28.2.Cerno. Byalo.
«Se si è mosso quando mi sono avvicinato significa che non era un marzuolo, vero?» si domandò con tono filosofeggiante Goran, studiando un punto nella selva macchiata di neve stantia.
«Probabilmente era una talpa» commentò in risposta Kiril, con un mezzo sorrisino.
«Oppure il tuo piede» propose Ana, scrollando le spalle.
«Ma sentila! Questo lo trovo parecchio improbabile, Ance...»
La tredicenne fece di nuovo spallucce. «Tutto può essere...»
Irina detestava i funghi. O meglio, detestava mangiarli. Prima di quel giorno però, non si era mai trovata a doverli raccogliere. Ed era un'attività che tutto sommato... non le dispiaceva. Sembrava quasi un gioco (Ombra: da quando abito qui mi sono abituata a usare questa parola nel suo vero significato, prima la conoscevo ma non l'avevo mai compresa per davvero...) cercare intorno a sé, con gli occhi attenti, quei particolari cui normalmente non si sarebbe prestato interesse. Era quasi come guardare oltre la dimensione di esistenza che appariva a tutti, la stessa sconosciuta realtà che solo lei e pochissimi Ephuri erano in grado di scorgere nei mens (e nella quale l'accompagnava Ombra).
La ricerca dei funghi, d'altro canto, non era una dote naturale, ma un'arte complessa che si otteneva solo con scrupolosi studi dell'ambiente circostante e che si poteva padroneggiare grazie a una certa esperienza, che Ran e Kiril possedevano, sicuramente amplificata da qualche cebrim, proprio perché era un'attività che avevano sempre svolto, fin da piccoli.
«Tu invece?» si sentì chiedere in quel momento. Non si era nemmeno accorta di essersi allontanata un poco dalla strada intrapresa dagli altri, attirata dalle illusioni che i giochi di luce filtrati dai rami degli alberi proiettavano sul terreno. Era Goran ad averla chiamata; era sempre lui quello che le prestava maggiore attenzione, che la metteva sempre in mezzo alle discussioni in cui di solito preferiva eclissarsi, facendola sentire... non sapeva dare un nome a quel groviglio di emozioni, ma era certa che un nome esistesse, solo...
Natasha: non ti interessa. Non fa per te. Tu sei al di sopra di tutto questo, quelle emozioni sono per i deboli.
Arriva. Bianco. Su Nero. Dolore. Sbagliato. Natasha.
Nero-bianco-nero-bianco-nero-bianco-nero-bico-nro-bco-nr-b-n-b-bnbnb
«Cosa pensi che sia stato?» insisté Goran un attimo dopo. Già, era trascorso un solo attimo. Il tempo rallentava sempre quando arrivava Natasha, e anche se le ciglia di Irina avevano smesso di sfarfallare per mescolare il nero e il bianco, (Ombra respirava ancora affannosamente come dopo una difficile corsa e il busto tremava), il suo corpo e il suo viso erano scolpiti negli stessi ruderi che avevano abbracciato la sua infanzia.
Si rese conto che la stavano osservando tutti. Si ricompose con tutta l'eleganza di cui era capace, accendendosi un sorrisetto sulle labbra. «Concordo con Anička. Per me è stato davvero il tuo piede!»
Ana scoppiò in una risata sguaiata e vittoriosa, Kiril si limitò a una lieve inclinazione delle labbra.
«Iri, come puoi farmi una cosa del genere?» esclamò, con tono esageratamente oltraggiato, Goran. «Non me l'aspettavo un tale gesto proprio da te!»
Prima che Ran potesse esibirsi in qualunque dimostrazione drammatica avesse in mente, Ana prese a schernirlo con scimmiottamenti e smorfie, delle quali la Zaytseva rise con calore (Ombra osservava con braccia conserte tentando di trattenere le labbra dall'incurvarsi verso l'alto, imponendosi la passività – percepiva ancora l'odore di Natasha nell'aria).
D'un tratto, mentre saltellava tra i rami nodosi e gli strati di foglie secche che tappezzavano il terriccio incolto, uno dei versi di Ana si trasformò in un suono sorpreso, poi in uno strillo spaventato: «Zmiya¹!»
Neanche il tempo di capire cosa stesse succedendo, e per lo spavento Ana era già scivolata a terra, da dove aveva preso a ruzzolare giù per la parte più ripida e spianata del rilievo, ricoperta da un tappeto di neve prima intoccata.
«Ana!» la chiamò spaventata, attenendosi al personaggio. Goran imprecò in bulgaro e le andò subito dietro.
Irina si volse confusa verso Kiril, notando che era restato fermo a osservare la cugina rotolare giù per Vitosha con il volto atteggiato a quel suo classico sorriso dai significati difficili da interpretare, perché adombrato dal peso delle sopracciglia che rendevano la sua espressione più simile a una smorfia. «Andiamo ad aiutarlo!»
«Vai tu, se vuoi.»
Irina sospirò. Kiril riusciva sempre a renderle più difficili le cose che lei reputava semplici o scontate; le persone come i Grigorov, come la Zaytseva e in genere tutti coloro che non erano stati cresciuti da Natasha, non dovevano forse preoccuparsi quando la vita di un loro caro si trovava a rischio? Se lui non era preoccupato, era giusto che la Zaytseva lo fosse? Sentiva che in sua presenza sbagliava sempre tutto, e forse era per quello che... (Ombra: sospetta di me).
«M-ma... non capisco» La cosa migliore è sempre attenersi al personaggio. È Kiril quello strano. Non. Devo. Permettergli. Di. Confondermi. (Ombra: sono sul filo di un rasoio)
«Ana starà al sicuro nelle mani di Ran. Usare la montagna come scivolo era il suo piano fin dall'inizio, non lo sapevi? Mamma non glielo avrebbe mai permesso, così ha dovuto trovare un piccolo escamotage.»
«Intendi dire che...»
«Non c'era nessun serpente.» Kiril concluse con un ampio sorriso che per qualche motivo la fece stare bene. Ecco un altro motivo per cui il suo rapporto con Kiril era così difficile da gestire: quando era in sua presenza, oltre che più complicato, tutto si faceva più semplice.
Il nero e il bianco sembravano quasi... cessare di esistere quando si trovava in sua presenza, quasi fosse in grado di spazzarli via con il semplice potere del suo sguardo (Ombra stessa si sentiva strana, come non si era mai sentita con nessun altro prima...), ma sicuramente erano solo impressioni derivate dal suo sospetto.
«Te l'ha detto lei?» chiese Irina. «Che aveva in mente questo fin dall'inizio?»
Se era riuscito a capire quello, allora quanto ci avrebbe impiegato per scoprire quello che invece stava architettando lei? E se...
Natasha: mantieni la calma.
Questa volta Irina si concentrò su una voce diversa, impiantandosi nella testa le uniche parole che avrebbero potuto farla stare bene per davvero.
Maksim: va tutto bene. Sei bravissima.
Suo papà credeva in lei. Era questo che contava.
«No.» rispose Kiril, facendole correre un brivido lungo la schiena. Si incamminò poi nella selva con totale disinvoltura, scrutando intorno a sé alla ricerca di funghetti.
Ecco la conferma ai suoi timori. Niente, ormai era spacciata.
«E come lo sapevi?» insistette lei dopo un attimo, stufa di rimanere sulle spine, con il ghigno severo di Natasha che già spuntava da dietro l'angolo.
«Per due semplici motivi: primo, so che mamma le aveva vietato di farlo e conosco la mia cuginetta;» si chinò su un grumolo di neve e prese a scavare con delicatezza, «secondo, Ana non ha ancora sviluppato i suoi cebrim. Potrà anche essere protetta dal Clypeus di nostra madre, ma non sa come chiudere la propria porta per evitare ai pensieri più insistenti di sgusciare comunque fuori. Pensavo li avessi notati pure tu!»
Irina rimase un attimo interdetta da quell'accusa di incapacità, e aprì la bocca per rispondere senza sapere cosa dire. Dopotutto non c'era motivo di preoccuparsi. Aveva scoperto la cugina proprio perché appunto era sua cugina. (Ombra: fiuuuu)
Afferrò al volo il marzuolo che Kiril le lanciò un attimo dopo, lo annusò e (sia alla Zaytseva che a Ombra) si accartocciò il viso in una smorfia disgustata. Il ragazzo sghignazzò divertito.
«Oh, ecco perché non hai ancora trovato nessun fungo» commentò. «Forse non intendi proprio trovarli.»
«No... non è vero! Sto cercando, lo giuro» ripose il funghetto che le aveva dato Kiril dentro il cestello che portava sottobraccio. «Solo, non sono abbastanza brava. Suppongo che l'arte della caccia ai marzuoli non rientri tra le mie capacità...»
«Oppure,» ribatté lui avvicinandolesi per riporre un secondo fungo nel suo cestello, «questo è quello che tu vuoi farci credere.» Sollevò per un attimo le sopracciglia in un'espressione saputella e minacciosa al tempo stesso (Ombra: insopportabile) e poi si allontanò facendo roteare con noncuranza il suo cestello vuoto tra le dita.
Lui sa. Lui sa sicuramente.
«Perché sei convinto che io vi stia mentendo su questo? Cosa ti ha fatto venire questa idea? E si può sapere perché devo tenere io tutti i tuoi stupidi funghi?» chiese con acidità. (Ombra: ... devo stare più attenta. La Zaytseva è più gentile di solito)
Lui si voltò e mosse nuovamente alcuni passi verso di lei, le sopracciglia aggrottate come quando qualche nodo gli si districava in testa, o quando era sul punto di creare su due piedi una proporzione. Irina la detestava quella espressione, le faceva quasi paura. Sia mai che con qualcuna delle sue comparazioni non riveli il mio segreto...
Però, per qualche motivo, erano le stesse espressioni di cui ormai non poteva fare a meno, e non sapeva nemmeno spiegarsi perché. O forse sì... (Ombra: Natasha!) ... o forse no, non sapeva spiegarselo. Punto.
«Perché è così; a farmi venire questa idea è stata la tua espressione schifata; e no, non puoi saperlo. O forse lo sai già ma non hai il coraggio di darti la risposta.»
Irina ci impiegò qualche attimo a ricollegare le risposte fornite tutte assieme. «Ma non ha senso! Se te l'ho chiesto c'è un motivo!» rispose poi, riferendosi all'ultima sconclusionata affermazione.
«Va bene, se lo dici tu» Kiril alzò le mani in segno di resa e tornò a girovagare in cerca di funghi. Irina, irritata (con Ombra più viva che mai, divertita dal fatto di poter battibeccare liberamente con qualcuno), lo seguì.
«Sai, Kiro, certe volte sai essere davvero insopportabile» continuò con enfasi, sfogandosi.
«Me lo dicono spesso, sì» rise lui, prima di voltarsi indietro verso di lei, «e tu Irina? Come sei veramente? Anche tu sai essere insopportabile?»
La ragazza arrestò bruscamente la sua camminata. (Ombra deglutì) «Cosa intendi dire? Sono così come sono!»
«Certo, e io sono un fungo. A proposito, eccone un altro. Vuoi prenderlo tu questa volta? È divertente.»
Come può uscirsene con queste affermazioni (Ombra: accuse) e poi cambiare discorso come se nulla fosse?!
Sangue freddo. Ci voleva sangue freddo con quel ragazzo. Si incamminò impettita verso la direzione indicata, senza smettere di fissare Kiril con la sfida negli occhi. Toccò con le mani la neve mista a strati di foglie del luogo indicato e (vedendo tramite gli occhi di Ombra) tastò con le dita la forma liscia del fungo. Conficcate le dita nel terreno con totale disinvoltura, fu sufficiente un gesto secco, senza neanche doverci immettere una forza eccessiva, per ritrovarsi il marzuolo tra le mani.
Si rialzò, tornando alla sua altezza, e porgendo il suo trofeo a Kiril, scandì, glaciale: «Eccoti il tuo fungo».
Con espressione compiaciuta, per niente intimidito dal modo in cui lei si era comportata, ripose il fungo nel suo cestello. Irina doveva cancellargli quella faccia soddisfatta (Ombra era inquieta).
«Hai ragione, è stato divertente. E, per la cronaca, non mi ha provocato il minimo fastidio. Non ne apprezzo l'odore e il gusto, ma questo non significa che io abbia mentito. Sono esattamente così come sono, chiaro? Se pensi che io stia nascondendo qualcosa ti prego di essere più chiaro.»
Nero.
Natasha: nel tuo tono si percepisce troppo il senso di colpevolezza.
Bianco.
Natasha: ti farai scoprire.
Nero.
Natasha: sei spacciata.
Bianco-nero-bianco-nero-bianco-nro-bc-n-b-n-bianco-nro-bco-n-b-n-
Kirl restò un attimo a fissarla, poi rispose con una smorfia. «Non devi convincere me, Iri, sei tu quella confusa a mio parere. Credo che tu sia proprio un fungo...»
Irina notò i lineamenti del ragazzo tirarsi mentre lo sguardo si spostava sulla sua mano destra, che aveva le dita divaricate e tese, come se si stesse concentrando a mantenerle in quella posizione... e non farle schioccare. Stava per trasformarmi in un fungo. Proprio come anni prima aveva trasformato suo zio in un plettro – ora esposto in memoria del defunto Grigorov nel salotto della loro residenza.
«P-puoi farlo anche con gli esseri viventi?»
Kiril chiuse le mani a pugno e rilassò finalmente il viso. «No, con nulla che possegga un Cerebrum attivo. Ma preferisco non correre il rischio.»
Irina annuì. Più che comprensibile. Trovava pericoloso il potere del giovane Grigorov, ma anche a dir poco interessante. In un modo che (la Zaytseva) non sapeva spiegarsi, si sentiva vicina, quasi simile, alla sua diversità sviluppata dalla più precoce età. Anche Ombra era sempre stata presente, fin da che avesse memoria, sancendo al tempo stesso la sua salvezza bianca e la sua condanna nera. (Cioè, Ombra.)
«Cosa... cosa intendevi quando hai detto che sono un fungo?» Non era sicuramente saggio approfondire quell'argomento se non voleva rischiare di trascorrere il resto della sua esistenza sotto forma di fungo, ma la curiosità era maggiore, Ombra voleva sapere. (La Zaytseva era confusa)
Kiril le scavò un solco nell'anima solo con gli occhi, poi quasi confuso, senza dire una parola, si voltò e si accomodò su un vecchio tronco abbattuto forse da una tempesta, riverso orizzontalmente e mescolato alla selva bianca-grigia.
«Proprio quello che ho detto. Forse siamo tutti dei funghi,» (Ombra: ecco, ci manca solo che trasformi l'intera Ephia in una bella famigliola di funghi...) «ci nascondiamo sotto strati di foglie e neve per vivere, perché il loro calore è confortante, ci fa sentire al sicuro. Perché?»
«Io... non lo so. Forse perché non si ha altra scelta. Se davvero si esprimesse cosa si prova il mondo non avrebbe pietà di noi. Alcune cose devono semplicemente restare nascoste sotto la neve.»
«E perché allora... perché io non ci riesco? A nascondermi sotto la neve intendo. Perché ogni mio pensiero rischia di distruggere o fare danni irreparabili? Faccio sempre un grande sforzo per mantenere dentro di me i pensieri più pericolosi, o anche per capire quali sono, quelli che potrebbero comportare più danni. Tutti riescono a controllare la propria mente, io invece non possiedo nemmeno la facoltà di smettere di pensare.»
Mentre Kiril parlava con un tono concitato che non gli aveva mai sentito addosso, si fissava la mano che poco prima era stata sul punto di far schioccare due dita.
«E non so nemmeno perché ti sto dicendo tutte queste cose. Non l'ho mai rivelato a nessuno, nemmeno a Ran, non che ce ne fosse bisogno. È evidente a tutti che ho dei problemi seri. A tre anni ho trasformato mio zio in un plettro, accidenti ad Arkon! Però... con te mi sento diverso. È come se, in un certo senso, tu sia il mio esatto opposto. Lo sento... tu sei diversa. Quella che mostri è solo una maschera, tu non sei come... sei.»
Irina scrollò le spalle (Ombra si asciugò i sudori freddi dalla fronte). «E come sarei, sentiamo un po'!»
«Questo sei tu che devi dirmelo. Il tuo Clypeus è composto da pareti nere e bianche, che a momenti si trasformano in strisce che si muovono, si alternano, lampeggiano. Ma questo, anche se da molti sarebbe stato sfruttato come effetto rigettatore, tu l'hai usato per la componente rilassante. Alquanto bizzarro, ma mi piace come idea. Dopodiché diventano le pareti stesse, prima bianche e poi nere, il mostro da cui fuggire, si staccano, si piegano su di te e ti schiacciano. Questo è tutto quello che posso intuire di te. Mi chiedo... mi chiedo se il tuo tic derivi da questo. Sai, quando fai così con le ciglia,» Kiril aprì e chiuse gli occhi ripetutamente esattamente come era solita fare lei, «alterni a grande velocità nero e bianco in un certo senso, no?»
Ombra aveva ormai preso possesso di Irina (la Zaytseva era finita da qualche parte, non sapeva dove e non le interessava), così prese a camminare perché a stare ferma le stava andando in fumo il cervello. Non ce la faceva proprio a restituire lo sguardo di Kiril, perché sentiva che, se l'avesse fatto, nemmeno più lo sfarfallio che mescolava il nero e il bianco sarebbe stato sufficiente a scacciare Natasha.
«È un semplice tic, nulla di più.» Tuttavia la voce era strana. Quasi tremante, non sua. Irina era sull'orlo di un precipizio, un minuscolo passo falso e sarebbe sprofondata. Prese a scavare con fare compulsivo in un punto a caso vicino al tronco in cui si trovava Kiril, sporcandosi tutte le unghie di terra.
«No, c'è qualcosa di più. Tu non sei così, nessuno è così. Sei troppo gentile, fragile, noiosamente perfetta. Ma io lo vedo nei tuoi occhi, che c'è qualcosa sotto la superficie. Però sei il contrario di me, ti tieni tutto dentro, per te è difficile farlo uscire fuori, e mi chiedo perché. È come se quello che mostri non sia altro che... che una proiezione, un'ombra di te stessa.»
Ombra sobbalzò. Le mani di Irina presero a tremare vistosamente, mentre la terra le disegnava strisce nere sotto le unghie e il suo battito scandiva lampi bianchi nel cielo.
«Ehi! Iri!» con un gesto quasi brusco, Kiril l'afferrò per un braccio, costringendola a voltarsi verso di lui. A quella sola consapevolezza il nero e il bianco l'avvolsero, e il terrore le serrò il respiro.
Natasha: devi essere punita.
Dolore, sofferenza: sotterrati. Sotto le unghie. Sono funghi. Natasha: no.
Nero-bianco-nero-bianco-nro-bco-no-bi-r-c-bianco- occhi di Kiril.
Occhi. Scuri. Non neri.
Il mondo si fermò e Natasha morì. La Zaytseva si perse nell'oblio. Ombra prese una boccata di vita.
In quel solo attimo, dentro quegli occhi così opposti e simili ai suoi proprio per la loro diversità, Irina fu tirata fuori dall'acqua e la bocca le fu divaricata dall'ossigeno che penetrava finalmente nei polmoni.
Ma faceva male. Faceva paura. Le sue emozioni non erano in Ombra.
Erano lì.
E facevano male.
Demolivano le mura erette con anni di grida trattenute sotto la superficie. Facevano tremare la terra sotto i piedi.
Indietreggiò rapidamente, scostandosi dal suo sguardo penetrante e indagatore (Ombra era tornata al suo posto), incrociò le braccia al petto e gli voltò le spalle. Inspira. Espira. È tutto a posto. È tutto come prima.
«Scusa... credo» emise Kiril con voce appena percettibile, strozzata.
«Non scusarti. Hai ragione, forse non sono stata del tutto sincera, ma come hai detto tu stesso, nessuno lo è. Ne ho passate tante prima di essere trovata da voi. Cose che ti segnano, ti cambiano. Forse... forse sto solo cercando capire chi sono. Tutti quelli che mi conoscevano prima sono... sono... n-non ci sono più.»
La Zaytseva, tornata dall'abisso in cui si era dissolta, aspirò un singhiozzo, che fece sospirare Kiril. (Ombra: però anche quelli che conoscevano me non ci sono più... con i miei fratelli e sorelle non ci ho mai parlato, Natasha è morta da alcuni anni e anche papà adesso è lontano...)
Natasha: no, io sarò sempre qui. Ricordalo. Io ti vedo. Io ti sento.
Era impossibile liberarsi da chi viveva dentro la sua testa.
«Se vuoi essere consolata allora è meglio che aspetti che torni Goran, queste cose non fanno per me. Però, non capisco, perché dici di aver bisogno di qualcuno che ti conosce per sapere chi sei? Non sono le persone che ti circondano a definire il tuo pensiero e il tuo comportamento. È tuo, e solo tuo.»
Kiril si era alzato a sistemare la terra che lei aveva rudemente scavato poco prima. Non c'era nessun fungo sotto. Si voltò di nuovo verso di lui, ma senza ancora avere il coraggio di incrociare gli occhi con i suoi.
«No...» (Ombra: sì. È sempre stato così.) «ma in un certo senso sì. Ogni nostro pensiero è scaturito da qualcosa, qualcosa che abbiamo intorno. Vediamo un fungo e pensiamo che il suo odore fa ribrezzo, oppure che sarebbe buono da cucinato. Se non percepiamo, non pensiamo. Quando percepiamo altre menti pensanti, loro al tempo stesso percepiscono noi, per cui ognuno forgia e concepisce il pensiero dell'altro, e di conseguenza il suo comportamento, indirettamente. Se fossimo del tutto soli, non saremmo altro che statue, ma è impossibile per noi Ephuri essere del tutto soli, perché i Cerebrum sono fatti per percepirsi a vicenda. Prima conoscevo un certo numero di persone che mi percepivano in un certo modo, disegnando il mio carattere secondo un'immagine che loro stessi avevano costruito. Ora che sono morti, quell'immagine è sparita, e io sono stata sostituita da una nuova immagine, creata dai vostri occhi e dai vostri pensieri. Quindi, i miei stessi pensieri e la mia identità sono scaturiti da voi, esistono tramite la vostra esistenza.»
(Ombra si voltò sorpresa verso la Zaytseva). E se... avesse ragione? E se io potessi... uscire fuori? Essere diversa? Pensare? Non si era mai resa conto di pensare quelle cose fino a quando non le aveva espresse a voce, per rispondere a Kiril, che quindi le aveva scaturito quel pensiero.
«Da una parte hai ragione» commentò, in tutta risposta, Kiril, sorpassandola con fare pensoso, «non l'avevo mai vista in questo modo. E in effetti tutti i miei pensieri sono scaturiti da ciò che mi circonda, i miei interrogativi e i miei dubbi continui su ogni cosa. Però, credo che li avrei comunque anche da solo, senza persone che pensino qualcosa di me e che me li facciano scaturire. La verità è che è tutto... tutto troppo collegato per potersi dividere così drasticamente. Ogni aspetto della vita ha mille significati e nessuno al tempo stesso. Per dire, il tuo pensiero che il fungo fa ribrezzo è scaturito dal fungo, certo, ma anche da un tuo gusto personale, derivato dal tuo carattere. Carattere che sì, viene scaturito dalle persone che ci circondano ma non in modo così netto come dici tu, secondo me. Insomma, ti sono ad esempio state insegnate alcuni concetti in un certo modo e di conseguenza li vedi così, ma li vedi così perché tu hai reagito in tale maniera a tale insegnamento. Dipende da come ognuno di noi affronta le situazioni e le persone. Questo scandisce il nostro carattere, e costruisce la nostra storia, le gambe che usiamo per camminare nel mondo e affrontare la vita. Se fosse come dici tu, non saremmo tutti uguali? O almeno con poche differenze? Non c'è un solo tipo di pensiero né un solo modo di pensare, siamo tutti diversi, per questo praticamente nessun Ephuro ha lo stesso numero e tipo di cebrim e per questo, per quanto mi piaccia paragonare e raffrontare le cose, non credo che potrò mai proporzionare le persone vive, pensanti. Non siamo né bianchi né neri. Esistono una moltitudine di colori nel mezzo, sta solo a noi esplorarli.»
(Ombra gridò, tirò un calcio a un tronco, poi gridò di nuovo strappandosi i capelli con le mani, per) uscire fuori. Irina prese un respiro.
Bianco. Nero. Condanna, prigione (salvezza, rifugio).
«Va bene, ma se uno non riuscisse a vederli, questi colori?» chi aveva parlato? La Zaytseva, Ombra? Chi?
Ignorando i propri interrogativi, Irina proseguì: «Forse tu la vedi in questo modo, ma magari ci sono delle persone che non sono in grado di distinguere le sfumature, perché... non le hanno mai conosciute. Come fai a definire qualcosa se non l'hai mai visto e se nessuno ti dice cos'è? Come si fa ad assimilare soggettivamente ciò che ci viene insegnato se ci viene imposto di reagirvi in un determinato modo cui non è possibile sfuggire? E poi... prima hai detto che il nostro modo di vedere il mondo e comportarci è derivato dal nostro passato, ma il passato non si è forse costruito con il susseguire di un'infinità di attimi che sono stati presenti? Quegli attimi si reggono tutti su altri accaduti in passato? No. È praticamente impossibile. E comunque, ogni pensiero è scaturito da fattori presenti, ed è condizionato da altri fattori passati che una volta sono stati presenti. Di conseguenza, ogni attimo non è forse a sua volta causato dalla percezione altrui? Se siamo tutti diversi è solo perché le combinazioni di percezioni, cose che accadono e situazioni che si creano sono diverse dato che il mondo è sfaccettato dai contrasti.»
Kiril scosse la testa, ridacchiando, ma Irina non lo vedeva, vedeva solo i pensieri che si inseguivano nella testa di Ombra, vedeva solo (che Natasha non le stava impedendo di sfogare la sua mente,) che era finalmente libera.
«È un controsenso quello che dici, Iri. Noi siamo parte dell'esistenza, che è caotica e incomprensibile, dunque siamo sfaccettati tanto quanto qualunque altra cosa. Si tende a vedere solo bianco e nero, a dare delle definizioni alle cose e a classificare tutto solo perché mette ordine nel disordine. Perché è molto più facile vedere dei contorni definiti. Anch'io lo faccio. Quando creo le proporzioni, trovo un modo per semplificare tutto ciò che altrimenti sarebbe troppo difficile da capire; mi serve a... mettere ordine. Perché sentiamo la necessità di mettere ordine, ognuno a modo proprio? Proprio perché è tutto troppo inspiegabile. La scienza, la logica, la matematica, servono a interpretare, attribuire leggi e sensatezza a quello che semplicemente senso non ha. Perché ne abbiamo bisogno? Perché sennò ci perdiamo nella confusione del mondo, che è la stessa che imperversa dentro di tutti noi, che a nostra volta siamo indefinibili.»
«Appunto, è quello che dicevo io, siamo indefinibili senza nero e bianco. Per questo servono. Senza siamo... siamo un nulla confuso e informe. Il nero e il bianco servono a capire come muoversi, cosa dire, cosa pensare.»
Kiril per un attimo parve interdetto dalle sue parole, come se avesse davvero scalfito le sue certezze. Sembrava in difficoltà.
«L'ordine non può generarsi senza il caos, questo è vero. Ma l'eccesso di entrambi porta a un'instabilità, non credi? Bisogna trovare un equilibrio, né affidarvisi completamente né ignorarli del tutto. Perché, Iri, perché altrimenti hai quel tic? Tu dentro di te lo sai già, e per questo cerchi di sfuggirgli. Ma in qualche modo pare che... che ti seguano sempre, non capisco perché. Tu mescoli il nero e il bianco nella speranza di trovare i colori, ma non riesci a distinguerli. Perché? Che cosa ti blocca? E... perché io sono l'opposto? Io, al contrario, fatico a farmi frenare da essi, così come non mi sono fatto ingannare dal volto che mostri. Ma anche io sono in difficoltà, sento da sempre la necessità di trovare un ordine più definito. Mi è sempre... mancato. L'ordine. Sì, è l'ordine che mi manca. È tutto troppo incasinato, non ci capisco più niente, qualche volta vorrei solo vedere le cose in modo più definito. Più... come te.»
Come te. Come me. Esattamente allo stesso modo in cui Irina sentiva la necessità di vedere il mondo più colorato. Se Kiril aveva sviluppato il cebrim delle proporzioni per attribuire senso al caos, lei aveva sviluppato Ombra per sfogare in segreto ciò che l'ordine non le consentiva di manifestare. Ma mentre lui cercava rifugio nella logica e nella matematica, lei lo cercava nella scomparsa di nero e bianco, la sua via di fuga dalle persecuzioni di Natasha. Il solo comprendere questo fatto le aprì una nuova finestra nella testa, facendovi filtrare delle sfumature sconosciute, che non aveva mai visto.
Fu come respirare per la prima volta.
Fu come morire per la prima volta.
Perché alla comprensione della sua esistenza si accompagnò la consapevolezza della sua totale mancanza di esistenza. Se davvero era così, lei non era mai stata altro che un (Ombra di se stessa) un guscio costruito da Natasha. Un insieme di cellule nere e cellule bianche, e un Cerebrum ancora più nero e ancora più bianco. Solo nei mens nel quale si riversavano i suoi colori, sottoforma di assenza di colori, vi era un lieve rivolo di vita. Nemmeno lì, tuttavia, i suoi pensieri avevano mai potuto incastrarsi tra loro a formare qualcosa di definito. L'unico bisogno intenso che era trasparito era stato quello di fuggire da tutta quell'alternanza di opposti opprimenti, ma non aveva mai avuto nemmeno la possibilità di sperare in qualcosa di più.
Sì, da una parte lei e Kiril erano reciprocamente analoghi, eppure una differenza fondamentale li distingueva: lui aveva la possibilità di cercare e desiderare altro, Irina no; Irina era una prigioniera di se stessa, e lo sarebbe stata fintantoché la voce di Natasha avrebbe avuto controllo sui suoi pensieri, ovverosia per sempre. Natasha era radicata talmente in profondità dentro di lei da sostituirsi a ogni altro concetto esistente. Era il primo volto che vedeva quando chiudeva gli occhi; il primo pensiero prima di assopirsi; colmava costantemente i suoi sogni, per poi continuare a esistere sotto la superficie fin dal primo risveglio. Era sempre lì. Anche quando non la sentiva e non la vedeva, Natasha c'era. C'era e non vi era modo per sbrogliarsela di dosso.
Anche in quel momento, durante tutto il discorso con Kiril, Natasha le aveva concesso solo per un attimo l'illusione della sua morte, ma era stata presente, a osservare, in silenzio.
In attesa di poterla punire, quando si fosse presentata l'occasione.
Appena Kiril avesse allontanato i suoi occhi non neri da lei.
«Trovato tanti funghi?» chiese d'improvviso una nuova voce, un amo che artigliò il collo di Irina e la riportò alla realtà.
Nero. Bianco. Nero. Un paio di lenti e calibrati battiti di ciglia. Si ricordò di trovarsi nella boscaglia di Vitosha, di essere a caccia di funghi, e di essersi talmente lasciata risucchiare da... beh sì, poteva dirlo, dai suoi stessi pensieri, che non aveva percepito gli scricchiolii delle foglie secche calpestate dai passi di Goran e Ana, appena tornati.
Mentre il primo, escluso l'umore che sembrava un po' cupo, appariva in piena forma, Ana era un ghiacciolo vivente, spruzzi di neve sciolta le annegavano i capelli e le strizzavano in una morsa gli abiti. Chissà se avrebbe avuto voglia di giocare quel brutto scherzetto ai suoi cugini una seconda volta...
«Non molti» rispose per lei Kiri. «Irina è una pessima cacciatrice di marzuoli.»
Le scoccò un'occhiata divertita prima di raggiungere il fratello e la cugina, occhiata a cui lei non trovò la forza di rispondere, preferendo trasferire l'attenzione del suo sguardo sulla punta dei propri piedi. Non sapeva come sentirsi né come reagire in merito a... qualunque cosa fosse appena accaduta tra loro.
Goran saltò con gli occhi dall'uno all'altro, come percependo che c'era qualcosa che non andava, e Irina per qualche motivo si sentì... in imbarazzo.
Poi il ragazzo scrollò le spalle: «Beh, neanch'io, ma forse è meglio rientrare, c'è qui un certo esemplare di cugina scapicollante sovversiva e intrattabile che trema come una foglia. Altro che funghi per noi stasera, se mamma scopre che l'abbiamo fatta ammalare».
Proprio come aveva temuto, Natasha tornò a farle visita, quando era sola, nella sua camera, la sera prima di andare a letto. Irina aveva continuato a sentirsi a disagio, strana, per tutto il resto della giornata, e la sua torturatrice non si era fatta sentire nemmeno una volta.
Chiusasi la porta alle spalle, però...
Natasha: Irina. Cosa stai facendo?
Questa volta l'immagine era più nitida del solito, la donna si trovava lì fisicamente, i capelli neri tali e quali alle proiezioni dei mobili sulle pareti, pareti bianche quasi quanto la sua carnagione. Fuori la notte era nera come le ombre sotto gli occhi, che luccicavano bianchi, stelle d'ira materializzata.
Era arrabbiata quasi quanto il giorno in cui Irina aveva tentato di allontanarsi di nascosto da Gamsutl, il giorno in cui aveva scoperto la fuga nell'alternanza di nero e bianco grazie all'inferriata a barre intersecata dai raggi del sole. Quel giorno aveva creduto di trovare la salvezza. Poi, quando era stata beccata, quando era stata riportata al cospetto di Natasha...
Quell'apparenza di salvezza si era rovesciata, mostrandosi per quello che era. Un fallimento. Irina era debole, Irina andava educata meglio, Irina... doveva essere punita. Irina. Irina. Irina. Ogni volta che Natasha pronunciava quel nome con quella intonazione, la ragazza desiderava scomparire. (Ombra gridava) Non era altro che uno straccio pronto a essere strizzato, strizzato e strizzato ancora, fino a quando l'ultima, microscopica, goccia d'acqua (Ombra: di speranza, di libertà, di pensiero) non fosse stata prosciugata via.
Natasha non è qui, si disse. Aveva persino partecipato, due anni addietro, al suo funerale, insieme al padre e ai suoi fratelli e sorelle. In quel momento erano apparsi quasi una vera famiglia.
Ma Natasha era lì, e non vi era modo di scollarsela di dosso. Irina era consapevole della sua non esistenza, eppure c'era.
Natasha: pensavi davvero di essermi potuta sfuggire? Cosa credevi di fare, eh? Cosa credevi di fare?
Il suo volto era distorto da rabbia nera, ma era il bianco che le brillava negli occhi a spaventarla per davvero. (Ombra: no-no-no-no...)
Le ciglia. Nero-bianco-nero-bianco-nero-bianco-nero-bco-nro-b-n-b-
Natasha: pensi davvero che possa bastare questo per allontanarmi? Tu non hai capito una cosa, ragazza...
Irina aprì e chiuse gli occhi in modo ancora più compulsivo, (mentre Natasha afferrava Ombra per i capelli e iniziava a trascinarla, e Ombra si dibatteva, scalciava e piangeva, ma era inerme), e ancora di più.
Nero-bianco-nero-b-n-bn-bnbn...
Perché non funziona? Perché? (Ombra: no-no-no-no ti prego, non lo farò più-ti prego)
Natasha le faceva male. Nero. Bianco. Nero. Bianco.
Provò ad aiutarsi con le mani, perché gli occhi erano stanchi, e lacrimavano (quasi quanto quelli di Ombra), tutto bruciava come un tizzone ardente impresso sotto la pelle. Palmi sugli occhi-palmi lontani dagli occhi-palmi sugli occhi-palmi lontani dagli occhi-nero-bianco-nero-bianco-nro-bc- Non è abbastanza.
Natasha: non sarà mai abbastanza, Irina, mai. Davvero avevi pensato di potermi sfuggire? Ricorda chi sei, Irina, tu sei chi io dico che devi essere, chiaro? E ricorda, a ogni tua insubordinazione...
(Il grido di dolore di Ombra squarciò l'aria, e anche) Irina emise un verso strozzato e trattenuto, e d'istinto corse al letto per... per sbattere la testa sul cuscino.
Tum. Nero.
Tum. Bianco.
Tum. Tum. Tum. Nero. Bianco. Nero.
Tum-tum-tum-tum-tum-nero-bianco-nero-tum-bianco-nro-bc- CONFUSIONE.
Tutto si mescolava, i contorni si facevano indefiniti, Irina voleva solo staccarsi i capelli dalla testa, voleva che Natasha non la toccasse, voleva che Natasha... voleva che Natasha... voleva Natasha.
Aveva bisogno di Natasha.
Senza Natasha Irina non era niente. Natasha era il suo nero e il suo bianco. Natasha era necessaria.
Era radicata nel suo essere, senza di lei nemmeno Irina poteva vivere.
Natasha: brava piccola, hai capito. Ora sai chi sei.
Sofia, aprile-maggio 2009
La vita andò avanti. O meglio, arrancò, a fatica. Ogni giorno. Ogni giorno in cui incrociava, anche per sbaglio, lo sguardo di Kiril, e ancora di più quando parlavano. In ognuna di quelle maledette volte il suo controllo andava in pezzi e lei aveva l'illusione di liberarsi da Natasha. Natasha invece arrivava, e le ricordava chi era. Ogni volta era sempre più severa. Ogni volta sempre più nitida. Ogni volta il dolore sempre più forte.
Un giorno, per scacciare il dolore, alla disperata ricerca di neri e bianchi, Irina era finita addirittura per sbattere con forza la testa contro il muro, talmente forte che un vicino di stanza era venuto a verificare che fosse tutto a posto. Per fortuna era riuscita ad assicurargli che si era trattato di un banalissimo incidente, e lui non aveva sentito il bisogno di parlarne in giro.
Le paranoie e l'ansia che la potessero scoprire non aiutavano di certo. E anche queste erano connesse con Kiril, proprio perché Irina aveva l'impressione, forse non del tutto infondata, che il ragazzo vedesse più di quel che diceva. Si sentiva sempre più simile, quasi legata a lui, ma al tempo stesso ciò si traduceva in una maggiore presa di Natasha, e man mano che i giorni passavano quel contrasto la scombussolava sempre di più, rendendole più difficoltoso interpretare la Zaytseva in sua presenza.
Kiril... uccideva la Zaytseva giorno dopo giorno, uccideva la finzione, uccideva le recite e infine uccideva anche tutto ciò che era distinto e sicuro; Irina non era più certa di temere Natasha, non era più certa di odiarla, così come non era più certa di amare suo padre, e (Ombra cessava di essere Ombra e diventava realtà, le entrava dentro e sradicava il nero e il bianco) usciva fuori, entrando in Irina, le sue emozioni erano nude, i suoi pensieri aprivano le ali e solcavano i cieli, cieli che non erano mai stati così belli – nulla era mai stato bello affatto, Irina prima non sapeva cosa fosse la bellezza – ma così... vuoti, tristi, bianchi. Perché erano solo attimi rubati, attimi immortali ma di durata limitata, perché il bianco è sempre seguito dal nero. Per ogni colore esisteva il suo opposto in eguale misura, era inutile fuggire a questa verità.
Erano sempre più lunghi i momenti, come quello in cui si trovava attualmente Irina, in cui il mondo veniva velato da una nube e la sua esistenza, tutto ciò che stava vivendo, le domande, i dubbi, il dolore, la speranza, la paura, la rabbia, la libertà... la vita si riduceva a una mescolanza di cose indistinte, un flusso che non poteva fare a meno di seguire con gli occhi, ma del quale non aveva il coraggio di scoprire la destinazione.
«Comunque non hai ancora risposto alla mia domanda» le aveva detto Kiril un giorno successivo alla caccia ai funghi.
«Cos'è che ti blocca? So che c'è qualcosa che ti blocca...»
E Irina aveva avuto paura, Irina si era sentita scoperta, e (Ombra) era uscita fuori dalle (parentesi) in cui era reclusa dalla sua mente, di nuovo.
La paura di Natasha aveva superato ogni altra cosa. Irina era stata esattamente come doveva essere (e come la Zaytseva non era): spietata. Il tono con cui aveva pronunciato quelle parole velenose le si era congelato negli occhi: «Perché lo vuoi sapere? Sul serio, Kiril, a cosa ti serve? Speri di trovare qualcosa in me, ma quello che cerchi non esiste. È inutile che ti arrampichi sugli specchi, so benissimo che cerchi solo un modo per non farti schiacciare da te stesso e dalle tue domande, dal tuo stesso cebrim, ma è inutile: sei fatto così. Sei condannato almeno quanto Ilia. Non troverai mai la pace finché continuerai a cercarla fuori di te, perché sei tu il problema. Sei... sei sbagliato, perché non te ne rendi conto? La tua mente non funziona come quella degli altri, non potrai mai essere normale. Non sei semplicemente diverso, sei proprio un errore della natura, un difetto di fabbrica vivente. Sai cos'è che pensano tutti, ma che non ti dicono per evitare di ferirti? Sei mentalmente disturbato, e per questo sei pericoloso. Perciò stammi alla larga, non posso aiutarti.» e tu non puoi aiutare me, mi stai uccidendo.
Sputandogli addosso quelle parole aveva sferrato un'enorme palla d'acciaio in pieno addome a Kiril tanto quanto a lei stessa. Dopo averle pronunciate era stata talmente male che aveva dovuto tapparsi le orecchie per non sentire (le grida di Ombra nelle orecchie) il dolore del ragazzo infrangersi a terra per tutta quella cattiveria gratuita riversatagli addosso senza il minimo indugio. Aveva afferrato con gli artigli le emozioni più intime di Kirl, le aveva strappate rudemente come carta straccia, e infine aveva gettato i coriandoli addosso a lui.
Quella mentalmente disturbata era lei, e questa consapevolezza le faceva male quasi quanto sapere che aveva ferito Kiril. Più che Kiril aveva ferito se stessa, e il dolore in qualche modo era più acuto ancora di quello che le arrecava Natasha. Non riusciva a spiegarselo, ma in qualche modo lei e Kiril... si stavano fondendo in un'unica entità, un riflesso opposto in uno specchio. Fare del male a lui era stato quindi un modo per colpire se stessa? Forse era un modo per strappare via Natasha? Forse... troppi forse, e sempre meno neri e bianchi. Era inutile, ormai Kiril non aveva nemmeno più bisogno di costringerla a pensare per sciogliere nel metallo fuso ogni netta distinzione tra nero e bianco.
Anche se gli aveva intimato di starle alla larga, anche se l'aveva annientato emotivamente, Kiril non si arrese, e continuò a cercarla. Un giorno, per sfuggirgli, Irina si rinchiuse addirittura in camera. Gli gridò di lasciarla in pace. Un grido gutturale e raschiato dalla paura, dalla paranoia, da... non lo sapeva nemmeno Irina stessa.
Lui, dall'altra parte della porta sigillata, non emise un suono, ma Irina sentì la sua schiena che si accasciava sull'anta e sprofondava fino a terra. Era distrutto, almeno quanto lei, e non capiva perché: come facevano a essere così simili e così diversi al tempo stesso? In ogni caso era sbagliato. Doveva stargli alla larga. (Ombra annuì forte per convincersene. Natasha voleva questo.)
«Non so perché mi fai questo effetto, Iri» lo sentì sussurrare a mezza voce, «ma da quando ci sei tu non ci sto capendo più niente, e ho bisogno di risposte. Ti odio, ma non riesco a odiarti per davvero. Voglio aiutarti, ma ogni volta che apro bocca sembra che ti stia facendo un torto. Mi sento sempre più prosciugato da questa situazione, e so che anch'io ti faccio soffrire, anche se non è mia intenzione. È solo che... non lo so. È tutto confuso, vorrei solo fare chiarezza.»
Lei non rispose (Ombra stessa era sprofondata nella più completa assenza di suono e di qualunque altra cosa) e attese, con asfissiante agonia, che lui se ne andasse, per scoppiare a piangere.
Un flusso, non era altro che un flusso di pensieri.
«Cosa sta succedendo tra te e Kiril ultimamente?» le chiese Goran.
Bugie, risposte della Zaytseva, montagne di frottole, inganni, recite e torture di Natasha. Non poteva concedergli altro che questo. Non era in grado di sfuggire... (Ombra: al dolore).
E le rose, l'obiettivo per cui si trovava lì, tutto si sfumava, Irina non aveva più una meta, non sapeva nemmeno da che parte girarsi, ogni giorno era un incubo e non riusciva più a mantenere del tutto dentro di sé la sua confusione.
Solo parole, voci, paura, dolore, e voci. E parole.
Natasha: sono sempre qui, ricordalo.
«Qualunque cosa sia successa, proviamo a metterci una pietra sopra?» Kiril.
(Ombra: non è successo niente.) È successo tutto. E continua a succedere.
Natasha: non potrai sfuggirmi. Sono qui. Sempre.
«Mi chiedevo... ti andrebbe di... passare un po' di tempo assieme, ogni tanto?» Goran.
Natasha: ricorda chi sei. Sei chi dico io. Non provi nulla.
«Ormai fai parte di questa famiglia, Irina, pertanto è giusto che tu sappia.» Yordanka.
Maksim: svolgi la tua missione. Vendica Vladimir.
Irina: «Mi dispiace Goran, ma credo di non provare lo stesso per te».
(Ombra: non è vero. Mi piace tutto di te.)
«L'antenato da cui prendiamo il nome, Grigor, era un potentissimo Naeph.» Yordanka.
«È bello avere un'amica come te!» Li Wen.
«Tu mi temi. Perché mi temi?» Ilia.
(Ombra: basta. Non lo so. Non lo so. Non so più niente, non ho mai saputo niente)
Maksim: Vladimir è l'unico figlio che io abbia amato, e ora devi vendicarlo.
(Ombra: se lo vendicherò amerà anche me?)
«Perché mi fai questo effetto?» Kiril.
«Capisco. Io... io devo andare» Goran.
(Ombra: non andartene, ti prego)
Natasha: Irina, ti sto guardando.
«Fu lui a scoprire la storia dello Jivonhir, il primo a tramandarla» ancora Yordanka.
(Ombra: basta, basta, non voglio saperlo, vi farò del male)
Natasha: tu sei fatta per fare del male. Tu non puoi amare. Tu sei una macchina di morte.
«L'hai ferito. Credo che Goran si fosse preso una vera cotta per te» Georgi.
(Ombra: anche io. Ma ho dovuto)
«Non capisco, sembra che provi qualcosa per lui. Perché gli hai fatto questo?» Li Wen.
(Ombra: Natasha non me lo permette. Non mi permette di fare nulla, e ho paura.)
Maksim: hai scoperto qualcosa in più?
(Ombra: ho scoperto che mi fa male vivere. Mi fa male stare vicino a Kiril, Goran, tutti gli altri)
Natasha: concentrati su ciò che è davvero importante.
Maksim: hai una missione da compiere. Nessuno può vedere Ombra, perciò...
(Ombra: Nero-bianco-nero-bianco-nero-)
«Ma ciò che lo rese davvero grande, fu la benedizione che lui concesse a tutti gli Ephuri locali» Yordanka.
Maksim: ... perciò puoi usarla per invertire l'effetto della benedizione. Per Vladimir. Per tuo fratello.
(Ombra: tum. Nero. Tum. Bianco.)
«Vuoi giocare con me?» Filip.
«Sei una tipa strana, te l'hanno mai detto?» Cicio Vasko.
Natasha: ricorda chi sei.
«Ne beneficiarono tutti, e rese la nostra famiglia la più importante di quelle della Bulgaria» ancora Yordanka.
(Ombra: basta-basta-basta- devo sapere. Per Vladimir.)
Natasha: per Vladimir.
Maksim: per Vladimir.
«La benedizione delle rose. È ancora legata alla sua valle, dopo tutti questi secoli» Yordanka.
«Sei fortunata, Irina» Yordanka.
«Sto per renderti partecipe di uno dei più grandi miracoli della storia degli Ephuri» ancora Yordanka.
(Ombra: dimmelo. Così potrò usarlo per distruggervi. Per vendicare Vladimir.)
«Una vecchissima tradizione rimandata di generazione in generazione e che...» Yordanka.
(Ombra: non dirmelo. Dimmelo. Sto impazzendo.)
«... ho intenzione di riprendere» Yordanka.
(Ombra: ci siamo. È il momento di eseguire il compito per cui sono venuta qui.)
«Chi sei?» Kiril.
«Chi sei? Sai risponderti a questa domanda?» Kiril.
«Sei un fungo» Kiril.
(Ombra: nro-bco-no-bi-n-b... Nero. Bianco. Nero.)
Yordanka: «Quindi mi chiedevo... ti andrebbe di venire con noi nella Valle delle Rose?»
Nero.
Bianco.
Grigio.
Irina sorrise: «Sarebbe uno splendido onore...»
(Ombra: ... far emergere le spine delle rose).
Cerno. Byalo. = Nero. Bianco.
... Dunque, cosa ne pensate? Siete riusciti a seguire tutto? L'ultimo pezzo forse era il più complesso, perché sarebbe una mescolanza di tutte le cose dette dai vari personaggi nel corso di più tempo e in momenti diversi. Per comprenderlo meglio vi consiglio di leggere consecutivamente le frasi pronunciate da una stessa persona, tipo tutti gli interventi di Yordanka prima, poi quelli di Maksim ecc.
È stato anche inserito qualche accenno alla questione delle 🌹rose🌹ma se non ci avete capito niente tranquilli che verrà spiegato tutto nel prossimo capitolo con molta calma e soprattutto senza NERO-BIANCO-NERO-BCO-NRO-B-N-B.
Detto questo... cosa ne pensate di Irina? Alleata, nemica, o semplicemente svitata?
꧁ꟻAᴎTAꙅilɘᴎA꧂
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