36.Svrŭrzane
All'immagine idilliaca e quieta del campo di rose incontaminato che Irina aveva visto l'ultima volta si era sostituita una colluvie di devastazione e rovina. I fiori stessi sembravano aver perso la colorazione accesa che prima non era mai riuscita a cogliere, e la luce troppo bianca del sole rendeva più nere le ombre(, tanto che Ombra dovette coprirsi gli occhi con le mani perché non riusciva a sopportarne la vista).
Quel campo era l'immagine del suo stesso disfacimento.
Era come se Irina avesse preso ciò che aveva (dentro) e lo avesse riversato )fuori( di sé; (non era mai stata altro che quello: nero, bianco, dolore, morte).
E adesso, a causa sua, tutti sarebbero diventati come lei.
Per colpa dei suoi errori. Possibile che solo dopo il disastro più eclatante e grave fosse stata in grado di trovare se stessa? Come per diretta conseguenza, adesso i colori da cui a lungo aveva distolto lo sguardo, e che aveva appena cominciato a vedere, l'avrebbero abbandonata. Nel farlo, avrebbero riversato la loro assenza su tutta la valle.
Riconosceva nella terra sul punto di esplodere la stessa furia disperata e devastante che bruciava solo in chi era stato avvinghiato per troppo tempo nella stretta soffocante della paura, senza riuscire a sottrarsene. Era rabbia contro se stessa e avversione per la propria indole codarda che, non essendo stata in grado di sottrarsi a ciò che la spaventava, rigurgitava esasperazione e sfinimento investendo tutto ciò che incontrava nel suo passaggio.
La valle, ormai, non era che un'esacerbata versione della vecchia sé, quella che non era riuscita ad affrontare Natasha e che era ancora sigillata dietro nere mura così alte da toccare il cielo bianco. Per quanto si avventasse con furia su esse, non sarebbe mai riuscita a creare un varco e a individuare finalmente i colori che a lungo aveva cercato dietro di esse, se Kiril non fosse intervenuto. Non sarebbe mai stata in grado di ribaltare la maledizione del cigno bianco nel lago nero, non sarebbe mai strabordata fuori dal bacino placido in cui l'avevano versata alla nascita.
Era Kiril la chiave.
La sua voce fermò Yordanka, proprio mentre stava entrando dentro il cerchio bianco nel campo nero. La vista era appannata dai mens che Irina vedeva attorcigliarsi a volute attorno alla donna stremata, riconoscendola. Erano la prima linea di un esercito compatto che non riusciva più a mantenersi tale. Questione di pochi attimi, e la barbarie incontrollata che si celava dietro l'ordine si sarebbe presto riversata fuori.
In quel momento, però, quasi a obbedire all'ordine di Kiril, non solo sua madre si bloccò, ma i mens stessi si arrestarono, come indugiando; curiosi, ma impazienti di attendere troppo.
(Ombra: c'è lui. Mi sta guardando. Tutti ci stanno guardando.)
Natasha: ti sto guardando.
Irina: guardami pure se vuoi.
Che osservassero la falce che avevano affilato tutta la vita rigirarsi contro di loro. Che fissassero la morte bianca piombargli sul viso. Non le importava, perché ora lei li vedeva per davvero, i suoi occhi erano nuovi; quelli di prima, (Ombra: quelli neri,) li aveva gettati via.
«Sai cosa devi fare?» Kiril. Sai cosa devi fare.
Piegò il collo inclinando la testa nella sua direzione (mentre Ombra faceva lo stesso nel verso opposto), quasi in tal modo avesse potuto ascoltare meglio i suoi pensieri.
I pensieri di Kiril, ormai, erano i suoi.
Erano talmente diversi (e talmente simili) che non sapeva più distinguere una differenza.
La risposta l'aveva saputa dal momento stesso in cui aveva messo piede in quel campo dilaniato in cui la morte stava per esplodere.
"Cosa dobbiamo fare, piuttosto" rispose (e Ombra stirò un angolo delle labbra in un lieve sorrisino).
Dopodiché, presero ad avanzare.
Lentamente.
In quel momento, il tempo riprese a scorrere.
00 h : 00 min : 59 sec : 00 ms
Erano innanzi al cerchio. Immobili. Tutti erano fermi, nessuno osava fiatare, quasi si percepisse nell'aria una sorta di fatalità, anzi, sacralità di quel momento.
Gli attimi, invece, non smettevano di correre.
(Ombra entrò nel cerchio, proprio di fianco a) Yordanka, che li fissava sconcertata, non fece nulla.
Irina chiuse gli occhi. Tutto fu inghiottito dal (non)nero, mentre il tempo correva sempre più veloce, correva anche più veloce di Goran.
Sparì tutto: la valle, suo padre, Yordanka, le rose, il nero, il bianco, tutti gli altri colori.
Rimasero solo Ombra, i mens, e Kiril.
La danza ebbe inizio. Irina aveva sempre danzato; muoveva gli arti e il busto, si scioglieva come burro per essere spalmata dalla musica dei mens e s'insinuava dentro gli stessi per confonderli e creare Movimenti dove (Ombra manifestava la sua volontà, permettendogli di fare praticamente tutto anche quando) non era vista.
Eppure, non aveva mai danzato come in quel momento. Era la prima volta che (il corpo di Ombra) si abbandonava per davvero a quella melodia; la melodia stessa sembrava diversa, specchiata. E specchiati erano i suoi movimenti, la schiena si incuneò e le braccia eseguirono una roteazione nel verso opposto, ciò (che era dentro) sarebbe )uscito fuori( e quel che era stato raddoppiato sarebbe stato dimezzato.
)Ombra era fuori. Sotto gli occhi dei mens. E non era sola.(
Perché un calore mai sentito prima si era attorcigliato al polso di Irina e la stava legando indissolubilmente. Non era il laccio di una prigione, non era la catena di una condanna; era il congiungimento con il pezzo che le era sempre mancato.
La sentì: fiducia. Fiducia illimitata e senza fine, scintillante nei mens che la stavano legando.
Investì ogni altra cosa.
Una profusione di colori.
La proporzione era lì, chiara e splendida nella sua semplicità. Irina era il campo, Ombra era il mezzo con il quale aveva fuso la sua essenza con esso. Quella era la connessione, l'uguaglianza.
Il pezzo mancante si allacciò a lei e lei si allacciò a lui. Ora il mondo era più chiaro. Finalmente Irina capiva, finalmente si sentiva completa, e finalmente ogni parte di lei era in pace.
Irina era stata il nero e il bianco. Irina era stata paura, e paura aveva riversato nella terra. Irina era stata mille spine, e mille spine erano state lei.
Però poi aveva scoperto i colori. Poi aveva trovato la forza, grazie al suo pezzo mancante. Infine aveva trovato i petali delle rose.
Solo allora tutto si chiarificò. Solo nel momento in cui, donandole la sua più completa fiducia, il pezzo mancante decise di affidarsi completamente, anche quando non aveva senso.
Anzi, proprio per questo.
Le (Ombre) erano due, eppure erano più )una( di quando non fosse(ro) mai state. Il Movimento era musica inversa e stupenda, e i loro corpi erano immobili come statue.
Il mondo si stava rovesciando. Natasha piangeva.
I mens strillavano.
Irina era stata la Maledizione, e questo aveva reso maledetta la Valle. Irina era stata schiava della paura, ma le sue catene si erano spezzate.
Irina aveva trovato la breccia nel nero e nel bianco. Irina aveva liberato )Ombra(.
Irina non era più schiava. E il pezzo che si era finalmente unito a lei lo sapeva.
Era la certezza di Kiril che lei fosse cambiata l'ultima speranza della Valle. Perché, ancora pochi attimi, e il destino del flusso incontrollato di Mens e la sua essenza sarebbero stati uno solo.
Una semplice proporzione. Piccola, ma gigantesca. Una semplificazione di qualcosa di più grande e inspiegabile. Delicata quanto potenzialmente fatale.
Un rischio che andava corso, quando non esistevano alternative.
La sua volontà. Il coraggio appena scoperto nell'affrontare Natasha. Irina era la Valle e la Valle era Irina. La Maledizione avrebbe cessato di esistere così come il nero aveva finito di dipingere strisce bianche sulla sua vita. Se davvero Irina aveva sconfitto Natasha, tutto si sarebbe risolto.
Se davvero ce l'aveva fatta, sarebbero stati salvi.
Altrimenti...
... la Morte sarebbe piombata su di loro, il ciclo si sarebbe chiuso. L'ultima e più fatale Maledizione dei Grigorov si sarebbe compiuta.
Kiril non stava tentando l'impossibile solo perché non esistevano alternative.
Lo stava facendo perché credeva in lei. Si fidava della persona )che era diventata(.
Era questa fiducia senza prezzo e senza perché, che li aveva legati.
Che avrebbe reso più efficace l'esito, qualunque questo fosse stato.
Non restava che scoprirlo. Il Movimento di )))Ombra,((( delle )due( Ombre, si concluse.
Le dita di Kiril (e quelle di Irina con le sue)... schioccarono.
Il rombo cessò. La terra prese un respiro.
E Irina comprese che ce l'avevano fatta.
Ora il tempo poteva scorrere. La Valle era libera. La Valle era quieta, era pace.
Era tornato il colore delle rose.
Il mondo non era più avvolto in un nulla indistinto, e tutti i particolari di ciò che la circondava si riposizionarono uno dopo l'altro al rispettivo posto, quello che gli era sempre spettato prima che Irina lo contaminasse. Il sole non era più così bianco, il suo calore non bruciava più come prima, ma rigenerava, e le rose erano tanto belle da (far lacrimare Ombra) mozzare il fiato.
Mancava solo l'ultimo tassello.
Ciò per cui tutti erano venuti lì. A un solo movimento, sia Kiril che Irina si voltarono verso Yordanka, ancora al centro del cerchio, il viso distorto dalla confusione.
I mens, compiuto il loro percorso nella terra, avevano preso a evaporare, cadenzati come neve che sale verso il cielo. Se non fosse intervenuta in tempo, tutte le sue fatiche sarebbero state vane, tutto quel che aveva donato non le sarebbe mai tornato indietro.
La comprensione accese una luce nei suoi occhi. Anche Yordanka sentiva che la Maledizione era stata spezzata. La terra la stava chiamando, con la medesima delicatezza di un petalo di rosa.
Lo spirito di Grigor non aspettava che manifestarsi in lei, per completare il processo.
Yordanka affondò le dita nella terra, gli occhi chiusi non sembravano però essere mai stati più aperti di così.
(Ombra si spostò per lasciarle spazio, pur essendo intangibile)
Poi, la luce si riversò nella donna. Una nuova forza si espanse dentro di lei, e lei stessa divenne luce, anzi... colore. Una moltitudine di sfumature sconosciute.
La creatura ultraterrena che aveva preso il posto di Yordanka si alzò in piedi, schiuse gli occhi. Aprì le braccia come ad abbracciare la Valle intera.
Infine donò.
Un'onda benefica, una rigenerazione, che spazzò via ogni mancanza di colore, lenì ogni insidia.
Irina se ne vide investita. Tutti ne furono investiti.
Fu in quel momento che comprese il significato della parola Benedizione.
Catarsi.
La Valle pullulava di Ophliri, sia Long che Mindsmith, mescolati tra loro. Buona parte si occupava di soccorrere e medicare i feriti, la restante era intenta a raccogliere gli Ophliri traditori per condurli forse a un processo.
Jia Li in persona, la moglie di Mu Chen, si era recata in tutta fretta lì alla Valle a verificare le condizioni del marito. Il pre-Delphino era ancora vivo e lo sarebbe rimasto ancora a lungo, dal momento che l'effetto della donazione di Yordanka aveva avuto una sorta di influsso benefico anche sulla sua ferita così come su quelle di molti altri presenti. Con le giuste medicazioni, sarebbe presto tornato alla normalità.
Yordanka, di nuovo totalmente in sé, era al momento intenta a parlare con tono grave assieme alla signora Long, Georgi e Li Wen. Mentre gli Ophliri gli si affaccendavano intorno, Irina percepiva addosso un esercito di occhiate, alcune più fuggevoli e timide, altre più sfacciate. Nessuno sapeva come reagire a quello che lei e Kiril avevano fatto.
Non lo sapeva nemmeno lei.
Il mondo sembrava diverso. La Benedizione di Grigor aveva cambiato tutto. Come un'immane onda benefica li aveva investiti lavando via miriadi di sporcizie, montagne di lerciume, lasciandoli tutti puliti, purificati. Più aperti, in un certo senso. Irina si chiese quale fosse la vera natura della Benedizione; donava mens, oppure apriva proprio i Cerebrum che erano stati otturati? Sì, era quella la sensazione: tanti fori nella testa, come narici del naso, che erano stati sigillati per troppo tempo senza che nemmeno se ne rendesse conto, ostruendole il respiro. L'onda aveva spazzato via ogni elemento che li turava, e ora era libera di prendere un respiro profondo senza rischiare di soffocarsi.
Si diceva sempre che erano i Letargianti quelli malati, incompleti eccetera eccetera. Forse gli Ephuri lo erano ancora di più; prima di venire liberati non si erano resi conto di essere stati rinchiusi in una prigione la cui chiave era stata lanciata via da loro stessi.
Prima di scoprire che poteva esserci un modo per esplorare altro al di là delle mura nere e bianche che ostruivano la vista, non si poteva desiderare di abbatterle.
La Benedizione li aveva liberati di tutti i carichi che prima nemmeno si erano resi conto di sostenere, dando una risposta alle fitte alla schiena derivate dal gravame massacrante sulla stessa.
O forse era solo a lei che sembrava di percepire tutto in maniera amplificata; dopotutto, la sua vita si stava rovesciando con una piega che mai si sarebbe aspettata, troppo velocemente. Non che fosse un male; anzi, era l'unico modo in cui potesse avvenire: come uno strappo doloroso, aveva sradicato via l'influsso che Natasha aveva su di lei. (Ombra: e ora sono libera!)
Aveva trovato il suo pezzo mancante. Non si era mai sentita più completa e piena di quel momento. Ogni particolare che la circondava, dalla leggera brezza al profumo dei fiori che s'infiltrava tra le narici del suo naso, ai raggi del sole e persino al vociare circostante... appariva diverso, nuovo, come se toccasse per la prima volta la sua vita. Era tutto talmente bello da far quasi paura. Possibile che il mondo potesse essere così colorato? Possibile che Kiril fosse diventato parte di lei e lei di lui? No... diventato era la parola sbagliata. Lo era sempre stato, solo che erano stati lontani e avevano creduto entrambi, a modo proprio, di essere soli, diversi, ma nulla aveva potuto sopprimere la costante sensazione di mancanza. Non fino a quando si era creato il legame.
Irina conosceva le dicerie secondo le quali gli Adelphi erano creature predestinate a congiungersi l'un l'altra fin dal momento che venivano al mondo. Non erano che persone con i Cerebrum tagliati a metà – o in più parti, a seconda del numero –, nella costante ricerca di ciò che gli mancava: nientemeno che la persona con cui poi si sarebbero congiunti.
Non si era mai resa conto di quanto ciò la riguardasse da vicino.
Con due dita giocherellava con il sottile braccialetto (mentre Ombra saltellava per la felicità sprizzando gioia da tutti i pori invisibili), studiandone ogni particolare come fosse la più bella opera d'arte mai realizzata. A ogni angolazione, ogni microscopica porzione che lo componeva assumeva colori diversi, riflettendo la luce così come l'oscurità.
«Secondo te di che materiale sono fatti?» chiese Kiril, seduto proprio accanto a lei. Anche il suo Adelpho si fissava pensieroso il bracciale dalle colorazioni ovviamente nere e bianche aderente al polso.
«Ha importanza?»
«Beh sì. Devo fare attenzione, ancora si rovina con qualche acido strano o cose così... perché non ho mai pensato a informarmi adeguatamente in merito?»
«Non lo so.» Ombra: forse non ti aspettavi di trovare un'Adelpha. Come me, d'altronde. «Comunque non credo possa rovinarsi. È tipo... magico?»
A quella parola, Kiril aggrottò le sopracciglia e la scrutò per un attimo, poi entrambi scoppiarono a ridere. Risate isteriche e stanche, ma anche colme di una vitalità che mai avrebbe creduto di possedere. Si stupì lei stessa della scioltezza delle sue risa, (solo Ombra si era mai esposta tanto, proprio perché esposta effettivamente non era).
«E quindi... Ombra, eh?» disse Kiril, facendo un cenno (verso Ombra). «Davvero forte. Questo spiega sicuramente molte cose.»
Irina sgranò gli occhi. "Tu... vedi nei mens?" non aveva nemmeno il coraggio di pronunciare a voce quella domanda. Era stata abituata a chiudersi, nascondersi, mentire, trattenere (dentro) tutto ciò che provava. Con Kiril però... non ne aveva bisogno. E in fondo non le dispiaceva che almeno con qualcuno Ombra avrebbe potuto essere )fuori(.
"No" rispose lui. Poi però aggiunse, sottovoce, facendolesi vicino come per rivelarle un segreto: «Vedo te».
In effetti, Kiril era un pezzo di lei. Era giusto che, ora che erano Adelphi, ora che erano due parti dello stesso uno, condividessero anche Ombra, così come qualsiasi altro cebrim. Doveva ancora abituarsi all'idea.
Restarono per qualche minuto in silenzio, a contemplare il mondo che Irina era stata a un soffio dal distruggere. Incredibile come il tempo sembrasse scorrere in modo diverso dopo che si era pensato ne fosse rimasto così poco. Era come se-
«Ahi!» esclamò Irina, sentendo un dolore intenso e improvviso al polpastrello dell'indice destro, come uno spillo. Si guardò sorpresa il dito, notando una goccia di sangue di uno stupendo rosso intenso (che Ombra guardò con gli occhi a forma di cuore, non si era mai resa conto di quanto fosse bello il sangue) sgorgare dal punto ferito.
«Quanto sei melodrammatica, non faceva così male.»
Irina si voltò confusa verso Kiril. Aveva in mano una delle rose cadute al suolo durante la battaglia e anche il suo indice destro era ferito. «Tu-»
«Volevo vedere come funziona» rispose lui, scrollando le spalle con leggerezza. «È divertente!»
Gli occhi di Irina lampeggiarono di rabbia, (e Ombra prese a insultarlo in mille lingue diverse gesticolando come un'italiana, finendo poi per tirare un calcio all'erba per l'esasperazione di non poterlo toccare a sua volta perché sennò si sarebbe fatta male anche lei,) e Kiril ridacchiò divertito dalla scenata.
«Sei proprio un bambino» si limitò a dire Irina, altera, (e intanto Ombra gli fece una smorfia e si voltò impettita dall'altra parte).
«Guarda chi parla!»
I due fecero per ridere di nuovo, questa volta più sommessamente, quando una figura gli si avvicinò, timidamente, velando parzialmente il viso di Irina dal bacio dei raggi del sole. Fino al giorno prima avrebbe detto sostituendo il bianco con il nero.
«Lo so che ve l'avranno detto già in molti, ma...» cominciò il ragazzo, facendole rendere conto che si trattava di Ilia, il quale visto dal basso sembrava meno minuto e fragile del solito. «... ecco... grazie.»
«In realtà sei il primo» risposero contemporaneamente lei e Kiril. Si guardarono l'un l'altra, sorpresi, e Irina non poté trattenersi dal ridere di nuovo. Si sentiva isterica, ubriaca, anche le cose più banali erano in grado di incurvare verso l'alto le sue labbra. Era quella la vera felicità?
Ilia li guardò confuso, lanciò un rapido sorriso timido a Irina e fece per voltarsi e allontanarsi. Lei però si alzò con un movimento fulmineo e lo artigliò per il braccio per fermarlo.
«Tu mi odi, vero?» chiese d'impeto lui. Ilia era fatto così: un momento prima sembrava una creatura più delicata di un petalo, il momento dopo si ricopriva della pietra che adorava tanto scolpire e sapeva essere più impenetrabile di un diamante, oppure scontroso e permaloso, e subito dopo desideroso d'affetto. I suoi sbalzi d'umore l'avevano sempre confusa.
«No. Pensavo di odiarti» rispose con sincerità. «Ma la verità è che ero invidiosa, pensavo che tu avessi qualcosa che io non ero mai riuscita ad avere. Ero una sciocca, e per questo ti chiedo scusa. Perciò ti dico solo questo: non hai bisogno di nasconderti, sei più forte di quello che pensi.»
Ilia la fissò sconcertato per qualche secondo, e Irina si chiese se avesse capito una sola parola di quel che aveva detto. Si chiese anche se avesse effettivamente aperto bocca (o se al posto suo avesse parlato Ombra senza che se ne accorgesse,) quando all'improvviso Ilia le si gettò addosso per abbracciarla stretta stretta.
Fu il turno di Irina di restare a bocca aperta. Aveva sempre tenuto le distanze da quel ragazzino, non capiva come ora lui... (non aveva importanza per Ombra, che lo abbracciò a sua volta.)
Irina rimase immobile, poi capì che non si sarebbe staccato fino a quando non avesse fatto qualcosa, così gli concesse qualche pacca amichevole sulla schiena. Funzionò, (con grande dispiacere di Ombra. Da quand'era che le piacevano così tanto gli abbracci?) e Ilia si allontanò tornando silenziosamente da Ana, la quale però per qualche motivo gli stava tenendo il muso.
«Sai, dovresti seguire il tuo stesso consiglio» le disse Kiril, alzandosi per affiancarla.
«Lo sto facendo» rispose lei, (scambiandosi uno sguardo d'intesa con Ombra.) «non vedi? Siamo in completa sintonia. Avere qualcuno che esprime ciò che provo senza essere visto fa sempre comodo, senza parlare dei Movimenti...»
Poi notò dove era diretto lo sguardo di Kiril, e si rese conto che aveva capito fin dall'inizio a cos'era che si riferiva lui, ma che aveva ignorato il suo stesso presentimento da Adelpha, per timore di affrontarne il significato: Maksim.
Era distante diversi metri, ma le rose che li separavano e il viavai di Ephuri nel mezzo sembrarono scomparire sotto gli occhi di suo padre che la fissavano.
Natasha: ti stiamo guardando. E lo faremo sempre. Ti vediamo. Lo stai deludendo. Sei un fallimento.
Irina sentì il cuore accelerare il battito, e d'improvviso si sentì affannata, pervasa dal desiderio intenso di sbattere ripetutamente le ciglia per allontanare il male come era abituata a fare.
Era tentata di affidarsi di nuovo al nero.
E al bianco.
E poi di nuovo al nero.
E- Kiril. Gli occhi di Kiril riempirono il suo campo visivo, e un calore senza precedenti si espanse dal bracciale che le circondava il polso sinistro. Come un'arteria, da lì l'assenza di nero e bianco raggiunse subito il suo cuore.
(Ombra si prese la testa tra le mani, crollando al suolo a singhiozzare). «I-io... io credevo che...»
«Natasha è dentro di te, non potrai mai scacciarla del tutto. O almeno credo. Però ti resta un ultimo demone da affrontare» ribatté Kiril, porgendo un secondo cenno del capo a Maksim, per niente toccato dalla sua disperazione improvvisa. In apparenza, si rese conto. Prima che diventassero Adelphi non si era mai resa conto delle emozioni che si celavano dietro la sua dura freddezza a tratti spietata.
In ogni caso, aveva ragione. Certo che ce l'aveva, era il suo pezzo mancante, la capiva meglio di quanto lei capisse se stessa.
Annuì, e avanzò verso l'uomo che la fissava.
Gli fu davanti prima che se ne rendesse conto, quasi tutto ciò che li separava si fosse messo da parte per permettere a lei e Kiril di porglisi davanti e restituirgli quello sguardo d'abisso nascosto dietro pieghe di senilità e di odio rappreso, come una ferita mai del tutto rimarginata e bruciante di risentimento. Tre Ophliri, che lo tenevano immobilizzato con dei cebrim, sorvegliavano da vicino il prigioniero.
Suo padre non disse che lo aveva deluso. Non disse che la detestava per aver rovinato i suoi piani autodistruttivi. Semplicemente aprì la bocca e fiatò: «Non me l'aspettavo da te, Irina. Hai proprio preso di sorpresa il tuo vecchio».
Irina inclinò la testa da un lato, (mentre Ombra muoveva incerti passi per avvicinarglisi confusa,) perché non le si era mai rivolto in quel modo; non semplicemente soddisfatto del suo operato, ma quasi... come un vero padre.
«Sai, dopo la morte di Vladimir, ho sempre faticato a esprimere il mio affetto, perché pensavo che nessun figlio avrebbe mai potuto essere al suo livello...»
Irina deglutì, (Ombra si tirò i capelli con un verso isterico) e Kiril le fissò entrambe senza dire una parola, ma trasmettendole mille colori con un solo battito di ciglia.
«Ma poi... poi ho capito che non mi stavo aggrappando a te solo per la speranza di vendetta che mi davi.»
Con orrore Irina vide gli occhi di Maksim farsi lucidi e poi imperlarsi di lacrime in meno di un attimo.
Lacrime. Maksim Razumov.
«Forse sarò pazzo, ma io...» L'uomo fu interrotto da un singhiozzo che parve confondere anche gli Ophliri circostanti, «... io ti voglio davvero bene, Irina. Tu sei mia figlia. Non ti amo solo per aver ubbidito ai miei ordini e non potrei mai detestarti per aver rovesciato tutto alla fine. Non te l'ho mai detto, ma è così: tu sei mia figlia, e per questo il mio amore per te va sopra ogni altra cosa. Sei tutto ciò che mi rimane...»
Lo scombussolamento di Irina era ormai fuori dalle orbite. Vedere il padre versare in quel dolore che esprimeva non solo con la voce, ma che gridava con gli occhi e che gli lacrimava addosso dovunque, vedere ciò che si era tenuto dentro finalmente riversato fuori con tale impeto... era quasi una visione fuori dal normale, il nero che all'improvviso si sostituiva al bianco e il mondo che decideva, per sfizio, di girarsi al contrario.
Rimase immobile (e Ombra sorprendentemente fece lo stesso).
«Sono tuo padre, e tu sei mia figlia. Questo nulla potrà mai cambiarlo. E lo sai.»
Natasha: lo sai. Maksim ha sempre ragione. Io ho sempre ragione e so cosa è più giusto per te.
«Nessuno potrà separarci.»
Natasha: e tu lo sai.
«P-perché in fondo siamo uguali.»
Natasha: non devi pensare, Irina. Ci sono io a farlo per te.
«Sai... anch'io un tempo pensavo che ci fosse altro al di fuori di ciò che mi imponeva mio padre.»
Natasha: lo sai. Alla fine è...
«È stata dura capirlo. Anch'io mi sono ingannato.»
Natasha: ... tutto bianco...
«Ma poi ne ho pagato le conseguenze, e ancora oggi ne porto le cicatrici.»
Natasha: ... e tutto nero.
«Perché per quanto le illusioni possano essere ingannevoli, non possiamo mentirci per sempre.»
Natasha: lo sai bene. Sai cosa succede quando disubbidisci.
«Non possiamo sfuggire alla nostra natura, a chi siamo per davvero.»
Natasha: non dimenticare mai che io ti vedo.
«Per quanto possa essere orribile. Anche tu un giorno te ne renderai conto.»
Natasha: sempre.
«Tu sei Irina Razumova. Sei uguale a me, sei uguale a Vladimir. Tu sei mia figlia.»
Natasha: lo sai.
«E io sono tuo padre.»
Basta. (Ombra, stufa, sferrò un pugno per terra, gridando per una furia viscerale che persino lei aveva soppresso troppo a lungo).
Il suo viso rimase impassibile. Con l'eleganza di un cigno non più bianco e non più nero, che piega il lungo collo per abbeverarsi nel lago che riflette mille colori stupendi, si chinò verso di lui per avvicinare i loro occhi e fissarsi nel riflesso lucido su essi proiettato.
«La verità è che sono orfana, mio padre è morto prima ancora di generarmi.»
Aveva parlato con voce bassa ma ben udibile, che scacciò persino Natasha, nonostante per rispondergli a quel modo Irina avesse seguito uno dei suoi stessi insegnamenti: nessuna pietà.
(Ombra: io so. Sì, io so. E io penso, e io non ho pietà, per chi mi impone come pensare e cosa è giusto e cosa sbagliato. Io sono un essere vivente individuale e consenziente, ciò che mi mancava è andato al suo posto, quindi non potete più colmare nessuno spazio vuoto con illusioni di realtà nere e bianche.)
Maksim, ancora in lacrime, non si arrese nella sua imbarazzante performance: «Irina... io sono qui, e ti sto offrendo tutto l'amore che hai sempre desiderato. Non è questo che vuoi, dopotutto? Mi... mi uccideranno per quel che ho fatto, lo sai, no? Sei davvero disposta a permetterlo? Sono tutto ciò che ti resta, quel... quell'Adelpho Grigorov ti ha solo ingannata per salvare la sua famiglia, ma non esiterà a trattarti per l'animale che sei, che siamo, perché è così che funziona con le nostre famiglie: non potrà mai esserci alcuna congiunzione, è inutile mentire. Siamo troppo diversi, distanti. Alla fine non ti resto che io. Io sono il tuo mondo, e tutto ciò che hai sempre conosciuto. Io ti ho addestrata per aiutarti a trovare la tua forza. Senza di me tu non sei nulla.»
L'amore che aveva sempre desiderato. Certo. Aveva passato tutta la vita a perseguire un affetto che semplicemente non esisteva; qualunque evento o educazione passata avesse ridotto a quello stato Maksim, l'aveva reso praticamente incapace di amare; per lui non era che uno strumento, un'arma. Anche sotto quelle lacrime e quella voce distrutta e tremante, nient'altro che una maschera di menzogne per impietosirla e ingannarla, vi era l'implicita richiesta di salvargli la vita. Se c'era qualcuno lì dentro che poteva farlo erano proprio lei e Kiril, ne avevano dato ampia dimostrazione.
Nonostante fino a prima di mezzogiorno si sarebbe volentieri sacrificato se ciò avesse significato rovinare definitivamente i Grigorov, ora si aggrappava anche alla più futile delle speranze. L'unica volontà che lo allontanava dalla morte non era nemmeno difficile da intuire: fino a quando non si fosse vendicato (Ombra: e di cosa poi? Solo Vladimir? Perché allora li detestava già da prima?) non sarebbe stato disposto a lasciare quel mondo.
«Sei tu a non essere nulla per me» rispose, tornando in piedi, al fianco del suo Adelpho, «risparmia le tue lacrime per qualcun altro. Per quel che mi importa puoi anche morire qui e ora.»
Irina si voltò per andarsene, perché non aveva più nulla da dire (anche se Ombra tremava ancora come una foglia per il subbuglio di emozioni), ma la sua voce la costrinse al suo posto: «Allora uccidimi».
Il mondo parve congelarsi. Irina, ancora di spalle, era rivestita dello stesso ghiaccio che copriva le rose, che fermava l'aria e impediva all'ossigeno di raggiungerla, e che aveva ridotto il sole a una sfera di pietra bianca.
Tutto era immobile, ma il più immobile era Kiril.
Uccidimi.
Natasha: uccidilo, dimostra di cosa sei capace. Dimostra a tuo padre quanto sei migliorata.
Quante volte le erano state ripetute quelle parole? Quanto spesso aveva ucciso, senza la minima pietà, chiunque le venisse ordinato di freddare? Ora non cambiava nulla. Non provava pietà. E la vittima era inerme, totalmente (nelle mani di Ombra) indifesa.
Eppure il mondo era immobile.
«Cosa aspetti? Lo so che è questo che vuoi! Uccidimi, Irina» insistette lui, la disperazione di poco prima trasformata ora in rabbia vibrante nel tono di voce. «Falla finita. Se davvero vuoi tagliare i ponti con la tua vecchia vita e ignorare chi sei, uccidimi. Sono io la causa di tutte le torture che hai subìto. Natasha eseguiva i miei ordini. Per me non sei mai stata altro che uno strumento, un'arma indispensabile e potente, non una persona.»
Si voltò verso di lui. Si era sbagliata. Senza possibilità di vendetta, Maksim aveva una disperata voglia di morire, perché era stanco di quella stessa esistenza che aveva portato Vladimir alla morte e che per anni aveva rinchiuso anche Irina in un limbo bicolore che le era parso privo d'uscita.
Non avere pietà. Non avere pietà corrispondeva a costringerlo a vivere la sua vita miserabile. L'unica che meritasse, dopo aver compiuto le scelte sbagliate. O, per lo meno, opposte alle sue. Più lo guardava e più ne era certa: avevano sopportato trattamenti simili ma, grazie a Kiril, Irina era stata in grado di reagirvi in maniera diversa. Con lei quell'astrusa manipolazione psicologica che nella discendenza di Maksim sembrava essere diventata una tradizione, non aveva avuto presa.
Maksim aveva ragione: erano davvero simili. E al contempo, e proprio per questo, non potevano essere più diversi.
Motivo per cui non avrebbe mai potuto ucciderlo. Scosse la testa.
«Che parole deliziose da rivolgere alla propria figlia,» disse in quel momento una voce da dietro, affaticata ma non per questo inarrestabilmente gioiosa di una sadica malizia, «non credi, vecchio Mak?»
Li Wen e la madre emisero delle risa di gioia nel vedere Mu Chen di nuovo sveglio. Le medicazioni stavano già avendo il loro effetto, si rese conto Irina, voltatasi verso il futuro Delphino. Era disteso su una barella, ridotto a uno straccio di sudore, borse nere sotto gli occhi e fango su quasi tutto il corpo, ma nonostante questo vittorioso.
«Che c'è? Sorpreso di vedermi ancora vivo? A quanto pare noi Long abbiamo la pellaccia più dura di quel che pensi. E non guardarmi con quella faccia, perché ti dovrai abituare al suono della mia adorata voce.»
Irina spostò lo sguardo da lui a Maksim, notando un lampo di comprensione accendersi nel secondo, accrescendo il ghigno malefico e vittorioso del primo.
«Concordo con la scelta della tua amata figliola. Ucciderti sarebbe troppo poco. Meriti di meglio, per quello che hai fatto. Non mi interessa quale sarà la scelta del Consiglio, troverò il modo di non sottoporti nemmeno a un processo. Dopotutto...»
Mu Chen emise un lieve gemito per alzarsi su un gomito così da guardarlo meglio in faccia.
«... ti avevo già parlato di come siano lussuose le celle nella mia Ephia, non ricordi? Bene, ora avrai l'onore di passarci dentro fino all'ultimo giorno della tua vita, vicino vicino al tuo caro amico Mu Chen. Cosa si può desiderare di meglio?»
Irina si aspettò di vedere dipingersi l'orrore, o addirittura le lacrime, nel viso di suo padre, mentre Mu Chen tornava a rilassarsi disteso con una vigorosa risata smorzata dal dolore per la ferita, ma anche quando il Long ordinò di portarlo via, da Maksim non traspariva altro che piatta rassegnazione.
In quel momento, Irina fu certa che non esistesse pena migliore per lui.
Lo fissò fino a quando non fu scomparso dalla sua vista. Poi continuò a fissare il nulla (e Ombra con lei). Si sentiva così... leggera. Sì, leggera era la parola giusta. Libera.
«Wow» commentò Kiril. «So che la tua scelta è stata di non ucciderlo, nonostante Mu Chen sia comunque intervenuto prima.»
«Già.»
«Hai detto che lui non è tuo padre. Allora... chi è il tuo vero padre per te?»
Irina scrollò le spalle, e la sua attenzione fu calamitata da Yordanka, che era appena andata a parlare con Mu Chen, calma di una furia latente. «Disapprovo la tua scelta, Mu Chen, sarò sincera. Noi Grigorov abbiamo sofferto di più per mano di quell'uomo e dunque sarebbe stato più opportuno consultarci prima. Ma mi fido di te. Spero solo che tu sia in grado di assicurare, questa volta per davvero, che non potrà mai più farci del male. Me lo puoi giurare? Sulla tua famiglia?»
«Cara, cara Yordanka» rispose lui, sempre con quel sorriso rilassato, ma con una luce negli occhi che convinse Irina che diceva sul serio: «Ancora non l'hai capito? Ormai non c'è più separazione tra la mia e la tua famiglia. Perciò puoi stare sicura che non ci accadrà nulla. Lo giuro. Ora, se non ti dispiace, ho proprio bisogno di farmi un bel pisolino...»
Mentre anche Mu Chen veniva trasportato verso uno dei jet, accompagnato dalla moglie e dalla figlia, Yordanka si voltò verso di loro. E sorrise. Inizialmente pensò fosse rivolta solo a Kiril, poi si rese conto che il suo sguardo accarezzava anche lei.
Quel sorriso. Lo stesso che l'aveva sconvolta tanto la prima volta che l'aveva conosciuta, il primo sorriso, sincero e caloroso, pieno e vero nel suo esatto senso del termine, che l'aveva cullata in un calore sconosciuto e mai sperimentato prima, nemmeno nella reminiscenza indistinta della donna che l'aveva messa al mondo.
«Forse non ce l'ho» rispose alla domanda che gli aveva posto prima Kiril, in merito a chi fosse il suo vero padre. «Però so chi è mia madre».
Si voltò verso Ilia, Georgi, i due bambini più piccoli e Ana, (Ombra: so chi sono i miei fratelli) e infine tornò a volgersi al cipiglio sorpreso che le rivolgeva Kiril (Ombra: e so chi è il mio gemello).
Dopodiché (Ombra abbracciò il suo Adelpho, e) Irina restituì il medesimo sorriso a Yordanka.
So qual è la mia famiglia.
Svrŭrzane = Legame
E così, alla fine, è andata bene. Ve l'aspettavate che Kiril e Irina si sarebbero adelphizzati? Ho il terrore che il casino che hanno fatto non si sia capito bene, quindi lo specifico qui:
Irina⚫⚪: maledizione🥀 = Irina🎨:X
X=Benedizione🌹
Per rendere vera questa proporzione, Irina doveva essere effettivamente cambiata, quindi Kiril ha basato tutto sulla completa e assoluta fiducia in lei. Fiducia talmente spropositata che ha fatto sì che si creasse il legame di Adelphi, che ha quindi raddoppiato l'effetto. Tutto qui.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto🥺
Quanto a Maksim... beh, io vi avevo avvertiti che in questa parte non muore nessuno eheh 😈
Spero che la sua sceneggiata non sia risultata ripetitiva, ma è fatto così... in ogni caso la prova finale a cui ha sottoposto Irina è la stessa che lui, da giovane, non ha superato. Visto che non credo che mi metterò mai a raccontare la sua storia nello specifico, non è spoiler: a un certo punto della sua vita, Maksim ha ucciso suo padre/il suo demone. Dopo quel momento, è diventato esattamente come lui (se non peggio). Decidendo di non avere pietà, Irina ha spezzato la tradizione. D'altro canto, non illudetevi che sia diventata totalmente una buona samaritana, vi faccio notare che Ombra è comunque affascinata dal colore del sangue, e Irina è comunque abituata a spegnere le vite come fossero candele 🕯️
Ora però non pensateci e godetevi il primo finale positivo di questo libro! Il prossimo è l'ultimo capitolo in assoluto, e finisce davvero bene 💐🌸🌼... Dopodiché c'è l'epilogo 💀
Va bien, buona lettura 🌳❤️
꧁ꟻAᴎTAꙅilɘᴎA꧂
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