2.Ceren plektŭr

... L'orologio della vita si è fermato poco fa. Non sono più al mondo.

-Notte dell'Inferno-
(Rimbaud)

Petar si rigirò tra le dita il piccolo plettro nero.

«Conferendo la vibrazione alle corde che producono il suono che io trasformo in musica, questo piccolo pezzetto di alluminio è fondamentale per determinare la sinfonia a cui si vuole dare vita» gli aveva spiegato una volta Denislav, riferendosi al vecchio plettro che, seppur usurato dagli anni, restava il suo preferito. Gli aveva poi spiegato tutte le caratteristiche che rendevano quest'ultimo speciale, così come tutte le imperfezioni che potevano essere migliorate, ma che ugualmente gli permettevano di produrre canzoni magnifiche con la sua chitarra, incantando ogni volta Petar. Adorava quando Deni si metteva a suonare, gli trasmetteva leggerezza e piacere di vivere. Tutto sembrava più bello e più semplice quando si rilassava ad ascoltare le sue bellissime canzoni, ognuna di sua stessa invenzione.

Anche se quel plettro era stato suo compagno per molti anni, Denislav stesso aveva riconosciuto che il suo servizio era ormai inevitabilmente giunto al termine, pertanto necessitava di un nuovo plettro talmente ben fatto da meritare di sostituire il precedente. Gli dispiaceva vederlo in difficoltà con il suo vecchio plettro, così era stata sua l'idea di recarsi nel negozio di musica giù in città e comprare un nuovo set di plettri per il suo fratello preferito, con l'aggiunta di un paio di corde di ricambio, una borsa da chitarra e un kit per la pulizia dello strumento. Yordanka e Violeta erano volute venire con lui per partecipare al regalo dato che ancora non avevano idee per il suo compleanno, e si erano aggregati anche Konstantin, per supervisionare su di loro, e Hristo, che avevano portato il piccolo Liuben, giusto per farlo uscire un po'.

Del regalo che contava di più, tuttavia, se ne sarebbe occupato Petar; solo lui infatti sapeva che Deni era particolarmente affezionato al vecchio plettro perché quest'ultimo era l'unico sopravvissuto di un tragico incidente che aveva coinvolto la sua confezione poco dopo essere stata acquistata – aveva spiccato un bel volo di diversi metri giù da un dirupo per poi scoprire di non possedere le ali, andando così incontro a uno spiacevole impatto con lo scosceso suolo sottostante, ed essere trasportata via dalle acque sotto lo sguardo stupefatto di Denislav. Con il tempo era diventato una sorta di pezzo raro, e trovare un rimpiazzo che ne fosse all'altezza non sarebbe stato affatto facile, ma Petar aveva deciso di tentare lo stesso; per il suo fratello preferito avrebbe fatto di tutto, e per lui non c'era gioia maggiore del renderlo felice.

Una volta nel negozio di chitarre, dopo attente analisi, aveva infine scelto un piccolo plettro nero, sottile, in alluminio, dall'ottima forma triangolare dai vertici arrotondati che ricordava un po' il precedente. Insomma, lo strumento migliore di cui Denislav potesse usufruire per plasmare quei suoni stupendi, era certo che nessuno avrebbe potuto reggere il confronto. Era talmente soddisfatto della sua scelta che durante il viaggio di ritorno verso l'Ephia non riusciva a pensare a nient'altro che quello, chiedendosi quale sarebbe stata la reazione del fratello nel ricevere quella piccola meraviglia in regalo.

Invece, non c'era stata alcuna reazione, nessun trepidante spacchettamento di regali, e nemmeno un luccichio di emozione negli occhi di Denislav, e mai più ci sarebbe stato nulla di tutto questo. Semplicemente perché Denislav non c'era più.

Quando gli era stato comunicato, non aveva realizzato subito, come sempre era distratto. Poi, la realtà si era riversata violenta su di lui come una secchiata d'acqua gelida in faccia, e il dolore l'aveva avvolto tra le sue spire.

Eppure, gli sembrava ancora tutto così inconcepibile. Mai aveva anche solo ipotizzato una tale evenienza, perché il fratello c'era sempre stato e aveva dato per scontato che così sarebbe stato ancora per molto tempo.

Da quando era accaduto gli pareva che il mondo avesse smesso di girare, e che il tempo procedesse per semplice inerzia, che la vita non fosse altro che una proiezione, un'ombra di quel che era stata prima.

Avrebbe dato qualunque cosa anche solo per poter rivedere il suo viso.

Nemmeno questo gli era stato concesso. Yordanka aveva detto che tutti i corpi erano irriconoscibili, e che era uno spettacolo troppo orribile che potevano benissimo risparmiarsi, così lui, Violeta e Liuben non erano saliti fino a quando gli Ephuri mandati dai Razumov non avevano fatto sparire tutto ciò che rimaneva della loro famiglia.

Come se in questa maniera avessero potuto allontanare il dolore.

Ma Petar lo sapeva bene: c'era solo un modo per stare meglio, ovvero sostituendolo con altro dolore.

Inizialmente aveva pensato che quel piccolo plettro ormai fosse inutile, dal momento che lui non sapeva suonare e che non avrebbe mai potuto raggiungere il suo destinatario, sparito prima che esso avesse la possibilità di trasformarsi in un mezzo per creare suoni incantevoli e suscitare meraviglia. Stringendolo con rabbia nel palmo della mano mentre sentiva tutto il mondo crollargli intorno, quello stesso giorno in cui aveva ricevuto la notizia, Petar si era reso conto che non mancava molto, a un vertice smussato del piccolo triangolo, per trasformarsi in una punta affilata. Necessitava solo di una qualche piccola aggiustatina, e i numerosi sassi di Vitosha facevano proprio al caso suo.

Fu così che, da strumento del paradiso, il plettro nero si era trasformato in un'arma infernale, in grado di arrecare l'ormai familiare e dolce dolore che leniva quello più amaro derivato dalla scomparsa di Deni e di tutta la sua famiglia. A volte bastava un graffio, altre era necessario andare più a fondo.

Nel giro di una settimana, ormai, le sue braccia erano ricoperte di piccole ferite, alcune in procinto di guarigione, altre che faticava a nascondere alle sue sorelle. Aveva temuto che Violeta sospettasse qualcosa, ma era troppo piccola per poter capire, così non se ne era preoccupato più di tanto.

A lei e Yordanka era bastato un abbraccio, ed entrambe sembravano stare meglio, ma quel metodo con Petar non aveva attecchito. Non era mai stato tipo da eccessivi contatti, e stringersi a loro non cancellava quel che era successo. Loro erano vive e ne era felice, ma lo sapeva già, non c'era bisogno di dimostrare ulteriormente un affetto che sapevano già di provare e che non aveva senso fingere di rendere più intenso. Non erano mai state le sue preferite, e il fatto che fossero le ultime che rimanevano non cambiava la circostanza in cui versavano. Certo, voleva tenersele vicine, ma... stringersi a loro non è che gli provocasse fastidio; semplicemente non gli faceva il minimo effetto, e man mano che l'abbraccio andava per le lunghe iniziava a sentirsi scomodo e aveva l'istinto di sottrarsi, cosa che non faceva per non ferire i sentimenti delle altre.

Per Yordanka e Violeta, invece, quel semplice gesto sembrava avere un qualche potere sovrannaturale, poiché poi erano riuscite ad andare avanti, a modo loro: la maggiore sembrava aver assunto un atteggiamento più adulto e si occupava con maestria di tutte le faccende burocratiche e relazionali con gli Ophliri e gli architetti per la ricostruzione dell'Ephia in corso, con loro tentava di comportarsi come una mamma, ma con scarsi risultati; per quanto riguardava invece Violeta, a soli nove anni d'età era riuscita a inimicarsi metà di quelle persone e a guadagnarsi occhiatacce monitorie continue dalle restanti, per via del carattere intemperante e provocatorio, che, dopo il fatto, era diventato anche facilmente irritabile, tanto che ci aveva litigato già tre volte. Liuben, invece, nemmeno era sicuro che avesse capito esattamente cosa fosse accaduto, ma dopotutto aveva da pochi mesi imparato a pronunciare qualche basilare frase di senso compiuto e a momenti gattonava ancora; forse era quello che se la passava meglio, ma Petar non poteva evitare di sentirsi strizzare il petto in una morsa dolorosa ogni volta che il piccolo chiamava la mamma, bisognoso di un affetto che né i suoi fratelli, né Konstantin e Hristo avrebbero mai potuto rimpiazzare.

La soluzione, per Petar, era sempre una sola: quel piccolo, magnifico, pezzo d'inferno che lo riavvicinava al paradiso. Non che gli piacesse farlo, semplicemente non trovava alternative per non soccombere e arrivare al punto di non ritorno.

«Petar!» esclamò un'improvvisa voce squillante, mentre un lembo della tenda in cui alloggiava si apriva di scatto. Nello spavento, il plettro gli sfuggì tra le dita e Petar si chinò a raccoglierlo, cadendo sulle ginocchia. Per un attimo gli mancò il fiato per il dolore di alcune piccole ferite che a quel movimento si riaprirono, ma si sforzò di non mostrare alcuna reazione a chi era irrotto tanto sgarbatamente nell'angolo di solitudine in cui era solito isolarsi dagli altri.

«... Langy» Non si sforzò di trattenere il fastidio nel riconoscere l'altro ragazzino, chiedendosi perché fosse venuto a disturbarlo in modo tanto trafelato. «Kakvo iskash?¹»

Il giovane Cervini ebbe un attimo di esitazione nel sentirsi parlare in bulgaro, ma poi rispose nella medesima lingua, comunicandogli che un Ophliro dall'aria importante aveva chiesto la presenza di tutti i superstiti Grigorov. Nonostante le sue origini italiane, il bambino parlava bulgaro in modo ineccepibile, a causa del suo cebrim del poliglottismo. A undici anni, quindi uno solo in meno di lui, quel bimbetto irritante era già un Ephuro a tutti gli effetti, mentre Petar si ritrovava a essere ancora un semplice Letargiante, un bambino inutile, che nemmeno era mai riuscito a imparare a suonare la chitarra nonostante le preziosissime istruzioni del fratello migliore che si potesse desiderare.

«I zashto?²» gli chiese ancora spiegazioni, restio ad abbandonare la sua culla di sofferenza. Il bambino fece spallucce e gli rivolse un'espressione preoccupata, i grandi occhi castani e il visino rotondo ad analizzarlo come fosse un cucciolo di cervo senza zampa. Langy non gli aveva mai fatto nulla di male, e neanche lo disturbava che fosse evidentemente infatuato di Yordanka anche se lei non lo calcolava; a irritarlo erano solo i suoi tentativi di essergli amico o di fingersi dispiaciuto per un dolore che, viziato com'era, di certo non poteva comprendere. Per quanto Dànceto continuasse a ripetere quanto fosse carino da parte sua e della sorella stargli vicino in quella situazione, non vedeva proprio l'utilità della loro presenza.

Per sua sfortuna, però, sembrava una cosa importante. Così, con uno sbuffo, si alzò e seguì Langy fuori dalla tenda.

Petar era sicuro di non aver mai visto uomo più inquietante di quello che si trovava di fronte in quel momento. I capelli biondo scuro che scendevano fino alle spalle incorniciavano un viso magro ma imponente, dagli zigomi pronunciati che evidenziavano la forma di ogni singolo muscolo e osso che lo componeva, in particolare un'orribile ruga sulla fronte che al ragazzo pareva ingrossarsi e pulsare sempre più man mano che parlava, con una freddezza disarmante, del disastro avvenuto ormai una settimana addietro. Intanto, quegli occhi neri, talmente enormi da far dubitare che fossero umani, sembravano star demolendo ogni tentativo di Yordanka di mostrarsi adulta per affrontarlo con la temperanza e l'audacia che desiderava possedere. Sua sorella non era perfetta, Petar sapeva bene che non era pronta per assumersi la responsabilità di tutti loro, poteva mentire a sé stessa ma non ai suoi fratelli. Non era mai stata la maggiore e mai aveva potuto immaginare di doverlo diventare un giorno. Era stata semplicemente presa di sprovvista, come tutti d'altronde.

«Dunque, gospojitse³ Grigorova, voi siete arrivati e il Vortice era già in atto, giusto?» il tono e l'atteggiamento sprezzante di Maksim, così aveva detto di chiamarsi il generale Ophliro, sembrava esprimere in ogni modo possibile quanto ritenesse irrealistico il racconto di Yordanka. Nonostante fossero adulti, né Konstantin né Hristo erano stati chiamati a testimoniare. Non gli era stato nemmeno permesso di entrare nella tenda, a differenza di quella Clara, soltanto perché lei invece apparteneva alla prestigiosa famiglia dei Cervini. Anche con lei inizialmente Maksim era stato reticente, ma Clara aveva insistito e lui, per non avere noie forse, o forse perché semplicemente non gli importava, aveva infine acconsentito, intimandole però di non intervenire.

Seduto dalla parte opposta della scrivania innanzi ai quattro fratelli, con Yordanka al centro e Liuben in braccio a Violeta, l'Ophliro Razumov sembrava aver messo in atto una sorta di interrogatorio, di cui Petar non trovava proprio l'utilità, mentre Leta stringeva con rabbia i pugni chiusi ogni volta che la maggiore tentennava, come se avesse voluto alzarsi e prendere a schiaffi il russo.

«Sì... come le ho detto» balbettò Yordanka in risposta, e Petar sarebbe voluto sprofondare. Più faceva così, più quel tizio avrebbe insistito.

«Ed è davvero sicura di non avere idea di come ciò si sia potuto verificare? Non ha visto niente, saputo nulla quel mattino prima di uscire? I suoi genitori non avevano ricevuto alcun tipo di minaccia, avvertimento o qualcosa di simile?»

Lei deglutì. «N-niente...»

Gli occhi scuri dell'uomo si assottigliarono e guizzarono di una gioia maligna, che fecero comprendere a Petar che aveva capito che Dànceto nascondeva qualcosa. Nemmeno lui sapeva di cosa potesse trattarsi, tuttavia da come lei si ostinava a non rivelarlo, Petar era sicuro che ci fosse un'ottima ragione.

Chinato con melliflua eleganza il corpo snello e alto in avanti, per avvicinarsi alla Yordanka pietrificata davanti a sé, Maksim riprese: «Sicura gospojitse? Lo sa cosa significa mentire a un Ophliro, per giunta se della mia importanza? È consapevole delle conseguenze delle sue azioni?»

Quelle parole sembrarono scuotere qualcosa in Yordanka, perché drizzò la schiena e alzò il mento per fronteggiare l'uomo. «Certo, lo so, gospodin⁴ Razumov, infatti le ho detto la verità!»

Per rendersi più convincente, piegò anche le labbra in una sorta di sorriso visibilmente falso e nervoso, che non fece che peggiorare la situazione.

«Mi dica, le sembro forse uno stupido?» ribatté lui, e Yordanka, confusa dalla domanda, si limitò a rimanere in silenzio. Questo sembrò irritarlo ancora di più perché, senza più impegnarsi a nascondere la rabbia, o forse solo per spaventarla, Maksim eruppe, ripetendo la domanda a voce molto più alta, alzandosi dalla sedia: «SEMBRO FORSE UNO STUPIDO?»

A quell'esplosione improvvisa, il tempo per Petar sembrò rallentare, dato che fu l'unico dei presenti a non reagire in alcun modo a quello slancio improvviso d'ira. Dànceto sobbalzò, Liuben emise un grido spaventato e già colmo dei suoi soliti lacrimoni, e Leta s'infuriò al punto che Petar temette che avrebbe reagito in qualche modo inappropriato, tipo saltando al collo dell'Ophliro o insultandolo pesantemente per come li stava trattando, ma Clara per fortuna intervenne prima che la situazione potesse precipitare, forse proprio notando la reazione della sorella più piccola.

La ragazza parlò in Ephiano,per cui Petar non capì una sola parola, pur intuendone comunque il significato. Dal modo in cui fece un cenno a loro quattro, e dall'espressione riconoscente di Yordanka, infatti, dedusse gli avesse detto che non aveva senso prendersela con loro, dato che erano ancora evidentemente scossi dall'accaduto. I due fecero un breve scambio, sempre in Ephiano, poi lui decise infine di dirigersi verso l'uscita della tenda. Petar non aveva ancora fatto in tempo a tirare un sospiro di sollievo, che Maksim si girò verso di loro e, prima di andarsene, aggiunse, questa volta in bulgaro per essere compreso anche dai più piccoli: «Sappiate che non è finita qua. La verità salterà fuori prima o poi, piccoli Grigorov».

Ceren plektŭr=Plettro nero

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