclamò Violeta.

«No, Leta, tu resti qui» la frenò subito Petar. «Non hai sentito quel che ho detto prima? Nessun Letargiante è mai sopravvissuto alla grotta.»

«Ma io non sono una Letargiante!»

«Leta» intervenne a quel punto Dànceto con fare ammonitorio. Non c'era da discutere, lei non sarebbe potuta venire; Petar aveva visto quanto l'avessero spaventata i pipistrelli, quel luogo non faceva proprio per lei. E i fratelli a rischio erano già troppi.

La sorella più piccola reagì diversamente da come si era aspettato. Arresa, si accasciò su un masso, i capelli biondo scuro ad ammantarle le spalle scosse da lievi singhiozzi. «Vi prego» disse con una vocina disperata, ma nella quale Petar poté riconoscere la forza e la determinazione che sempre la contraddistinguevano. «Salvatelo.»

Era un'affermazione che non ammetteva repliche. Silviya le si avvicinò e la strinse in un abbraccio. «Vedrai che andrà tutto bene, slŭncize¹²»

Per qualche motivo quelle parole gli rimasero impresse, e si augurò di non doverle mai rinfacciare. Lo sperò più intensamente possibile.

«Anche tu, Yordanka, non puoi venire» si rivolse poi all'altra sorella. «Non è certo luogo per chi è in gravidanza. I nostri corpi potranno essere soggetti a sforzi, e se anche tu sopravvivessi, non possiamo dire lo stesso del bambino Letargiante che ti cresce lì dentro.»

A quelle parole, per qualche motivo, Aleksander sbiancò, forse in imbarazzo per la sua precedente allusione all'ingrassamento dell'amica. «Tu... tu sei incinta?!»

«Sì, ma è solo un minuscolo ammasso di cellule embrionali per ora!» svalutò lei con un gesto della mano, come per rassicurarlo. «Posso usare dei cebrim per proteggerlo, e se anche non riuscissi, tanto è di Viktor

L'odio che intrise la sua voce nel pronunciare quel nome si poteva toccare con mano. Per quanto riguardava l'ultima affermazione, ovverosia quella di lasciar morire un figlio per le colpe del padre, Petar sapeva bene che erano solo parole al vento, leggeva negli occhi della sorella che lei non aveva mai neanche lontanamente preso in considerazione l'idea di abortire, perciò finse di non sentire.

«Credo che tutti i cebrim dovremo impiegarli per tentare di sopravvivere, non potrai proteggere sia te che il bambino. Non possiamo correre questo rischio.» Lei annuì, mostrandosi finalmente d'accordo.

«Tranquilla, Dance, tu e Leta non vi annoierete» si intromise a quel punto Aleksander con un sorrisino. «Anche entrando dall'acqua, dovremo comunque affrontare lo scudo che impedisce l'ingresso alla grotta, probabilmente costituito dall'insieme sovrapposto di tutti i Clypeus degli Ophliri che lo proteggono, e dunque impenetrabile.»

«E come facciamo a disattivarlo? Siamo solo in due, contro...»

«Con il metodo più vecchio del mon-» Aleksander arrestò la sua spiegazione, spaventato da qualcosa alle spalle di Yordanka, gli occhi sgranati per lo stupore e la paura. «... COS'È QUELLO

La ragazza si voltò a osservare il punto indicato, verso cui Petar, essendoci già rivolto, non sprecò nemmeno lo sforzo di spostare le pupille.

«Che cosa?» esclamò confusa. Poi, tornando a guardare verso l'amico, lo vide prodigarsi in un elegante inchino con un braccio rivolto in avanti a impugnare una piccola scatolina probabilmente appartenente a Yordanka.

«Cercavi questo?» domandò lui con un sorriso birbante che gli andava da un orecchio all'altro.

Lei sgranò gli occhi per la sorpresa e la rabbia le inasprì il viso. «Ridammelo!»

«Oh, si tratta di un oggetto di valore...»

Petar roteò gli occhi. Quando finalmente sembrava che si stesse comportando in modo serio, ecco che riprendeva a perdere tempo. I due si litigarono l'oggetto per qualche minuto, poi infine Aleksander riuscì ad aprire la scatola, rivelando il luccichio bigio di una piccola sfera d'ematite incastonata in un anello d'oro bianco. A quel punto, si arrestò ogni contesa, e Sasho restituì in silenzio l'anello di fidanzamento.

«Apparteneva a nostra madre, l'ho ritrovato tra le macerie. Lei diceva sempre che sarebbe andato in eredità al primo di noi che si fosse sposato» spiegò Yordanka, «volevo darlo a Viktor l'altra sera, e quando siamo partiti da Vitosha di fretta e furia non mi ero accorta di averlo ancora nella giacca...»

«Capisco» si limitò a rispondere lui, la voce aveva assunto una vibrazione sorprendentemente bassa. «Scusami.»

Yordanka sorrise forzatamente. «Non ti preoccupare glupako¹³»

A quell'appellativo lui sembrò recuperare parte della sua aria provocatrice. «Ora verifichiamo se possiedi ancora le tue rinomate abilità da attrice, che dici Dance? Riuscirai a fregarli come fregavi me quando eravamo piccoli?»

Un sorriso furbo e fiero le accese lo sguardo. «Puoi scommetterci.»

L'assenza del plettro nel taschino, nonostante tutto quello che dovevano affrontare, restava il primo pensiero di Petar. Per non rischiare di perderlo, aveva affidato il piccolo strumento di tortura a Yordanka, la quale aveva resistito alla tentazione di gettarlo via, consapevole che in tal modo non avrebbe cambiato le sue condizioni; già in passato, infatti, aveva tentato di separarlo dal plettro, con l'unico risultato di angosciarlo al punto di mettersi in cerca di altri oggetti, anche più pericolosi, con cui coprire il dolore per la mancanza del fratello.

«Ci siamo quasi» disse Aleksander, lo sguardo fisso in alto, verso la direzione del segnale che attendevano. Lui, Petar e Silviya erano in procinto di tuffarsi nel ripido ruscello, e a loro si era aggiunto all'ultimo anche Konstantin.

«Voi siete sotto la mia protezione, dunque farò tutto ciò che mi è possibile per mettervi in salvo» aveva affermato il tutore, e nessuno aveva avuto il coraggio di discutere una tale fermezza.

Un vociare improvviso si sollevò nell'oscurità serale in cui erano immersi i monti Rodopi, tra cui si distinse la voce di Yordanka. «Dimitar! Dimitar sei davvero tu? Oh, salva Liuben da chi lo minaccia, se sei ancora nostro fratello!»

Grida di terrore si sollevarono nell'accampamento Ephuro, e Petar vide un Ophliro, l'unico che dal punto in cui si trovavano riusciva a distinguere, scattare verso quella direzione, scomparendo tra le rocce su cui danzavano i riflessi lunari. L'eventualità che Dimitar arrivasse prima dell'alba c'era, per cui gli Ophliri avevano tutte le ragioni per credere che l'artefice dei Vortici fosse realmente sopraggiunto in quel momento. Al suo arrivo, avrebbero ovviamente disattivato tutte le protezioni alla grotta, così da permettergli di cadere, indisturbato, vittima del ricatto del Consiglio. Prima che si rendessero conto del falso allarme di Yordanka, potevano disporre solo di pochi preziosi attimi per farsi inghiottire dalla Gola.

"Ora!" esclamò Aleksander, tuffandosi in acqua con un balzo deciso ed esperto, immediatamente seguito dalla sorella con la medesima maestria, poi da Konstantin, e infine lui. La sferzata dell'acqua gelida pervase interamente il corpo di Petar, che rimpianse di non disporre di cebrim talmente raffinati da impedirgli di bagnarsi. L'immunità dei sensi fu tuttavia sufficiente a impedirgli di restare immobilizzato, così da permettergli di schivare agilmente tutte le rocce sporgenti e accidentate del letto del fiume.

Ben presto anche la tiepida luce dell'astro bianco li abbandonò, per lasciarli avvolgere dalla pece nera dell'interno della grotta. Per non rimanere accecato dall'oscurità, Petar dovette affidarsi esclusivamente al cebrim della vista notturna.

Lo spazio era talmente ristretto che l'unico modo in cui potevano procedere, senza rischiare di scontrarsi l'uno sull'altro, era in fila indiana, per cui Petar distingueva bene i piedi di Konstantin, il cui rapido ed esperto movimento sollevava bollicine che si spargevano frizzanti tutt'attorno, per venire poi risucchiate dalla corrente che loro stessi sfruttavano come guida.

"C'è un piccolo slargo, fermiamoci un attimo" sentì risuonare nella testa la voce di Aleksander, dal capo della fila. Ben presto, infatti, vide il movimento innanzi a sé rallentare e poi arrestarsi, mentre il tutore si aggrappava a una delle pareti della grotta.

Anche Petar fece per eseguire il medesimo movimento, ma quando cercò il fondale come strumento per frenare la sua andatura, il suo piede non toccò altro che ulteriore acqua, che a sua volta prese a spingerlo in avanti contro la sua volontà. Confuso e spaventato da quell'innalzamento improvviso, si dibatté, cercando disperatamente un appiglio, e proprio quando iniziò a pensare che sarebbe stato definitivamente trasportato via dalla corrente, sentì due paia di braccia afferrarlo per le spalle, mentre lo strato superficiale dell'acqua sembrava raccogliersi intorno a lui come se un cebrim stesse tentando di arrestarne il flusso.

«Tutto bene, Petre?» la voce di Aleksander si sollevò al di sopra del ruggito dell'acqua non appena lui e Silviya lo ebbero spinto verso una parete che si affacciava su un piccolo sifone di acqua quasi statica, che non arrivava sopra le ginocchia.

«Sì, io... credo di sì» rispose a fatica, con il fiato corto per la fatica del pezzo appena attraversato. Nessuno degli altri presenti sembrava minimamente in difficoltà, forse solo Konstantin mostrava qualche piccolo segno di stanchezza. Quanto ai Fratelli Fossetta, avrebbe dovuto aspettarselo, dopotutto loro avevano sempre allenato i loro cebrim acquatici direttamente al Mar Nero, era ovvio che fossero più esperti di chi, come lui e Yordanka, si era dovuto accontentare della piscina dell'Ephia.

«Mi raccomando, cerca di sopravvivere, abbiamo bisogno della nostra guida per arrivare da Liuben!» disse Sisi, il tono dolce che era sempre in grado di sciogliere qualcosa dentro di lui, fissandolo intensamente con quegli occhi più neri della notte priva di luce in cui erano immersi.

«Esatto, quanto manca all'incirca?» si aggiunse Sasho, più pratico.

Petar si sporse verso il flusso che lo spingeva nella direzione della corrente, scorgendo l'insenatura che sembrava inerpicarsi in basso fino al centro della terra, poi si rivolse al breve tratto percorso fino a quel momento.

Sospirò. «Ancora molto. Siamo praticamente all'inizio».

Fu in assoluto l'esperienza più faticosa e distruttiva della vita di Petar. La mancata esperienza, la difficoltà naturale derivata dalla conformazione rocciosa della grotta, l'ansia di non arrivare in tempo e il percorso che sembrava non finire mai, furono tutti fattori che contribuirono a devastarlo fisicamente e mentalmente.

Più volte, a causa della debolezza e progressiva stanchezza, perse il controllo, rischiando di morire e cavandosela con lividi, graffi e tagli anche profondi. Il gruppo si fermò più volte per piccole soste dov'era possibile, le quali, seppur potessero apparire perdite di tempo, erano fondamentali, soprattutto a Petar, per riprendere il respiro e affrontare con nuova forza il restante tratto di percorso. Avevano fatto bene a lasciare indietro Yordanka e soprattutto Violeta. Proprio come aveva immaginato, nessun Letargiante sarebbe mai potuto arrivare sano e salvo al fondo di quella grotta, anche con la strumentazione più evoluta e all'avanguardia. Dopotutto, persino Aleksander e Silviya, i più esperti a barcamenarsi tra correnti marine e percorsi acquatici, stavano dimostrando non poche difficoltà con l'incremento della ripidezza, e le ore passate da quando si erano tuffati stavano iniziando a farsi sentire.

I tratti in cui l'acqua si riversava in verticale, sotto forma di cascata, schiava della forza di gravità, erano i più duri da gestire, perché la spinta si faceva davvero violenta e il ruggito della sua furia copriva ogni cosa. Ancora peggio era riprendersi da quella caduta calibrando l'atterraggio in modo da non farsi male e procedere per inerzia per pochi altri metri, solo per venire nuovamente catturati da una seconda cascata ancora più violenta della prima.

Quando il percorso si fece tutto di cascate consecutive e sempre più lunghe, i sifoni che permettevano le piccole soste si fecero più rari, fino a scomparire del tutto. Di conseguenza, la stanchezza divenne più tagliente e spossante, ma fece anche sorgere, in Petar, la consapevolezza che non mancasse poi molto.

Perché l'acqua avrebbe dovuto agitarsi tanto, se non perché fosse vicina al punto di riposo? Un enorme sifone di arrivo, un lago sotterraneo immenso in cui era assiepato tutto ciò che nel corso dei secoli da quando la grotta esisteva, ne era stato ingerito; lo stomaco del roccioso gigante sotterraneo.

Ne ebbe conferma quando il cunicolo nel quale la corrente li stava trasportando si restrinse di dimensioni e lungo i suoi lati cominciarono a distinguersi rami spogli accatastati disordinatamente su rovinate ossa umane, a confermare le dicerie secondo le quali, durante la dominazione tracia, costoro gettassero nella Gola del Diavolo i resti delle loro vittime. Ecco un altro valido motivo per non portarci Violeta; considerato come aveva reagito ai pipistrelli, se anche fosse sopravvissuta alla discesa, era sicuro che non avrebbe retto alla vista di reliquie umane.

"Ci siamo quasi" informò gli altri, appena un attimo prima che Aleksander si arrestasse inspiegabilmente di botto, facendo accavallare su di lui sua sorella, Konstantin, e anche Petar.

"Che succede?" esclamò, dato che essendo l'ultimo della fila non riusciva a vedere praticamente nulla davanti a sé.

Piuttosto che rispondere, gli altri si limitarono a lasciarlo passare. Il giovane Grigorov si mosse a fatica in avanti, facendo di tutto per rimanere saldo a terra. La spinta dell'acqua era ancora forte e si chiese come fossero riusciti gli altri a non lasciarsene trasportare, fino a quando anche lui non fu giunto innanzi l'apertura a cui gli altri Ephuri erano affacciati.

«Credo che siamo arrivati a destinazione» fu Konstantin a manifestare l'evidenza che si dispiegava alle loro anime affaticate. Uno spazio enorme sia in larghezza che in altezza, più vasto ancora della Buciashtata zala, si distendeva imponente superando anche il suo campo visivo, tanto che per poterlo ammirare per intero dovette voltare il capo più volte. Petar non aveva mai immaginato nulla del genere, neanche al fondo del luogo su cui aveva studiato per anni, apice proibito e irraggiungibile da sempre ammantato nel segreto della grotta che più terrorizzava i bambini e istigava gli amanti del mistero. Da come tutte le acque affluivano decise, da cunicoli più o meno grandi e irregolari, verso l'enorme lago di cui era culla, dava l'impressione di essere una sorta di fulcro, il cuore di quell'enorme e inspiegata struttura di formazione interamente naturale. Sempre da lì, la stessa acqua che da una parte entrava, prendeva invece la strada dell'uscita tramite altre insenature, subito dopo aver adagiato, nel fondale dello specchio d'acqua centrale, il contenuto che mai sarebbe tornato in superficie, perché "inghiottito" dalla cosiddetta gola.

Nessun'anima avrebbe mai potuto raggiungere, viva, quel santuario sotterraneo, perché quel paradiso, o quell'inferno, non era a misura d'uomo; lì, a regnare sovrani, erano l'acqua del sottosuolo e la grezza roccia su cui essa, inesorabile, scorreva, lasciando indietro tutto il resto.

A spezzare quell'armonia terrificante e quasi ultraterrena erano sette figure incappucciate, sparse a eguale distanza tra loro, adiacenti alle pareti interne della sala scoscesa, a formare un perfetto cerchio di una potenza sconvolgente. Da essi, Petar sentiva emanare le stesse sensazioni spiacevoli già percepite durante la comunicazione globale con la quale Dimitar era stato ricattato, e ciò non lasciava adito ad alcun dubbio: quelli erano i leggendari Delphini.

Tuttavia, a imprigionarlo in una stretta soffocante e angosciosa, fu la vista della minuta figura scossa dai fremiti di un pianto che sembrava protrarsi da ore, legata da lacci invisibili su una roccia dalla base troppo perfettamente circolare per essere di realizzazione naturale, situata nel centro esatto del cerchio formato dai membri del Consiglio.

«No!» quell'esclamazione, pronunciata con un filo di voce, sgorgò quasi inconsciamente dalle labbra di Petar, che si sporse in avanti come per raggiungere il fratellino solo distendendo la mano. Questa fu però arrestata dal nulla, che sembrava essersi solidificato ricoprendo per intero l'apertura da cui sarebbero potuti accedere alla sala. Una parete invisibile di mens.

Al solo sfiorarla, l'intero corpo di Petar fu investito dai brividi della consapevolezza opprimente di trovarsi ad affrontare qualcosa di troppo grande e potente per essere anche solo ammirato con astio. Si sentì inerme, inutile, e insignificante. Un ramo che non poteva che essere trasportato via dalla corrente del fiume. Il quale, impetuoso, procedeva inesorabile verso l'esile albero da cui proveniva.

Per inghiottirlo tra le sue spire.

Ecco, dunque, il motivo per cui, anche se l'acqua si riversava nella sala, Aleksander, e di conseguenza gli altri, non erano potuti procedere oltre. Il cerchio composto dai Delphini escludeva l'accesso a chiunque avrebbe potuto disturbare la loro attesa.

Provò nuovamente ad attraversare la parete invisibile, senza ottenere risultati. Erano bloccati fuori.

Sì, avevano trovato Liuben, ma a cosa era servito? Ora lui era lì, al centro di quegli occhi ultraterreni e insensibili alle sue lacrime, potevano vederlo ma gli era impossibile raggiungerlo per riabbracciarlo.

Quando il piccolo, riconoscendolo, sollevò i suoi occhi lucidi su di lui, qualcosa esplose nel petto di Petar. Quel visino tondo, forse l'unico in grado di far tornare il sorriso, anche solo temporaneamente, nei volti degli altri superstiti al primo Vortice, non poteva conoscere un tale terrore e una così disperata angoscia. Non sembrava quasi più lui, ormai era solo una creatura sofferente, i suoi singhiozzi non erano che gli assidui lamenti di una lepre la cui zampetta si era incagliata nella trappola di un cacciatore, consapevole di star vivendo gli ultimi attimi della sua breve vita, senza però essere in grado di arrendersi all'inevitabilità.

Forse fu vederlo in quello stato che risvegliò in Petar la consapevolezza dell'enorme mole di affetto represso che provava per il fratello minore, così come per le sorelle che, insieme a lui, erano sopravvissute e nonostante tutti i suoi problemi gli erano restate vicine. Prima l'aveva considerata semplice necessità, oggettiva rivendicazione di giustizia per la loro famiglia, era stato attento a non soffermarsi su null'altro che implicasse del possibile dolore per lui.

Non fu più possibile.

Preda di una bestia che sembrava nutrirsi del suo dolore, facendosi più forte, prese ad accanirsi disperatamente contro la parete invisibile, ignorando la sensazione quasi dolorosa che questa provocava in lui. Forse gridò, forse non emise una sola parola, forse pianse addirittura.

Non fu consapevole di nulla a parte la necessità insaziabile di sfondare quella parete invisibile, anche a costo di uccidersi. Ma poteva davvero considerarsi un costo paragonabile al dolore che avrebbe provato altrimenti? Non vide più nulla se non il corpicino condannato e sofferente di Liuben, e non sentì altro che il suo flebile pianto. Anche l'acqua scomparve, e persino le pareti ritorte e scure della grotta. Rimasero solo i colpi delle nocche sul nulla, ferite sanguinanti, grida senza voce.

«Petar!» una voce femminile si levò al di sopra di tutto il resto e delle braccia lo tirarono indietro. Tentò di divincolarsi, graffiò, scalciò. Non potevano tenerlo lontano da Liuben.

«Petar, calmati, sono io, sono solo io, per favore, ci servi lucido.»

Ancora ansimante, Petar aprì e richiuse le ciglia più volte per riprendersi, e si rese conto che Aleksander, Silviya e Konstantin erano intorno a lui e lo stavano tenendo fermo a fatica, avvolti in una visione sfocata e incerta.

Le guance solleticavano per le lacrime che, si rese conto, erano sgorgate fuori dai suoi occhi. Piangere era una cosa che non gli capitava da talmente tanto tempo che aveva dimenticato cosa si provasse.

«Lasciatelo andare! Vi imploriamo con tutto il nostro ossequio, spiriti degli antichi Eph» gridò Aleksander, rivolto al Consiglio, la voce ferma il cui cebrim di diffusione fu tuttavia ostacolato dalla potenza dei Delphini, che la fecero sommergere dallo scroscio dell'acqua.

«L'oggetto del vostro ricatto arriverà presto! Non ha più senso tenere in custodia Liuben Grigorov! Permettetegli di ritornare dalla sua famiglia e servire così la causa degli Umanenti nella guerra con il nostro vero nemico. Perché questo spreco di vite? Non siamo forse una specie che si sta estinguendo? Vi prego» insisté Sasho, lasciando trapelare solo un briciolo di disperazione, a riprova che anche per lui, nonostante la sua apparente oggettività, non era facile vedere il piccolo in quelle condizioni, «per voi questa è solo la richiesta di minuscole entità terrene innanzi all'immensità dei vostri Cerebrum, ma cosa vi costa scendere, per una volta, al livello di chi avete giurato di proteggere? Dovreste essere i nostri salvatori, non la nostra condanna.»

Nessuna risposta sopraggiunse. Il pianto del bambino si fece più intenso e le acque continuarono a sgorgare.

«È inutile parlare» affermò a quel punto Petar, scostando distrattamente l'amico, lo sguardo fisso su Liuben.

Respirò profondamente, poi afferrò il dolore che prima lo aveva condotto sulla soglia della follia e, reso consapevole dalla propria disperata determinazione, gridò di una rabbia cieca con cui lo riversò fuori di sé scomposto e informe, una sorta di corrente di mens che si abbatté sulla parete invisibile, energia ordinata sotto forma di attacco, nulla contro nulla.

Non aveva idea se si trattasse di un nuovo cebrim, o di una banale e inutile manipolazione di ciò che lo circondava, e nemmeno gli importava. Il suo unico obiettivo era abbattere quella barriera, costi quel che costi.

Questa volta, gli altri non provarono a fermarlo, anzi, si unirono a lui, aggiungendo i loro rispettivi attacchi di mens, anche se nessuno consistente e impetuoso quanto quello di Petar. Anche solo avere vicino il flusso emesso da Silviya, che sembrò quasi avvolgere il suo in un abbraccio rassicurante, fu però sufficiente a renderlo più forte e a incentivarlo a immetterci una maggiore intensità.

Non seppe per quanto a lungo tentarono, né se erano per lo meno riusciti a fare un qualche danno, ed era deciso a non scoprirlo fino a quando non avesse fatto tutto il possibile.

"Fermi" eruppero all'improvviso le sette voci ultraterrene dentro alle menti di ognuno di loro, e il comando penetrò talmente tanto in profondità che gli impulsi interni lo scambiarono per un ordine dei rispettivi Cerebrum, e arrestarono l'offensiva. Petar, vedendo la parete intatta, comprese, con un moto di sconforto, che il loro attacco era stato del tutto inutile; ai Delphini era stato sufficiente un battito di ciglia per fermare quello che forse non aveva avuto l'effetto di produrre neanche un lieve solletico.

"Il creatore dei Vortici è giunto, e sarà qui a momenti. Siete sollecitati a lasciare questo posto il prima possibile se non volete rischiare di rimanere immischiati in qualcosa di più grande di tutti voi. E da cui potreste non uscire incolumi."

Il battito del cuore di Petar scalpitò nel petto come una bestia imprigionata. «Non ce ne andremo fino a quando non avrete liberato Liuben Grigorov.»

Dopo quelle parole, rimaste senza risposta, con rinnovata energia, Petar riprese l'attacco di mens, a cui si unirono anche gli altri. Neanche il tempo di un minuto, tuttavia, che tutto tremò. Per un solo, sciocco, attimo, pensò che fossero stati loro la causa.

Poi, le gocce d'acqua presero a sollevarsi, una per una; particelle di liquido che inspiegabilmente si distaccavano dalle loro sorelle e vagavano disordinatamente tutt'intorno a loro, ignare dell'accelerazione gravitazionale e dei legami che prima le avevano unite. Il getto di mens, come catturato da quell'inspiegabile immobilità, non fu più riversato fuori e forse persino lo scudo invisibile eretto dai Delphini fu disciolto nel caos.

Era uno spettacolo talmente bello e silenzioso che Petar dimenticò tutto il resto. C'era solo quella sregolatezza, quella calma priva di senso, in cui le leggi fondamentali della natura venivano invertite e tutto diventava sordo alla realtà.

Dimenticò Liuben. Dimenticò persino Petar stesso. Non esisteva nient'altro che quello, qualunque cosa esso fosse.

Un grido. Non suo, ma delle viscere della terra. O forse dell'acqua. Una voce che, anche se distorta, apparteneva a qualcuno richiamato da un'epoca lontana della sua infanzia. Un fratello che per anni aveva creduto morto.

Poi tutto esplose. L'acqua lo inghiottì, il silenzio lo strozzò, i rami, le ossa, i mens stessi si avvolsero in un immenso Vortice.

La voce soffocata di un bambino.

Un pensiero riuscì a penetrare quella coltre di nulla, come se il Vortice stesso avesse avuto un cedimento a quel suono, e raggiunse Petar: Liuben.

Doveva raggiungere Liuben, ora che la barriera era crollata. Non appena si sporse in avanti, tuttavia, sentì le forze abbandonarlo, come se i suoi muscoli avessero perso totalmente potere, e crollò al suolo.

Ignaro, prese a procedere a carponi, deciso a non arrendersi. Ogni movimento gli provocava una fatica immensa, come se il Vortice appena verificato gli avesse sciupato ogni energia. Un Vortice che, ne ebbe consapevolezza in quel momento, era rimasto incompiuto, altrimenti si sarebbe ormai ricongiunto a Deni nell'aldilà, sempre che questo esistesse.

Cosa era successo? Possibile che il Consiglio fosse riuscito a sconfiggere Dimitar? Udendo levarsi nella grotta un prima lieve e poi sempre più intenso canto tribale in coro che sembrava emergere direttamente dagli abissi del sottosuolo, accelerò il passo.

Quando giunse in prossimità dell'apertura da cui si accedeva alla sala - il Vortice l'aveva fatto retrocedere di qualche metro - ciò che gli si parò davanti lo lasciò senza fiato.

Il mondo parve immobilizzarsi di nuovo, questa volta schiavo del suo stesso dolore.

Al centro esatto del lago, una figura dai capelli neri e scarmigliati e la corporatura minuta, che altro non era che una versione cresciuta del Dimitar che un tempo pensava di aver conosciuto, era china, in lacrime, su un corpicino inerme, deformato da un male sconosciuto. Stringeva il bambino che un tempo era stato Liuben tra le braccia, e singhiozzava disperato come Petar non l'aveva mai visto.

La belva feroce dentro di lui, che nemmeno l'irruenza del Vortice era stata in grado di quietare, esplose nuovamente, fuoriuscendo in un grido disperato, l'indebolimento fisico che gli impediva di dire o fare qualunque altra cosa.

Quel suono straziante e quasi disumano attirò l'attenzione di Dimitar, che sollevò lo sguardo sul fratello maggiore, uno sguardo che lui non riconobbe, perché, come aveva accennato Yordanka, le sue iridi bigie erano state sostituite dalla distruzione e la morte che spargeva intorno a sé.

«Petar... io... io non...»

La sua voce era talmente flebile che Petar non riuscì nemmeno a udire il resto della frase, sommersa dallo scroscio dell'acqua che sembrava farsi più rumoroso man mano che il canto basso dei Delphini si innalzava di volume. Tuttavia, non gli importava cos'avesse da dire.

Quel che aveva fatto, ormai, l'aveva fatto. O meglio, quel che il Consiglio l'aveva portato a fare.

Non si poteva più tornare indietro. Liuben non avrebbe mai ripreso a sorridere, così come Denislav non aveva più suonato la chitarra per lui.

Un altro fratello che se ne andava, un altro a cui Petar sopravviveva.

Prima che Dimitar potesse fare qualunque altra cosa, degli spiragli d'acqua si sollevarono e iniziarono a circondarlo lentamente in un bozzolo, a cui lui non ebbe nemmeno la forza di opporsi, forse distrutto da ciò che aveva fatto, forse semplicemente stanco.

Le voci dei Delphini presero a levarsi nuovamente, separandosi dal canto della terra e dell'acqua, dipingendo l'aria come echi in un burrone.

"Dimitar Grigorov. I crimini di cui ti sei macchiato superano ogni scelleratezza ammissibile nella nostra società."

Petar fu costretto a portarsi le mani alle orecchie, ma le voci, aggiunte ai canti, erano talmente difficili da sopportare, che ovviamente non fu sufficiente.

"Per tutte le anime Ephure e Letargianti che hai ingiustamente sottratto alla vita non v'è redenzione," proseguì indisturbato il Consiglio, aumentando ancora le vibrazioni della grotta e in ogni mens che li circondava, "dunque la pena scelta per te, dato che sembra non essere possibile eliminarti, è la cancellazione totale e temporale dalla coscienza collettiva di ogni essere animato e inanimato".

Petar non riusciva più nemmeno a vedere Dimitar, a fatica distingueva la sensazione della terra sotto di sé e il suono dell'acqua che si sollevava sul fratello, mentre il canto degli Eph diventava l'unica realtà.

"Sei da ora condannato alla Damnazione della Memoria."

Davanti agli occhi di Petar si palesò l'immagine sfocata di un bambino dai capelli scuri, a cui si aggiunsero decine di altri ricordi più lontani con protagonista Dimitar.

Che si dissolsero come fumo dalla sua mente.

"Dal momento in cui la sentenza sarà conclusa,"

Altri ricordi. Belli e brutti, litigi e risa. Dispersi.

"qualunque suono tu emetterai, in qualunque modo tu agirai, e qualunque manipolazione dei mens tu provocherai..." La gelosia del rapporto con il padre. La consapevolezza della morte di Dimitar. "... essa non avrà alcun effetto attorno a te". Cancellati.

"e a nulla varrà ogni tentativo di essere ricordato."

La rivelazione di Yordanka, tutte le emozioni provate nello scoprire la verità su di lui, il motivo che l'aveva portato fin lì, e anche gli occhi che neanche due minuti prima l'avevano attraversato, furono avvolti dalle medesime spire, sfuggendogli tra le dita.

"Sarai estinto da ogni memoria, esiliato dal passato, dal presente, e dal futuro."

Il nome di Dimitar. La consapevolezza di avere un fratello.

"Non esisterai più per nessuno e nulla al di fuori di te stesso".

Quando si concluse l'ultimo echeggiamento di quella terribile sentenza, Petar percepì uno strappo, intenso e doloroso, all'interno della sua stessa mente.

Come se fosse stato ingiustamente privato di qualcosa di fondamentale.

Qualcosa che fino a un attimo prima era convinto di conoscere. Un attimo che ora gli pareva lontano e irraggiungibile.

Nella sala sembrava mancare una presenza.

Le acque si erano calmate, la roccia del sottosuolo non tremava più.

I contorni del motivo specifico che l'avevano condotto lì erano fumosi e distorti da qualcosa, tuttavia erano ancora ben consistenti le fitte al cuore derivate della perdita del piccolo Liuben, il cui corpicino, inerme e deformato da quel turbine dalla causa inspiegabile, era ancora riverso al centro della roccia circolare.

Scomparve così ogni cognizione nota sui Vortici.

Scomparve il ricordo di aver appena perso non uno, ma ben due fratelli.

E non rimase che il dolore.

Quello che mai si sarebbe cancellato.

Nadejda=Speranza

Ed ecco la seconda parte di questo capitoletto breve e leggero, nonché conclusione del primo arco narrativo di Jivonhir "Quello che mai si sarebbe cancellato".

Liuben è morto, Dimitar è stato damnato e ora nessuno si ricorderà più di lui. Se voi invece non vi ricordate le condizioni di vita esatte dei damnati (che ci starebbe anche, dal momento che ne avevo accennato un centinaio di capitoli fa su un'altra storia), non vi preoccupate perché alcune verranno ripassate nel prossimo capitolo, ma entreremo nello specifico nell'argomento solo a partire dal 2 di Cerebrum.

Per quel che riguarda la Gola del Diavolo, ecco alcune immagini rappresentative per farvi maggiormente immergere nell'atmosfera (ovviamente immaginatevele con un pizzico di neve di marzo):

(Credo che quest'ultima sia Buciashtata zala)

Detto questo, spero che questa prima parte vi sia piaciuta e che possa piacervi anche la prossima, dal momento che si trova un pochino fuori dalla mia comfort zone (i protagonisti sono praticamente adulti e soprattutto CI SONO I BAMBINI 😬) ma era necessaria per raccontare quella parte di storia, e inoltre inizia a introdurre alcuni personaggi importanti che conoscerete nel secondo volume della saga principale.

Dato che non l'ho ancora conclusa (è più lunga della prima parte) ci sarà una settimana di pausa degli aggiornamenti così potrò guadagnare un pochino di tempo e non lasciarvi a mani vuote in periodi peggiori (ehehe se ripenso a certi cliffhanger di Cerebrum... 😏)

Comunque preparatevi psicologicamente perché quanto avete letto finora non è nulla a confronto di quel che vi aspetta nella seconda parte 🙃

Detto questo vi auguro in ritardo un buon 2024 e a presto! 🌳

ꟻAᴎTAꙅilɘᴎA

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