16.Vŭrni se pri men

Sofia, gennaio 1996

Quando giunse la notizia, stavano mangiando.

Gli Ophliri non concedevano loro più nemmeno un tavolo e delle sedie, costringendoli dunque a stare per terra, come dei cani. Il pavimento lercio e freddo dell'atrio di quella che un tempo era stata la loro abitazione, ormai casa di Maksim e dei suoi Ophliri più fidati, non era adatto a essere usato come superficie su cui posare i pasti – avanzi – e ogni posizione era sempre scomoda.

Ilia non sorrideva più da mesi e la mancanza di pannolini e nutrimenti adeguati alla sua età iniziava a farsi sentire. Non che Georgi e Goran se la passassero tanto meglio, ovviamente. Inoltre, erano anche stati separati dagli altri Metephri che avevano vissuto con loro nel dormitorio prima che venisse fatto bruciare. Avevano provato ad allontanare anche i loro due tutori, ma questi si erano rifiutati fermamente. Yordanka li aveva pregati di andarsene, per il loro bene, dal momento che, se intendevano separarli dagli altri di certo non era per trattarli con i guanti e, non essendo dei Grigorov, potevano ancora sperare in una salvezza almeno parziale. Invece sia Konstantin che Hristo erano stati irremovibili. Yordanka non avrebbe mai trovato le parole sufficienti a esprimere tutta la gratitudine e l'affetto nei loro confronti, e per non aver esitato neanche una volta nella fedeltà alla loro famiglia, anche quando tutto il mondo gli andava contro.

E così anche loro, insieme ai Grigorov, al momento stavano ingerendo, tramite cucchiai sgraffignati, una strana brodaglia irriconoscibile, di un colore marroncino versata su ciotole dagli angoli smussati che nemmeno erano state lavate dal precedente pasto, all'interno della quale galleggiavano bizzarri elementi ancora non identificati. L'intruglio aveva lo stesso sapore del vomito e odorava di frutta marcia. Ma era commestibile, questo era l'importante.

«Non lo voglio!» esclamò Goran, come ogni volta, calciando indietro la sua ciotola, che si sarebbe rovesciata a terra se Silviya non l'avesse fermata prima con la telecinesi.

«Sei uguale a tua zia, slŭncize*» rise lei, con evidente riferimento a Violeta, e a quando lei e Sasho erano ritornati nelle loro vite. Tuttavia, quello non era un giorno di cui le piaceva ricordare, e che Sisi lo ritirasse fuori proprio in quel momento le piaceva ancora meno.

Tuttavia, la sua massima preoccupazione, anche più che per la sorella fuggita, era rivolta al terzo figlio, il piccolo Kiril, che ancora era tenuto separato dal resto della famiglia; non gli era permesso nemmeno di vederlo. Lui, già normalmente, faceva molte più storie di Goran per il cibo. Chi si sarebbe occupato ora, di costringerlo a mangiare? Chi l'avrebbe abbracciato per arrestare i suoi tremori e chi si sarebbe riflesso nei suoi attenti occhietti scrutatori?

Era sempre stato prematuro, in ogni aspetto della sua vita, e lo stesso era stato per il suo Cerebrum, sviluppato prima ancora dei fratelli più grandi. Certo, ora poteva difendersi, e sembrava anche parecchio potente, ma a quale costo? Di quel suo misterioso cebrim non aveva ancora il controllo, per cui non aveva nemmeno la possibilità di usufruirne per proteggere la sua persona.

Inoltre, il freddo. Non disponeva ancora, di certo, di nessun cebrim di immunità ai sensi. Nella cella in cui lo stavano custodendo quanto era protetto dalle sferzate del rigido inverno che avvolgeva la cima di Vitosha? Gli avevano fornito gli indumenti adeguati?

L'unica cosa che desiderava era poterlo avere a portata di mano, così da proteggerlo dal resto del mondo troppo crudele in cui erano finiti, insieme agli altri bambini. Potevano farle di tutto, ma non toccare i suoi figli.

«Sicura che questa roba faccia bene al bambino?» Petar si rivolse a Silviya con tono piatto, facendo un cenno cupo verso la sua pancia prominente. «Oggi sembra più grumosa del solito.»

«È sempre più grumosa del solito, Pesho» gli sorrise cinico Aleksander.

«Anzi, dovremmo essere grati che non abbia quelle curiose protuberanze blu dell'altro giorno...» aggiunse poi, un sopracciglio sollevato, frugando all'interno con il cucchiaio per verificare che davvero fosse così. Suo marito si rivolse poi al loro primo figlio. «Ehi, Ran! Battaglia di cucchiai? Chi perde è costretto a mangiare metà della zuppa dell'altro!»

Sul visetto tondo del bambino spuntò un sorriso che andava da un orecchio all'altro, e che scaldò il cuore di Yordanka. In quel momento avrebbe tanto desiderato imprimere su una foto quel breve ed effimero momento di gioia. «Va bene, se proprio insisti, accetterò la tua sfida! Questa volta però, non perdere apposta, sennò non vale.»

«Io perdere apposta? Come osi be? Adesso ti faccio vedere io!»

Mentre padre e figlio prendevano a duellare con i cucchiai maneggiandoli come fossero lame affilate, Yordanka si riempì il cuore di quella bellissima immagine. Aleksander riusciva a trovare il sentiero luminoso delle risa anche nei meandri più bui di quella foresta. Era soprattutto per questo che lo amava; era l'unico a tenere viva una parte di lei che altrimenti si sarebbe estinta ormai da tempo.

D'istinto accarezzò i capelli di Georgi mentre questo terminava diligentemente il suo pasto. Era sempre stato un bambino così ubbidiente e gentile, che spesso ci si dimenticava quanto fosse dura pure per lui. Certo, non era pallido e smorto come il piccolo Ilia, non faceva i capricci come Goran, e di certo non travolgeva gli Ophliri con valanghe di neve, ma si teneva tutto dentro, impegnandosi a comportarsi come era richiesto dalle circostanze. Nel leggero fremito delle manine che nascondeva sotto le ascelle, tuttavia, notava la medesima insicurezza che per anni aveva restituito il suo sguardo ogni volta che si trovava davanti a uno specchio.

"Va tutto bene, ci siamo noi qui" sussurrò alla sua porta, avvolgendolo con il braccio libero e stringendolo a sé per trasmettergli il suo calore. Non solo le somigliava molto, ma un giorno avrebbe anche ereditato l'Ephia, si sarebbe dovuto assumere la responsabilità di tutti i suoi fratelli, esattamente come lei. Chissà se per allora fossero versati in condizioni migliori...

«Quando tornerà qui, mamma? Mi manca» si limitò a rispondere lui. Per primi i suoi pensieri corsero a Kiril. Ma non era a lui che si stava riferendo, notò, percependone le emozioni.

Violeta. Ancora non riusciva a capacitarsi del fatto che li avesse davvero abbandonati, dopo tutti quegli anni. Cosa credeva di fare? E perché, per una dannatissima volta, non si era nemmeno fermata a pensare alle conseguenze delle sue azioni? Queste, insieme a mille altre, le domande che la assillavano fin da quando se n'era andata. Domande che sempre sarebbero restate prive di risposta.

«Tornerà Gogo, tornerà» mentì, deglutendo le lacrime. «Presto sarà di nuovo qui e sarà più insopportabile che mai, come sempre. Ma torn-»

La porta a doppio battente della sala si spalancò di scatto, e dall'uscio emerse Maksim, seguito da un manipolo di Ophliri. I capelli biondi erano tirati ordinatamente indietro e il suo portamento era più regale e imperioso ancora del solito anche con la casacca in spalla, e la redingote blu sembrava scintillare, baciata dal tiepido sole invernale che li sbirciava dalle ampie finestre.

Tutti loro smisero di mangiare e si raccolsero con le schiene adagiate lungo la parete, per tenere più distanza possibile da quell'essere ripugnante. Il Razumov si fermò a pochi passi di distanza e non gli rivolse altro che un ghigno, ma fu il luccichio vittorioso nel suo sguardo a colpire Yordanka, più improvviso di un dardo nello stomaco, e talmente violento da toglierle il fiato.

Era successo qualcosa, ne era certa. Qualcosa di grave.

Qualcosa che colmava Maksim di una gioia maligna. L'Ephuro non si degnò nemmeno di aprire la bocca per parlare, si voltò semplicemente verso l'uscita con movimento fluido, e, a misurati passi lesti, fece per andarsene.

No, non glielo avrebbe permesso. Non prima di sapere. Si alzò di scatto e provò ad avvicinarsi quanto le fu permesso dagli Ophliri. «Aspetta! Dove stai andando? Perché porti con te i tuoi Ophliri migliori?»

Senza riuscire a resistere alla tentazione, lui tradì i suoi piani iniziali solo per voltarsi nuovamente verso di lei. «Vado a trovare la tua cara sorellina nella prigione di Gamsutl. Quella sciocca è caduta nella mia trappola, esattamente come avevo previsto.»

Qualcosa sprofondò nel petto di Yordanka, un masso pesante che schiacciò tutto il resto sotto il suo peso rovinoso. Boccheggiò e indietreggiò, senza riuscire a respirare. Tutto iniziò ad avvolgersi intorno a lei, facendole venire la nausea, mentre la sua mente la tradiva producendo terribili immagini di Violeta, priva di sensi, trasportata di forza in una prigione Ophlira della massima sicurezza, dove le peggiori torture mai inventate dagli Ephuri erano all'ordine del giorno.

La sua piccola, ribelle e insopportabile sorellina. Nonostante la sua intemperanza, nonostante tutti i loro litigi, nonostante tutti i cattivi pensieri a lei rivolti da quando li aveva abbandonati, la sola idea le gelava il sangue nelle vene.

Dal sorriso che si allargò sul volto del suo nemico capì che aveva sortito l'effetto da lui sperato. «Prendetevi cura di loro» si rivolse a uno degli Ophliri, senza però distogliere lo sguardo dal suo. Yordanka avrebbe voluto gridare, piangere, rigettare quella zuppa orribile. Invece rimase pietrificata.

«E tranquilla, piccola Grigorova. Presto porterò vostre notizie a Violeta.»

«Dobbiamo fare qualcosa, non possiamo restarcene con le mani in mano mentre loro... mentre lei...» Yordanka non riusciva nemmeno ad articolare quelle parole così semplici ma che il solo pensiero di pronunciarle a voce sembrava sortire l'effetto di renderle più reali.

Con passo concitato, percorreva l'intera superficie del bagno da una parete all'opposta, e poi da quella alla prima, avanti e indietro, senza rallentare nemmeno un attimo. Le risultava impossibile restare immobile, ferma, seduta o in piedi, senza che l'ansia le corrodesse le viscere; non che così si sentisse tanto meglio, ma almeno era un modo per scaricare la tensione. Quel bagno dalle pareti bianche, munito di piccole finestre da cui spirava una luce altrettanto candida, era l'unico luogo in cui lei, Sasho, Petar e Konstantin erano riusciti a rifugiarsi senza che gli Ophliri si intromettessero nei loro affari. Sotto il controllo di Maksim, non gli avrebbero mai permesso di entrare in più di uno in una stessa stanza priva di supervisione, quindi se almeno qualcosa si era potuto ricavare di positivo da quella situazione era che un minimo di libertà personale gli stava venendo restituita. Effimera e inutile, d'altro canto, dal momento che non potevano osare predisporre delle protezioni sonore o degli scudi per impedire che intercettassero i loro pensieri, altrimenti sarebbero irrotti subito, e qualunque piano avessero tentato di ordire per salvare Violeta sarebbe stato arrestato prima di venire partorito.

Proprio come quando avevano preso Liuben, non c'era nulla che potessero fare. Tuttavia, proprio come in quell'occasione, Yordanka non riusciva a decidersi a restare con le mani in mano.

"Dance, adesso cerca di calmarti" parlò Sasho nella sua mente. Seduto sul mobile di uno dei lavandini, il suo sguardo d'inchiostro, fermo, nero e piatto, la trafisse con una serietà che quietò parzialmente le sue ansie. Lei ubbidì, arrestando finalmente la sua avanzata.

"Prima che gli Ophliri si accorgano che c'è qualcosa che non va abbiamo ancora qualche minuto prezioso" continuò lui.

«Tanto non possiamo fare niente per cambiare la situazione» intervenne Petar, dando voce allo stesso pensiero che insinuava Yordanka. La sua schiena appoggiata contro il muro umido del bagno e le mani rifugiate nelle tasche della felpa, non era cambiato di una virgola da quando, nell'auto diretta alla Gola del Diavolo, contemplava l'inutilità del loro viaggio. «Come sempre.»

In quel momento Yordanka avrebbe voluto lanciargli contro un lavandino. Perché era intento di continuo a trovare solo i lati negativi di tutte le situazioni e a restare cieco innanzi a un qualunque tipo di speranza, anche fievole? «Smettila! Devi smetterla di-»

«Di dire la verità? Solo perché sono l'unico ad ammetterlo questo non lo rende meno reale. Mentre stiamo parlando probabilmente la staranno già torturando. Tempo di arrivare fino a lì, e il Consiglio avrà già deciso di condannarla. A quel punto...»

«No» intervenne Aleksander prima che lui potesse concludere. «Conosco Gamsutl come le mie tasche, so come entrare di nascosto. Se riusciamo ad arrivare lì prima che sia troppo tardi...»

«Come fai a conoscerla?» chiese, incuriosito, Konstantin, che fino a quel momento non aveva ancora aperto bocca. Anche Yordanka sgranò gli occhi, collegando finalmente i puntini di qualcosa che Sasho le aveva rivelato anni fa. «Era lì che andavate?» chiese per conferma, e lui annuì.

«Quando io e Sisi eravamo piccoli» spiegò Sasho al Metephro, «i nostri genitori si separarono, ma ai tempi ci fu imposto di tenere tutto nascosto ai Grigorov, perciò quando venivano a trovarci fingevamo che fosse tutto nella norma. Nostra madre si trasferì proprio a Gamsutl, dove abita sua sorella – un'Ophlira –, e noi quindi trascorremmo lunghi periodi in quella residenza, che divenne quasi una seconda casa. Non una casa molto accogliente, questo è certo. Oltre a essere una prigione, Maksim l'ha anche predisposta come luogo di addestramento dei suoi figli...»

Aleksander era abile a nascondere le sue reali emozioni dietro le parole sciolte volte a far sembrare che per lui andasse sempre tutto bene, ma Yordanka era ben consapevole del dolore che lo aveva legato a quel luogo. Aleksander gliene aveva parlato quando avevano già diversi anni di matrimonio alle spalle, la sera successiva della festa per la fine della Guerra, e venire a conoscenza di quei particolari celati nel suo passato non aveva minimamente intaccato il loro affetto reciproco, anzi, l'aveva solo resa cosciente del fatto che, pur non essendo stati perseguitati dal Consiglio per la morte dei loro cari, anche gli Ivanov non avevano affrontato un'esistenza rose e fiori – o meglio sole e spiaggia.

«Va bene, mettiamo che riusciamo a salvarla...» prese la parola, concitata, Yordanka, solleticata da un'idea improvvisa, un po' azzardata, ma che era sempre meglio di nulla. «Anche riuscissimo a uscire tutti sani e salvi, verremo comunque considerati definitivamente fuorilegge, e saremo punto a capo. Ma c'è ancora una possibilità di salvezza anche in questo caso: Clara.»

Da quando gli Ophliri avevano ristabilito il loro potere all'Ephia in seguito al ritorno dei Vortici, lei e la sua Anghel non avevano più avuto modo di comunicare perché lo scudo impediva ai mens dei loro pensieri di uscire e a quelli loro rivolti di entrare. Tuttavia, le era sembrato di cogliere, tra una chiacchiera e l'altra di alcuni Ophliri, che la sua amica italiana aveva indetto e affrontato diverse riunioni del Consiglio per convincere la società Umanente della loro innocenza e dell'inutilità di tenerli segregati lì come criminali invece che occuparsi realmente di risolvere il problema dei Vortici. Com'era prevedibile, tramite vie diplomatiche non si stava giungendo a nulla, ma Yordanka era comunque rincuorata che Clara le stesse restando vicina anche in quei tempi così difficili.

«E come potrebbe aiutarci? Può essere anche una Cervini e un'eroina di guerra, ma noi, una volta fuori di qui, saremo comunque dei criminali!» esclamò Konstantin.

Yordanka, pur riconoscendo la verosimiglianza delle sue parole, non si perse d'animo. «Questo è vero, ma resta pur sempre una nostra alleata, e non sarebbe la prima volta che disubbidisce a un ordine dei Delphini. Quindi... credo che almeno per un po' potrebbe fornirci un rifugio...»

Konstantin non sembrava ancora convinto. «Quindi proponi di farle correre questo grande rischio? Se la scoprissero diventerebbe anche lei nemica del Consiglio, e in ogni caso non sarebbe una soluzione definitiva perché...»

«Lo so, lo so!» insisté lei, battendo un piede a terra. Quel giorno si sentiva ribelle ed energica quasi quanto Violeta, come la sorella le avesse trasmesso il suo spirito combattivo proprio per salvarla.

Non le piaceva l'idea di chiedere questo a Clara, soprattutto perché era consapevole del fatto che lei avrebbe accettato senza esitazione, rischiando così di perdere tutto ciò che, a fatica e non senza sacrifici, aveva ottenuto nel corso della sua vita. Si sentiva una persona orribile ad approfittare della sua gentilezza e del suo istintivo bisogno costante di aiutare gli altri, e sapeva che i sensi di colpa l'avrebbero perseguitata per sempre.

Tuttavia, una voce dentro di lei continuava a gridarle che non c'era altra scelta. Deglutì, e prese un respiro profondo.

«Ma Clara è la nostra ultima speranza» espose, recuperato un minimo di contegno. «C'è la possibilità che si rifiuti, anche se personalmente dubito, o che non riesca a farcela. Però è tutto ciò che abbiamo. Possiamo affidarci solo su questo.»

Quelle parole risultarono finalmente tanto convincenti che persino Petar sembrò osservarli con un briciolo di determinazione recuperata da chissà dove.

«Va bene» manifestò la sua approvazione Aleksander, scendendo con un balzo agile dal posto in cui era accomodato, come se non aspettasse altro che passare all'azione. «Sappiamo cosa fare una volta fuori di qui. Prima, però, dobbiamo trovare il modo di-»

La porta del bagno si spalancò di scatto e una voce nuova si sovrappose a quella di suo marito: «Di uscire incolumi da questa Ephia.»

Yordanka si voltò di scatto verso la nuova arrivata. Indietreggiò, insieme agli altri complottanti.

Un'Ophlira.

Erano stati degli sciocchi. Ormai doveva aver già sentito tutto. I loro piani sarebbero andati in fumo, le loro speranze dissolte nel vento. Non era giusto, perché, appena la fortuna sembrava tendergli la mano, la maledizione della loro famiglia si faceva di nuovo viva, gettandoli come spazzatura nel baratro infinito in cui erano sprofondate le loro esistenze?

Eppure, quell'Ophlira era sola, e magari non aveva ancora avvertito nessuno. Loro erano in quattro, dunque in maggioranza. Un pensiero avventato e disperato prese silenzioso piede in lei...

«Aspettate!» affermò però l'Ophlira, alzando le mani in avanti in segno di resa e quietando ogni istinto violento in Yordanka. Di conseguenza lei e gli altri mossero un passo indietro, intimoriti.

«Mi avete frainteso,» insisté lei, «io intendo aiutarvi

Cos'era? Un nuovo modo perverso per torturarli con false speranze?

Mosse un incerto passo avanti, le sopracciglia aggrottate e l'espressione diffidente. Non aveva il minimo senso, perché un'Ophlira avrebbe dovuto aiutarli?

«Voi... voi forse non vi ricordate di me» continuò l'Ephura, acquisendo maggiore sicurezza nel notare che stavano prendendo in considerazione l'idea di fidarsi. «Ma non è la prima volta che presto servizio qui. Il mio primo anno fui mandata in questa Ephia a fare la guardia alla porta. Siamo stati io e il mio compagno ad aprire le porte a Viktor e Liuben, pensando che sarebbero semplicemente usciti a fare una passeggiata.»

Un guizzo di consapevolezza si accese in Yordanka collegando quel giorno agli occhi castani scuri che la fissavano in quel momento speranzosi, ma ai quali al tempo non aveva prestato tanta attenzione, troppo preoccupata per Liuben e Viktor. La pelle ambrata e i lisci capelli scuri le suggerivano delle origini orientali, forse indiane, ma si trattava pur sempre di un Ophlira. Non ci si poteva fidare.

«Sì, ora ricordo» affermò Yordanka, lasciando trasparire del disgusto nella voce.

«Quando poi è successo... beh, tutto il resto, mi sono sentita incredibilmente in colpa. Perché, anche se in piccola parte, la responsabilità di quanto accaduto a vostro fratello è anche mia. Non immaginavo neanche minimamente quale fosse il piano del Consiglio, ma ormai è accaduto. Dunque, non mi resta che riparare al mio errore» spostò poi lo sguardo anche sugli altri presenti, «e farvi uscire mi sembra il modo migliore per farlo. Se me lo permettete, ovviamente.»

Il silenzio calò nel bagno umido, interrotto solo da un lieve sgocciolio di cui prima non si era nemmeno accorta. Possibile che fosse tutto vero? O forse stava sognando? Qualcuno che decideva deliberatamente di offrirgli il proprio aiuto... sì, sembrava proprio la pazzia irrazionale che solo in un sogno avrebbe potuto avere luogo. E non qualcuno qualunque, ma un'Ephura appartenente all'ordine che per anni li aveva perseguitati. Certo, non era una degli Ophliri di Maksim, ma restava pur sempre una di loro.

Che fosse una trappola? Un inganno? Non aveva il minimo senso, avrebbero fatto prima a punirli direttamente per i loro complotti. Quindi era vero? La fortuna stava di nuovo volgendo il capo verso di loro? Le loro sofferenze sarebbero finalmente giunte a un termine?

Fu sufficiente un breve scambio di sguardi con Aleksander, sul cui viso era comparso un lieve sorriso munito di fossetta, per ottenere la conferma che anche lui la pensava esattamente come lei.

Sorrise, tornando a volgersi all'Ophlira. «Siamo tutti orecchi.»

«Non sono l'unica a essere dalla vostra parte» spiegò l'Ophlira, che aveva detto di chiamarsi Denali. «In molti, negli ultimi tempi, hanno preso a sospettare e dubitare dei metodi del Consiglio, e non tutti perché vorrebbero metodi più drastici come gli Ephuri che due settimane fa hanno attaccato questa Ephia. Nelle riunioni del Consiglio, i Cervini e gli Abutres parteggiano sempre per voi e, prestando servizio in diverse parti del mondo, ho avuto modo di notare che diversi Ephuri, ormai, ritengono che sia sciocco pensare che voi possiate essere collegati con gli attuali Vortici, molto diversi da quelli che anni fa imperversarono in questa zona. Alcuni imputano la colpa ai Gomis, di Barcellona, perché sembrano sempre ficcare il naso dove non gli compete, altri agli Abutres, essendosi il primo verificato nel loro territorio. Ma, in genere, la situazione è meno peggio di quel che pensate.»

Le sue parole rincuorarono Yordanka e gli altri Grigorov, anche se al momento la loro preoccupazione massima restava Violeta. Certo, sapere di non essere totalmente soli in quella battaglia era certamente d'aiuto, ma non sarebbe stato sufficiente a portarla via di lì. Ancora una volta, dovevano cavarsela da soli. Soli, contro il mondo.

Trasferitisi nel salotto d'ingresso dove li attendeva il resto della famiglia, Denali riuscì in qualche modo a far uscire gli altri Ophliri, dei quali ormai solo pochi erano ancora sotto gli ordini diretti di Maksim e, grazie al cielo, di lei si fidavano, considerandola loro alleata. Lì elaborarono il semplice e basilare piano d'azione: affermando che fosse per un ordine del Consiglio, li avrebbe semplicemente accompagnati fuori come prigionieri, insieme ad alcuni suoi amici che ne condividevano gli ideali. Era un grande rischio, sia per lei che per tutti coloro che avrebbero deciso di aiutarli, anche perché, una volta che Maksim si fosse accorto del loro tradimento, sarebbero stati considerati essi stessi traditori. Possibile che fossero disposti addirittura a sacrificarsi per loro?

«Di questo non vi dovete preoccupare» li rassicurò Denali, con tono sospettosamente sicuro. «Abbiamo chi ci protegge.»

Senza aggiungere ulteriori spiegazioni, Denali e gli altri Ophliri dissidenti si prepararono a mettere in atto il piano. Mentre gli altri iniziavano a riempire le misere borse da portare, Yordanka, però, non si sentiva ancora del tutto sicura.

«E per quanto riguarda Kiril? E Silviya, che è incinta? Per non parlare degli altri bambini, che ancora non hanno sviluppato i cebrim necessari a...»

«Ci occuperemo di tutto noi» le assicurò Denali, poggiando una mano sulla sua spalla, gesto che infastidì non poco Yordanka. Chi si credeva di essere, quell'Ophlira, a trattarla come se non fosse altro che una vecchia signora tutta ansie e preoccupazioni? Lei era una Grigorova, che ci provassero solo a fregarla.

«E chi sarebbe a proteggervi, esattamente?»

«Qualcuno che vi è amico»

«Nessuno è nostro amico. A parte Clara, ma dubito siate con lei.»

Denali svicolò ogni altra domanda dirigendosi verso la porta, ma Yordanka si affrettò a fermarla, afferrandola non tanto gentilmente per un braccio. L'Ophlira si immobilizzò sotto il suo sguardo minaccioso, le palpebre scrutatrici assottigliate e l'espressione impenetrabile come la vetta aguzza di Vitosha.

«Non siamo degli sciocchi, e sappiamo che nessuno dà qualcosa senza aspettarsi nulla in cambio. Chi. Vi. Protegge.»

L'altra fece per rispondere, quando i suoi occhi si spalancarono e il volto le fu deformato da una ruga di preoccupazione. «Dobbiamo andare. E subito

«Che succede?» chiese Aleksander, mentre già il resto della famiglia si affrettava il più velocemente possibile fuori di casa. I bambini trotterellarono fuori in un attimo, Silviya, invece, seppur aiutata da Petar, si mosse con una lentezza esasperante per via del ventre ingombrante che le rendeva complessi anche i movimenti più basilari. Anche Yordanka ci era passata ben quattro volte, e sapeva che non era affatto facile, anche per un'Ephura abile come lei.

«Non osate muovervi di un altro passo!» gridò una voce in risposta alla domanda di Aleksander. A parlare era stato un uomo tarchiato e ricoperto di cicatrici, che, seguito da altri Ephuri in redingote blu, aveva appena gettato nella neve che ricopriva il pavimento in pietra dell'Ephia un altro Ophliro, con la stessa gentilezza riservabile a un sacco di patate.

Un manipolo di Ophliri, che Yordanka riconobbe tra i più fedeli a Maksim, si parava tra loro e l'uscita. Il cancello non era mai sembrato tanto vicino e al tempo lontano come in quel momento.

«Maksim Razumov mi ha esplicitamente ordinato di non liberare assolutamente il bambino Grigorov fino al suo ritorno» sputò, sprezzante, l'Ophliro. «E non mi pare proprio che sia stato ordinato alcun trasferimento dei prigionieri.»

Yordanka spostò preoccupata lo sguardo dal ragazzo agonizzante a terra, a Denali. Si trattava senz'ombra di dubbio di uno dei suoi, quello mandato a liberare Kiril. La situazione si stava rovesciando in un modo che non le piaceva. Che non le piaceva per niente.

«A me invece, pare proprio di sì» lo fronteggiò, senza paura, lei, subito affiancata dai suoi alleati, che si pararono di fronte ai Grigorov facendogli da scudo. «A ordinarlo è stato qualcuno di grado ben superiore al tuo Generale.»

Una nuova consapevolezza, a quelle parole, dilatò, con un pizzico di paura, gli occhi dell'Ophliro. «Allora le dicerie sono vere...»

«Esattamente» confermò lei, estraendo una minuscola spilla dalla tasca, e ponendola con fierezza di fianco a quella Ophlira. Yordanka non ebbe il tempo di sbirciare, che Denali continuò: «Vi è altamente sconsigliato inimicarvi Long Mu Chen. Quindi ora voi ci permetterete di uscire.»

Long Mu Chen. La situazione era peggio di quel che aveva pensato. Quell'uomo era noto nella società Umanente per il suo profondo odio nei confronti della predominanza Mindsmith nel Consiglio, e per la sua inarrestabile sete di potere. Se offriva dell'aiuto, era certamente perché si aspettava qualcos'altro in cambio o perché pensava di ricavarci qualcosa per il proprio tornaconto personale. Ma che diamine potevano volere i Long da loro?

Il riferimento al Pre-Delphino parve sortire una sorta di effetto lasciapassare, perché iniziarono a muoversi cautamente verso l'uscita e nessuno provò a fermarli, la tensione quasi palpabile con mano. Non avevano percorso che pochi passi, senza che la catena d'acciaio che collegava gli occhi dei due comandanti Ophliri avversari venisse spezzata, quando il seguace di Maksim deformò il viso per la rabbia.

«No», affermò. «Long Mu Chen non ha alcun potere qui. Siamo in territorio Razumov, e Maksim agisce per loro conto. I Mindsmith, inoltre, sono nostri alleati.»

Alle sue parole, quasi fossero state udite da ogni angolo dell'Ephia, tutti gli Ophliri rimasti, dunque quelli neutrali – il che significava fedeli al Consiglio, perciò ai Mindsmith – si avvicinarono aggiungendo le proprie impronte silenziose sul manto candido intorno a loro, raggelandoli più del clima rigido nel quale erano immersi.

Il governo era più fragile di quel che si pensava, si trovò a riconoscere Yordanka. Con Clara ne aveva discusso spesso, ma, pur sapendo ormai da anni che alcuni Ophliri erano per qualche motivo più fedeli a Maksim rispetto che a Vania Razumova stessa, non immaginava che un fenomeno simile si fosse verificato anche in Asia, sotto il dominio, però, di nientemeno che una delle sette famiglie del Consiglio. Si trattava, pertanto, di un fenomeno di proporzioni assai più vaste e significative, che consisteva in una vera e propria minaccia al governo Mindsmith. Se la notizia si fosse diffusa, ciò avrebbe potuto addirittura comportare una guerra intestina all'interno della fazione degli Umanenti.

Tuttavia, nonostante la superiorità dei Long rispetto ai Razumov – la famiglia cinese era difatti praticamente al livello dei Mindsmith – lì dentro, pur essendo assente, era sempre Maksim a dominare. Erano in inferiorità numerica.

"Dobbiamo andarcene, non riusciremo a portare fuori anche il bambino, ma torneremo a recuperarlo in un secondo momento" la informò la voce di Denali trasmessa alla sua mente, mentre alcuni Ophliri iniziavano le prime sincronie per dare vita all'ennesimo scontro che avrebbe colorato di rosso la neve dell'Ephia di Sofia.

Il solo pensiero di lasciare Kiril lì dentro, solo e circondato da tutti quegli Ophliri ostili, scavò un solco nel cuore di Yordanka. "Se lui resta, allora resterò anch'io. Un bambino ha bisogno di sua madre."

Denali non fece in tempo a rispondere, che si trovò costretta a deviare un attacco proveniente dall'Ophliro con cui si era confrontata prima. Yordanka si scambiò uno sguardo con Aleksander, sforzandosi per non scoppiare a piangere. Avrebbe voluto con tutta se stessa andare a salvare Violeta, ma il suo cuore era legato indissolubilmente al suo bambino. Lui avrebbe capito, ne era certa, Sasho sapeva leggerle l'anima meglio di chiunque altro. Lui avrebbe salvato Violeta.

Proprio in quel momento, un grido disperato e doloroso squarciò ogni altro suono presente. Tutti si voltarono confusi verso di Silviya, che ne era l'artefice. Va bene che la situazione era critica, ma non era il caso di disperarsi tanto...

Poi notò la sua mano sul ventre.

«Il bambino!» esclamò Petar, spostando anche lui lo sguardo sulla pancia di Sisi, appoggiata dolorante a lui.

No. No. No. "Non adesso nipotino, non adesso..."

«Zia Sisi!» chiamò, preoccupato Goran, mentre tutti le si raccoglievano intorno. Perché doveva nascere proprio adesso?! Yordanka avrebbe voluto imprecare in almeno dieci lingue diverse.

«Andate! Andate! Non rallentate solo per me, per favore» esclamò Silviya, lacrimando per il dolore o forse per la disperazione, mentre intorno a loro imperversavano gli scontri. Alcuni Ophliri alleati gli stavano indicando un varco per l'uscita, il quale però, non avrebbe retto a lungo, per via della loro minoranza numerica.

«Io non ti lascio» disse Petar, irremovibile, fissandola intensamente. Sarebbe stato impossibile fargli cambiare idea in quel momento, Yordanka ne era certa. Sasho e sua sorella si scambiarono un ultimo sguardo, poi lei, accompagnata da Petar, prese a dirigersi verso il riparo della casa, devastata dalle contrazioni. Georgi e Goran li seguirono senza esitare.

E così, era finita. Le loro speranze di fuggire di lì per poter salvare Violeta non si erano rivelate altro che mere illusioni. Come sempre. Perché continuavano a cascarci, ogni maledetta volta?

Non tutti, però. E Yordanka non si sarebbe mai arresa fino a quando anche la più flebile speranza non si fosse estinta. Anche se ciò avrebbe dovuto significare separarsi dalla persona a cui teneva più al mondo.

«Sasho...» esordì, le lacrime ormai sopraggiunte a offuscarle la vista e incrinarle la voce, vedendosi restituito il suo sguardo distrutto. Sua sorella stava partorendo, scontri tra Ophliri imperversavano intorno a loro e suo figlio era rinchiuso lì dentro da qualche parte, senza che potesse raggiungerlo. Yordanka non riusciva nemmeno a immaginare come dovesse sentirsi.

Doveva andare. Era l'unica possibilità che avevano per salvare Violeta. Eppure, Yordanka non riusciva neanche a concepire l'idea di distaccarsi dall'uomo che da anni era diventato la sua àncora di salvezza e il padre dei suoi figli. In un impeto di disperazione gli saltò al collo e lo baciò più intensamente di quanto avesse mai fatto, mentre il mondo pareva crollare tutt'attorno. Le loro labbra si staccarono troppo in fretta, nello stesso momento in cui Denali, ormai allo stremo, gridava che non gli rimaneva molto tempo per fuggire.

«Sopravvivi, e torna da me. Ti prego, torna da me.»

Lui non rispose con una battuta né con un addio, si limitò a continuare a fissarla, comunicandole tutto il suo amore e le sue emozioni solo con gli occhi e il potere della mente. Poi la porta di suo marito si sigillò, e Yordanka percepì come uno strappo dentro di sé, mentre lui prendeva a indietreggiare. Ogni passo doloroso come una lama che gli scavava nel petto.

«Andremo con lui» la avvertì Konstantin, passandole Ilia, che fino a quel momento aveva tenuto in braccio. La sua voce, però, sembrava provenire da un altro mondo.

Non poteva star succedendo davvero. Una parte di Yordanka stentava ancora ad accettarlo, anche se stava letteralmente avvenendo sotto i suoi occhi.

I due tutori corsero dietro ad Aleksander, e subito dopo si infilarono oltre il cancello anche Denali e i suoi alleati, mentre gli altri Ophliri si interponevano tra Yordanka e l'uscita, come un ulteriore barriera tra lei e un pezzo del suo cuore.

Deglutì altre lacrime prima che queste irrigassero ulteriormente il suo viso. Non era il momento di disperarsi, Aleksander, Konstantin e Hristo avrebbero salvato Violeta. Respirare quella speranza era l'unica cosa in grado di conferirle la forza di andare avanti, persino in quel momento, circondata solo da nemici.

Adesso l'importante era permettere a un bellissimo bambino di venire al mondo; Silviya aveva bisogno di lei. Prima di rientrare, si voltò, un'ultima volta, verso il cancello d'ingresso.

E, un'ultima volta, sussurrò al vento gelido: «Torna da me».

Vŭrni se pri men = Torna da me

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