29.Dŭhŭt na zemyata
Karlovo, giugno 2009
Non appena il primo piede di Li Wen scese dal jet e toccò i sampietrini di una delle strade del paesino bulgaro, la ragazza inspirò a pieni polmoni il profumo di rose che le s'infiltrò in ogni poro della pelle nel giro di pochi attimi. Quando il suo cappello a tesa larga sul capo e l'abitino rosso stretto in vita da un laccetto bianco che indossava si volsero indietro verso il marito che atterrò subito dopo di lei, si sentiva già una degli abitanti di Karlovo intenta a dare il benvenuto a un affascinante gentiluomo venuto da lontano.
Li Wen era così: non le ci voleva nulla per ambientarsi, diventava parte di ogni luogo in cui aveva l'onore di respirare. Questo era il motivo principale per cui adorava viaggiare: per lei muoversi da un posto a un altro fisicamente non era un semplice viaggio, quanto una vera e propria esperienza di vita, un'immersione completa in una realtà diversa che, temporaneamente, diventava la sua normalità e poi tornava a essere qualcosa di affascinante e nuovo nella sua memoria, una volta che ne era lontana.
«Questo posto mi piace moltissimo» sussurrò avvicinando il suono della sua voce all'orecchio di Georgi per non rischiare di colpirlo negli occhi con il cappello se si fosse avvicinata a riferirglielo di persona.
«Siamo qui da neanche un intero minuto» rise lui, già sapendo la sua risposta. Era quello che si ripetevano ogni volta che atterravano su un nuovo luogo; da quando si erano sposati avevano già visitato trentasei località diverse in tutto il mondo, in ognuna delle quali avevano trascorso bellissimi momenti godendosi ogni attimo al meglio.
«Motivo in più passarci più tempo» replicò infatti, come suo solito, godendosi gli occhi di Georgi sul suo sorriso smagliante.
Pochi metri più in là, una nostalgica Yordanka si guardava attorno forse ricordando eventi passati che credeva di aver perduto per sempre, relativi a lontane primavere dell'infanzia trascorse a Karlovo. Lei, Cicio Vasko, Ilia, i gemelli e alcune sue amiche Metephre avevano raggiunto Karlovo insieme a loro, ma su un altro jet, perché quello suo e di Georgi non poteva contenere più di due persone e con tutto quello che ci avevano vissuto all'interno avrebbe avuto uno strano effetto ospitarvi dentro qualcuno di diverso da loro. Li Wen detestava ammetterlo, ma era a dir poco gelosa dei suoi spazi e dei suoi averi personali, una caratteristica forse ereditata dal ramo paterno, dal momento che suo papà le aveva insegnato a diffidare sempre di tutti e a imparare a contare sempre e solo su se stessa e su chi amava per davvero. Amava Yordanka e compagnia, ma solo come amore acquisito, come entità della famiglia in cui non aveva avuto difficoltà ad ambientarsi, al pari di ogni altra cosa; ma lo spazio che condivideva con Georgi era solo loro e non intendeva contaminarlo con presenze estranee.
E poi questo non sembrava aver dato problemi ai Grigorov. Erano talmente tanti che non sarebbero comunque riusciti a entrare in un jet soltanto! In quel momento Ilia stava aiutando Cicio Vasko a scendere i gradini senza capitombolare giù, e l'ometto che Li Wen stimava molto non faceva che inveire scorbutico contro il mal d'aereo e le scale tremolanti, facendo ridacchiare Ilia. Era così bello vederlo sorridere ogni tanto! I suoi momenti di depressione mettevano una gran tristezza addosso a Li Wen. Percepiva in lui anche il disagio nell'essere trattato diversamente dagli altri; era forse la prima volta che metteva piede fuori dall'Ephia, ma anche in quell'occasione la madre aveva preferito tenerlo vicino a sé e non insieme ai suoi fratelli più grandi a cui era più legato. Almeno non lo aveva lasciato a Vitosha con Todor, quella sì che sarebbe stata una vera punizione... non per nulla nessuno avrebbe sentito la mancanza del marito di Yordanka durante la permanenza a Karlovo.
Con le dita che giochicchiavano con le bretelle dello zainetto in cui era riuscita a infilare praticamente tutti gli averi di cui necessitava per il soggiorno, trotterellò da Yordanka. Si sentiva felice come una bambina. «C'è un'atmosfera molto...»
«Vecchia?» grugnì Yordanka in risposta, prima di scoppiare in una risata calorosa nel notare l'espressione sconvolta che quell'uscita aveva fatto germogliare sul viso di Li Wen.
«No, volevo dire... rilassata. Sembra di essere entrati in un'altra epoca o in un altro mondo. E... lo sento solo io questo profumo di rose?»
«Credo che ormai quello sia impregnato ovunque qui. Ricordo che da piccola mi nauseava. Soprattutto quando non avevo ancora sviluppato cebrim che potessero ridurre l'effetto delle sensazioni destabilizzanti troppo forti. In particolare gli eventi, le sfilate, i balli e semplicemente tutte le manifestazioni Letargianti che si svolgono in questi giorni, erano davvero duri da gestire. Per questo non volevo portare i bambini...»
«Da, ma noi abbiamo insistito!» aggiunse con tono furbastro Andrei, subito contrastato dal fratello, che aggiunse, abbracciando la madre: «Perché volevamo esserti vicini in un momento così importante, mamo».
Lei gli scompigliò i capelli mentre Andrei faceva roteare gli occhi.
Li Wen sorrise intenerita da quel quadretto e poi fece divagare lo sguardo intorno a sé per interiorizzare meglio ciò che la circondava. In un primo momento le era venuto da affidarsi a tutte le sensazioni diverse dalla vista proprio come se fosse un'abitante di Karlovo che non avesse bisogno di guardare dove andare per sapere dove mettere i piedi. Qualche rapida occhiata era sufficiente: casette di massimo un piano, dalle tinture chiare, gli spigoli e gli infissi contornati da travi in legno scuro, puntoni arcuati che sorreggevano i tradizionali sbalzi delle abitazioni bulgare; cime di alberi verdi puntinati di fiori facevano capolino dietro le coperture a tegole e piante rampicanti occasionalmente si appendevano a un portone o l'altro; pavimento in sampietrini in alcune strade alternati da pietre dalle forme più irregolari in altre; poche automobili posteggiate ai lati delle vie nella zona periferica in cui si trovavano, ovvero la città vecchia, e molte di più in quella in cui risiedevano la maggior parte dei turisti, venuti da tutto il mondo, per assistere all'evento.
Senza rendersene nemmeno conto, Li Wen aveva attivato per sbaglio le sue Percezioni Estese, un cebrim che le permetteva di vedere, con tutti i sensi di cui disponeva, molto oltre ciò che era normalmente possibile anche per la maggior parte degli Ephuri; per cui, in un attimo, era già consapevole di come fosse l'abitato dall'altra parte della città - quasi tutta affollata di turisti per l'appunto - nella quale ormai non le era difficile orientarsi, come se davvero la conoscesse da sempre.
«L'hai di nuovo attivato?» rise vicino a lei la voce di Georgi, che, come sempre, sapeva riconoscere in lei l'entità di tutte le sue emozioni, anche quelle che nascondeva dietro i sorrisi. «Tranquilla, siamo qui per lavoro, non è una vacanza. Saperti orientare meglio volgerà a tuo favore.»
«Uff, è che per una volta mi piacerebbe riuscire a godermi un posto nuovo... da nuovo, insomma, senza averlo già interiorizzato durante i primi cinque minuti di permanenza!» irritata da se stessa, si levò il cappello a tesa larga, indossato per assomigliare più a una turista, e si arrese alla sua condizione. Da un lato era una benedizione diventare un filo del tessuto che visitava, e per questo le piaceva tanto viaggiare; l'altra faccia della medaglia, però, era che non aveva mai avuto modo, per lo stesso motivo, di stupirsi, confondersi, perdersi, nell'incontrare qualcosa di nuovo per davvero. Una maledizione nascosta nella benedizione, esattamente come suo papà ripeteva sempre quando si riferiva a Georgi; Li Wen non era stupida, sapeva del pericolo che correva ad avvicinarsi a quella famiglia. Non le importava. Era inutile mentire, era entrata a farne parte nel momento stesso in cui aveva messo piede all'Ephia di Sofia la prima volta, dopodiché era stato tardi per tornare indietro. A differenziarla dai Grigorov però, sopravviveva in lei la caratteristica Long basata sull'iperprotezione di se stessa e di ciò a cui teneva, la stessa che li rendeva gli unici meritevoli per davvero a governare l'intera civiltà Umanente globale al posto dei Mindsmith.
Proteggi ciò che ami. Questo era il loro mantra, e comprendeva: distruggi chiunque lo minacci.
Quasi a farlo apposta, in quel momento sopraggiunse il ruggito del terzo jet partito da Vitosha, che atterrò nella stessa piazzola. Eccola che arrivava: l'intrusa.
A scendere per primo fu Goran, con un'aria sollevata che le fece intuire che il viaggio non era stato piacevole. Fu seguito subito dopo da Kiril, adombrato in una maschera accartocciata, immerso in chissà quali pensieri, e poi da Anička, con le cuffie alle orecchie e l'atteggiamento indifferente.
E poi eccola, per ultima, elegante nella sua statura slanciata e con i lunghi capelli castani sferzati dal vento. I suoi occhi freddi e calcolatori scrutarono attorno con circospezione, poi si abbandonarono a quel solito insopportabile tic che le faceva battere compulsivamente le palpebre.
Poteva sembrare una ragazza carina e gentile, e anche Li Wen si era lasciata ingannare in un primo momento: era stata disponibile con lei, le era stata amica, immaginando come potesse sentirsi in un luogo nuovo avendo perso tutti quelli che conosceva, le aveva persino raccontato piccole bugie inventando di sana pianta aneddoti su quanto anche a lei fosse stato difficile ambientarsi all'inizio. Bugie a fin di bene, le era stato insegnato che quelle non facevano mai male a nessuno. Eppure, Irina aveva tradito la sua fiducia: stava lacerando qualcosa in quella famiglia, stava facendo accadere ciò che non avrebbe mai ritenuto possibile, proprio tra Kiril e Goran. Da quando c'era lei, in qualche modo tutto era cambiato. Era un'intrusa, non sarebbe dovuta venire lì. Inoltre... rappresentava una minaccia, lo sentiva in ogni fibra del suo essere.
«Ancora non capisco perché è dovuta venire pure lei» disse tra i denti, conficcandosi di nascosto le unghie nei palmi per trattenersi dall'accogliere l'intrusa con un bel triplo calcio su quel suo bel visino da bambola.
«Lo sai che mamma è molto legata a Irina. L'ha invitata lei stessa» cercò di rassicurarla Georgi, con un sorriso forzato. Per lui non era mai facile gestire quelle situazioni, pertanto cercava di non immischiarsi. Ma Li Wen non poteva proprio farne a meno.
«Oh, bene, ci siamo tutti!» esclamò in quel momento la voce di Yordanka, interrompendo i suoi pensieri aggressivi, e attirando l'attenzione su di sé. «Seguitemi, la nostra residenza è da questa parte, ci rifocilleremo un po', magari metteremo tutto in ordine dato che è da un po' che non veniamo e di sicuro ci sarà parecchio da sistemare, e poi... ai campi di rose!»
«Yuppie!» esclamarono i gemelli a una sola voce. Anche Li Wen sorrise raggiante. Aveva già intravisto, dall'aereo, il mare rosa che ricopriva quella valle, uno spettacolo a dir poco rilassante per gli occhi, e che da lontano appariva ancora nuovo ed entusiasmante. Presto non sarebbe più stato tale. Ma non aveva importanza; ciò che contava di più, al momento, era tenere d'occhio quella Irina.
Le lanciò un secondo sguardo infuocato, poi, altera, seguì Yordanka e il resto della famiglia.
«Non so, non me la racconta giusta» fece Li Wen, imbronciando il viso mentre passava un fazzoletto bagnato su una vecchia foto. «Oh guarda che belli questi bimbetti! Sai chi sono?»
Georgi, intento a impilare vecchi oggetti da dar via, si avvicinò a osservare la vecchia foto appena ritrovata. Raffigurava tre bambini sui dieci anni, di cui due Metephri, tutti uniti dalle braccia di un uomo con il viso segnato da rughe, che ora sorrideva a suo marito da un passato perduto.
«Oh... questo dev'essere mio nonno, Milen. Indossa la stessa felpa che aveva zio Petar nella più vecchia foto di famiglia che abbiamo a casa, mamma mi aveva detto che era stata ereditata. Per cui quello è il bisnonno. Quindi gli altri due...» Georgi deglutì. «Credo che siano Konstantin e Hristo. Non sapevo che qualche volta fossero venuti qui anche da così piccoli. Anzi, non sapevo proprio che fossero con noi da così tanto tempo...»
A Li Wen si strizzò subito il cuore nel vedere gli occhi di Georgi perdersi in quei ricordi e in quelle supposizioni dolorose. «E il tuo bisnonno invece? Come si chiamava?» chiese, per spostare l'attenzione su chi non aveva conosciuto e che, quindi, non poteva evocargli memorie spiacevoli.
Lui scosse la testa, raccogliendosi i capelli in un codino - quando sua mamma non poteva vederlo lo faceva ogni tanto, e Li Wen ne gioiva sempre perché con i capelli legati stava divinamente. «Non me lo ricordo.»
Ripose la foto tra quelle che era sicura Yordanka si sarebbe voluta portare a casa per rinfoltire l'album di famiglia, poi si mise in cerca di parole per alleggerire il silenzio che quel breve scambio aveva scavato tra loro, riprendendo l'argomento centrale di discussione: «Dicevo, non me la racconta giusta. Cioè, se ci pensi non è strano che in tutta Sofia abbia incontrato proprio Ran e Kiro? Non sarà Pechino, ma è comunque una città a dir poco estesa e popolosa. Come è possibile che sia capitata proprio tra i loro piedi?»
Georgi ridacchiò. «Mh... era diretta a Vitosha, no? Quei due gironzolavano proprio nei quartieri subito sottostanti, non mi sembra così strano. Secondo te questo lo teniamo?»
Li Wen girò su se stessa per vedere cosa il marito le stesse porgendo e per poco non sbiancò nel trovarsi un preistorico calzino puzzolente a due centimetri dal naso. «Buttalo.»
Lui obbedì con espressione schifata. «Ma secondo te come ha fatto a rimanergli questo fetore addosso per tutto questo tempo?»
«Credo che sia impregnato di qualche cebrim, mi sa che doveva essere una sorpresina per quando sarebbero tornati...» Un'improvvisa angoscia le mozzò in gola il resto della frase. L'ultima volta che i Grigorov avevano messo piede in quella casa l'avevano lasciata con la convinzione che vi sarebbero tornati l'anno seguente. Invece era scoppiato il primo Vortice; erano stati decimati; per anni avevano subìto accuse ingiuste. E il tanfo di quel calzino era rimasto lì ad aspettare per tutto quel tempo di inorridire qualcuno che nemmeno esisteva più. A quel pensiero si sentì un'intrusa in una casa di fantasmi. Adesso le stesse rose dipinte sulle pareti, che appena arrivata le erano parse incantevoli, la osservavano accusatorie, quasi si fossero tramutate in bozzoli di sangue dei caduti: intrusa, questa non è casa tua.
Per la prima volta si sentiva di non appartenere a qualcosa, ma la sensazione non era così piacevole come aveva immaginato. Le sembrava quasi di sentire il disagio inerpicarsi con le sue otto zampette tra le scapole e poi verso la colonna vertebrale, la sensazione era così nitida che...
«Hu, hai un ragno sulla schiena» disse la voce di Georgi.
«Che cosa? Toglimelo-toglimelo-toglimelo!»
«Un attimo, se restassi ferma magari sarebbe più facile...»
«HO DETTO TOGLIMELOOO»
«Preso.»
Li Wen tirò un sospiro di sollievo, passandosi una mano tra i capelli per tentare di rimetterli in ordine dopo i mille salti. «Davvero?»
«No» disse in un soffio Georgi, allungando rapido una mano sul suo collo e afferrando per davvero il ragno. «Avevo solo bisogno che restassi un attimo calma...»
Il ragazzo si avvicinò al davanzale per permettere al gigantesco coso nero di sgusciare fuori dal suo palmo e rifugiarsi in giardino. «Ma era una tarantola!» squittì.
«Esagerata» rise lui, «non era poi così grande».
Li Wen incrociò le braccia al petto, ignorando tutti gli altri solletichi che l'attraversavano in quel momento, le solite illusioni provocate dalla sua aracnofobia ogni volta dopo che si trovava un insetto a otto zampe addosso. «Sei un bugiardo, signor Gorislav!»
Lui sorrise, a quell'appellativo, poi con quello sguardo sbarazzino che rivolgeva solo a lei, rispose: «Sbaraglieresti da sola eserciti di Arkonanti e ti fai terrorizzare tanto da un ragnetto. E comunque... non c'è di che, Hu».
Quando la chiamava con il cognome che lei aveva inventato la prima volta che si erano visti, Georgi assumeva una sorta di proprietà magnetica per lei. Le loro labbra stavano giusto per annullare la distanza che le separava, ignorando tutta la sporcizia e il fetore di cui al momento erano impregnati, solo per concentrare in quell'unico gesto la manifestazione del sentimento da cui entrambi erano trascinati... quando un tonfo sulla porta li fece sobbalzare entrambi.
«Ana!» esclamò sorpreso Georgi. Sorpreso, non severo. Georgi non era mai stato in grado di imporsi veramente sui fratelli minori, anche quando questi sbagliavano o andavano puniti.
La ragazzina impugnava un lungo bastone di legno dall'aria minacciosa, ma non li stava nemmeno guardando, troppo impegnata a fissare il pavimento per... era difficile capire esattamente cosa stesse facendo, o meglio cosa stesse non facendo. Grida e percussioni esplosive di musica heavy metal uscivano anche fuori dalle cuffiette infilate nelle sue orecchie, mentre la sua bocca masticava forse una gomma, e nella mano sinistra teneva un telefono su cui sfrecciava il pollice intento a giocare a un qualche gioco di cui non sembrava perdere una partita, e nello stesso tempo con la destra picchiava con l'asta di legno sugli spigoli del pavimento.
«Ma che stai facendo?» esclamò stizzita Li Wen. La famiglia. Sempre così, anche con i suoi fratelli e sorelle era lo stesso.
«Shh, l'ho quasi infilzato.»
Li Wen stava per chiederle se parlava di qualche mostriciattolo nel suo gioco sul telefono o se si riferisse a qualcosa di reale, quando con un'espressione vittoriosa la ragazzina infilzò una macchia nera che sfrecciava sul pavimento. «Preso!» esclamò poi, riponendo quello che scoprì essere uno scarafaggio morto in un cestello di latta dove si unì ad altri cadaveri della stessa specie.
Sollevò poi lo sguardo su di loro. «Se ne trovate qualcuno chiamatemi, la giustiziera degli scarafaggi accorrerà subito da voi!» Un inchino, ed era già sparita.
«Ma che... come fa a...»
«È multitasking, una cosa dei giovani, riescono a fare trecento cose insieme.»
Li Wen arricciò il naso. «Dai, non dire giovani in quel modo, mi fai sentire vecchia!»
«Su, riprendiamo a lavorare, che abbiamo ancora tanto da sistemare.»
Ripresero a pulire e a ammucchiare vecchie cianfrusaglie, e nel silenzio i pensieri di Li Wen non poterono fare a meno di tornare a Irina - l'intrusa.
«Non credi che sia un po' strana?»
«Chi?»
«Ma Irina ovviamente!»
Georgi sospirò rumorosamente. «Non penso che siano affari nostri. Ormai passa più tempo all'Ephia di Sofia di quanto ne trascorriamo noi. Non possiamo basare giudizi su quel poco che abbiamo visto.»
«E invece sì! Cioè, no, non intendevo questo!» Li Wen buttò lo straccio che era diventato troppo lercio per prenderne uno nuovo. «Dico solo che non è totalmente sincera. All'inizio ci avevo parlato e mi sembrava apposto. Ho notato l'interessamento di Goran nei suoi confronti e la cosa mi sembrava reciproca, ma poi... lei l'ha rifiutato. Per non parlare dei suoi litigi continui con Kiril. L'hai mai visto litigare con qualcuno? No, va bene, litiga sempre con Ran, ma non mi sembra che a lei abbia mai fatto qualche torto... e, come se non bastasse, adesso Goran sospetta che lei abbia una cotta per suo fratello, e dunque ora il loro bellissimo rapporto è rovinato per sempre! E tutto questo da quando è arrivata lei qui! È un disastro, un disastro!»
Georgi smise di fare quello che stava facendo. «E come le sai tutte queste cose?»
«Mi guardo bene intorno» Li Wen fece spallucce, mentre pensava "e mi piace farmi gli affari degli altri". L'inguaribile curiosità era uno dei suoi difetti peggiori, doveva sapere sempre tutto di tutti. «E credimi, quando ti dico che quella ragazza porterà la rovina nella nostra famiglia.»
Un sorriso intenerito prese forma sul viso di Georgi, sciogliendo il coagulo di preoccupazione che le rattrappiva lo stomaco. Come un bambino che vede nevicare per la prima volta, si emozionava ogni volta che lei si riferiva a qualcuno dei Grigorov come alla loro famiglia, quasi non si fosse ancora del tutto abituato che lei ne facesse parte e la cosa lo meravigliasse ogni volta.
«Hai preso in considerazione la possibilità che Irina stessa possa essere confusa in merito ai suoi sentimenti? Magari non vuole rischiare di rovinare la sua amicizia con Ran, se ti ricordi anche io all'inizio non ero molto sicuro...»
Già, Li Wen ricordava bene l'inizio del loro rapporto e come si fosse originato da una bellissima amicizia sorta nell'infanzia. Nel loro caso, però, lei era stata certa fin da subito della vera entità del sentimento che provava nei suoi confronti.
«È diverso, direi che non siamo paragonabili» ribatté, prendendo a strofinare una macchia sul muro, «noi ci conoscevamo da molti anni, e poi noi siamo noi. Lei è proprio... contradditoria! E poi, vogliamo parlare di quel suo stranissimo tic?»
«Avrà qualche problema familiare, oppure è un modo per affrontare il dolore per tutto quel che ha passato...»
«Ecco, a proposito di questo!» esclamò Li Wen, con la vittoria in pugno, felice che Georgi avesse tirato fuori quell'argomentazione. «Ho chiesto a un amico di famiglia di andare a curiosare un po' a Pietroburgo e...»
«Che cosa?!» il tono era lievemente sopra alla norma, da cui ne dedusse fosse al limite dello scoppio.
Erano rare le occasioni in cui Georgi, il buono e gentilissimo e calmissimo Georgi alzasse la voce con qualcuno. Forse l'unica persona con cui l'avesse mai fatto era proprio lei, la sola con cui riuscisse a essere se stesso e a esprimere tutte quelle emozioni che di solito celava per evitare di offendere e dunque deludere gli altri. Accadeva comunque di rado e Li Wen detestava litigare con lui, ma era certa che appena gli avesse spiegato ciò che aveva scoperto avrebbe capito e si sarebbe calmato.
«Ha potuto constatare che c'è stato effettivamente una presa di potere da parte dei Sokolov» continuò, imperterrita, con tono concitato, «ma quando ha iniziato a fare domande su una certa Irina Zaytseva sono stati particolarmente evasivi. La cosa più strana però, è che a rispondergli in merito non era uno dei Sokolov, ma un Ophliro al servizio dei Razumov, un certo Lev Kuznetsov. Curiosando un poco sul suo passato è venuto fuori che per moltissimi anni questo Lev è stato fedelissimo a... nientemeno che Maksim Razumov. Ora, cosa c'entra Maks-»
«Basta! Smettila!» gridò senza preavviso Georgi, facendola sobbalzare per la sorpresa. Gli occhi erano impregnati di un sangue che sembrava grondare dalla sua stessa anima, e Li Wen si sentì le mani sporche, come se avesse conficcato un coltello nel petto dell'uomo che amava. L'aveva ferito, in modo talmente sciocco ma anche ovvio, per giunta, che nemmeno se ne era resa conto.
Georgi spostò rapidamente lo sguardo sulla porta ancora aperta chiedendosi se nel resto della casa si fosse sentita la sua esclamazione, poi prese un profondo respiro, portandosi le mani alla fronte come per rinfrescarsi il cervello, gli occhi ora catturati dal cortile del retro che li osservava oltre la finestra.
«Perdere chi ami... ti cambia. Si portano via un pezzo di te, capisci?»
Li Wen deglutì, nel tentativo, vano, di trovare le parole giuste. Georgi continuò, volgendosi verso di lei, le sopracciglia a inarcare il dolore che ora aveva assunto una forma più addolcita: «Non ho idea di cosa Irina abbia passato e finché non sarà disposta a condividerlo con le persone che tengono a lei non è nostro compito ficcanasare».
Raccolse le mani di lei nelle sue e la guardò negli occhi, quasi convincere lei fosse sufficiente a convincere anche se stesso. «E Maksim Razumov non può più farci del male. Mai più.»
Lo spero tanto, Georgi, lo spero tanto pensò, mentre si lasciava cullare dal tenero abbraccio del marito, che strinse forte a sé per tentare di riempire il vuoto che nemmeno lei avrebbe mai potuto colmare del tutto.
«I miei bellissimi bambini!» esclamò in quel momento la voce intenerita di Yordanka. La sua testa spuntava da oltre la porta, i capelli raccolti le sembravano esplosi in testa come ogni volta che faceva le pulizie.
Quando loro si staccarono, la madre di Georgi notò lo stato in cui era ancora ridotta la loro stanza e la sua espressione ammaliata si deformò in una velata irritazione. «Vedo che avete ancora molto da fare... vi consiglio di muovervi, perché tra mezz'ora andiamo a vedere i campi.»
«Mezz'ora?» chiese stupita Li Wen, guardandosi intorno sconvolta.
«Già. Ma non importa, pensate prima a sistemarvi per uscire, piuttosto finirete quando saremo tornati a casa» sorrise loro con calore materno e tono concessivo. Inutile mentire: Georgi era sempre stato il suo figlio prediletto, per cui a lui veniva perdonato sempre tutto - e di conseguenza anche a Li Wen.
«Ah, Gogo,» aggiunse però Yordanka prima di sparire di nuovo oltre il coprifilo in legno dell'uscio, «sistemati quei capelli per piacere, sei inguardabile!»
Li Wen accettò, lusingata, la ghirlanda di rose che le offrì una ragazza che, come la maggior parte delle presenti, indossava uno di quei magnifici abitini in cui si alternavano tinte e ricami rossi, neri e bianchi combinati tra loro in raffigurazioni geometriche floreali. La gioia della rinascita della vita nella fioritura variopinta della primavera le solleticava i recettori olfattivi più distintamente del profumo dei damaschi. Non c'era bisogno di guardarsi intorno per vedere i fiori, era sufficiente cercarli negli occhi e nei sorrisi dei presenti. L'arrivo della stagione veniva onorato con canti e balli tradizionali, durante i quali venivano sollevati in ringraziamento a quel bellissimo dono della natura cestelli di vimini colmi di petali appena raccolti.
Il festival, incominciato quel giorno stesso con il rituale della raccolta dei petali, era animato da quei balli a cui avevano appena assistito e da parate in abiti romani, traci e greci, che andavano da Kazanlak a Karlovo e viceversa si sarebbe concluso con l'incoronazione della regina delle rose nel giro di un paio di settimane.
Sarebbe stato a dir poco interessante assistervi integralmente... peccato che loro non erano lì per il festival, al contrario di tutta quella gente. Ben presto infatti, la loro famiglia si separò dalla folla per inoltrarsi nella zona più incontaminata della valle. In un primo momento Li Wen sentì mancare la gioia sfavillante e colorata emessa da chi festeggiava, ma ben presto ne fu invece quasi sollevata. Forse, dopotutto, per quanto potessero essere belli, gli eventi Letargianti erano troppo diversi dalla natura Ephura per poterseli godere al meglio; si stava meglio tra la propria gente.
E poi, ora erano solo loro e le rose. Nient'altro. Mentre avanzavano tra le insenature dei campi coltivati, nessuno dei Grigorov pronunciava una sola parola, perché mani di silenzio reverenziale tappavano loro le bocche. Le rose damascene erano macchie magenta che tappezzavano il verde come brufoli sul viso di un gigante, e Li Wen all'improvviso era un piccolo insetto - ma non un ragno - che zampettava curioso su una mastodontica creatura immortale, sulla vita stessa quasi, di cui non era solo un'affascinata spettatrice. Sentiva di toccare l'apice della sua energia interiore più profonda solo sfiorando il petalo di un fiore o respirando a pieni polmoni il profumo inebriante trascinato dalla fresca aria che soffiava sulla valle.
«L'ho trovato» la risvegliò dai suoi pensieri immersivi la voce di Yordanka. La donna si era fermata a osservare un punto di terreno sterrato dove non vi erano rose. Tutti i presenti, in silenzio religioso, si raccolsero attorno al cerchio che era disegnato nella terra nuda, nel quale vi era rappresentata la raffigurazione stilizzata di una grande rosa. Sembrava un disegno inciso con un aratro qualunque da un qualunque agricoltore, di quelli che sarebbe stata sufficiente una pedata ben assestata per incresparlo e addirittura cancellarne ogni segno, ma una strana sensazione le suggeriva che era più vecchio di lei e di tutti coloro che lo stavano osservando in quel momento. Non per nulla, infatti, era velato agli occhi dei Letargianti con un'illusione occultatrice.
«Che cos'è?» chiese Irina.
«Questo» rispose Yordanka con il tono più serio e solenne che Li Wen le avesse mai sentito addosso, «è il luogo dove tutto questo ha avuto inizio.»
Con quelle parole aveva abbracciato con lo sguardo l'intera valle. Una strana inquietudine fece rabbrividire Li Wen. Forse la questione era più complessa di come aveva creduto all'inizio; aveva pensato che la famosa benedizione di cui si parlava da mesi non fosse altro che una pura formalità, ma il tono grave di Yordanka suggeriva qualcosa di diverso.
«Grazie a questa valle, la Bulgaria produce circa l'ottantacinque per cento della produzione mondiale di olio estratto di rosa, tanto che questo fiore ne è diventato uno dei simboli» incominciò a spiegare la donna. «Circolano varie leggende Letargianti sulle sue origini, la più accreditata è che provengano dalla Persia. La verità, però, è un'altra.»
Yordanka, lasciandoli sulle spine, si chinò ad accarezzare uno dei solchi che componevano il cerchio nel terreno. «Fu Grigor, il nostro primo antenato, capostipite della famiglia, a creare l'intera valle. Secondo la leggenda, Grigor era un Naeph, poteva connettersi con le essenze naturali più potenti e invisibili agli altri, fondendosi con la vegetazione che lo circondava e che ricopriva l'intero globo terrestre. Divenne quasi una sorta di profeta locale, le leggende narrano che con un battito di ciglia fosse in grado di creare foreste e con un altro di ucciderle, ma che usasse il suo dono solo per fare del bene, per nutrire e aiutare. Poteva percepire un filo d'erba a miglia di distanza, e manipolare la vegetazione in ogni parte del mondo, semplicemente toccando la terra e connettendosi con i flussi di mens che legano ogni pianta del globo. I suoi oppositori gli diedero del pazzo e alle sue testimonianze, basate su apparenti infondatezze e mancanza di prove, non fu mai data piena credibilità, ma lui giurò di aver scoperto che il fulcro di tutta la natura era un vecchissimo albero sepolto sotto chilometri e chilometri d'acqua oceanica, nel punto più profondo della Fossa delle Marianne. L'unico che non fosse in grado di far fiorire.»
«Lo Jivonhir?» chiese Georgi.
«Esatto. Scoprendo questo albero, raccontò di essere entrato in contatto con lo spirito di un antico Eph che lo proteggeva, il quale gli raccontò la storia dello Jivonhir, quella che tutti voi conoscete, e che lui pose come simbolo della nostra famiglia. Non si sa quanto di vero ci sia in tutta questa faccenda, perché è relativa a tempi troppo lontani anche per noi Ephuri, e Grigor stesso non diede mai prova dell'esistenza di questo albero millenario. Tutto ciò che ci resta del nostro più antico antenato è questa valle, che lui creò in questo esatto punto, per dare dimostrazione del suo potere agli Ephuri locali che non erano disposti a crederci. Per mostrare il suo spirito pacifico e caritatevole, inoltre, li benedì con l'essenza delle rose.»
Questo spiegava le sensazioni che Li Wen provava a trovarsi lì, circondata da quella vegetazione colorata. Sapere che tutto ciò era stato creato da una sola persona, un solo Ephuro, era affascinante e spaventoso al tempo stesso. Certe volte si trovava a pensare che la loro natura fosse più vicina di quanto credessero a quella degli antichi Eph da cui discendevano.
«Non capisco» ribatté Kiril, aggrottando le sopracciglia. «Queste rose vengono coltivate e curate ogni anno, come fanno a essere state create da Grigor? Avrà fatto crescere quelle originarie, ma queste sono di coltivazione Letargiante, no?»
«Certo,» rispose la madre, «lui diede vita alle prime rose nella sua epoca, che per prime colorarono questa valle, ma erano pur sempre rose normali e stagionalmente appassivano e perdevano il loro profumo in attesa di tempi migliori. Ne affidò ai Letargianti la cura e quello che vedete è interamente opera loro, noi Ephuri non c'entriamo niente in questo. La loro vera essenza, però, è nella terra, nei mens che scorreranno sempre qui sotto a prescindere da come questa possa venire lavorata e movimentata, e che risbucano in superficie a ogni fiore che sboccia. È nella terra che Grigor intrise la sua benedizione.»
«In cosa consiste la benedizione?» chiese Irina. Li Wen stessa era curiosa e se non l'avesse fatto prima l'altra ragazza probabilmente sarebbe stata lei a fare quella domanda, ma in quel momento non poté fare altro che provare fastidio per il suo interessamento. Era un'intrusa, non faceva parte della loro famiglia, e non aveva diritto a essere informata su quelle faccende.
«In parole povere è... una fioritura, a tutti gli effetti. Grigor fece radunare qui, intorno a lui, tutti gli Ephuri, e trasmise loro l'energia di mens che compone questa valle. Si dice che i Naeph siano tanti potenti perché sono in connessione con flussi ultraterreni e immortali più grandi di tutti noi, giusto? Così lui non fece altro che far attraversare tutti i presenti da questa corrente, che si depositò in ognuno di loro. Questo fece sì che durante tutta la primavera e l'estate il numero di cebrim sbloccati aumentasse in modo spropositato, dilatando le capacità dei Cerebrum e facendo germogliare in anticipo il gene Ephuro a coloro che ancora non l'avevano sviluppato. Anche per i Letargianti ebbe effetti benefici, chiunque usufruisse in qualunque modo dei prodotti di estratti di rosa veniva attraversato da energie positive non percepibili direttamente che però contribuivano a migliorare i loro approcci alla vita e alle proprie emozioni.»
Li Wen era senza parole. Era sorprendente, non avrebbe mai immaginato nulla del genere dietro a quella valle di rose, fiori perlopiù comuni, indiscutibilmente belli, ma pur sempre fiori. Cosa li rendeva tanto speciali?
«Perché proprio le rose?» non si trattenne dal chiedere. «Poteva scegliere qualunque piantagione, perché scelse le rose?»
«Non lo so» rispose sinceramente Yordanka, mentre alcuni raggi di sole spuntavano tra le nubi che l'avevano velato e tinteggiavano di colori più vivi il verde e il magenta, che sembravano riflettersi nei capelli castani e bronzei dei Grigorov e attraversavano il silenzioso Ilia come non fosse altro che un vetro opaco.
«La rosa non è certamente un fiore comune» ragionò Yordanka, seguendo con gli occhi la direzione della luce che disegnava sfumature quasi surreali fondendo cielo e campi in un unico insieme, «fu presa come simbolo da numerose culture e tradizioni antiche per diversi significati paradossali. Rappresenta l'amore, la purezza e la passione, la verginità e la fertilità, la morte e la vita, ed è associata a diversi culti Letargianti, senza considerare che era anche simbolo di segretezza e silenzio per le dottrine alchemiche, per le quali a seconda del numero di petali è espressione del quinto elemento, del cuore e dell'essenza vitale, o dell'espansione della consapevolezza della vita attraverso lo sviluppo dei sensi, e infine equilibrio nella congiunzione o rigenerazione di un nuovo ciclo. Non so cosa Grigor intendesse trasmettere esattamente, forse tutte queste cose assieme, o magari era solo il primo fiore che gli è venuto in mente! Fatto sta che la rosa è molto più significativa, più antica e profondamente radicata nell'inconscio umano ed Ephuro di quanto si creda.»
Li Wen guardò nuovamente con occhi diversi ciò che la circondava. Man mano che Yordanka continuava a parlare, si sentiva sempre più piccola e insignificante, e al contempo parte di un insieme troppo vasto per essere compreso appieno. La luce sembrava incastrarsi a perfezione su quella vasta piana incontaminata e racchiudeva l'intera valle in una sorta di cupola protettiva. Li Wen si chiese cosa si provasse a venire attraversati da quella potentissima energia che Grigor aveva donato agli Ephuri e cosa sentissero i Naeph dentro ad esserne continuamente in contatto. Si chiese, soprattutto, come avesse fatto, una così completa condizione di perfetto equilibrio, a esistere negli Eph. Che fosse davvero stato possibile? O si trattava di un'aspirazione irraggiungibile?
«Va bene» commentò Goran, forse per spezzare quel silenzio contemplativo in cui ognuno dei presenti era sprofondato, «ma questo cosa c'entra con noi? Cioè, fu Grigor a creare questa valle e a benedire gli Ephuri, perché era un Naeph. Noi siamo suoi discendenti, ma questo non rende noi stessi Naeph. Cioè, non è una cosa ereditaria. Non... oh per gli Eph, non lo è, vero?»
Yordanka rise, stemperando la pressione che stava facendo trattenere il respiro a Li Wen. «No, Ran, non lo è. Nessuno di noi è un Naeph, sai altrimenti quanti nostri problemi sarebbero già stati risolti! No, Grigor legò questa benedizione al suo sangue, in modo da permettere, a tutti i suoi discendenti nelle generazioni a venire, di usufruirne. In ognuno di noi risiede questa caratteristica, e per ogni generazione la matriarca o il patriarca che è a capo della famiglia diventa il responsabile del procedimento che per secoli si è svolto ogni primavera, in questo periodo dell'anno, Vi prendevano parte, per godere meglio della benedizione e assistere all'evento sacro, un numero di Ephuri sempre maggiore di anno in anno, non solo bulgari, ma anche dal resto del mondo. La nostra famiglia è sempre stata amata e rispettata per la Benedizione, ma tutto è stato cancellato e dimenticato quando il primo Vortice distrusse la nostra casa. Da allora la tecnica fu dimenticata e la benedizione non venne più svolta. Siamo stati quasi sul punto di... di scomparire del tutto. Se così fosse accaduto l'eredità di Grigor sarebbe andata persa per sempre. Ma ora io vi ridarò vita, e in questo modo restituirò il prestigio che merita alla nostra famiglia.»
Li Wen non aveva mai visto Yordanka tanto decisa e al tempo terrorizzata. La pressione della responsabilità che aveva deciso di assumersi si percepiva nel tono basso della sua voce e nei movimenti scattosi, la leggeva negli occhi aperti e attenti e nei nervi sporgenti sulla fronte. La riconosceva senza difficoltà perché l'aveva vista milioni di volte in Georgi, nel quale si manifestava allo stesso identico modo; era incredibile quanto lui e Yordanka si somigliassero.
«Ma come si fa a recuperare qualcosa che è stato cancellato e dimenticato?» chiese la voce gracchiante - perché usata di rado - di Ilia, che fino a quel momento non aveva proferito parola. Li Wen sentì stringersi il cuore a quella domanda posta proprio da chi rischiava di venire cancellato e dimenticato da un momento all'altro.
«Grazie a Vasko» rispose, con sua sorpresa, Yordanka. Lui e i gemelli al momento non erano presenti, avendo preferito restare alla residenza di Karlovo. «Qualche mese fa, ha trascorso un po' di tempo con i suoi parenti nell'Ephia di Plovdiv, e un giorno, nella biblioteca... ha trovato quasi per caso un vecchio libro che suo padre aveva ricevuto in dono d'amicizia da mio nonno, nel quale viene spiegato il procedimento con cui la benedizione viene attivata. L'ho letto ripetutamente e studiato nel minimo dettaglio, così ora... potrò provare ad applicarlo nel pratico. È una capacità che è dentro di me, non posso fallire. E non è neanche così difficile in fin dei conti... no, non è difficile, dovrei farcela. Sì, ce la farò. Devo. Devo farcela.»
Goran rassicurò la madre stringendole una spalla con fare rassicurante. Il ragazzo era sempre molto attento ai sentimenti della madre, e un po' a quelli di chiunque. Più volte Li Wen si era trovata a pensare che sarebbe potuto essere un ottimo leader per la famiglia - non perché Georgi non ne fosse in grado, semplicemente trovava inappropriato costringerlo a svolgere un ruolo che non aveva chiesto e che non desiderava. In quel momento stesso, sentiva emettere dall'uomo che amava una tale ansia, al solo pensiero di dover un giorno fare una cosa del genere, che se ne sentì soffocata lei stessa.
«Non c'è dubbio, mamma» disse Goran. «Ce la farai, ne sono certo. Ne siamo tutti certi.»
Lei sorrise e gli strinse forte una mano come per aggrapparsi, per evitare di precipitare.
«Non avrei mai dovuto essere io. Ricordo che papà spiegava solo a Denislav come fare, era lui che avrebbe dovuto attuare la Benedizione un giorno. E invece eccomi qui, ad affidarmi a un vecchio libro, in una società che mi odia. Probabilmente non verrà nessuno.»
Li Wen non era sicura che sarebbe stato così. Quando si trattava di accrescere la propria conoscenza gli Ephuri non si lasciavano sfuggire nessuna opportunità, anche la più incerta, in questo caso rappresentata dai Grigorov. Certo, magari non sarebbero stati numerosi come prima dei Vortici, ma era solo la prima volta dopo quasi trent'anni! Era un inizio, un primo fondamentale passo avanti.
«E come funziona?» chiese ancora Irina, fissando Yordanka con uno sguardo che a Li Wen parve quasi avido. Che fosse così assetata di cebrim? O c'era altro sotto?
Yordanka non sembrò farvi caso, e rispose con totale tranquillità, concentrata sul suo compito: «È una sorta di scambio. Per circa una settimana dovrò recarmi qui una volta al giorno e concedere porzioni del mio Cerebrum alla terra di questa valle, che le raccoglierà ed elaborerà, fondendole con i flussi che scorrono qui sotto da migliaia di anni. Durante questo periodo perderò alcuni dei miei cebrim e sarò man mano sempre più debole, ma è solo una condizione temporanea, non preoccupatevi. I miei mens entreranno a far parte del sistema naturale che regola queste piante, con le quali svolgeranno, per questo periodo, il ciclo della fotosintesi e entreranno proprio nel circolo di ogni pianta e ogni rosa, perfino nei petali che sono già stati raccolti e che restano comunque connessi a questa terra da fili invisibili che i Letargianti non possono percepire».
Li Wen la fissò, sconvolta. Stava dicendo sul serio? Improvvisamente la ghirlanda di fiori sulla sua testa cominciò a solleticarle fastidiosamente la fronte.
«Quando avrò concesso tutta la mia capienza, e quando i flussi dell'intera valle, che non sono altro che i flussi della vita di cui ognuno di noi fa parte, saranno stati completati» continuò Yordanka, «raccoglierò a me questa energia e la espanderò di fuori. Attraverserà tutti gli Ephuri nel raggio di miglia, e in ognuno di loro si impiglierà un pezzetto, che gli trasmetterà gli effetti della benedizione, mentre a me torneranno tutti i cebrim che avevo prestato, e sarò come nuova. Se le testimonianze di mio nonno sono vere, mi sentirò più pulita io stessa, come se con questo processo ci si liberasse anche delle proprie sporcizie interne, purificandosi. Non so cosa intendesse esattamente, ma immagino che lo scoprirò...»
Li Wen perse un battito quando, senza preavviso, Yordanka mosse un passo dentro al cerchio. Che le saltava in testa? Non aveva mica intenzione di cominciare proprio in quel momento? Così, di punto in bianco?
«Aspetta!» tentò di fermarla. «Non è meglio prima ragionare bene sui pro e i contro, e ponderare meglio per capire se questa cosa è effettivamente pericolosa o meno e...»
Yordanka le sorrise intenerita. «Ho aspettato anche fin troppo Li Wen. Avrei dovuto cominciare già molti anni fa, da quando lo Jivonhir è diventato una mia responsabilità. Da quando... da quando sono diventata il fusto dell'albero.»
Ma che stava dicendo? Farneticava forse? Il tono di Yordanka stava cominciando a trasformarsi, per le sue orecchie, da solenne a sacrificale, e questo non le piaceva per niente.
Nulla, però, avrebbe potuto fermarla ormai. Yordanka aveva alzato il viso per volgerlo al sole. La luce la inondò come se non avesse aspettato altro che la sua accoglienza. D'istinto ognuno di loro mosse un passo indietro per allontanarsi dal cerchio, nel timore di fare qualche danno con la propria presenza.
Yordanka, con fare flemmatico, portò le ginocchia a terra, al centro esatto della rosa, e conficcò le dita nel terreno, senza distogliere il viso dal sole, gli occhi chiusi e un'espressione pacifica in viso. Li Wen cominciò a sentire caldo, poi freddo, poi entrambe le sensazioni contemporaneamente.
Si sentiva i pori della pelle dilatarsi, proprio come venivano invece pungolati in presenza di Sincronie Ophlire, ed era sicura che se avesse potuto vedere i mens sarebbe stato ancora più terrificante.
Non era solo sul suo corpo che percepiva quella sorta di spostamento di qualcosa, la terra stessa sembrava vibrare, le piante non tremavano più per la carezza di un vento estraneo, ma parevano quasi... contrarsi e distendersi, respirare. Tutta la valle stava respirando insieme a Yordanka, Yordanka e la valle erano diventati una cosa sola, un solo respiro.
Il respiro della terra.
Il respiro della vita.
Il respiro dei mens.
Si concluse tutto più rapidamente di quanto si fosse aspettata. Yordanka perse il sorriso e le sue forze vennero meno.
Georgi, Ran e Kiril furono rapidi a sorreggerla prima che crollasse definitivamente al suolo. Stava bene, era solo molto affaticata.
E, qualunque cosa avesse fatto, aveva avuto effetto, Li Wen ne era certa. Non sentiva più distintamente il respiro ma continuava a percepirne la presenza; esisteva, offuscato, velato, a riposo, ma c'era.
Quello era solo l'inizio.
Dŭhŭt na zemyata = Il respiro della terra
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