1.Otzelyala

Sofia, marzo 1982

Macerie. Rovine. Morte.

Lo scenario che si prospettava intorno a Yordanka era talmente surreale da non risultare vero, così come tutto ciò che aveva appena passato ai piedi della sua Ephia. Della sua casa.

Quel caos inspiegabile di cui non era stata altro che spettatrice.

Sbatté un paio di volte le palpebre, e si rialzò a fatica. Si sentiva spossata, distrutta, sfinita. Come se invece di percorrere un semplice sentiero di Vitosha avesse scalato il Monte Everest.

Non si sentiva nemmeno più se stessa, dominava l'impressione che qualcun altro avesse preso il sopravvento, perché la Yordanka quindicenne a cui piaceva danzare e guardare le stelle la notte, e che litigava con i suoi fratelli nel resto del tempo, non era in grado di vivere e affrontare tutto ciò.

Di vedere quei corpi. Deformi. Sfregiati al punto da risultare irriconoscibili.

I corpi della sua famiglia. Quella consapevolezza le fece emettere un grido di dolore che suonò straziante persino alle sue stesse orecchie.

No, non poteva essere.

Non potevano essere tutti morti.

Senza neanche pensarci, e ignorando la Yordanka spaventata che desiderava soltanto fuggire al dolore allontanandosi più velocemente possibile da lì, le sue gambe scattarono praticamente da sole, verso le macerie della sua casa, verso i corpi distrutti e accatastati l'uno sull'altro.

Magari qualcuno era vivo. Forse non tutte le ferite erano gravi come sembrava. Dopotutto non c'era la minima traccia di neanche un goccio di sangue, magari erano stati semplicemente... modificati.

Sentì Konstantin chiamarla, ma lo ignorò.

Doveva verificare, vedere con i suoi occhi, da vicino.

Per quanto potesse essere pericoloso, per quanto sapesse che ciò che avrebbe visto le avrebbe cambiato la vita per sempre, rimanendole impresso a fuoco nella memoria, Yordanka sentiva che era necessario.

Quando vide i corpi da vicino, e riconobbe piccoli particolari messi nei posti sbagliati, dettagli familiari distorti nel loro estremo opposto, sentì un groppo esploderle in gola, e i suoi occhi si colmarono di lacrime.

Tra i singhiozzi, prese a frugare tra le macerie, crollata in ginocchio, cercando qualcosa che non sapeva nemmeno lei. Ormai aveva totalmente perso il controllo del suo corpo, continuava semplicemente a guardarsi intorno e a sollevare quelli che una volta erano oggetti, e quel che un tempo erano stati la sua casa, sua madre, suo padre, i suoi fratelli, i cugini, gli amici con cui era cresciuta e anche quelle persone che conosceva appena ma che erano state pur sempre una presenza, una parte di quel posto che non sarebbe mai più tornato come prima.

Anche ora che aveva tra le mani la sua vita caduta in pezzi, una parte di lei non riusciva a realizzare che fosse accaduto veramente. E soprattutto come.

Fatto stava che era accaduto.

«Ole Boje¹...» esclamò Konstantin quando lui e Hristo l'ebbero raggiunta.

Yordanka continuò a frugare, fino a quando non individuò una vecchia cornice malmessa, contenente una foto di famiglia che avevano fatto un anno addietro, rimasta inspiegabilmente intatta. A lei non era mai piaciuta perché il suo collo sembrava avere pieghe di ciccia che la facevano apparire più in carne di quanto non fosse e una dispettosa ciocca di capelli era sfuggita dalle altre dandole un aspetto scarmigliato.

In quel momento, però, non guardò nemmeno la sé stessa riflessa. I suoi occhi si soffermarono sull'ampio sorriso della sua mamma e sul cipiglio serio del padre. Su sua sorella Bilyana e su Denislav, per il quale lei e i suoi fratelli più piccoli erano usciti proprio quel mattino ad acquistare un regalo per il suo compleanno, che si sarebbe svolto di lì a qualche giorno. Era proprio al ritorno dalla gitarella in città che aveva iniziato a percepire quelle strane sensazioni. I suoi fratelli erano rimasti indietro, sotto consiglio di Konstantin, i tre invece erano andati avanti, per verificare se la loro famiglia stesse bene.

E la sua famiglia stava bene, in quella foto. In quella foto in cui il tempo si era fermato, in cui c'era ancora un motivo per sorridere, in cui il ciuffo fuori posto era il peggiore dei suoi problemi.

Ma altro non era che una foto, per l'appunto.

La realtà era altro. Era qualcosa di talmente inconcepibile e doloroso che la Yordanka innocente dentro di lei morì, proprio come tutti i suoi parenti e amici, per lasciare il posto a una nuova sé che non era sicura di conoscere.

Gridò di nuovo, un pianto disperato che si sciolse ben presto in singhiozzi ancora più forti di prima, e le lacrime bagnarono il vetro crepato che ricopriva la foto. Konstantin le si avvicinò e la strinse forte a sé in un abbraccio rassicurante, che però non servì molto al suo intento.

Apprezzò comunque il gesto e ricambiò, rendendosi conto che il suo dolore era anche quello del suo tutore; pure lui aveva perso tutti i suoi amici e compagni Metephri, e lo stesso valeva per Hristo. Non c'era cosa migliore che potessero fare, in quel momento, che condividere insieme il lutto e lo shock che avevano subìto. E dal quale non si poteva tornare indietro.

Il suo mento era appoggiato alla spalla dell'uomo, e gli occhi colmi di lacrime non le permettevano di distinguere più tanto bene il mondo che la circondava, ma ugualmente le parve di percepire un movimento più in là, dietro alle macerie.

Una nuova speranza sorse improvvisa in lei.

Forse davvero qualcuno era ancora vivo. Si staccò delicatamente dal tutore e si alzò con gambe tremanti, dirigendosi poi in quella direzione.

«C'è... c'è qualcuno?» chiese con voce arrochita dal pianto.

Udì un rumore come di uno spostamento improvviso, e distinse la figura minuta di un ragazzino di dodici anni dai capelli scuri arruffati, che riconobbe immediatamente nonostante gli abiti e la pelle insozzati.

«Dimitre²!» chiamò, il cuore colmo di speranza, distinguendo l'unico dei suoi fratelli più piccoli che quel mattino non era uscito con lei, perché impegnato nello studio seminterrato con il padre, come ormai quasi tutti i giorni nell'ultimo periodo, a fare chissà che cosa.

Il ragazzino, sentendosi chiamato, si voltò di scatto, rivelando il viso rigato di lacrime, piegato nella stessa espressione colma di senso di colpa che assumeva ogni volta che combinava qualche dispetto o disastro, ma intrisa di un dolore e una consapevolezza che la spaventò.

E i suoi occhi... non erano più i suoi. Le iridi avevano perso la colorazione grigia simile a quella di Yordanka, la quale era stata sostituita da una moltitudine di tonalità diverse di una vasta gamma di colori gli uni accatastati agli altri, che... si muovevano. Lentamente, ma giravano attorno alla pupilla, e si mescolavano tra loro, in un insieme caotico e incomprensibile.

Proprio come quella specie di vortice che aveva provocato tutta quella devastazione.

Proprio come ciò che li aveva appena ammazzati tutti.

Era stato lui. Era Dimitar ad aver causato tutto ciò.

Non trovò la forza di dire niente, ma sul suo viso doveva essersi dipinta una sorta di consapevolezza, perché Dimitar reagì facendo sgorgare nuove lacrime da quegli occhi così strani e irreali, e scosse la testa alzando le mani in avanti verso di lei, come a intimarle di non avvicinarsi, quando lei mosse un passo in avanti.

Non era colpa sua. Era stato un incidente, un terribile incidente non volontario, questo era ovvio. Desiderava aiutarlo, ma sapeva che Dimitar intendeva dirle che era pericoloso. Non voleva farle del male.

Così, prevalse la codardia. Yordanka restò ferma e guardò il suo fratellino allontanarsi, incespicando, tra le macerie, per andare chissà dove. Forse per mettere più distanza possibile tra sé e qualunque essere vivente a cui avrebbe potuto fare del male. Chi era lei per impedirglielo? Per rischiare che un tale disastro si verificasse nuovamente?

Certo, desiderava parlargli, scoprire come tutto ciò si fosse verificato, e sapeva che, da quel momento, si sarebbe pentita per tutta la vita di non averlo fermato, abbracciato, consolato, aiutato. Per non essersi messa insieme a lui a cercare una soluzione al suo problema.

Pensò di corrergli dietro. Era ancora in tempo, se solo lo avesse desiderato.

Ma la verità era che aveva troppa paura.

Così si lasciò semplicemente cadere nuovamente in ginocchio, e pianse, abbandonandosi a tutto il dolore.

Per niente pronta ad affrontare tutte le conseguenze dell'accaduto.

Otzelyala = sopravvissuta

(I titoli ve li traduco sempre a fine capitolo giusto per lasciare l'alone di mistero, ci state?)

Comunque, incominciamo bene direi 💀

PERÒ dovreste ringraziarmi, in questa storia ho già deciso di rivelare molto più di quello che avrei dovuto, tipo DIMITAR, CHE SAREBBE DOVUTO ESSERE UN MEGA PLOT TWIST NEL 2 DI CEREBRUM. Però, dato che ve l'ho già buttato qui... ipotesi, idee, teorie o complotti su di lui? 👀

ꟻAᴎTAꙅilɘᴎA

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