17.Skŭsana vrŭska
Russia, gennaio 1996
«Mio.»
Con tono annoiato, Aleksander raccolse nel suo mazzo le carte di Konstantin e Hristo poste sul tavolino, dato che la sua era la più grande. Alla mano successiva toccò a Konstantin, e quella dopo a Hristo. I loro tre mazzi vantavano le medesime dimensioni, carta più e carta meno, e la partita si stava svolgendo nel modo più equilibrato possibile, tanto che, di quel passo, poteva anche finire per prolungarsi per ore.
Giocare a Voina¹ senza Dance e i bambini era tremendamente noioso. Di solito lei si beccava tutte le carte più basse e lui la prendeva in giro a ogni mano, così metteva il muso e poi litigavano finendo per strapparsi le carte a vicenda, entrambi molto competitivi in ogni tipo di gioco. Certe volte arrivavano addirittura al punto di lanciarsele addosso mettendo in atto una vera guerra di carte, con tanto di palizzate dietro al divano o a delle sedie. A occhi esterni sarebbe potuto sembrare un comportamento infantile, ma né a Gogo, né a Ran né a Kiril era mai dispiaciuto, anzi, partecipavano anche loro alleandosi chi con l'uno e chi con l'altro.
Però né Yordanka né nessuno dei suoi splendidi bambini erano lì a giocare con loro.
Aleksander continuava a non vedere altro che il suo viso. Gli sorrideva dal vetro appannato del get Ophliro in cui lui, Hristo e Konstantin soggiornavano al momento, soffiava aria calda sul suo collo dal condizionatore posto sul soffitto, e gli solleticava le narici con il profumo di un dolcetto indiano offertogli da Denali.
Perché ne sentiva così tanto la mancanza? Non si trattava di una separazione definitiva, una volta salvata Violeta, infatti, si sarebbero riuniti e tutto sarebbe tornato come prima. Questo era ciò che la parte logica e razionale di sé cercava di ricordare in ogni momento, unico pensiero fisso che gli permetteva di rimanere focalizzato sulla missione in corso impedendo allo sconforto di spingerlo a terra. Eppure... perché, nel momento in cui si era voltato per uscire dall'Ephia, aveva avuto l'impressione che fosse l'ultima volta che vedeva la donna che amava? Era stato una sorta di strano presentimento, forse solo causato dal fatto che l'Ephia era diventata una sorta di roccaforte e prigione al tempo stesso, uscirne e farne addirittura ritorno non era affatto facile, anzi, era quasi impossibile.
E lui non era riuscito nemmeno a salutare i suoi figli. A dir la verità Kiril erano anche due settimane che non lo vedeva, e sul momento, forse non aspettandosi che se ne andasse, anche Gogo e Ran erano rientrati seguendo gli zii, mentre Ilia lo aveva scorto di sfuggita in braccio a Konstantin. Era successo tutto così in fretta che, anche continuando a ripercorrere in testa gli avvenimenti che lo avevano portato a giocare a carte con Konstantin e Hristo in un jet colmo di Ophliri, diretto a nientemeno che Gamsutl, stentava a trovarvi un senso logico. Non l'avrebbe mai ammesso ad alta voce ma, forse perché c'era troppo da perdere, aveva una terribile paura di non riuscire a...
«Tocca a te» ruppe il flusso soffocante dei suoi pensieri Konstantin, indicando le tre carte sul tavolo di gioco. Eh già, la sua era la più grande, notò, pervaso da un moto di stupore. Ne dedusse che aveva preso ad agire meccanicamente, ponendo una carta sul tavolo a ogni turno, mentre la sua mente veniva ghermita da pensieri autodistruttivi e nocivi.
«A quanto pare sì!» rispose dunque, afferrando la carta con non poca parvenza di un orgoglio superbo e gongolante. «Il tuo dominio sta per giungere al termine, oh Konstantin, Signore delle Carte... Volanti.»
Nel momento in cui fece germogliare un lieve sorriso sul volto del più loquace dei due tutori, Aleksander si sentì soddisfatto. Il suo sottile entusiasmo venne tuttavia soffiato via dall'arrivo imperioso di Denali, la quale sopraggiunse con una ventata di pesante fetore da Ophlira – non che odorasse in alcun modo, sennonché gli Ophliri gli avevano sempre trasmesso una sorta di cattivo odore, per l'appunto.
«Cosa state facendo?» esclamò.
Lui, mezzo sprofondato nel divanetto, si voltò a squadrarla con sguardo eloquente: «Non è evidente?»
«Non c'è tempo da perdere» ribatté Denali, con quel tono altezzosamente sgradevole che ad Aleksander non aveva mai convinto. Certo, li stava aiutando, ma era pur sempre per conto di qualcun altro non così tanto amichevole. Restava pur sempre un'Ophlira, ordine che lui oramai aveva cominciato a detestare – anche da prima di entrare a far parte della famiglia dei Grigorov.
«E non avete nemmeno mangiato i vostri barfi!» esclamò, questa volta indignata e forse leggermente più umana, afferrando uno dei cubetti di latte condensato, cocco e semi di cardamomo.
«Comunque,» riprese dopo aver deglutito, «ho recuperato una mappa di Gamsutl.»
Lui scrollò le spalle, sprezzante. «Non ci serve, grazie.» Aveva impresso nella mente ogni angolo di quell'inferno, non gli serviva a nulla una mappa.
«Piuttosto... sai cosa non sarebbe male? Levare le barriere intorno a questo jet che mi impediscono di comunicare con Clara Cervini, nostra vera alleata.» Era quello il piano iniziale ideato da Yordanka, e i Long non potevano permettersi di mettersi in mezzo. Di lei si fidavano, restare insieme a loro, invece, non sembrava tanto diverso che essere sottoposti agli Ophliri di Maksim.
«Questo non è possibile» rispose, categorica, l'Ophlira. «L'intervento della Cervini ci rallenterebbe, Mu Chen desidera un'azione pulita e semplice, senza intromissioni esterne.»
«Ma chi ci assicura che, una volta liberata Violeta, tornerete a tirare fuori dall'Ephia anche gli altri?»
«Vi ho dato la mia parola, questo non è sufficiente?»
«Cosa vuoi che conti la parola dell'Ophlira al servizio di un uomo infimo come Long Mu Chen?»
Quell'accusa sembrò urtarla particolarmente, tanto che Aleksander scorse un guizzo di rabbia tagliente nei suoi occhi. «Si possono dire tante cose di Long Mu Chen» affermò, un dito alzato con fare ammonitorio, «ma non che non sia un uomo di parola.»
Sasho si lasciò sfuggire un ghigno divertito e alzò le mani in segno di resa «Scusami tanto. Allora dimmi, cosa vuole il tuo uomo di parola da noi? Che ci ricava offrendoci il suo aiuto?»
A quel punto, forse finalmente più collaborativa, prese un pouf e si accomodò al loro tavolo, in modo composto, squadrando pensierosa le loro carte sul mazzo. «Dicevo sul serio quando affermavo che mi sono sentita davvero in colpa dopo aver permesso a Viktor Popov e Liuben Grigorov di uscire dall'Ephia, anni fa. Mi disgusta l'idea di aver preso parte a quell'atto tremendo, e questo è il mio modo di rimediare. Perciò vi prego, permettetemi di farlo.»
Aleksander sospirò. Le sue parole sembravano sincere, anche se non era mai detto con gli Ophliri. Decise, tuttavia, di concederle il beneficio del dubbio. «Saremo più collaborativi solamente se ci dirai perché lui vuole aiutarci.»
Denali sospirò. «Immagino siate tutti a conoscenza delle circostanze in cui è stata catturata Violeta. Con una prova così schiacciante della vostra colpevolezza-»
«Aspetta, che cosa?» la interruppe Konstantin, evidentemente tanto sconvolto da arrivare al punto di interrompere un'Ophlira.
«In realtà no, non sappiamo le circostanze della sua cattura. Sappiamo solo che è stata presa...» ci tenne subito a specificare Sasho, facendosi più attento, una mano portata al mento con fare pensieroso e la postura meno distesa.
«Davvero?» Lei spostò lo sguardo sconvolta dall'uno all'altro, mentre Hristo la scrutava impassibile e forse un po' severo. «Dunque, Violeta è stata catturata a Puebla, in Messico, nel luogo esatto in cui si è verificato il primo Vortice. E non è tutto. Quando l'hanno trovata, pare che stesse distruggendo delle prove.»
Ad Aleksander per poco non andò di traverso il barfo che non aveva nemmeno mangiato. Ma che diamine le era passato per la testa a quella ragazza? La situazione era peggio di quel che aveva inizialmente pensato. Questo, almeno, spiegava perché il Consiglio avesse permesso che Violeta venisse rinchiusa in una prigione della massima sicurezza come Gamsutl quasi si trattasse di una criminale indomita ed efferata. Fu sufficiente un rapido scambio di sguardi con Konstantin per capire che pensavano la stessa cosa: erano rovinati, anzi, definitivamente spacciati.
«Ora,» riprese Denali, «Mu Chen non ha mai creduto più di tanto alla vostra colpevolezza, fino a questo momento. Sappiamo tutti che Violeta Grigorova non aveva assolutamente intenzione di condannarvi, e che si sarà diretta alla Piramide di Cholula con il solo intento, forse un filino avventato e disperato, di trovare un modo per scagionarvi tutti. Ciononostante, una volta giunta lì, deve aver scoperto qualcosa di talmente sconvolgente da portarla a distruggerlo con le sue stesse mani. Che siano oppure no le prove del vostro coinvolgimento con i Vortici a Mu Chen non importa, perché, anche fosse, non è una colpa diretta; la vostra stessa famiglia, in origine, ne fu travolta, perciò, è sciocco pensare che l'abbiate causato voi sopravvissuti.»
«Ma quanto è buono e saggio il nostro Mu Chen!» roteò gli occhi Aleksander.
«Il suo obiettivo, pertanto», proseguì lei, ignorandolo, «sarebbe quello di collaborare con voi e Violeta, una volta che sarà stata liberata, in modo da trovare una soluzione insieme, con più sincera disponibilità da parte sia sua che vostra. Non desidera altro che fare luce su questa faccenda rimasta troppo a lungo oscurata sotto l'ombra proiettata su di voi dalla stoltezza dei Mindsmith.»
Bene, finalmente stavano parlando chiaro, sapeva che Mu Chen era noto per essere anche alquanto diplomatico, poteva anche essere vero che avesse intenzione di collaborare con loro invece che interrogarli al posto dei Razumov. Ma Sasho non si sentiva ancora del tutto soddisfatto. «E cosa ne ricaverebbero i Long da queste informazioni? Vogliamo tutti che i Vortici smettano di mietere vittime innocenti, ma voi sembrate improvvisamente molto coinvolti. Perché?»
«Non credo che questo vi riguardi» chiuse il discorso Denali, alzandosi in piedi, nuovamente rigida. «Vi consiglio di elaborare un piano al più presto, se vogliamo uscirne vivi. Informatemi quando avrete fatto.»
Dopodiché, altera, se ne tornò nella sala comandi, lasciando Aleksander, Konstantin e Hristo soli con le carte, la mappa, e un piatto vuoto.
«Conosci davvero bene Gamsutl» commentò Konstantin, quando ebbero concluso di parlare di quali passaggi segreti intendeva sfruttare per entrare e quali per uscire.
A quelle parole, un sorriso amaro piegò un angolo delle sue labbra. Eccome, se lo conosceva bene.
«Ve ne ha parlato vostra zia di tutti questi passaggi?» chiese ancora Konstantin, senza tenere a freno la curiosità. In quel momento non poté fare a meno di chiedersi chi fossero, sia lui che Hristo, prima di "diventare" Ephuri e cosa li avesse portati a essere così fedeli ai Grigorov. In ogni caso, da quando si era trasferito all'Ephia di Sofia tra loro si era instaurato un vero legame di amicizia, anzi, familiare. Pertanto sì, se la sentiva di raccontargli tutta la verità. Loro avrebbero capito, ne era certo.
«No, per nostra zia io e Sisi quasi non esistevamo» rise in risposta, scacciando la sola idea con un gesto della mano «anzi, esistevamo solo come fastidiosi impicci che non facevano che metterla nei guai e in cattiva luce agli occhi del suo superiore! Io in particolare, ma Sisi, pur restandosene la maggior parte del tempo a leggere, si prendeva la colpa insieme a me.»
Dando un'occhiata nel suo Jutnos, davanti agli occhi di Sasho scorsero i suoi ricordi, contenuti all'interno di conchiglie accatastate le une sulle altre, disordinate, sugli scaffali della sua mente. «Al tempo ero un vero ribelle,» continuò, «anche perché Gamsutl faceva a dir poco schifo. Si tratta di un villaggio Letargiante molto antico, costruito sul cocuzzolo di una montagna in Daghestan, e praticamente abbandonato, in rovina. Una città fantasma. La prigione Ophlira ne comprende solo una parte, mentre il resto è lasciato ai suoi pochissimi abitanti, che possono essere contati sulla punta delle dita, e agli eventuali turisti. Un vero mortorio per dei bambini abituati a cavalcare le onde, insomma!»
I suoi interlocutori ascoltarono in silenzio, senza commentare, come loro solito. Prima ancora di arrivare alla conchiglia in cui l'aveva conosciuto, gli si impigliò la voce in gola. Non era affatto facile rievocare quel periodo della sua vita, ma se l'avesse lasciato sepolto per sempre sotto la sabbia, le onde del mare non l'avrebbero mai raggiunto.
«Stanco di esplorare la zona, mi limitai dunque a girovagare dentro la prigione. Un luogo orribile, ve l'assicuro. A molte zone mi era interdetto l'accesso, ovviamente, e neanche morivo dalla voglia di assistere alle torture che lì si mettevano in atto, così decisi di visitare invece un'altra zona della rocca, anche quella vietata, ma meno severamente. Scoprii che si trattava di una sorta di residenza Razumov, che più di una casa sembrava un campo d'addestramento forzato. È lì che abita Maksim quando non è alla nostra Ephia, e lì risiedono anche la sua attuale moglie e tutti i suoi figli. La prigione, infatti, è sotto la sua completa e totale giurisdizione.»
Konstantin annuì, lo sguardo attento solcato dalle rughe sulla sua fronte. «Sbirciai di nascosto alcune delle lezioni che gli Ophliri impartivano ai suoi figli, dei quali il più grande aveva la mia stessa età. Rimasi orripilato e fuggii via, terrorizzato all'idea che potessero essere tanto duri anche con me, se solo mi avessero beccato a disubbidire.»
I pianti disperati di quei bambini, stremati e terrorizzati per via delle prove troppo dure a cui venivano sottoposti per costringerli a sviluppare al più presto i cebrim, talvolta animavano ancora i suoi incubi. Ne aveva parlato anche con Silviya, e lei, preoccupata, gli aveva detto di non ficcanasare oltre in ciò che non lo riguardava; anche se era terribile, loro non potevano farci niente. Tuttavia, Sasho, dopo non esser riuscito a prendere sonno per diverse angosciose notti, finì per tornarci. Dopotutto erano gli unici bambini, oltre a lui e sua sorella, che avesse scorto nel giro di miglia e miglia. E forse, magari, giocando insieme sarebbe riuscito a fargli tornare almeno per un po' il sorriso, spiegò a Konstantin e Hristo.
«Durante una delle loro pause riuscii ad avvicinare uno di loro: il maggiore, Vladimir, lo stesso che abbiamo conosciuto alla festa della fine della guerra insieme a Maksim.» Rivederlo dopo tutti quegli anni aveva evocato in lui una moltitudine di emozioni contrastanti, e un incontrollabile prurito al polso destro.
"Cosa ci fai qui? Non lo sai che questa zona è interdetta a voi intrusi Ivanov? A mio papà non piacciono i bulgari, vi permette di stare qui solo per restituire un favore a Marinka" le prime parole che gli aveva rivolto erano la parte più nitida del ricordo contenuto in quella conchiglia.
"Allora perché non ha ancora chiamato le guardie, mio signore?" lo aveva scimmiottato lui, per prenderne in giro il tono altezzoso.
"Come ti permetti?!" Ma Vladimir non aveva ugualmente avvertito nessun Ophliro.
«All'inizio si mostrò restio, ma mi era chiarissimo fin da subito che non desiderasse altro che avere un amico con cui parlare, o anche solo distrarsi. Inizialmente andai da lui solo una volta ogni tanto, poi iniziammo a frequentarci tutte le notti. Uscivamo insieme di nascosto e lui mi mostrava tutti i passaggi segreti per accedere ai luoghi a me interdetti, tutto fiero di mostrarmi la sua roccaforte personale! Dopo qualche mese, per me e Sisi fu ora di tornare a casa, ma io e Vladi continuammo a vederci anche a distanza, comunicando in proiezione mentale, sempre di nascosto e, quando dopo altri mesi tornammo da nostra madre, riprendemmo a girovagare insieme alla scoperta di Gamsutl. Ero addirittura felice di tornare in quel luogo da incubo solo per poter vedere il mio amico.»
I visi di Konstantin e Hristo erano sbiancati, alla sola idea che fosse stato in rapporti così confidenziali con Vladimir Razumov. Però era quella la verità, unica e sola, immutabile. Dolorosa.
«Già, proprio così. La questione andò avanti per diversi anni, sempre alla totale insaputa sia dei Grigorov che di Maksim, che lì vidi solo ogni tanto e di sfuggita, dato che per lui io e Sisi non eravamo che formichine insignificanti. Man mano che crescevamo, cominciammo a incontrarci soltanto per parlare e dunque sfogarci l'un con l'altro lamentando le pressioni dei nostri genitori, così da trovare conforto nella vicinanza reciproca.»
Se, da una parte, Aleksander si era sempre sentito pressato dal padre per la responsabilità di ereditare il governo di un'Ephia in cui aveva assistito alla disgregazione della sua famiglia, dall'altra, la situazione di Vladimir era assai peggiore: anche lui maggiore tra i fratelli, era l'unico figlio che Maksim aveva avuto dalla sua prima moglie, l'unica donna che, a detta sua, avesse mai amato, dunque su di lui andavano la maggior parte delle attenzioni del padre, che ne pretendeva sempre il massimo e desiderava crearlo a sua immagine e somiglianza. Le pressioni che subiva sia per conto suo, sia direttamente, che indirettamente quando non era presente, erano estreme e fuori ogni logica. Maksim infatti ordinava sempre che le prove a cui fosse sottoposto il figlio prediletto fossero le peggiori e le più dure, convinto che una maggiore severità fosse il mezzo adeguato per raggiungere i suoi scopi.
"Non sono abbastanza abile, posso fare di più" piangeva quando lo punivano perché non era stato in grado di fare qualcosa al di sopra del suo livello.
"È necessario, papà lo fa perché mi vuole bene. Solo impegnandomi al massimo delle mie potenzialità potrò diventare bravo a sufficienza da essere degno del mio nome, e punirmi è un buon modo per farmelo capire e incentivarmi a migliorare" rispondeva quando Sasho gli chiedeva perché non si ribellasse.
"Vorrei solo renderlo fiero... non desidero altro" ammetteva infine, quando Aleksander tentava di cavargli parole del suo sacco, invece che frasi fatte inculcategli dai suoi istruttori con un lavaggio del cervello attuato fin dalla più tenera età.
«Vladi non aveva conosciuto altro che severità fin da quando era nato, gli era stato insegnato a essere molto autocritico e ad attribuire le colpe dei suoi insuccessi, nelle prove impossibili cui lo sottoponevano, esclusivamente alla propria inettitudine... e, nonostante questo, tutto ciò che desiderava era l'approvazione del padre, viveva per quei pochi momenti in cui lui mostrava la propria fierezza nei suoi confronti, che ingenuamente considerava manifestazioni d'affetto.»
«È una situazione orribile...» non si trattenne dal commentare, questa volta, Konstantin.
«Quindi inseguiva un fantasma» asserì, invece, con sua sorpresa, la voce roca del solitamente silenzioso Hristo. Non parlava spesso – anzi, quasi mai – ma quelle poche volte che lo faceva era sempre per dire cose intelligenti. Anche in quell'occasione, non poteva affermare osservazione più sensata.
«Esatto, Maksim non lo avrebbe mai amato per davvero, semmai quell'uomo ha avuto un cuore, ormai è da anni sepolto sotto strati di roccia impenetrabile. Provai con tutto me stesso a convincere Vladimir, aiutandolo a capire cosa desiderasse veramente, e lui, d'altro canto, aiutò me a ribellarmi al volere di mio padre, che convinsi infine a rivalutare la sua scelta di affidare a me l'Ephia. Eravamo diventati l'uno l'àncora di salvezza dell'altro, una costante imprescindibile e incorruttibile, che neanche tutto il male del mondo avrebbe potuto spezzare,» – quanto si erano sbagliati a pensarlo... – «ed eravamo così vicini che, nel momento in cui lui riuscì a ribellarsi per la prima volta alla sua tutrice, il nostro legame ebbe superato prove sufficienti da dimostrare alle nostre menti che saremmo dovuti rimanere uniti per sempre. In quel momento, diventammo Adelphi.»
Adelphi.
Entrambi i Metephri sgranarono gli occhi, non poco sconvolti, com'era comprensibile.
Aleksander ricordava bene quel momento. Lui, trovandosi a Varna, non era nemmeno presente, però via contatto mentale aveva praticamente assistito alla scena. Appena Vladi si era ribellato, la tutrice aveva provato ad aggredirlo, ma nel momento in cui si era formato il legame di gemellaggio tra i loro Cerebrum, un'onda di potere condiviso si era irradiata in entrambi e la rabbia di uno era diventata quella di due. Non c'era stato verso per nessuno dei presenti di avvicinarglisi a fargli del male.
La sensazione di unità e vicinanza che avevano provato era stata indimenticabile. Ancora in quel momento, solo ripensandoci, ad Aleksander sembrava di poterne accarezzare l'essenza solo allungando un braccio. Peccato che, per tal proposito, un'altra mano avrebbe dovuto tendersi a cercarlo. Ciò non sarebbe mai accaduto, non più.
«A differenza dei soliti legami Adelphi, però, il nostro non durò a lungo» ammise, abbassando il tono della voce per non far percepire il fremito che l'aveva scossa. «Come potete immaginare, Maksim non tardò a sopraggiungere a Gamsutl per risolvere la situazione. Pregai Vladi di fuggire, con i nostri Cerebrum gemellati sarebbe stato anche possibile superare gran parte degli Ophliri di guardia, e il resto l'avrebbero fatto le nostre conoscenze del posto. Ma lui volle affrontarlo, e io, comprendendone più di ogni altro le motivazioni, glielo permisi.»
Aleksander deglutì mentre il ricordo di quando era arrivato Maksim sporgeva dispettoso fuori da una conchiglia e lo raggiungeva, avvinghiandosi su di lui. In quell'occasione Vladi gli aveva permesso di entrare in lui tramite il cebrim dell'Hospes, per cui aveva praticamente assistito a tutto tramite i suoi occhi. Quando si incontrarono erano completamente soli, in una delle stanze semibuie di Gamsutl.
«Tutto ci saremmo aspettati, meno quel che accadde: proprio mentre pensavamo che Maksim lo avrebbe aggredito, lui... scoppiò a piangere.»
Konstantin strabuzzò gli occhi, la voce un rantolo sconvolto: «Maksim?!»
«Esattamente. Pianse a dirotto e disse a suo figlio che lo amava, e che con il suo comportamento aveva spezzato il suo vecchio cuore infranto.»
"Tutti i miei sforzi... le mie fatiche per renderti forte abbastanza da affrontare questo mondo troppo duro... augh, sono solo un povero vecchio che non vorrebbe altro che essere amato da suo figlio... non t-ti merito, non è vero?"
Quelle parole, pronunciate con quella voce così dilaniata, mentre gli occhi del padre lo trafiggevano traboccanti di lacrime che correvano lungo un viso sempre fiero, ora distorto in una smorfia di dolore tale da renderlo irriconoscibile ai suoi occhi, avevano scosso profondamente sia Vladimir che, di conseguenza, Aleksander. In quel momento, persino lui ci aveva creduto.
"No papà, non è vero... io ti voglio bene" aveva risposto Vladi, avvicinandoglisi, anche il figlio la voce rotta, commosso da quella reazione inaspettata.
"Davvero, Vladimir, da-davvero? Allora perché ti fai condizionare da..." aveva indicato il sottile bracciale che gli contornava il polso. Maksim non gli aveva mai parlato, nemmeno quando aveva saputo che fosse stato proprio lui a legarsi al figlio, Aleksander l'aveva dedotto sempre alla festa in cui aveva rivisto Vladi. Per quell'uomo non era mai stato altro che uno sciocco ragazzino insignificante che si era creduto tanto ardito da pensare di potergli rubare suo figlio. "...lui."
Vladi aveva provato a difenderlo, ma Maksim, notando di avere nuovamente potere sul figlio, non aveva esitato a sfruttare la sua posizione per imporre, ancora una volta, la mentalità che lui gli prediligeva.
"Sì, è lui la causa di tutto. È da quando ti sei avvicinato a quel ragazzo che ha iniziato a non piacerti più la tua stessa casa. È stato a causa delle parole che lui ti ha inculcato in testa, che hai iniziato a desiderare di ribellarti" quelle parole erano lame conficcata nel petto, che sfondarono l'anima di Aleksander e fecero sanguinare quella di Vladimir. "Non ha fatto altro che manipolarti, fin dall'inizio. Non siete gemelli di mente. Sei suo schiavo."
Tutto aveva preso a vorticare, quel che avevano passato fin da quando lui gli si era avvicinato la prima volta scorse davanti agli occhi di entrambi, assumendo però una nuova forma, distorta, sfocata, rinnegata. Disegnata ad arte dalle menzogne di Maksim.
"Solo io ti amo per davvero, Vladimir. Io sono tuo padre" lo aveva abbracciato lui, mentre il figlio era scosso da violenti tremori e lo stesso capitava a Sasho, a Varna, "e tu sei un Razumov. Non puoi negare chi sei, perché dentro di te lo sai, che lui non potrà mai renderti qualcosa di diverso. Tu non sei uno schiavo. Sei mio figlio."
Un dolore indicibile aveva dilaniato entrambi, mentre il filo che collegava i loro bracciali da Adelphi – che per Vladimir avevano assunto l'aspetto di catene – si spezzava, e tutto si infrangeva in una miriade di cocci di libertà.
Il loro legame era stato spezzato per sempre.
«Vladimir si commosse al punto che riprese a credere alle parole del padre, e vide me come il nemico, interrompendo così il nostro gemellaggio» si limitò a concludere secco, mentre un gusto amaro tornava ad acidificargli il palato al solo pensiero.
«Non sentii più alcuna notizia sul suo conto fino a qualche anno fa, quando stavo già con Yordanka. Alla fine, è diventato esattamente ciò che Maksim ha sempre voluto, che è anche tutto ciò che Vladimir ha mai conosciuto fin da quando è nato. E credo sia felice così, o perlomeno crede di esserlo... e io non posso farci niente.»
Ormai erano passati anni e, anche se la ferita non avrebbe mai potuto rimarginarsi, aveva imparato a farci i conti, aveva accettato quel che era accaduto. Non poteva fare nient'altro.
«Se... se a Gamsutl rivedessi Vladimir... come reagiresti?» chiese Konstantin, forse preoccupato per la buona riuscita della missione.
«Non ti devi preoccupare di questo» distolse il pensiero con un gesto della mano, la voce tornata leggera e spensierata. «Ormai è un uomo fatto, un generale Ophliro proprio come il suo adorato padre. Dubito che passi ancora il suo tempo rinchiuso nella prigione pidocchiosa della sua infanzia! Non incontreremo problemi, salveremo Violeta e poi torneremo a salvare Yordanka e tutti gli altri.»
La sicurezza che faceva trasparir dalla sua voce non era la stessa che strizzava in una morsa gelida il suo cuore per la paura di fallire. Il brutto presentimento avuto quando si era separato da Yordanka ancora bussava fastidioso sulla sua nuca.
Denali entrò proprio in quel momento. Bene, non gli sarebbe dispiaciuto ora assaggiare un paio di quei barfi. La donna, però, non portava dolcetti con sé, sostituiti da un'espressione seria e vigile, rivolta a loro tre: «Siamo arrivati».
Skŭsana vrŭska = Legame spezzato
Ci tengo a precisare che il particolare passato che Aleksander e il figlio di Maksim sono stati Adelphi (con un mega record mondiale per durata più breve in assoluto🤣) in origine non era previsto, ho pensato di aggiungerlo solo organizzando questo prequel, perché... beh si collega perfettamente con una cosa che succede nella terza parte 😏
Poi capirete. In ogni caso, che ne pensate? Ce la faranno a salvare Violeta? AHAHAHAH
Credo che l'imprevedibilità non sia uno dei punti forti di Jivonhir 💀
꧁ꟻAᴎTAꙅilɘᴎA꧂
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