31.Nepodvizhen
Per agire intelligentemente non basta l'intelligenza.
-Delitto e castigo-
(Fëdor Michajlovič Dostoevskij)
Irina crollò a terra, proprio accanto a lui. Kiril non sapeva nemmeno dove avesse trovato la forza di tastare il terreno fino a trovare un sasso da scagliarle sulla tempia. Ai rimugini su quanto l'istinto di sopravvivenza fosse in grado di restituire energia e agli interrogativi su dove fosse scaturita tutta quella voglia di vivere, si aggiunse subito la consapevolezza che Irina era a terra e non si stava muovendo.
Immobile. Immobile come un sasso. Come un plettro.
Le sue dita corsero subito a tastarle il battito sul polso, mentre si sentiva invadere da un improvviso panico soverchiante. Pulsava. Finalmente si concesse di respirare. Se c'era una cosa che era in grado di farlo andare completamente in totale e irrecuperabile crisi, quella era la morte. Lo terrorizzava, era l'unica a continuare a farlo anche dopo essersela spiegata con una proporzione, diversi anni prima, quando aveva trasformato suo zio in un plettro. Quel ricordo era sempre troppo nitido, e si sovrapponeva alla realtà ogni volta che si trovava un cadavere tra le mani, o qualcuno in procinto di diventarlo, o semplicemente quando scorreva del sangue. La verità era che si era ferito con il suo stesso cebrim, quasi il suo Cerebrum avesse desiderato segnarlo a vita per qualche motivo. Era buffo e raccapricciante al tempo stesso come, in molti casi, la mente fosse in grado di diventare la peggiore nemica di se stessa. Perché lo faceva? Perché non fargli vivere il dolore di quel momento e lasciarlo andare avanti come chiunque altro? Perché condannarlo per l'eternità?
Ma poi, perché Kiril aveva colpito Irina? Come aveva potuto farlo? E perché più volte si era ritrovato lui stesso a rischiare di uccidere qualcuno? Come quella volta che...
Già. Irina. Eccola lì, il viso tumefatto dalla sofferenza anche senza i tormenti della veglia. Ancora non ci credeva, pur avendo sempre creduto, sospettato, intuito qualcosa. E anche adesso, si rifiutava di pensare che lei potesse essere come gli Ophliri che avevano fatto del male alla loro famiglia.
Per anni si era interrogato sulla mente di quelle persone, su cosa li avesse portati a essere tanto insensibili, convincendosi che dovesse esserci qualcosa di più, qualcosa di orribile, perché solo dai peggiori orrori poteva scaturirsi la peggiore sofferenza, la peggiore violenza, la spietatezza. Forse con Irina avrebbe potuto capire qualcosa... eppure era così difficile da comprendere quella ragazza. Da quando era arrivata continuava ad analizzarla e ancora non ne era venuto a capo. Appena credeva di aver scoperto qualcosa sotto il suo guscio, riusciva a ricoprirvisi sotto prima che lui avesse la possibilità di studiare più a fondo. Era come... come se avesse un grande freno, e continuasse a premerlo anche quando questo le faceva battere la testa sul parabrezza. No, era di più di un freno... era... ecco, era troppo difficile capire di cosa si trattasse e in ogni caso era meglio non concentrarsi troppo perché sentiva già le dita fremere per schioccare e azionare proporzioni a tutto andare. Era così frustrante... sentiva di poter comprendere di lei ciò che nemmeno Irina stessa riusciva a capire, eppure non capiva che cosa. Sì... frustrante era la parola giusta.
Perché, tanto per cominciare, si era fermata? Perché non aveva sferrato quell'ultimo pugno decisivo? Non fosse stato per quell'unica esitazione, Kiril non avrebbe mai potuto colpirla con quella pietra, e adesso sarebbe stato lui quello inerme al suolo, mentre Irina avrebbe potuto proseguire con il suo piano, qualunque esso fosse, senza nessun intralcio.
Perché? Perché si è fermata?
«Kiril!» una voce fece turbinare immediatamente Kiril nella consapevolezza del mondo che lo circondava, mentre si rendeva conto che tutti quei pensieri si erano susseguiti nel giro di pochi attimi. Si sollevò a fatica, senza smettere di fissare Irina, ancora troppo immobile ai suoi piedi, mentre i raggi lunari ricalcavano le ombre sul suo viso e tra i capelli, e la ragazza sembrava parte stessa della quiete caotica della valle, quasi si fosse fusa con le rose di damasco. Aveva sentito che tutto vibrava pericolosamente fin dalla prima occasione in cui sua madre aveva donato i propri mens alla terra, ma aveva ingenuamente pensato che si trattasse della Benedizione di Grigor...
Lo scalpiccio dei passi che calpestavano lo sterro dietro di lui lo avvertì dell'arrivo del fratello e di sua moglie. Aveva sentito vagamente un grido mentre Irina lo bersagliava di colpi, e ora capiva perché: era stato seguito.
«Stai bene? Che è successo?» chiese Georgi prendendolo per le spalle per osservare più da vicino il viso tumefatto con apprensione.
«Ti ha fatto del male?» chiedeva intanto Li Wen, usando un piede non tanto aggraziato per girare il corpo di Irina così da osservarne meglio il viso.
Domanda stupida, ma la cui la risposta era più difficile da dare di quanto si fosse aspettato. No, anzi: nessuna domanda era stupida; questa era l'unica conclusione veramente sensata che era riuscito a raggiungere nella sua breve vita, l'unica di cui fosse davvero certo. Dal punto di vista puramente oggettivo e superficiale, Irina gli aveva effettivamente provocato del dolore fisico, e ne era la prova il bruciore che brulicava ovunque sul suo viso insieme alla testa ancora scombussolata. Questo rendeva quell'aspetto della domanda di Li Wen scontato. D'altro canto, come poteva dire che Irina gli avesse fatto davvero del male? Da quando era sopraggiunta nella sua vita era diventata un enigma da risolvere, talmente sfaccettato e contradditorio che aveva calamitato tutta la sua completa attenzione e buona parte dell'intrico dei suoi pensieri quotidiani nel tentativo di risolvere. Non sapeva perché, ma sentiva che risolvendo Irina, avrebbe anche risolto qualcosa dentro di se stesso. Lei era la risposta, ma finché si copriva con quella sorta di guscio, lui stesso si sentiva, effettivamente, male.
«Questo devo ancora scoprirlo» rispose dopo un attimo.
A Li Wen non servirono altre prove sufficienti per detestare Irina, tanto che Kiril si chiese se si fosse presa il disturbo di ascoltare la sua risposta. O forse semplicemente di solito pensava così tanto prima di rispondere anche solo alle domande più semplici, che le sue frasi più sensate non venivano nemmeno prese in considerazione. Non perché ci avesse impiegato del tempo – tutto sommato era in grado di produrre una successione di pensieri e ragionamenti in tempi abbastanza brevi – ma proprio perché risposte pensate costringevano le persone a pensare, e nessuno pensava sempre. Tranne lui, che pensava anche fin troppo. Era la sua condanna, lo sapeva, ma non poteva farci niente. Per questo trovava difficile comunicare con le persone, l'unica con cui fosse riuscito ad avere un dialogo sensato era proprio... Irina. E questo, tra l'altro, era un controsenso vivente, dal momento che Irina era quella che si costringeva a pensare meno di chiunque avesse mai conosciuto.
«Non ho parole» Li Wen pronunciò quella frase con il disgusto a imbruttirle il visetto grazioso, «noi l'abbiamo accolta, l'abbiamo protetta da chi voleva ucciderla, e lei ci ripaga in questo modo?»
«Credo che molto di quello che ci ha raccontato non corrisponda al vero» rispose Kiril con un sorriso cinico che gli provocò alcune fitte di dolore alle guance, che però furono sovrastate dai sensi di colpa. Non per aver colpito Irina, ma per ciò che aveva permesso che accadesse.
«Dovrebbe morire, per quello che ha fatto» si limitò a rispondere Li Wen, con voce talmente affilata che Kiril non esitò a credere sulla parola alle sue intenzioni. Era interessante come in lei si alternassero gentilezza e leggerezza di vita ad atteggiamenti spietati o riprovevoli. Somigliava a Long Mu Chen più di quanto potesse non apparire a prima vista.
«No, io non credo. Altrimenti non potrebbe spiegarci che cosa ha combinato qui e perché.»
«Cosa intendi dire?» chiese Georgi.
«Vi spiego tutto strada facendo, portiamola a casa prima che si svegli» si limitò a rispondere, facendo dietrofront. «Abbiamo alcune domande da farle.»
Voci concitate dalla stanza vicina. Raggi tiepidi di luce albeggiante che penetravano nella cella di Irina, e s'infiltravano tra le sbarre della grata alla finestra, disegnando strisce alternate scure e chiare sul suo viso. Quando in quel momento la ragazza schiuse le palpebre, a Kiril parve quasi di vedere il mondo dai suoi occhi. Si sentì soffocare per l'angoscia e l'invariabilità opprimente che lo circondava. Per lui ogni cosa non era che un caos inspiegabile e mai fermo, invece i suoi occhi... i suoi occhi erano l'opposto, sembravano vedere tutto in modo talmente definito da essere cieco. Come se non vedesse affatto il mondo, ma una sua ombra.
«Buongiorno, bella addormentata» disse con un sorriso. Il viso gli era stato medicato, dunque qualunque espressione gli provocava ricordi di fitte più che fitte vere e proprie.
Irina batté un paio di volte le ciglia. Non era quel battito compulsivo e irrefrenabile in cui si abbandonava solitamente, quanto un semplice metodo per schiarirsi la vista, quasi non credesse a ciò che aveva davanti. Una consapevolezza improvvisa le accese il terrore negli occhi, e la finestra sembrò diventare il mostro più terrificante sulla faccia della terra.
«Cosa... c-che cosa... dove...»
Prese a battere compulsivamente le ciglia, girandosi subito per dare le spalle alla luce che arrivava dalla finestra, acquattata su se stessa in posizione fetale, lurida, stropicciata e dimessa.
«Sei rinchiusa, Iri. In una cella destabilizzata. Non puoi usare nessuno dei tuoi cebrim.» Parlava con spietata indifferenza, ne era consapevole, eppure non si sentiva particolarmente in colpa per questo. Non perché ce l'avesse con lei e volesse punirla; la verità era che quello era il modo di rivolgerlesi che gli veniva più naturale, e l'unico, secondo lui, che potesse aiutarla a darsi una risvegliata. Non aveva bisogno di carezze, ma di un bello scossone. Perché nella vita, non gli era difficile intuirlo dai suoi evidenti problemi, non era stata mai trattata gentilmente, e pertanto la gentilezza, per quanto avesse potuto destabilizzarla e aiutarla, non poteva cacciarla veramente fuori dai suoi problemi.
«Sapevo che ci nascondevi qualcosa fin dal primo giorno» continuò Kiril, dato che lei al momento non sembrava propensa al dialogo. «Ricordi il Sokolov che cercava di infilzarti con una lancia? Quello che ho sconfitto con una proporzione? La ringhiera che ho disarcionato per infilzarlo a mia volta avrebbe dovuto colpirlo con la medesima forza, e soprattutto intenzione che lui stava immettendo nel suo movimento. Dunque, l'intenzione di ucciderti.»
Dopo aver schioccato le dita, il terrore di aver posto fine alla vita di qualcuno l'aveva soffocato; in quel momento aveva dimenticato la ragazza in pericolo e tutto il resto. Non esisteva altro che l'immobilità troppo immobile e perenne.
«In poche parole, avrebbe dovuto morire. E invece... sorpresa: era vivo.» Ne era stato sollevato, ma quella consapevolezza aveva affastellato in lui una miriade di pensieri e interrogativi. «Questo significava che non aveva affatto intenzione di ucciderti. E mi sono chiesto perché, dato che, per quel che ci hai raccontato, quello era proprio il loro obiettivo. Così ti ho tenuta d'occhio. Ho iniziato a studiarti.»
Kiril si alzò dallo sgabello e si avvicinò alle sbarre di legno oltre le quali c'era Irina. Quella era l'unica cella che avevano trovato, nel piano seminterrato della residenza di Karlovo, dato che una qualunque altra camera non sarebbe stata sufficientemente sicura. Non era nata come cella Ephura, era piuttosto una vera e propria gabbia Letargiante, che a Kiril dava un'impressione parecchio medievale. Lo ripugnava l'idea di rinchiudere qualcuno lì dentro, eppure riconosceva che Irina non aveva lasciato loro altra scelta.
«E non ho potuto fare a meno di notare che sei davvero strana. Diventi sempre più strana ogni giorno che passa» continuò lui, sentendosi subito sporco per aver scelto di usare quella parola, proprio lui che spesso era considerato strano dagli altri. «Sono stato egoista, lo ammetto. Ho tenuto il tuo mistero tutto per me senza condividere i miei dubbi con nessuno... anche perché non avevo prove.»
No, era una scusa. La verità era che aveva fatto un errore madornale, e forse ora tutta la sua famiglia ne avrebbe pagato le conseguenze.
Da Irina, ancora silenzio. Il suo viso era impossibile da distinguere, perché il nido castano di capelli le si riversava addosso in modo informe, proteggendolo dagli occhi di Kiril.
«Di una cosa ero assolutamente certo: che mentivi, mentivi in continuazione. Non sei quel tipo di bugiardo efferato e insensibile, no... tu fatichi molto a fingere, perché qualcosa dentro di te non è al suo posto e questo ti rende difficile capire cosa desideri e cosa provi, o meglio ti blocca, ti provoca una grande confusione. Poi siamo venuti qui...»
«Basta» emise la ragazza con un filo di voce, appoggiando la fronte sui palmi, quasi fosse scossa da un esasperante mal di testa, forse dovuto al colpo ricevuto la sera prima.
«No, Iri, questa volta non me ne starò in silenzio mentre ti autodistruggi e nel farlo distruggi tutti noi. Dicevo: siamo venuti a Karlovo. Ho notato l'interesse con cui ponevi le domande a mia madre in merito alla Benedizione di Grigor, e ho notato il caos di mens della zona. Come tutti, l'ho imputato alla Benedizione. Pensavo che mi sembrasse una cosa tanto negativa, che mi inquietasse tanto, soltanto perché non era ancora compiuta, e che poi tutto si sarebbe risolto alla fine. Ma invece siamo stati attaccati dagli Arkonanti.»
Kiril fece una pausa, aspettando una qualche sua reazione. Non ne venne nessuna, così proseguì: «E ho scoperto che c'è ancora tanto, ma davvero tanto, che non ho capito di te. Sei una sorpresa continua Irince, non c'è che dire. Innanzitutto, sei molto più potente di quel che mostri, e ti ringrazio immensamente per aver salvato la vita a mio fratello. Quell'Arkonante invece, potevi anche evitartelo. Non mi ha fatto molto piacere vedermelo morire tra le braccia...»
«Vuoi provare a negarlo? Stava parlando troppo, e così hai dovuto freddarlo» proseguì, visto che lei continuava a perseverare nel suo silenzio muto. «Quello che mi chiedo è come tu sia riuscita a uccidere qualcuno sul colpo. Non è un cebrim da poco; anzi: non sembra quasi nemmeno un cebrim. Lo stesso per la cauterizzazione della ferita di Goran. Come hai fatto a ottenere tutti questi cebrim fuori dalla norma? In un primo momento ho pensato che fossi una Naeph del fuoco, e che l'avessi sfruttato anche per privare l'Arkonante del suo calore vitale, ma poi mi sono reso conto che il trucchetto con Goran ti ha sfaticato troppo, mentre un Naeph una tale piccolezza l'avrebbe svolta senza battere ciglio.»
Kiril sospirò, stropicciandosi gli occhi con le dita. La notte di veglia cominciava a farsi sentire.
«E infine, le rose. Che cosa hai combinato? Che cosa succederà domani, se mia mamma concederà la Benedizione?»
Silenzio.
«Iri» Kiril deglutì. Pronunciare il suo nome cominciava a lacerargli l'anima. Ogni secondo di parole non dette tra loro era una lama che gli scavava dentro il cervello estraendone pezzo per pezzo. «Iri. Mia madre rischia di morire. Se in una parte nascosta o morta, lì dentro quell'interrogativo che è la tua mente, provi il minimo affetto per Goran, o per chiunque di noi... ti prego: trovala o resuscitala, e sistema i tuoi errori, prima che sia troppo tardi.»
Non poteva sopportarlo. Non poteva permettere che tutto crollasse nuovamente per la sua famiglia, a causa di un suo errore. Perché la colpa era di Irina, ma era soprattutto sua, perché l'aveva permesso.
Kiril stava per arrendersi e permettere che chi c'era oltre la porta entrasse e la torturasse con mille domande, quando, con sua sorpresa, Irina parlò, sempre senza sollevare il capo: «Tu pensi che si possa sempre sistemare tutto, che ogni cosa possa avere una spiegazione, ma non è vero. Alcuni fatti sono così come sono e non possono essere spiegati. Il nero non può diventare bianco da un momento all'altro e nemmeno il bianco può morire nel nero. Sono fatti così e basta: possono alternarsi, combattersi e contrastarsi a vicenda quanto vuoi, ma ognuno rimarrà aderente a se stesso e a ciò che rappresenta, nonostante tutti i tuoi sforzi di aggrapparsi a delle sfumature inesistenti nel mezzo».
Ecco cosa lo distruggeva di Irina: la sua capacità di permettergli di vedere scorci del mondo da occhi completamente diversi dai suoi, che al contempo lo inquietava perché era troppo orribile per essere vero, ma lo attirava come un magnete perché Kiril non aveva aspettato altro che quel di più da tutta la vita. Ed era anche frustrante, perché Irina era Irina.
Sì, terribilmente frustrante.
«Va bene» concesse, «vedila come vuoi. Sappi solo che da un momento all'altro Long Mu Chen entrerà qui con i suoi Ophliri e con le buone o con le cattive ti estrapolerà ciò che ci serve sapere. Volevo solo avvertirti: di' quel che hai da dire e ti eviterai sevizie inutili. È un consiglio da amico questo, davvero. Non ti serve più a niente, ora che sei stata presa, continuare con questa farsa. Non so perché lo fai, o per chi, ma in ogni caso ormai è inutile.»
Fece per alzarsi e permettere alle voci di fuori, che si stavano innervosendo anche troppo, di entrare. Poi però gli balenò un dubbio nella mente, a cui si affrettò a dar voce prima che lo corrodesse dall'interno.
«Non era tutto una finzione, vero? A una parte di te piacciamo almeno un po', in parte? Quello che c'è tra te e Goran... è qualcosa di reale, non è così?»
Irina si acquattò di più su se stessa, poi emise un suono appena percettibile, che Kiril non avrebbe nemmeno udito senza cebrim appositi. «Ti ho già dato la mia risposta. Non esistono colori, io non posso essere colori, esistono solo il nero e solo il bianco. Solo il nero e solo il bianco.»
Sconfortato, e sentendosi morire dentro, Kiril posò la mano sulla maniglia, ma proprio in quel momento percepì il sussurro di un'altra frase, rivolta più a se stessa che ad altri: «Altrimenti lei mi punirà».
La porta si aprì, e in un attimo l'esiguo spazio affacciato sulle sbarre di legno della cella di Irina fu affollato di persone. Long Mu Chen era arrivato il prima possibile, appena riferita la notizia, e Li Wen e Georgi gli avevano raccontato ciò che lui a sua volta aveva detto loro di quel poco che aveva scoperto su Irina. Lo sguardo dell'uomo lampeggiava per l'ira, nella quale Kiril vi lesse però, senza difficoltà, tracce ben più consistenti del più puro terrore. La famigliola su cui aveva investito tanto rischiava di mandarlo in malora, dopotutto. Quale peggior disgrazia?
Non gli era mai piaciuto il modo in cui i Long sfruttassero il loro dolore e la necessità d'aiuto per i loro scopi. Lui stesso approvava l'idea di modificare il governo Umanente, ma quello a cui aspirava Mu Chen non era altro che il potere; i Long non sarebbero certo stati meglio dei Mindsmith e dei Razumov, era inutile che sua madre mentisse tanto a se stessa in proposito.
Anche lei entrò in quel momento, sorreggendosi a un bastone da passeggio e aiutata da Georgi. Vederla in quelle condizioni, aggravate man mano con il proseguire delle procedure per la Benedizione di Grigor, rimescolava ora dentro Kiril un intruglio scomposto di sensazioni contrastanti. Prima non si era mai preoccupato troppo, consapevole che si trattasse di qualcosa di temporaneo, ma ora? Se ciò che aveva combinato Irina le avesse impedito di attuare la Benedizione sarebbe restata per sempre così? Sarebbe stata consumata dal suo stesso desiderio di salvare tutti loro e il loro futuro? E non sapevano nemmeno che cosa di preciso Irina avesse fatto, poteva benissimo essere una bomba a orologeria di cui Yordanka era proprio il detonatore...
«Buondì bella gente. Devi sentirti onorata, Irina, siamo tutti qui per te e solo per te. Dunque, come stai?» Long Mu Chen poteva nascondere quanto voleva la sua preoccupazione per la faccenda, ma la sua tensione lo tradiva. Al suo fianco, anche Li Wen osservava la prigioniera a braccia conserte e con espressione severa.
«Come hai potuto farlo?» chiese però Yordanka, senza aspettare la sua risposta. Si era fermata a riposare le gambe sullo stesso sgabello in cui Kiril aveva atteso il risveglio di Irina. Le borse sotto gli occhi e i capelli sfatti dimostravano quanto fosse stremata. Lei si era affezionata particolarmente a Irina, perciò il suo tradimento la feriva profondamente.
La ragazza oggetto di tutte quelle attenzioni, tuttavia, non sembrava nemmeno sentirli. La testa era racchiusa dentro la stretta delle braccia e lei stessa sembrava un gomitolo tutto accartocciato e ritorto dentro se stesso.
"Irina" provò a chiamarla, ma la sua porta, dietro le mura nere e bianche, era sigillata. Tanto per cambiare.
«Ragazzina» insistette Mu Chen lasciando trapelare non poca stizza nella voce. «Ti ho fatto una banalissima domanda, forse sciocca, ma alla quale non ti costa nulla rispondere. Altrimenti potrei offendermi! Vuoi forse che io mi offenda? Sono venuto qui da Pechino apposta per te, non lo sapevi questo? Vuoi forse rendere vano il mio viaggio? Suvvia, un po' di gentilezza per un vecchio signore...»
«Irina, ti conviene rispondere» insistette con tono freddo Li Wen.
«Irina Zaytseva, giusto?» proseguì Mu Chen, spigliato. «Diciassette anni, ultima Zaytsev ancora in vita, non avevi mai avuto contatti con i Grig-»
«Non mi chiamo così.»
La risposta improvvisa e inaspettata di Irina calò una scure sul discorso di Mu Chen. La voce era liscia e controllata, fredda come i colpi che la ragazza gli aveva sferrato nel campo di rose. Con una grazia che nessuno si sarebbe aspettato da chi fino a un attimo prima era raggomitolato su se stesso in modo quasi delirante, si sciolse dalla sua posizione, lasciando scivolare lateralmente i capelli scompigliati, si alzò in piedi e mosse alcuni passi in avanti, guardando verso la finestra a sbarre da cui penetrava l'illuminazione nel vano.
Altrimenti lei mi punirà. Quella frase continuava a ripetersi nella testa di Kiril senza risposta. La paura che più volte aveva scorto negli occhi della ragazza, però, assumeva finalmente un senso.
«Irina Zaytseva è morta insieme alla sua famiglia. Io ho solo preso in prestito il suo nome per potermi infiltrare qui.»
Nel dire quelle parole, sciolta nell'olio, Irina sedette a gambe incrociate nel centro esatto della cella. Schiena dritta e mento in alto, nei suoi occhi ora non vi era la minima traccia di tormento, né tantomeno di paura per i trattamenti che avrebbe potuto subire.
Rivolse poi lo sguardo verso Yordanka, spietata. «Mi chiamo Irina Razumova. E mio padre è Maksim Razumov.»
Un'esplosione. A Kiril parve quasi di vederla.
Quel nome impattò su di loro come una bomba scattata nel momento giusto, più violenta, inaspettata, eppure al tempo stesso così scontata da risultare distruttiva. Quel nome era sempre stato sinonimo di disgrazie: quando c'era di mezzo lui, i Grigorov erano sempre spacciati.
«... No... non è possibile, tu stai mentendo... stai mentendo...»
Georgi sorresse Yordanka prima che cadesse dallo sgabello. Il petto di sua madre sembrava essersi svuotato tanto faticava a respirare.
«Non ho alcun interesse a mentire al momento. Potete anche verificare, se questo vi fa essere più sicuri. Sono l'ultima dei quindici figli di Maksim, mia madre è stata la sua sesta moglie. Sono stata educata privatamente nella fortezza di Gamsutl, fino a quando sono stata mandata qui a svolgere questa missione. L'obiettivo era infiltrarmi tra voi e portarvi a fidarvi di me; sfruttare la recente strage di Pietroburgo è stata una parte essenziale del piano: un personaggio come Irina Zaytseva era perfetto per impietosirvi e farvi abbassare la guardia.»
«Scommetto che nemmeno la strage sia avvenuta per caso proprio quando serviva a voi» commentò con cinismo divertito – ma anche affascinato? – Mu Chen.
«Sono state solo sollecitate tensioni già presenti.»
«Non voglio crederci... no... non può accadere di nuovo... ma che dico, sapevo benissimo che sarebbe successo... sono stata una sciocca, una sciocca...» continuava a delirare sua madre con un filo di voce. Kiril avrebbe tanto voluto essere arrabbiato, detestare Irina per tutte le bugie e per l'effetto che le sue parole stavano avendo su sua mamma... ma non ci riusciva, non sapeva perché. Proprio non ce la faceva a detestarla. Sarebbe stata l'unica cosa sensata, e invece il mondo continuava sempre a non avere senso.
«Qual è il piano del vecchio Mak?» A quell'appellativo, Mu Chen si guadagnò un'occhiataccia da sua mamma, quasi lo rimproverasse di non prendere seriamente la questione. Non era una questione personale, era risaputo che il Pre-Delphino Long non prendesse mai sul serio nulla, in apparenza.
«La Benedizione di Grigor sarebbe stata un evento eccezionale, che avrebbe definitivamente restituito ai Grigorov il prestigio che avevano prima dell'avvento dei Vortici. Maksim non poteva permetterlo. Così ha pensato che, se invece di una Benedizione, voi aveste concesso una Maledizione, la vostra reputazione sarebbe stata rovinata per sempre, che sareste stati condannati e lui scagionato dalle sue colpe.»
Irina deglutì, una prima avvertenza di crepa nella superficie liscia della sua inalterabilità.
«In cosa consiste la Maledizione?» non si trattenne dal chiedere Kiril, mentre la prospettiva delle parole di Irina segnava strisce di sgomento terrore in tutti i presenti.
«Questo... questo toccava a me deciderlo, una volta analizzata da vicino la questione. Ho notato» spiegò, perdendo mano a mano la sua fredda indifferenza, «ho notato che... che se aumentavo l'intensità dei mens che Yordanka donava alla terra, allora... allora questi cominciavano a essere sovrabbondanti, e i flussi sottostanti si facevano violenti e inquieti, rischiando di... esondare. Il flusso che per anni è stato usato per benedire gli Ephuri si è trasformato in qualcosa di avido e affamato, malato. Credo... credo che se Yordanka attuasse la Benedizione adesso ne verrebbe sopraffatta. E nel distribuire i mens agli altri... invece che riempirli e aprire le loro menti... finirebbe per svuotarle e ridurre tutti a gusci vuoti. Nel migliore dei casi, farebbe perdere le facoltà dei Cerebrum, riducendo tutti gli Ephuri presenti a nulla di più che Letargianti... se non addirittura portare definitivamente allo stato vegetativo... o alla morte. Non ho calcolato bene il livello di frenesia immesso, ma ho cercato di renderlo più intenso possibile, così... così da rendere più drastici gli effetti della Maledizione e di conseguenza della vostra condanna.»
Dopo aver concluso quella frammentata confessione, Irina si abbandonò a uno dei suoi soliti e compulsivi sfarfallii di ciglia, con fare disperato quasi quanto il giorno prima, quando l'aveva vista schiaffarsi violentemente gli occhi in modo ripetuto.
La situazione era peggio di quel che credeva. Sua mamma ormai sembrava esser sprofondata definitivamente nella follia, continuava a biascicare, delirante, parole incomprensibili a una rapidità pazzesca, la sua pelle sembrava essersi fatta grigia e le labbra le tremavano. Vederla in quelle condizioni scavava nel petto di Kiril un'angoscia che non sapeva descrivere. Non era la prima volta che entrava in crisi per tutto quello che aveva passato, ma non l'aveva mai vista tanto sconvolta...
«E se non venisse attuata la Benedizione, invece? Con il tempo tutto tornerebbe alla normalità?» incalzò intanto Mu Chen, ogni traccia di sorriso era sparita dal suo viso.
Irina arrestò di scatto la sua compulsione e fissò per un attimo Mu Chen con occhi intontiti.
«No» rispose poi, le sopracciglia tirate verso l'alto e il tono semplicistico. «No, è questione di tempo prima che imploda definitivamente travolgendo tutta la valle. Non ho idea di quali effetti possa avere, ma gli Arkonanti avevano ragione a essere preoccupati. Potrebbe essere una cosa più grande di tutti noi messi insieme... chissà... magari quanto un Vortice.»
Quella parola fu per tutti come una secchiata d'acqua in piena faccia, che fece impallidire Mu Chen e che zittì Yordanka. Con stupore, Kiril vide la rabbia prendere il posto della disperazione nel viso di sua madre, che, spinta da un'improvvisa forza recuperata, si alzò per gettarsi con furia sulle sbarre di legno, alle quali si aggrappò.
«Non. Osare.» Deglutì. «Non puoi farci questo. NON PUOI! Ti ucciderò! Ti ucciderò con le mie stesse mani se solo-»
«Non c'è modo di invertire il processo» ribatté Irina in un filo di voce.
«No-no-no... tu l'hai fatto e ora tu lo distruggi, altrimenti io... io-»
«Mamma, per favore, adesso siediti» la fermò Georgi, sorreggendo il suo peso prima che crollasse definitivamente al suolo.
«Ma che succede? Perché sei tanto arrabbiata, lelia¹?» chiese all'improvviso una voce dalla porta. Ana. Lei, Ilia, e persino i gemelli, si erano raccolti lì, a fissare sconvolti la rivelazione della loro fine. Negli occhi dei fratellini più piccoli, Kiril rivide con orrore la stessa confusione che aveva provato lui quando era più giovane ancora di loro. La stessa necessità di capire perché la vita all'improvviso fosse diventata così cupa e perché il mondo avesse sempre meno senso.
Cominciava sempre così. E ancora adesso ne portava le cicatrici. Ancora adesso, nulla aveva senso e al tempo stesso ne aveva troppo.
La storia si stava ripetendo. Un'altra volta ancora.
«Non è niente Ance, adesso mamma va a riposare, va bene?» Georgi fece per accompagnare la madre fuori, ma lei si ribellò, insultando e imprecando. Era la prima volta che Kiril la vedeva trattare male Gogo.
«Non m'importa, dobbiamo impedirlo, dobbiamo trovare il modo di impedirlo, prima che sia troppo tardi... dev'esserci un modo... ci sarà sicuramente un modo...»
«Innanzitutto credo che la priorità sia dare l'allarme per impedire a tutti gli Ephuri che stanno venendo qui di mettere a rischio anche le loro vite. Inoltre potremmo far evacuar-»
Mu Chen fu interrotto da un verso isterico di Yordanka. Dagli occhi fuori dalle orbite dell'uomo, Kiril suppose che nessuno avesse mai osato rivolgersi con quel tono al Pre-Delphino.
«No. Non fate andare via nessuno» sibilò perentoria sua madre. Kiril detestava ammetterlo, ma in quel momento sembrava davvero... pazza. Questa consapevolezza originò una confusione tale di interrogativi da far quasi ammattire lui stesso. «Non voglio creare il panico. Questa Benedizione avrà luogo. È ancora presto, abbiamo tempo fino... fino a mezzogiorno! Possiamo ancora risolvere la faccenda! Altrimenti... altrimenti saremo dannati per sempre, capite? Capite?»
Yordanka aveva preso Mu Chen per la camicia e lo scuoteva con insistenza. Prima che lui avesse il tempo di pronunciare una sola parola, due Ophliri la afferrarono per le braccia, gesto che parve sconvolgerla e sconquassarla tutta, portandola nuovamente a confabulare parole incomprensibili.
Vedere sua madre in quello stato era... era... il caos gli impediva anche di trovare delle parole sufficienti a descrivere quello che gli occhi non si decidevano ad accettare. Non era nemmeno più presente. La realtà si era estraniata da lui, Kiril si era dissolto nel nulla e il suo corpo se ne restava lì, di ghiaccio, senza muovere un solo muscolo.
«Yordanka» s'intromise con fermezza Li Wen. «Ricordi cosa ti ho promesso? Nessuno farà del male alla tua famiglia, io lo impedirò, chiaro? Noi lo impediremo. Papà vuole solo aiutarci, non verrà incolpato nessuno di voi se illustriamo ufficialmente la natura della minaccia, non c'è assolutamente nulla di cui pr-»
Li Wen fu interrotta da una mano sul braccio, gesto compiuto di scatto da Mu Chen stesso, che aveva appena sgranato gli occhi: un messaggio mentale, dedusse Kiril. «No» esclamò a labbra serrate l'uomo, la mascella contratta per una furia che non aveva rivolto nemmeno a Yordanka quando poco prima l'aveva strattonato sputandogli in faccia la sua disperazione.
«Maksim è fuggito da Gamsutl. È qui.»
Nepodvizhen=Immobile
AHAHAHAH divertente, vero? Sono riuscita a mettervi un po' di ansia con questi conti alla rovescia? Spero di sì perché mi sono impegnata davvero a farli ahahah sono carini, vero?
In ogni caso ... vi era mancato il vecchio Mak? Finalmente torna IL VERO PROTAGONISTA di questa storia, nel massimo della sua magnificenza! Ora ci è finalmente chiaro il suo obiettivo, ma come lo metterà in atto?
E che dire di Irina... ormai ha fatto un disastro 💀 Sembra davvero una situazione senza via d'uscita...
Ammirate la stupenda reazione di @GiulSma alla fine di questo capitolo, del tutto in linea con quella dei personaggi:
Va bien, mi dileguo! Buona lettura e tenete d'occhio il tempo Tic-Tac-Tic-Tac-Tic-Tac-Tic-Tac...
꧁ꟻAᴎTAꙅilɘᴎA꧂
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