28.1.Cerno. Byalo.

Fingere è così facile continuava a pensare Irina. No, di più: era divertente. Era come un gioco. Sì, proprio come un gioco.

(Ombra, alla sua destra, rise al suo posto.)

«... E così, non sapendo dove altro andare, sono venuta qui a Sofia, nella speranza che almeno voi avreste potuto a-aiutarmi...» concluse, scoppiando in lacrime di mocciosa disperazione.

Dopo che i suoi gentilissimi eroi l'avevano salvata dai presunti aggressori cattivi, proprio come previsto, era stata accompagnata nell'Ephia, dove le avevano dato possibilità di rifocillarsi e riprendersi. Su insistenza di Kiril, le erano state chieste spiegazioni in merito alla situazione in cui l'avevano trovata, coccolandola come un cucciolino spaurito. Aveva poi appena concluso di raccontare la tragica storia del suo personaggio, quella Irina Zaytseva, che si chiamava proprio come lei – non che fosse una gran casualità, dato che almeno tre quarti della popolazione russa femminile rispondevano a questo nome. Si era ripetuta mentalmente tutto così tante volte che ormai dare vita a quelle fandonie risultava semplicissimo. Divertente, per l'appunto.

«Certo che ti aiuteremo Irina, non negheremmo mai l'aiuto a chi è in difficoltà» la consolò, ignara, l'Ephiante Grigorova. Irina Zaytseva la guardava con grandi occhi da cerbiatto braccato e diffidente, come fosse la prima volta che la vedeva in vita sua. Irina Razumova, invece, nascosta dietro quella maschera tremolante e insicura, (Ombra ridacchiò ancora) sapeva talmente tante cose di Yordanka che già prima di superare il cancello dell'Ephia avrebbe potuto riconoscerla persino in mezzo a una folla. Dentro di sé scoppiettava di soddisfazione per l'effetto che la sua performance stava avendo su tutti coloro che aveva incrociato. Guardami ora Natasha. Un fremito. Natasha. Sta arrivando.

Si affrettò a proteggersi con il lampeggio. Nero-bianco-nero-bianco-neo-bnco-nro-b-n-e-o-b...

Silenzio. Non era arrivata. Lei (e la sua Ombra) era al sicuro. (Ombra: Non-è-qui. Ci so-no so-lo i-io).

Yordanka, forse pensando che lo sfarfallio delle sue ciglia fosse un modo per ricacciare indietro le lacrime, continuò: «Non possiamo fare nulla per restituirti i cari che hai perso né per ridare potere alla tua famiglia, ma ti assicuro che se qualcuno verrà a cercarti qui, noi non ti abbiamo mai vista. Va bene? Ora sei un'Ephura di questa Ephia.»

Irina Zaytseva ne sarebbe stata a dir poco rincuorata! Quella Yordanka era proprio gentile, aveva fatto bene a venire da lei! Sì, avrebbe pensato sicuramente così. L'entusiasmo per il proprio talento nel calarsi nella parte per poco non la fece scoprire, ma si salvò ostentando un timido sorriso – tipico della Zaytseva – mescolandolo alle lucide lacrime già versate per rendere più verosimile il dolore per la perdita dei suoi cari.

(Ombra sfogò come al solito ciò che sentiva, scoppiando in una fragorosa risata derisoria).

La ragazza era distrutta, infatti, dal terribile accaduto. Aveva perso in pochissimo tempo tutta la sua famiglia e i suoi cari, a causa di un'accesa faida familiare avvenuta per il potere nell'Ephia di Pietroburgo. Proprio una brutta tragedia, avvenuta davvero tra le altre cose, suo papà non aveva inventato nulla; anche Irina Zaytseva era esistita davvero, ma era spirata insieme ai suoi cari, ed era stata fortunata, perché la morte era un'opzione preferibile all'idea di sopravvivere alle persone che si amavano. O almeno così si diceva, e così dunque doveva pensare lei per muovere il personaggio.

Ma cosa si prova a perdere qualcuno che si ama? Anzi, cosa si prova proprio ad ama-

Natasha (è qui!): ti sento. Non vanno bene questi pensieri. Tu non devi pensare.

(Ombra: No. No. No. No. No. VATTENE-nero-bianco-nero-bianco-nero-biaco-ner-bco-nr-bc-n-bianco.

Ombra si dimenava terrorizzata), Irina invece rimase immobile, fedele al personaggio. Dov'era rimasta? Ah sì, i Zaytsev. Come aveva accuratamente spiegato a Yordanka e ai suoi due figli che l'avevano portata lì, San Pietroburgo, pur essendo sottoposta al dominio Razumov, aveva sempre goduto di una sua autonomia quasi totale, pertanto l'idea di assumerne il comando rappresentava una prospettiva parecchio allettante per diverse famiglie. Da decenni il bottino era serbato dalle mani dei Zaytsev, fino a quando un'altra prestigiosa dinastia, i Sokolov, non ne avevano contestato il diritto; gli scontri erano stati sanguinosi. Ed eccola là, la perfetta vittima servita su un piatto d'argento intagliato nell'arguzia e servito con curata spietatezza coltivata negli anni per il fine più alto cui si potesse ambire: vendicare Vladimir.

Era del tutto verosimile che Irina fosse fuggita proprio a Sofia. Per salvarsi dalle grinfie dei (Ombra: finti) Sokolov, chi avrebbe potuto offrirle maggiore aiuto della famiglia che in assoluto era stata la maggiore vittima di soprusi e ingiustizie per mano Umanente invece che Arkonante?

«Io... grazie-grazie-grazie-grazie... grazie» Irina usò il dorso della mano per asciugarsi le lacrime rimaste impigliate tra le lunghe ciglia, con movimenti infantili che la facevano sembrare più piccola di quanto non fosse, quasi una bambina. (Ombra: certo che ho talento!) «Spero solo che... che la mia presenza qui non vi metta nei guai... so che ne avete passate tante. Ma la mia famiglia non ha mai pensato che voi foste colpevoli della comparsa dei Vortici, ve lo posso assicurare.»

(Ombra: nooo, non era mica la prima a incolparli fin dall'inizio...)

A quelle parole, Yordanka si irrigidì. Irina temette che avesse intuito la falsità nella sua voce, e prese ad arrovellarsi su dove avesse sbagliato.

Sbagliato. Errore. Imperdonabile.

Prima che Natasha potesse intervenire direttamente, prima che potesse prenderla dai capelli e tirarla via dal conforto privo di nero e bianco della via di fuga, prima che la sua pelle e i suoi vestiti sfregassero sul terreno sterrato, prima che il contatto solcasse ferite lancinanti su tutto il suo corpo... Yordanka sorrise.

Niente di più che il movimento di un muscolo facciale, con cui gli angoli delle labbra tirarono in su le guance, facendole solcare da piccole rughe i lati degli occhi. Occhi che in qualche modo si erano accesi di una sorta di luce rassicurante. Irina non aveva mai visto un sorriso più bello e caloroso, non direttamente e di certo non rivolto a lei. Non era neanche sicura che qualcuno le avesse mai sorriso affatto...

Natasha: Irina...

No. Quelli erano pensieri autocommiseranti. Erano pensieri degni della Zaytseva, che però, essendo un personaggio fittizio, non avrebbe dovuto pensare affatto. Anche a Irina era sempre stato imposto di non pensare, con la differenza che lei era una persona vera. Ecco, questo lei e la sua alter ego ce l'avevano in comune. (Ombra aggrottò le sopracciglia, confusa dal suo stesso ragionamento, mentre) Yordanka le proponeva di travestirsi da Metephra fintantoché i Sokolov non fossero venuti a cercarla lì – la loro prossima mossa sarebbe stata senz'altro quella, avendola persa di vista nel loro territorio ed essendo stata salvata da niente meno che due Grigorov.

Era un ragionamento sensato. Se anche si fossero messi a cercare tra i Metephri, avevano già assicurato di predisporre di nascondigli a sufficienza. Se avessero insistito ancora, Yordanka avrebbe giocato la carta del vittimismo a causa di ciò che avevano subìto in passato. Se anche tutto ciò non fosse stato sufficiente, e non restavano altre alternative, avevano promesso di essere disposti addirittura ad attaccare apertamente i Sokolov e quindi a entrarvi in conflitto loro stessi.

Solo per lei. Una piccola Ephura insignificante, che conoscevano appena.

Questo, da una parte (rese la sua Ombra soddisfatta, perché) significava che aveva fatto un ottimo lavoro per ingannarli e che suo padre conosceva davvero bene i Grigorov, per cui il loro piano sarebbe scivolato a meraviglia. D'altro canto, le fece uno strano effetto il fatto che fossero disposti addirittura a mettersi in pericolo per una creatura banale come la Zaytseva, che non aveva fatto nulla per meritarsi un tale prestigio, quando a lei, anche con tutto il suo impegno per eccellere (Ombra: per impedire a Natasha di farmi male) non era mai stata concessa nessuna gentilezza. Il modo stesso di vedere il mondo e tutto ciò che aveva sempre dato per scontato era così diverso lì... era così... così...

Passi. Si sta avvicinando. Natasha: Irina, ti sento...

Nero-bianco-nero-bianco-nero-bianco-nro-bico-neo-bianco-n-bc-ne-bi-

Irina acconsentì, rincuorata dal loro aiuto (Ombra intanto prendeva un respiro profondo per calmarsi, dopo che Natasha era stata allontanata), e si lasciò accompagnare da Goran e Kiril (Ombra: papà mi ha parlato molto di loro, del più piccolo in particolare... non erano cose belle però...) fino alla sua stanza nel dormitorio situato nella periferia dell'Ephia. Era talmente in fibrillazione per l'inizio della sua avventura e per il timore costante riacceso di continuo dalla voce e dallo sguardo severo di Natasha, che non riuscì a concentrarsi appieno sull'ambiente circostante e nemmeno sulle indicazioni per orientarvisi in caso di pericolo che le suggerì con cura e precisione il loquace Goran, mentre Kiril la scrutava in silenzio.

Si curò solo di mantenere intatto il personaggio (mentre Ombra la seguiva ovunque, intagliata nei mens che Irina era in grado di distinguere al pari della vista comune, per cui non vista da nessuno ma fedele come solo un'ombra sa essere), e di non compiere passi falsi, impegnando però l'orecchio a essere suscettibile agli indizi che la interessavano, per scoprire informazioni in merito a ciò per cui era stata mandata lì.

Doveva essere gli occhi e le orecchie di suo papà: Maksim Razumov.

Sofia, marzo 2009

Nero.

Irina respirava profondamente, e ogni contrazione e espansione del torace le costava una fatica immensa, perché vi concentrava tutto il suo impegno. Irina sentiva gli occhi esplodere, ma non doveva. Non. Doveva. Piangere.

Bianco.

Una frusta di dolore, che fece baluginare tutto di una luce improvvisa, perché: «Quella era una lacrima». La voce di Natasha. Irina non era stata abbastanza forte. Irina non era abile come avrebbe voluto. Come avrebbe dovuto. Eppure, a dimostrazione stessa di questo fatto, nella sua testa cantava solo il pensiero che desiderava scoppiare in lacrime. Perché faceva male tutto, perché il mondo era solo nero e bianco ed entrambi facevano ribrezzo, perché detestava Natasha, ammirava Natasha, detestava se stessa perché non era forte come avrebbe voluto suo padre, si inteneriva nel vedere come si era ridotta perché faceva davvero pena, e-

Nero.

La voce di Natasha. Era entrata nella sua testa. Di nuovo. Come sempre. Forse non se n'era mai andata. Forse si era definitivamente trasferita lì. Il suo volto si sostituì a ogni altra cosa. Un volto bianco incorniciato dal nero piatto e privo di dimensione. Talmente bianco da risultare accecante. Le feriva gli occhi.

Bianco.

«No Irina. Non va beneInsieme a quelle parole le fu ingiunta la consapevolezza che Natasha aveva sempre ragione, che Natasha era sempre nel giusto, che Natasha faceva tutto ciò solo per il suo bene. Che era Irina a essere in errore, che Irina era l'errore da correggere per essere come avrebbe meglio aggradato suo papà. «No Irina. Puoi provare dolore, tenendolo dentro di te e reprimendolo. Puoi detestarmi se vuoi, e puoi detestare te stessa. Ma non impietosirti mai. MAI.»

Nero.

«Mi sono spiegata? Nessuna pietà. Io ho forse pietà per te? Io sono nel giusto, l'hai detto tu stessa. Sarei forse così spietata con te se non fosse la cosa necessaria da fare? Lo faccio per te, Irina, solo per te. Così tuo padre sarà fiero dei tuoi risultati.» Per me.

Bianco.

«Ha fatto molti progressi.» Irina mosse alcuni passi avanti, il viso una maschera inespressiva (mentre in Ombra si alternavano paura, timidezza e ansia da prestazione nel trovarsi innanzi all'amato e rispettato padre), verso l'uomo che era venuto a verificare i suoi sviluppi.

Nero.

«Mostrami, IrinaIl tono era così gentile. Irina avrebbe voluto che venisse a trovarla più spesso, avrebbe voluto che la guardasse con quello sguardo bianco di soddisfazione molto più spesso, ma al tempo stesso avrebbe voluto che non venisse mai, perché quando veniva lei doveva dimostrargli di essere migliorata. Ci riusciva sempre, ma ogni volta l'ansia di fallire era intollerabile.

Bianco.

Il prigioniero, distrutto dalla vita e dalle torture subìte, venne gettato ai suoi piedi, e lei lo guardò dall'alto senza mostrare alcuna emozione (Ombra: alcuna pietà), e continuò a fissarlo con quella maschera di fredda indifferenza, mentre lui piangeva. Era una delle poche volte che aveva modo di guardare qualcuno dall'alto, di solito erano tutti più elevati di lei. Era una sensazione di potenza incomparabile.

Nero.

Un battito di ciglia. Le sopracciglia si aggrottarono per lo sforzo. Le mani formicolarono per l'ordine imposto dalla sua stessa mente di muoversi. Le ficcò nelle tasche. L'intero corpo fu scosso da un forte fremito. Poi (Ombra disegnò nell'aria i Movimenti che lei vi trasferiva con enorme sforzo: raccolse con le dita le note dei mens e le tradusse in musica flettendo le braccia e facendo ondeggiare il busto, per poi riversarle con un movimento della caviglia davanti a sé, dove) il prigioniero venne sbalzato indietro impattando contro una parete.

Bianco.

«Ottimo lavoro, Irina» (Ombra saltellò allegra per la soddisfazione e) le sopracciglia le furono tirate verso l'alto dalla sorpresa e la gioia, mentre il prigioniero sputava sangue e veniva portato via. Un'occhiata severa le fu scoccata sia dal padre che da Natasha, e Irina si affrettò a tornare impassibile con il viso.

Nero.

«Ma deve imparare a controllare meglio il suo corpo. Non deve vedersi alcun segno in lei mentre la sua Ombra compie i Movimenti.»

Bianco.

Doveva essere più brava. Rendere fiero suo papà era tutto ciò che contava, tutto ciò che rendeva bianco il nero e nero il bianco. Natasha glielo diceva sempre. Natasha sapeva cosa era meglio per lei. Natasha era un mostro, Irina la odiava, ma sapeva che ascoltarla era sempre la scelta migliore.

Nero.

Il padre se n'era andato di nuovo, e lei era di nuovo sola con Natasha. Altri allenamenti. Altre torture. (Ombra era sfinita) non ne poteva più. Poi, un giorno, Natasha era impegnata con qualcuno dei suoi fratelli e sorelle maggiori, non sapeva chi e non le importava. Lei era sola, immersa nel nero, che d'improvviso divenne...

Bianco.

Non c'era nessuno. Nessuno che potesse vederla (Ombra controllò, diventando i suoi occhi e le sue orecchie) così si diresse verso dove ancora non vi era anima viva. Sapeva che quello era l'orario più scoperto (Ombra ci aveva sempre fatto caso, quando Natasha non guardava), e sapeva che quello era l'unico momento in cui potesse sperare di mettere la massima distanza tra sé e Natasha.

Nero.

Cominciò a correre, (dopo che Ombra ebbe tolto di mezzo gli intralci come sapeva ben fare), fino a quando i suoi piccoli passetti non ebbero oltrepassato il cancello.

Bianco.

Avvenne proprio mentre correva. La lunga strada che portava fuori era battuta dal sole bianco, i cui raggi erano però ostacolati dalle alte barre di una grata nera che la costeggiava per intero.

Le proiettava addosso la sua ombra alternata mentre le sue gambe la spingevano avanti.

Correndo. Bianco. Nero. Bianco. Nero.

Troppo veloce. Bianco-nero-bianco-nero-bianco-nero-

Splendidamente veloce. Più veloce. Bianco-nero-bianco-nero-bnco-nero-b...

Veloce, veloce, veloce, fino a quando il bianco e il nero non si mescolarono diventando incomprensibili: nro-bco-n-b-n-b-n-b... e... pace. Libertà. Il mondo era così bello quando si faceva indistinguibile, quando il bianco e il nero perdevano significato, quando...

Nero.

Una stilla bianca di dolore: l'avevano presa.

Irina si svegliò di soprassalto (Ombra emise un grido viscerale), e respirò affannosamente. Non doveva emettere alcun rumore, altrimenti qualcuno dei Metephri che dormivano nelle camere adiacenti avrebbero potuto sentirla. Avrebbe potuto essere scoperta.

Gocce di una pioggia né troppo forte né troppo debole (Ombra: né nera né bianca) ticchettavano fuori dalla finestra, sulle coperture addormentate circostanti l'area immersa nel blu della notte. Si alzò, raggiunse il bagno comune e si sciacquò il viso nell'acqua gelida, che le restituì vigore alla cute. Era un incubo (Ombra: ricordo) ricorrente da tutta la vita, avrebbe dovuto finirla di sconvolgersi tanto ogni volta.

Sollevò gli occhi sul suo riflesso. Oh, vero, si ricordò all'improvviso. Era trascorso ormai un mese da quando si era tinta i capelli per somigliare alla Zaytseva, eppure ancora non si era abituata al nuovo aspetto che le restituiva lo sguardo dallo specchio. Si attorcigliò una ciocca castana tra le dita, chiedendosi se avrebbe mai voluto tornare bionda, una volta terminata quella missione. Bianchi oppure neri, non aveva importanza, decise; erano solo capelli, e non dicevano chi lei fosse.

Era Natasha a dirglielo. E Natasha aveva sempre ragione.

Spostò poi lo sguardo (sulla sua Ombra, che era seduta) di fianco a lei. (Ombra non aveva un colore di capelli, non aveva proprio nessun colore, né nero né bianco, ma assumeva un colore diverso a seconda dei mens che incontrava. In quel momento era grigio-perla per parte del capo e delle spalle, proprio come la parete retrostante, poi sfumava nel grigio-arancio dell'asciugamano appesa, e infine si confondeva nella scacchiera grigio-verde pastello e grigio-azzurra delle piastrelle. Non erano colori fissi, perché appena si fosse spostata avrebbe assunto tinte diverse. I suoi lineamenti erano tali e quali a quelli di Irina, ma più definiti, ed erano parte di uno qualunque dei flussi di mens nei quali si muoveva. La sua Ombra era bellissima: Irina era la sua Ombra, ed era Ombra a dire chi lei fosse veramente,) I capelli erano solo un colore.

Sta andando tutto bene. Non aveva senso preoccuparsi. Tutti credevano a Irina Zaytseva, tutti si fidavano di lei, e la ragazza si era ormai ambientata a meraviglia nell'Ephia. I cosiddetti Sokolov erano venuti a cercarla, ma Yordanka era stata convincente a sufficienza, così non c'era stato bisogno di dare vita a nessuno scontro. Non era mai stato quello l'obiettivo di suo papà, sarebbe stata un'inutile perdita di tempo. Se, da una parte, avrebbe messo in pericolo i Grigorov, una battaglia in difesa di un'innocente sarebbe stata vista da molte famiglie Ephure come un atto eroico, che avrebbe conferito prestigio ai suoi acerrimi nemici, invece di screditarli. Senza contare il fatto che se i Long avessero scoperto che lui era coinvolto... sarebbe finita peggio ancora per Maksim.

No, il suo piano era ben più sottile (e nascosto, proprio come Ombra che sorrideva melliflua nei mens) e scaltro. Bisognava solo avere pazienza. E raccogliere informazioni.

"Papà" chiamò con un filo di voce mentale, insinuandosi forse nei suoi sogni. Poteva sembrare una cosa fastidiosa, ma non per lui. Non manifestava mai la minima rabbia nei suoi confronti (Ombra: e neanche il minimo affetto), non era cattivo come Natasha.

"Irina" le giunse solamente in risposta. Fu tentata di chiedergli se desideravano entrare in proiezione mentale, ma non avrebbe mai osato. Era lui a scegliere, lui era suo padre, lui aveva sempre ragione.

Decise, come sempre, di mantenere le distanze.

"Parla pure, ti ascolto. Ti sei integrata nell'Ephia? Si fidano di te?"

(Ombra annuì energicamente, con un sorriso che andava da un orecchio di mens all'altro) Irina rimase impassibile a fissarsi nello specchio, e rispose: "Sì. Yordanka mi vede come la figlia che non ha mai avuto, me l'ha confessato giusto ieri. Vuole bene anche ad Ana, sua nipote, ma si rende sempre così poco disponibile e i suoi modi sono così bruschi e indifferenti, che di femminile ha ben poco. È anche una ribelle, non la ascolta mai e spesso le disubbidisce per puro divertimento. In passato aveva considerato anche Li Wen come una figlia ma, da quando lei e Georgi si sono trasferiti all'Ephia di Pechino, la vede sempre più raramente. Però stravede per lei, ne parla sempre con grande entusiasmo."

Fece una piccola pausa, poi vedendo che il padre non commentava, proseguì: "A proposito, Georgi e Li Wen sono venuti a trovarci proprio l'altro giorno, così ho avuto modo di conoscerli per la prima volta. Se ho capito bene il loro non è un trasferimento definitivo, per equilibrare tra le due famiglie hanno deciso di trascorrere un anno qui e uno laggiù, intervallati da piccole visite come quella appena trascorsa. In ogni caso, si sono impietositi entrambi per la mia storia, a cui hanno creduto senza dubitare. Li Wen mi ha trovata particolarmente simpatica, affermando che -siamo simili perché anch'io mi sono trovata nella tua stessa barca quando mi sono dovuta ambientare qui- e abbiamo fatto alcune passeggiate assieme, come amiche, per conoscerci meglio. Ho scoperto che Mu Chen non ha manifestato più problemi per il suo matrimonio e mi ha confessato che lei e Georgi stanno pensando di fare un figlio ma mi ha fatto giurare di non dire nulla a Yordanka così da farle poi una sorpresa."

Si fermò di nuovo, certa che qui avrebbe voluto dire qualcosa. Un figlio tra un Grigorov e una Long avrebbe determinato la definitiva unione tra le famiglie, era un fatto grave. Maksim di certo lo pensò ma non volle manifestare nulla del genere (Ombra: per mantenere la distanza).

"Prosegui."

Prese un respiro profondo. "Todor, il marito di Yordanka, mi ignora sempre. A dir la verità ignora sempre tutti. Litiga con sua moglie almeno una volta a settimana, e dopo ogni lite se ne sta solo nel suo studio in soffitta a giocare a solitario per ore. Poi in qualche modo si riappacificano. Per il resto del tempo è passivo e indifferente, anche con i suoi figli. Suo zio però, che qui tutti chiamano Cicio Vasko, è un po' più impiccione e pettegolo, più volte mi ha fatto domande anche prive di tatto considerato il passato della Zaytseva, ma non con cattiveria, dice solo quello che pensa. È un tipo tranquillo comunque, non credo che ci darà problemi."

Per un attimo si imbambolò davanti allo specchio. "L'altra settimana il minore dei figli di Aleksander, Ilia... l'ho guardato negli occhi, e lui ha guardato me-"

"Non mi interessa cosa hai visto. Prosegui."

(Ombra sussultò) Irina trattenne il respiro. (Ombra: credo di aver visto la mia nascita. È stata una strana sensazione. Il mondo appariva così terrificante, ma al tempo stesso così bello e semplice, in quel momento. Ho visto anche mia madre, la stessa che si è suicidata buttandosi giù da una delle torri della prigione di Gamsutl quando avevo ancora sei mesi. In quel momento, quando sono venuta al mondo, mi è sembrato che fosse felice. Poi è diventata triste. Ecco cosa succede quando si lascia libero sfogo alle emozioni, ti uccidono. Ti gettano giù dalla torre.)

Ubbidì alla richiesta del padre: "Ilia Grigorov non mostra segni di miglioramento nella guarigione. Si caratterizza con repentine variazioni d'umore, forse perché affetto da bipolarismo, ma non emette mai alcun tipo di suono che possa considerarsi forte. Possiede a malapena una decina di cebrim, si è sviluppato da quasi un anno, e non sembra una minaccia. Mi ignora e io lo ignoro. Ieri, mentre c'era molta luce che faceva vedere ogni cosa più nitida, mi è sembrato di vedergli... attraverso. Goran mi ha detto che è capitato anche a lui, e che purtroppo è normale. Ilia sta gradualmente diventando invisibile, secondo alcuni esperti diventerà anche intangibile e finirà per cessare di esistere. È un procedimento lento, ma è improbabile che superi i venti anni di età. Non esiste cura."

"Bene. Gli altri?"

Irina deglutì di fronte a quella indifferenza. Anzi, quella soddisfazione, forse? Suo padre restava un grande punto interrogativo per lei, di lui gli giungevano solo i pensieri che voleva fargli arrivare, ma il resto era mistero. Tutti pensavano a Ilia con una certa tristezza e pena, e in qualche modo sembrava quello il comportamento più adeguato, cui anche la Zaytseva si era giustamente attenuta. (Ombra: però a me non fa pena. La sua sola presenza... è inquietante, mi fa quasi paura, non so spiegare perché...)

"Yordanka ha altri quattro figli" rispose. "I più grandi, Andrei e Stefan, sono gemelli, hanno dieci anni e sono un vero disastro, anche contrastandosi a vicenda – ogni tanto Ana si diverte ad aggravare i loro dispetti e collabora con loro. (Ombra: non mi abituerò mai allo stile di vita che c'è qui) Poi c'è Filip, che ha compiuto ieri cinque anni, e Nikola, che il prossimo mese ne compie due. Anche loro mi sono parecchio indifferenti. Ogni tanto mi capita di incrociarli ma per fortuna non mi è mai stato chiesto di fare loro da baby sitter."

"Che mi dici degli altri figli di Aleksander?"

Irina si dovette impegnare, questa volta, a mantenere salda la sua espressione. Maksim non poteva vederla, ma Natasha sì. Natasha poteva vederla sempre.

"Goran e Kiril, gli stessi che mi hanno trovata e portata qui."

"Sì, Irina, loro" rispose suo papà con marcata irritazione per la sua manifestazione d'ovvietà inutile.

Però... quei due erano quelli che più in assoluto le causavano emozioni difficili da gestire (anche per Ombra), contrastanti e incerte, confuse.

"Goran è sempre gentile con me, mi tratta con il massimo riguardo. Spesso ridiamo e ci divertiamo insieme, oppure ci intratteniamo in lunghe chiacchierate. Mi ha anche consigliato alcuni libri da leggere, per lo più classici. Ci sono dei momenti, quando siamo insieme, in cui i nostri occhi... (Ombra: inspira; espira. Puoi farcela) in cui si imbarazza e arrossisce, facendosi goffo. Credo che provi una sorta di infatuazione per me (Ombra: per Irina Zaytseva...), che potrò facilmente sfruttare a mio piacimento se ritieni che ciò possa risultare utile allo scopo della mia presenza qui".

Mentre Irina attendeva la risposta, per qualche motivo il suo cuore accelerò il battito nero e bianco nel petto. Trascorse un solo attimo, nel quale si sentì al contempo terrorizzata alla sola idea ma anche... in fibrillazione. Più volte (la sua Ombra aveva provato delle specie di desideri che non si sapeva spiegare,) si era chiesta cosa sarebbe successo se avesse assecondato l'interesse di Goran. Non era certo l'unico a trovarla bella, ma era l'unico che la faceva sentire... la faceva sentire...

Natasha: Irina. Lo stai facendo di nuovo. I passi. Eccola. Possibile che anche solo pensare a lui fosse sufficiente a- Natasha: Irina, basta.

Vattene. Lasciami in pace. Nero-bianco-nero-bianco-nero-bco-neo-bico-nro-bc-n-b-n...

"No, che i Sette non odano, ci manca solo di rischiare di mescolare il nostro sangue con quello dei Grigorov!" esclamò la voce di suo papà, riportandola al presente con lo stesso impatto del nero sul bianco.

"Irina? Ci sei?" insisté ancora subito dopo, in mancanza di risposta. Suo padre era consapevole delle sue ossessioni compulsive, delle immagini e delle voci che la rincorrevano anche quando la loro presenza non si basava su alcun fondamento logico. Non l'aveva mai sgridata per quello, al massimo manifestava una minimale seccatura, ma nulla di più.

"Sì padre, ho capito. Niente relazioni." In effetti era sollevata che l'avesse sciolta da quel peso. Sarebbe stato troppo complicato, troppo strano, troppo difficile. Lei non era fatta per quel genere di cose. Forse la Zaytseva sì, ma (l'Ombra no.) non faceva per lei.

Natasha sarebbe intervenuta troppo spesso.

"Quanto all'altro invece? Kiril?" chiese ancora suo papà, senza riuscire a nascondere il nervosismo nella voce. Irina sapeva che avevano avuto dei trascorsi, quando Kiril aveva ancora solo tre anni, qualcosa che lo imbarazzava talmente tanto che non ne parlava mai. Certo era che il suo cebrim delle proporzioni alle volte sapeva rivelarsi a dir poco impressionante.

"Ho avuto modo di assistere da vicino alle sue capacità. Ormai usa il suo cebrim con la massima spontaneità, individuando associazioni proporzionali tra elementi in modi sempre più creativi ma sensati, e utili alle circostanze."

Deglutì, ricordandosi che ora arrivava l'altra parte del suo rapporto. Quella più difficile. Kiril riusciva sempre a metterla in difficoltà, in qualche modo. Con lui provava delle strane sensazioni, diverse da quelle che le scaturiva Goran, ma in un certo senso anche più intense. E poi... (Ombra: c'è quel sospetto...)

"Anche con lui trascorro parecchio tempo. Abbiamo giocato a scacchi qualche volta, e ad altri giochi d'intelligenza, come rompicapi e quiz di logica. Adora tutte le attività che aiutano a sviluppare l'intelletto e sviluppano la fantasia, e per qualche motivo mi cerca sempre. È strano. Ci sono dei lunghi momenti in cui si immerge nei suoi pensieri, e sembra del tutto assente. Altri in cui ride e scherza come tutti gli altri. Comunque credo che mi consideri sua amica, ovviamente a modo suo."

(Ombra: non ho detto tutto quello che ci sarebbe da dire. Forse perché è qualcosa a cui anche io non so dare un significato, una forma. Meglio così.)

"L'importante è che nessuno dubiti della tua innocenza." (Ombra: ...) Irina si concesse un silenzio d'assenso. Si concesse il beneficio del dubbio. Suo padre continuò: "Sei riuscita a scoprire qualcosa sul tuo obiettivo?"

Oh, finalmente una domanda più semplice. "Per ora solo cenni, non ho voluto insistere troppo per evitare di destare sospetti, e mi baso solo su ciò che ho colto da alcune conversazioni. Avverrà i primi di giugno, nella Valle delle Rose. Si soggiornerà per circa due settimane nella residenza Grigorov di Karlovo, dove verranno ospitati anche gli altri Ephuri bulgari. So che Yordanka è molto emozionata di ridare vita a questa importante tradizione perduta da decenni, ma non ha riferito altro su come intenda fare. Non credo che sarà difficile scoprire i particolari, è sempre lei a tirare fuori l'argomento, io mi sono dimostrata sempre indifferente."

Silenzio. "Ottimo lavoro". Due parole. Neanche un'inflessione di intonazione. Mille scoppi sotto la pelle fecero esplodere il battito nel suo petto (Ombra batté una volta i palmi tra loro e si abbandonò in saltelli sul posto e ridacchi soddisfatti). Suo papà aveva riconosciuto il suo talento e i risultati ottenuti con tanto impegno, dedizione, e anni di torture. Non era certo la prima volta che accadeva, ma ogni volta era come se fosse la prima e come se fosse l'ultima al tempo stesso. Come se fossero punti neri su fondo bianco e punti bianchi su fondo nero. Non c'era emozione più bella (Ombra: l'unica che Natasha concede e incentiva) di quella contenuta in quelle due semplici parole pronunciate da quella voce. Compiacere il volere di suo padre era il motore che trainava la sua vita.

Tutto il resto erano sfumature.

Ciò che contava erano il Nero e il Bianco.

Bianco.

Nero.

TO BE CONTINUED...

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top