27.Kebapceta

Sofia, febbraio 2009

«Maz-pis-pis-piss¹ Kotenze²

«Non capisco, eppure dev'essere qui in zona...»

Nulla, anche sotto quella bella auto sportiva. Peccato, quello sì che sarebbe stato un bel nascondiglio di lusso in cui nascondersi. Goran fischiettò, facendo roteare con tre dita, tenendolo da sotto, il vassoietto da asporto dei kebapceta³. L'acquisto si sarebbe rivelato inutile, non c'era niente da fare.

Si guardò intorno in cerca di qualche senzatetto a cui darlo, ma il suo sguardo fu restituito solo da cartacce ammantate di brina e circondate di zozzeria indistinta, mentre palazzi popolari dalle forme squadrate facevano sì che i raggi più timidi si scordassero di raggiungere quell'angolo dimenticato in cui lui e suo fratello gironzolavano.

«Sai cosa ci servirebbe?» commentò Kiril, accartocciando il viso in una di quelle smorfie da idiota che allontanavano sempre le ragazze da lui. Il sedicenne era appena sceso con un balzo da un balcone su cui era andato a controllare la zona dall'alto. «Un cebrim del miagolio.»

«Kiro, toglimi una curiosità» rispose lui, superandolo dopo avergli lanciato una rapida occhiata. «Ma questa mattina ti sei lavato nell'imbranataggine e per colazione hai mangiato scemenze? No, perché è da quando siamo usciti che continui a metterti in imbarazzo... Maz-pis-pis-piss Kot-Kot, dove sei?»

«Ah-ha» "rise" lui, e neanche un attimo dopo Ran si sentì un pizzicotto sul collo, a cui rispose meccanicamente conficcando un dito tra le costole ossute del fratello.

«'Kot-Kot'? Da quand'è che quella palla di pelo ha un nome?» proseguì poi l'altro.

«Da quando l'ho deciso io.»

«Questa è bella. E dov'è finita la democrazia?» il tono amaro di Kiril lo affiancò con la sua camminata leggera e saltellante. Goran non l'avrebbe mai ammesso a voce alta, ma una parte di lui invidiava la sua esilità. Se solo non avesse avuto quella faccia da struzzo e quegli occhi così innaturalmente grandi, avrebbe avuto uno stuolo di ragazze al suo seguito. Invece, copulati come due parti di un unico insieme, finivano sempre per essere visti come il grassottello loquace e il ragazzino strano; tipi per niente attraenti, insomma. Beh, almeno erano in due nella stessa barca – la barca degli scapoli eterni.

«Non è mai esistita, Kiro, sono il maggiore» si limitò a ribattere con accurato menefreghismo.

«Questo è nonnismo, Ran. Ma... non sarai mica ancora arrabbiato per prima?»

Goran roteò gli occhi. Dicevano tutti che Kiril era intelligente, eppure un piccione sonnambulo ci sarebbe arrivato prima di lui! Era da quando si erano lasciati il liceo alle spalle che continuava a emanargli contro energie negative a dismisura, e solo ora che gliel'aveva praticamente esplicato la sua ingenuità si era decisa a lasciare il posto alla ragione.

«Per causa tua, finirò per diventare maggiorenne senza prima aver mai avuto una ragazza!»

Kiril rispose con un verso scocciato, probabilmente accompagnato da pupille che si sollevavano al cielo. A Goran non interessava, gli occhi erano fissi sull'asfalto calpestato dai suoi piedi. Si trovava in uno di quei momenti in cui, senza nessuna motivazione specifica, desiderava solo correre. Correre, e ancora correre, fino a quando anche il suo cebrim del movimento amplificato non fosse giunto al suo limite, e il fiato gli avesse scavato via dai polmoni ogni briciola di vita, le gambe incenerite dalla fatica insostenibile.

«Non è successo nulla di diverso dal solito...» ribatté con tono annoiato il minore.

A quelle parole, Goran si fermò per volgersi nella sua direzione con il busto, questa volta davvero stizzito: «Già!» il tono più aspro di un frutto poco maturo. «È proprio questo il punto!»

Ecco come si erano svolti i fatti: da alcune settimane, nelle abituali uscite in città a caccia di Arkonanti – di cui a Sofia non v'era quasi l'ombra, forse perché la paura dei Vortici li teneva lontani, o forse perché erano solo più bravi a nascondersi e loro meno motivati a cercarli...? –, velati da illusioni, avevano notato, gironzolando nei pressi di un liceo Letargiante, due ragazze a dir poco carine, e soprattutto simpatiche. Non le avevano certo spiate, solo... osservate accurata-mente. Non erano così sciocchi da scegliersi le prime fanciulle che potevano ingannare gli occhi di due adolescenti ingenui e inesperti. Tsvetanka e Radostina, così si chiamavano (che nomi stupendi...), la prima aveva luccicanti occhi di smeraldo, mentre la seconda magnetici abissi blu (in cui sprofondare), i loro comportamenti rispecchiavano la spontaneità dei loro pensieri, e la delicatezza del loro modo di approcciarsi a chiunque, miste a un umorismo congeniale a ogni situazione, le rendevano a dir poco irresistibili. Radostina, poi, provava una passione così viva quando parlava con la sua amica dei libri che leggeva, che...

«Abbi pazienza Gòrancio, prima o poi troveremo le ragazze giuste...» provò a consolarlo Kiril, percependo il suo sconforto. A dir la verità, non ce l'aveva con lui, era solo stato il più vicino a portata di mano su cui potersi sfogare. Questo Kiril lo sapeva bene, entrambi facevano così l'uno con l'altro, in un certo senso era quasi un modo per esprimersi affetto reciproco – anche perché nessuno dei due ricadeva mai in mielose sdolcinatezze sentimentali.

Quel giorno avevano deciso di provare a muovere il fatidico passo avanti con le due belle donzelle, rivelando i propri aspetti nell'ora in cui la campanella segnava la fine delle lezioni, con l'obiettivo di approcciarsi loro come avrebbero fatto due normali ragazzi Letargianti. Peccato che loro normali non lo fossero affatto, neanche tra gli Ephuri – in particolare Kiril: il suo fratellino raggiungeva culmini altissimi di eccentricità; insieme, però, li sfondavano anche.

A Kiril era venuta l'idea di iniziare il discorso con un dibattito scientifico che aveva sentito trattare da alcuni ragazzi della stessa scuola delle ragazze. Il risultato era stato che, neanche cinque minuti dopo, era finito a filosofeggiare su assurde teorie con quel suo modo strano e disconnesso, salvo poi ammutolirsi e continuare a ragionarci nella sua testa, seguendo quei fili che vedeva solo lui, e dimenticandosi delle ragazze su cui avrebbero dovuto fare colpo. Per salvare la situazione, Goran aveva provato a farsi simpatico con qualche battuta intelligente, ma tutta la sua eloquenza era sprofondata negli occhi di Radostina. In quel momento si era sentito solo imbranato e goffo, una palla di lardo che non sapeva fare altro che rotolare sulle sue stesse parole.

A distruggerlo non era stato poi il disagio provato da Tsvetanka, che già stava ragionando su un modo per levarsi di torno quei due scocciatori indiscreti, quanto la pietà trapelata dalla dolce Radostina.

Pietà di lui.

Goran era stufo marcio di gente che aveva pietà di lui. Certe volte sentire i pensieri altrui faceva male.

A quel punto aveva preso il fratello per un braccio e l'aveva trascinato via dalla vergogna, in cerca dell'affetto di un gattino che spesso trovavano per le strade di Mladost a miagolare disperato qualche avanzo per riempire lo stomaco. Almeno i gatti non giudicavano.

Quel giorno però, non v'era ombra nemmeno di Kot-Kot, si era dissolto insieme alla speranza di appigliarsi a qualche conforto. Non gliene stava andando bene una, tanto per cambiare. Il nervosismo gli scoppiettava su ogni poro della pelle, non ne poteva più di essere... se stesso. Alla fine, tutti quei problemi derivavano dalla sua pinguedine, insolita per la specie di cui faceva parte. Di quei tempi, infatti, erano rarissimi gli Ephuri in carne, dal momento che esistevano appositi cebrim per limitare e ridurre i grassi adiposi presenti negli organismi, in modo da farli aderire a determinati canoni di bellezza dell'epoca a cui appartenevano. Goran stesso ne possedeva qualcuno, ma si era sempre rifiutato di applicarselo per una questione di principio: così era fatto, così era il suo corpo, così dunque era giusto che fosse. Inoltre in questo modo offriva ai nemici un'immagine che li portava a sottovalutarlo, perché nessuno si aspettava mai una grande forza da un grassone.

Andava fiero della sua scelta, tuttavia... tuttavia c'erano dei momenti in cui desiderava soltanto piacere per quello che era. Essere bello, agli occhi di ragazze stupende come Radostina. Vedere riflesso nello specchio qualcuno che fosse indiscutibilmente affascinante, non solo agli occhi dei cari che lo conoscevano, ma di ogni passante che lo incrociasse per strada.

Troveremo le ragazze giuste, aveva appena detto Kiril. Eppure di ragazze giuste Ran ne aveva già trovate almeno dieci, era lui a non essere appropriato a loro. Anche si fosse trattato della perfezione fatta persona, Goran non si sarebbe mai sentito al loro livello. Il problema era dentro di lui. Perfetto, ora gli era venuta voglia di mangiarsi quei gustosi kebapceta ancora caldi che gli intiepidivano il palmo.

«Ah sì?» esclamò, senza riuscire a celare lo sconforto. «E dove, sentiamo un po'!?»

Con un gesto del braccio indicò l'ampia strada, ora costeggiata da alcuni alberi ancora segnati dall'inverno, affacciati su silenziose auto posteggiate, le quali erano come addormentate, intorpidite dalle occasionali sferzate invernali. «Non vedo nessuna ragazza!»

Neanche a farlo apposta, in quel momento uno scalpiccio improvviso portò entrambi i Grigorov a voltarsi nella direzione del fondo della via.

Una ragazza.

Una ragazza correva a perdifiato, i lunghi capelli castani raccolti in una capigliatura sfasciata che si agitava al vento. Una maschera di puro terrore al posto del viso, e il fiato che le ansimava nel petto.

«Ma che-»

Non ebbe il tempo di imprecare né di porre alcuna domanda, che gli occhi di lei si erano già posati su di loro, lampeggiando di speranza lacrimosa. «Aiuto! V-vi prego aiutatemi!»

D'istinto Goran cercò i pensieri zampillare fuori dalla sua porta, perché quando i Letargianti erano agitati questi si riversavano fuori dagli usci come geyser impazziti. Invece, la sua mente si scontrò con le alte mura nere e bianche di un Clypeus che si interponeva davanti a essa.

Un'Ephura.

Questo poteva significare solo una cosa: chiunque fosse a spaventarla tanto non era certo da sottovalutare.

Non gli fu concesso tempo per ragionare su cosa stesse accadendo, che la giovane si era già parata dietro di loro, usandone i corpi come scudi, gli ansimi intimoriti che si mescolavano ai gemiti. Non appena intravide comparire i primi inseguitori, Goran raccolse con un tovagliolo i kebapceta con una mano, mentre l'altro braccio lo fletté per far mulinare il vassoio di cartone, che come un missile tagliò l'aria e colpì in pieno gli occhi del primo Ephuro. Bene, giocare sul fattore sorpresa aveva dato i suoi frutti...

Ora restavano solo gli altri quattro. E loro due erano disarmati.

«Chi sono quei tizi?» stridette la voce di Goran, improvvisamene assalito dal panico.

La ragazza gli rispose con un grido atterrito, perché in quel momento una sottile corda metallica terminante con una sfera in acciaio con gli spuntoni, brandita da un altro degli aggressori, stava volando a tutta velocità verso di loro. D'istinto si abbassò per evitare l'impatto, e nell'amplificazione del movimento il mondo intorno a lui si fece, come suo solito, più lento. Penetrato nella familiare dimensione quasi priva di suono, il suo sguardo fu attirato dal fratello. Invece che chinarsi come avevano fatto lui e la sconosciuta, Kiril aggrottò le sopracciglia, socchiuse gli occhi, e sollevò la mano destra in avanti con il palmo rivolto verso la sfera metallica, mentre nella sinistra due dita si incontravano in uno schiocco. Invece che la sfera in acciaio, la sua mano incontrò un minuscolo batuffolo bianco, che subito fu sbalzato indietro verso il suo emittente da un cordino di stoffa.

Goran sbatté un paio di volte le ciglia, e aguzzò lo sguardo per capire che cosa aveva combinato questa volta il suo fratellino preferito. Ad accogliere l'espressione sconvolta dell'Ephura che aveva scagliato quella strana arma contro di loro, c'era un banale yo-yo.

"Geniale! Da dove ti escono certe idee?" esclamò entusiasta nella sua testa.

"Dalla sbadataggine in cui mi sono lavato oggi e negli stuzzichini di scemenze che ho mangiato stamattina. Ora però dobbiamo correre!"

Non poteva arrivargli notizia migliore. Le sue gambe scalpitavano già come zampette di leprotti pronti a saltare, e le espressioni minacciose di quei tizi lo incentivavano ulteriormente.

D'istinto afferrò il polso della ragazza, che a quel gesto sobbalzò ma non diede segno di ribellione. «Andiamo!» esclamò, partendo a razzo. Era giusto che fosse lui ad aiutarla dal momento che era più rapido di Kiril a correre e lei sembrava essere a dir poco allo stremo (non c'entrava nulla il fatto che fosse davvero carina, ovviamente).

Il mondo rallentò mentre i metri venivano divorati dalle sue ampie falcate e il vento gli sibilava nelle orecchie. Così come Kiril predisponeva di un cebrim fuori dalla norma, e mai visto prima, lui vantava i maggiori record, a livello quasi mondiale, di velocità raggiunta con l'amplificazione di rapidità dei movimenti, abilità che di per sé era anche parecchio comune. Tuttavia, era la prima volta che lo utilizzava per un combattimento vero e proprio, per sfuggire a persone che non avrebbero esitato a farli fuori. Non l'avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma era terrorizzato. In passato aveva creduto di non essere molto attaccato alla vita, perché ne aveva viste spegnersi troppe e il loro peso ancora gravava nella loro famiglia; aveva pensato che se anche avesse rischiato di morire giovane non sarebbe stato molto strano, quella era la normalità della loro famiglia, e quindi, avendoci già fatto i conti, quella possibilità non lo spaventava. Invece si era sbagliato.

Amava vivere più di quanto si fosse aspettato.

Non si sarebbe arreso ai primi aggressori che l'avrebbero minacciato, perché sapeva che non sarebbero stati gli ultimi. Quella ragazza aveva negli occhi lo stesso terrore che animava un animale braccato. Era il tipo di paura che detestava più al mondo, l'aveva visto sul viso di suo fratello maggiore nel periodo della sua vita che più detestava ricordare, e l'aveva scorto spesso anche negli occhi di sua madre, quando si perdeva nel passato. Non v'era nulla che infervorasse di più la furia dentro di lui.

«Di là!» esclamò, rendendosi conto che non avrebbe retto i suoi ritmi ancora a lungo e che Kiril era rimasto troppo indietro. Si infilarono dietro lo spigolo di un edificio e si adagiarono alle pareti. Non appena il fratellino, trafelato, spuntò dalla strada, Goran lo aiutò a deviare verso di loro spingendo i mens intorno a lui.

«Ti hanno visto girare qui?»

L'altro scosse la testa in segno di diniego, mentre la ragazza spostava confusa il capo dall'uno all'altro.

"Bene, allora proseguiranno dritto" continuò, comunicando a tutti e due.

"Ma non basterà a depistarli" ribatté Kiril, ancora ansimante

"No, infatti." Si rivolse poi all'Ephura: "Tu sai creare un muro di mens?" Alla ragazza tremò il labbro inferiore, mentre le sue ciglia si abbandonarono a un breve sfarfallio incontrollato.

Poi annuì vigorosamente, e rispose nelle loro menti: "S-sì, credo di sì. O almeno posso provarci..."

Goran le studiò attentamente i grandi occhi scuri, che insieme agli zigomi pronunciati e il visino a punta la facevano assomigliare a una deliziosa bambola solo un po' trasandata. Doveva trattarsi di un'Ephura sviluppata da poco, forse addirittura una Metephra.

"Va bene, pronti? Loro sono uno in più di noi, ma giocando con l'effetto sorpresa dovrebbe bastare"

Tutti e tre si concentrarono per solidificare, lungo tutta la larghezza della strada, un'ampia parete invisibile composta di mens, che si dipartiva proprio da quella cui erano adagiati loro. Nei suoi piani, gli aggressori, non vedendola, sarebbero dovuti andare a sbatterci dritti contro, perdendo almeno i sensi nel migliore dei casi.

I Grigorov però non erano certo famosi per la loro fortuna; infatti solo l'Ephuro che stava in testa impattò meravigliosamente nella trappola, mentre gli altri tre, rimasti poco più indietro, si fermarono all'ultimo momento. Goran imprecò.

«Lasciateci la ragazza e non vi faremo del male!» esclamò la donna che prima li aveva attaccati con quella strana arma ormai ridotta a un batuffolo di yo-yo.

I suoi compari avevano estratto l'uno due scimitarre dall'aspetto per niente rassicurante e l'altro un lungo bastone acuminato. Goran si guardò intorno, solo per rendersi conto che non gli restava via di fuga, perché lo spazio in cui si erano infilati finiva in una sorta di parcheggio; un vicolo cieco, insomma. Certo, potevano provare a saltare su un albero e da lì fuggire arrampicandosi su per alcuni dei palazzi, ma, gli doleva ammetterlo, i suoi cebrim dell'atletica e del parkour erano parecchio arrugginiti, mentre i loro avversari sembravano essere ben più esperti e allenati ai combattimenti. Goran non aveva mai pensato di doversi trovare ad affrontare dei nemici così, per caso, come invece accadeva normalmente per gli Ephuri del resto del mondo. Per un attimo temette addirittura che potesse trattarsi di Arkonanti...

Dato che nessuno dei due aveva risposto, la donna estrasse una lunga frusta che fece mulinare in aria. «Bene, avete preso la vostra decisione» affermò come una sentenza di morte, assottigliando tono e sguardo. Quando la frusta fendette l'aria nella sua direzione, Goran fece appena in tempo a schivarla, flettendo il corpo da un lato. Strabuzzò gli occhi, vedendo il filo metallico scorrergli lentamente a un centimetro dal naso. In un'improvvisa e inaspettata presa d'iniziativa, allungò il braccio libero e lo afferrò, per poi usare tutta la sua forza per tirarlo indietro insieme alla donna che lo impugnava. Questa, sorprendentemente, si lasciò trascinare, ma poi, quando gli fu più vicina, roteò il busto con eleganza, sottraendola alla sua presa con uno sfregamento lancinante che parve trafiggergli la pelle del palmo. D'istinto scalciò con rabbia, colpendola in pieno petto con una violenza che lui stesso si stupì di possedere. Negli occhi della donna aveva riconosciuto lo stesso odio spietato e irragionevole che per anni aveva sperato di non scorgere più.

Impattò con la nuca sulla vetrina di un negozio chiuso, scalfendovi una crepa, e si accasciò inerme al suolo. L'idea che fosse morta balenò per un attimo nella sua testa, senza preoccuparlo; era viva, il petto si era sollevato impercettibilmente. Provò quasi dispiacere nel rendersene conto: gente come lei non meritava di esistere. Portavano solo sofferenza, distruggevano legami, infrangevano famiglie, facevano vivere nel terrore gli innocenti.

Non c'era tempo da perdere. Si voltò verso gli altri, notando che Kiril era impegnato con l'individuo che sciabolava, incallito, fendenti micidiali, da cui lui si proteggeva alla bell'e meglio con tutto ciò che trovava intorno a sé, forse aspettando di trovare l'ispirazione giusta per la proporzione più adeguata alla circostanza.

Se la sarebbe cavata, ne era certo, riponeva la massima fiducia nel suo formidabile fratellino. Quanto alla ragazza... lei sì che aveva bisogno di aiuto. Era finita a terra, e arrancava sui gomiti schivando per un pelo i colpi che la lunga lancia dell'aggressore crepava sull'asfalto. Senza esitare, afferrò la frusta caduta a terra alla donna e la fece mulinare verso di lui. Nonostante non si fosse mai allenato con una frusta prima, usarla non si rivelò troppo difficile. Il filo metallico toccò il braccio che impugnava la lancia, facendo gridare l'uomo di terrore. Non ebbe tuttavia il tempo di fare altro, che un'improvvisa e potente onda di mens si riversò su di lui, lanciandolo indietro su dei bidoni della spazzatura, che gli si rovesciarono addosso impregnandolo irrimediabilmente nel loro fetore.

Le sue dita avevano ormai stritolato i kebapceta, proteggendoli però dal sudiciume lercio dei rifiuti. Chissà, forse dopo sarebbero stati ancora mangiabili.

Mentre tentava di districarsi dai rifiuti, notò le spade gemelle dell'avversario di Kiril trasformarsi in un banale paio di forbici. Un attimo dopo anche quello era stato atterrato. Rimaneva solo il tizio con la lancia.

La ragazza era stata messa all'angolo, non aveva più possibilità di schivare il colpo. L'Ephuro sollevò l'arma, pronto a sferrare il colpo decisivo. Lei gridò. Goran si diede uno slancio improvviso, il cuore gli aveva mozzato il respiro in gola al solo pensiero di fallire e vedere falciata via la vita di un'innocente.

Allungò un braccio in avanti, rendendosi conto che era troppo lontano e che, anche con tutta la sua velocità, non sarebbe mai riuscito a raggiungerlo in tempo. Emise un verso strozzato, come se la sua voce avesse potuto fermarlo.

Prima che fosse troppo tardi, tuttavia, un'asta metallica distaccata dalla ringhiera di un balcone crollò proprio in quel momento addosso all'assassino, colpendolo con un clangore al petto. Cadde in avanti, poco distante dalla giovane, che sobbalzò e si allontanò scossa da gemiti terrorizzati.

Goran la raggiunse un attimo più tardi, subito seguito da Kiril, il quale però sembrava più interessato all'altro individuo. Era finita, gli avversari erano stati sconfitti. Ran faticava ancora a crederci, ma ce l'avevano fatta. Ancora non gli era chiara l'entità della proporzione che aveva usato questa volta suo fratello, ma al momento non era importante.

Si avvicinò con delicatezza alla ragazza, che si era accucciata tutta tremante alla parete, fissando l'uomo a terra come se questo avesse potuto rialzarsi da un momento all'altro e aggredirla.

«Ehi, va tutto bene adesso» la rassicurò lui. Quando gli occhi di lei si alzarono su Goran, colmandolo della paura e della fragilità che la animavano, il ragazzo si sentì sciogliere qualcosa dentro e un improvviso imbarazzo gli fece quasi tremare le gambe.

Si fece forza per restare fermo. Non era la prima volta che si specchiava in un viso così spaesato e titubante; ciò di cui al momento aveva più bisogno era aggrapparsi a una certezza, venire cullata dalla consapevolezza di essere al sicuro. Allungò una mano verso di lei per aiutarla a rialzarsi, disegnando sul proprio viso un'espressione rassicurante. «Non ti faranno del male.»

Lei sfarfallò le ciglia con fare quasi isterico, poi allungò con eleganza un braccio verso di lui, che ne accolse le dita vellutate e l'aiutò a issarsi su. I vestiti in parte strappati e i capelli castani annodati non velavano il fascino del corpo snello e perfettamente formato, e non smorzavano il magnetismo degli occhi da cui si sentì improvvisamente inchiodato come da un cappio intorno al collo, il quale gli impedì di respirare. C'era qualcosa in quelle iridi oscure... qualcosa che lo affascinava ma al contempo lo spaventava anche. Gli risultava impossibile svincolare lo sguardo, che lei non esitava a sostenere con un'improvvisa e fredda sicurezza.

«Chi sei?» chiese la voce di Kiril in quel momento, spezzando il filo che aveva allacciato i loro occhi. Suo fratello si era appena rialzato dopo essersi accovacciato nei pressi dell'uomo che la aveva aggredita. Dal suo tono era trasudata, oltre alla genuina curiosità, una diffidenza mista ad accusa.

Non capiva, come poteva prendersela con lei? Non aveva forse notato come era stata spietatamente inseguita da quei mostri?

«Mi... mi chiamo Irina» rispose lei, spostando gli occhi verso Kiril, che la analizzava con lo sguardo come se al suo posto vi fosse un arduo dilemma da risolvere.

«Loro volevano uccidermi» continuò lei. «Non... non potrò mai ringraziarvi a sufficienza per quello che avete fatto per me e-e...»

«Sicura?» ribatté lui, senza farsi scomporre dalla sua debolezza, implacabile e insensibile al pari di un giudice spietato che nemmeno aveva perso tempo ad ascoltare i suoi ringraziamenti. Ecco uno dei numerosi momenti in cui Kiril diventava quasi inquietante. Ovvio che volessero ucciderla, l'avevano potuto constatare con i loro stessi occhi!

«Certo» rispose infatti lui al suo posto, con un improvviso istinto protettivo. Irina ne aveva passate fin troppe per dover anche affrontare il carattere difficile di suo fratello. «Adesso non preoccuparti, ti porteremo al sicuro e potrai spiegarci tutto con calma, ma è meglio andarsene prima che si riprendano.»

Lei piegò le piccole labbra perfette in un piccolo e timido sorriso sollevato e riconoscente, e lui si ricordò dei kebapceta ancora protetti dalla sua mano. Si sarebbe rivelato uno spreco, dopo essersi impegnati tanto per tenerli al sicuro, non mangiarli! Irina era stanca, e di sicuro affamata, così gliene porse uno: «Vuoi?»

Un timido sorriso le fiorì sulle labbra. Goran ne sentì il calore scottargli il cuore.

Forse non avevano trovato un gatto, però si erano imbattuti in qualcuno di decisamente più interessante.

Già, interessante 👀 ...Chissà chi è 'sta tizia 😇

In ogni caso, non so voi ma io adoro il rapporto che c'è tra Kiril e Goran 🥰 E finalmente conosciamo meglio il secondogenito dei Grigorov... eloquente e rilassato, ma anche iperprotettivo a livello quasi esagerato... vi faccio notare che non avrebbe avuto problemi a uccidere la tizia. Vi consiglio di ricordarvene per il futuro... Quanto a Kiril, perché secondo voi non si fida di Irina? 🤔 Semplice sesto senso oppure avrà un motivo sensato?

Va beh, comunque abbiamo un altro salto temporale, per cui ecco come al solito lo Jivonhir genealogico solo per voi 🌳❤️


Sì, Li Wen e Georgi si sono sposati 🥰
Come potrete ben immaginare ormai non ci discosteremo ancora di molto con i salti temporali, per cui siamo praticamente al livello temporale in cui appariranno in Cerebrum 2...

Okay, ora basta chiacchiere e... preparatevi perché il prossimo capitolo è un po' particolare. Oltre ad essere chilometrico (motivo per cui lo dividerò in due parti), vi avverto che troverete una forma ehm... stilistica un po' diversa dal solito, oltre che errorini voluti e un uso spropositato di parentesi, anche queste volute, per cui per capire meglio le frasi vi consiglio di provare a capirne il senso prima senza e poi con le parentesi (o viceversa). E poi vi consiglio di leggerlo in un momento tranquillo in cui potete essere ben attenti perché appunto potrebbe essere difficile da seguire a tratti. NON LO SO, È UN ESPERIMENTO, SARETE VOI A DIRMI SE CI STA OPPURE NO 😭😭😭

Detto questo... buona lettura! ⚫⚪

ꟻAᴎTAꙅilɘᴎA

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