32.Stari priyateli

Ophliria di Barcellona, novembre 1953

«Un brindisi, amici!»

Dario era salito con i piedi sul letto della camera e si rivolgeva agli altri tre ragazzi con un'allegria talmente isterica che a occhi esterni sarebbe potuto sembrare ubriaco.

«Un brindisi con l'aranciata?» lo sbeffeggiò Katja, scoppiando a ridere insieme a Len. Anche Maksim soffocò una risata, e quando lei lo notò la pelle della ragazza si infiammò per l'imbarazzo. Si sentì sprofondare. Che cosa stava facendo?

«Un brindisi è pur sempre un brindisi a prescindere dalla bevanda con cui lo si fa» ribatté Dario, saltando energico giù dal letto, dove venne assecondato da Milen.

«Hai ragione bello! Dobbiamo festeggiare la vittoria di oggi!»

«Bello? Non sono mica il tuo cane!»

«Ah sì? Peccato, saresti stato molto più adorabile come cane...»

«Ehi! Brutto-»

I due presero a pizzicarsi e inseguirsi a vicenda, finendo in una delle solite risse amichevoli che li lasciavano senza fiato per le risate. A vedersi erano davvero buffi, anzi, imbarazzanti. Di certo non facevano nulla del genere in presenza degli Ophagogus, però Maksim doveva ancora abituarsi a come le persone cambiassero quando non c'era qualcuno più in alto che non le controllava. Prima di venire all'Ophliria non se ne era mai reso conto. Non aveva mai immaginato che potesse esserci altro al di fuori dell'obbedienza.

«Sei stato magnifico, oggi.» Fu Katja a distrarlo dai suoi pensieri, sedendoglisi di fianco, la schiena sulla pediera del letto e portando le ginocchia al petto con quel suo fare timido e garbato che era sempre in grado di farlo avvampare. Si costrinse a non sollevare lo sguardo su di lei, pur intravedendone le morbide ciocche color miele.

Per l'esame erano stati in squadra insieme. Maksim aveva trattenuto a stento la gioia, accompagnata da un muto terrore, quando l'aveva saputo. Ma i fin dei conti era andata bene. Per ora, sussurrò una voce maligna dentro di lui. Sentiva che stava sbagliando tutto. Non poteva stare con quelle persone, essergli amico. Non poteva aprire il suo cuore a Katja, perché altrimenti lei avrebbe visto quanto fosse marcio sotto la superficie.

Non avrebbe potuto ignorare per sempre la sua natura.

«Ehi, volete finirla?» li sgridò d'un tratto Maksim, vedendo che i due ragazzi stavano esagerando un po'. Dario reagì per primo, bloccando nell'immediato la sua imitazione canina per sostituirla con una posa rigida e una mano dritta portata di taglio alla testa nel classico saluto militare Letargiante.

«Sì signor maresciallo, scusi signore!» esclamò a gran voce, simulando un'espressione seria e composta. Maksim veniva sempre canzonato per la disciplina ferrea che manifestava in ogni situazione dai suoi amici, in particolare da Dario.

Si adombrò. Avevano ragione: somigliava sempre più a suo padre.

Len fu, come al solito, il primo a notare il suo stato d'animo. In qualche modo riusciva a conoscerlo meglio di tutti.

«Allora, non dovevamo fare un brindisi, noi?» esclamò infatti Milen, raccogliendo l'aranciata che il messicano aveva lasciato cadere a terra e andando a prendere i bicchieri.

«Vi rendete conto che adesso potremo iniziare la prima Sessione? Sono così emozionata!» esclamò Katja con delizioso tono sognante.

«E soprattutto potremo iniziarla tutti insieme, non era così scontato» si trovò a dire Maksim.

Dario, per qualche motivo, se la prese sul personale. «Certo, solo perché sono un Metephro non era scontato che passassi l'esame, giusto?»

«Non dicevo quest-»

«Makcio intendeva che dobbiamo ringraziare anche la fortuna, è grazie a lei se siamo tutti qui» lo fermò Len, porgendo loro i bicchieri.

Il ragazzo bulgaro si accomodò insieme a loro. Erano tutti seduti per terra, scompostamente, senza nessun ordine o logica precisa. Maksim ne era affascinato. Forse non si sarebbe mai abituato alla vita delle persone normali, ma per il momento non poteva fare altro che contemplarne la scioltezza e lasciarsi trascinare da essa.

«Ci pensi a cosa sarebbe accaduto se ci fossimo trovati in squadre avversarie?» continuò Milen, rivolto a Dario, per poi aggiungere, con lo stesso tono grave, verso Katja e Maksim. «O se le nostre squadre si fossero trovate nella situazione di affrontarsi? Avremmo dovuto essere costretti a scegliere tra noi stessi e i nostri amici. E dico che ci è andata bene perché la possibilità, come sapete, era cinquanta e cinquanta. Certo, chi non fosse passato avrebbe potuto ripetere l'esame dopo altri tre mesi, ma gli altri intanto sarebbero andati avanti, e... saremmo continuati a essere amici?»

«Io credo di sì» rispose Katja dopo un attimo di silenzio, il tono era meno stabile dei flosculi di un tarassaco in balia di un vento spietato. Se Maksim si fosse trovato a scegliere se superare la prova e dunque non farla passare a uno dei suoi amici... sapeva benissimo quale sarebbe stata la sua decisione. Ma sarebbe stato in grado di affrontarne le conseguenze?

I suoi occhi si incrociarono con quelli di Milen e restarono incastrati in un dialogo muto di parole e pensieri. Senza quasi rendersene conto, sollevò il suo bicchiere colmo, forte di una nuova consapevolezza.

«A noi, ragazzi» disse. «È inutile interrogarsi sui se di quello che non è accaduto. È andata bene, conta solo questo.»

I bicchieri tintinnarono tra loro, scintillanti di sorrisi e di promesse non esposte a voce, ma ovvie per i loro giovani e innocenti cuori da sedicenni. La loro amicizia era troppo forte per essere spezzata dalle prove a cui li avrebbero sottoposti gli Ophliri.

«E poi sono sicuro che ognuno avrebbe preso la scelta giusta» concluse, prima di sciogliere il sorriso dal volto per sorseggiare l'aranciata e godersi il brindisi.

🥀🥀🥀

Valle delle Rose, Bulgaria, giugno 2009

A Maksim non restava molto da vivere. Lo sapeva benissimo, ma non gli importava. Aveva smesso di vivere per davvero nel momento stesso in cui Vladimir era stato brutalmente accoltellato da Aleksander Ivanov, dopodiché aveva proceduto per inerzia fino a quel momento, solo per dare un senso alla sua esistenza.

Non avrebbe esalato l'ultimo respiro fintantoché la sua vendetta totale non si fosse compiuta.

Per cui quell'oceano rosa di fiori maledetti era quasi un conforto. Sarebbe morto volentieri se con quel gesto avesse condannato con sé tutti i Grigorov.

Irina aveva fatto proprio un bel lavoro. Sentiva che l'artificio aveva avuto effetto: sarebbe stata una strage.

«Come procede?» chiese, percependo la presenza di Lev pochi passi dietro di lui, ma senza distogliere il sorriso compiaciuto dal panorama della valle.

«I Long non erano molti, sono stati soppressi senza problemi» rispose l'Ophliro con diligenza. «E abbiamo circondato l'intera area, non usciranno comunicazioni mentali fuori da questa valle, dunque non potranno essere chiamati rinforzi. Gli Ephuri locali stanno per recarsi qui per godere della Benedizione promessa dai Grigorov.»

Maksim inspirò con goduria il vento di rovina che spirava sulla distesa di fiori. Stava andando tutto come previsto. La presenza di Mu Chen inoltre, non faceva che rendere più piccante la situazione... la morte di un futuro Delphino avrebbe sortito ancora più scalpore.

«Generale» continuò però l'Ophliro. «In tutta l'area sono state avvistate delle presenze... sospettiamo possa trattarsi di Arkonanti.»

Il suo sorriso rilassato non si sciolse. Aveva previsto che quell'evento avrebbe potuto attirare anche la loro attenzione, ma non era un problema. Potevano anche attaccarli, ucciderli tutti, piuttosto, e tentare qualunque cosa, ma non sarebbe cambiato nulla. Inevitabilmente, entro mezzogiorno sarebbero stati tutti morti o quasi, e la colpa sarebbe ricaduta solo e unicamente nei Grigorov. Era da mesi che si parlava della loro ripresa, di come la loro Benedizione avrebbe giovato alla società e restituito onore alla famiglia. Maksim non poteva permetterlo.

Non dopo tutto quello che gli avevano fatto. E così, la loro Benedizione si sarebbe trasformata in una strage. Sia Ephura che Letargiante probabilmente.

«Non è un problema. Quanto a Clara Cervini e suo marito? Verranno pure loro?»

«No, pare che recentemente siano intercorsi dei diverbi tra loro e i Long, per una questione sui Frammenti nell'ex regione del Tibet, ancora irrisolta.»

Peccato, avrebbe fatto comodo liberarsi anche di quella scomodità. In ogni caso, nemmeno la cieca fedeltà ai Grigorov della Cervini sarebbe stata un problema, con un disastro così eclatante. E poi era sicuro che, a forza di mettere continuamente il naso in questioni più grandi di lei, avrebbe finito per pagarne le conseguenze. Non era che questione di tempo, come per tutti.

Prima o poi, ogni cosa finiva per ritorcersi contro.

Come quando avevano pensato di potersi liberare di lui semplicemente rinchiudendolo a Gamsutl, casa sua. Che sciocchi. La sorveglianza degli Ophliri Long era stata severa per i primi anni, ma con l'avanzare della sua età avevano allentato i controlli, lasciandoli spesso e volentieri a Ophliri in apparenza fedeli ai Mindsmith o a Vania.

La verità era che non avevano mai smesso di ubbidire a lui, e a lui solo. Per cui non era stato tanto complicato eliminare i pochi ostacoli e partire nell'immediato per Karlovo appena Irina gli aveva riferito che la Maledizione era pronta. La presenza anticipata dei Long gli suggeriva che doveva essere stata scoperta; non aveva importanza dal momento che aveva già assolto al suo compito. Aveva previsto quella possibilità, consapevole dell'instabilità mentale della sua figlia più potente, e così aveva proceduto di conseguenza. Gli Ephuri che sarebbero presto arrivati sarebbero stati trattenuti lì con la forza, costretti a godere della Benedizione per cui si erano recati nella valle. Alcuni suoi Ophliri stavano già lavorando per rendere più letale la Maledizione sulle rose, per definire meglio il lavoro di Irina e non lasciare adito a dubbi sui suoi risultati. Dopodiché avrebbe costretto Yordanka ad attuarla, e avrebbe trasmesso quell'immagine a Vania, oppure addirittura a Bryanna Mindsmith, o a qualunque pezzo grosso che avrebbe potuto essere testimone della loro strage.

Sì: ne sarebbe uscita fuori una vera strage, peggiore di quelle dei Vortici, più grave degli orrori della guerra, e più vasta anche della leggendaria fine degli Eleusini per mano dei Sette d'Amarna.

Lev non si era ancora allontanato, si rese conto in quel momento, sentendo le sue labbra schiudersi per fare una domanda. Sembrava che la voce gli fosse morta in gola, e ci impiegò qualche attimo a racimolare il coraggio necessario per porre a Maksim la domanda che gli premeva fin dal momento che erano arrivati lì, dato che era uno dei pochi Ophliri fidati a cui aveva scelto di spiegare per davvero quel che presto sarebbe accaduto a tutti loro.

«E... quanto alla nostra evacuazione?» chiese con una voce tremante che Maksim assaporò con goduria: non avrebbe mai smesso di gustare la paura che sapeva irradiare nei suoi inferiori e nelle sue vittime.

A cui, in quel momento, si aggiungeva anche quella di perdere la vita, ovviamente.

«Tutto a tempo debito. Prima dovremo assicurarci che tutto vada per il verso giusto» mentì con tono rassicurante, voltandosi con un sorriso per posare una mano sulla sua spalla, che a quel gesto si rilassò.

Raccolse una rosa, staccandola con grazia dalla terra, e ne assaporò il profumo inebriante, prendendo a incamminarsi verso l'uscita dal campo. Il sole esortava i suoi raggi a farsi sempre meno timidi man mano che si avanzava verso lo zenit, sostituendosi alla penombra.

Non c'era tempo da perdere.

«Questo è per te, mio vecchio amico» sussurrò, lasciando cadere la rosa a terra e calpestandola con disinvoltura nella sua avanzata.

Stari priyateli=Vecchi amici

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