9 dicembre - EVE (LH)
Londra, 24 Dicembre 2020
Era la vigilia di Natale, e mai come quel giorno sarebbe stato il suo giorno, il giorno di Eve.
Lewis glielo diceva sempre.
Lewis le ricordava che anche in una giornata calda, sotto il sole d'Agosto, lei sarebbe stata sempre la vigilia di Natale.
Forse era la sua spensieratezza, il suo sorriso, i suoi occhi dello stesso colore della cioccolata calda, la sua felicità paragonabile solo a quella dei bambini durante il periodo natalizio.
Forse era semplicemente lei, Eve.
Era Eve a farlo sentire a casa, anche se lui a casa non ci stava mai, anche dall'altra parte del mondo.
Forse era la sua voglia di vivere.
La stessa voglia di vivere che Eve non aveva più, quella che anche lui le aveva tolto.
L'aveva conosciuta cinque anni prima ad una delle tante feste a cui partecipava in quel periodo. Lei era dietro al bancone del bar a preparare cocktails e maledire mentalmente ogni cliente maleducato che le si presentava davanti.
Lewis non aveva bevuto nemmeno un goccio d'alcol, era rimasto sobrio per tutta la sera per poterle parlare senza fare la figura dell'ubriacone molesto.
E non le aveva fatto ugualmente una bella impressione.
Così come aveva fallito la seconda, la terza, la quarta, la quinta e anche la sesta volta che si era presentato nel locale in cui lei lavorava, unicamente per corteggiarla.
La settima volta erano finiti a fare l'amore in macchina, ma solamente perché erano le quattro del mattino del ventiquattro Dicembre e a Natale si è tutti più buoni.
Così lo aveva giustificato Eve, mentre Lewis la guardava sorridendo intanto che lei si agganciava nuovamente il reggiseno, sul sedile del passeggero della sua Ferrari.
La Ferrari che Eve aveva definito scomoda, perché sicuramente la sua Volkswagen sarebbe stata meglio per fare certe cose.
Erano passati esattamente cinque anni da quella notte del 2015, e sì, la Volkswagen era decisamente la macchina più comoda in cui avevano fatto sesso.
Erano passati cinque anni ed erano passati anche loro due.
Era la prima vigilia di Natale che non passavano assieme da quando si erano conosciuti, la prima anche senza Coco.
La prima in cui Lewis e Roscoe erano gli unici ad abitare la casa londinese del pilota.
<<È inutile che gironzoli attorno a quello scatolone, io l'albero non lo faccio quest'anno>> parlò al suo bulldog inglese, che imperterrito continuava a curiosare ed annusare l'imballaggio di cartone al cui interno vi erano tutti gli addobbi natalizi.
<<Che senso ha farlo senza Coco che si mangia i festoni?>>.
Sospirò.
<<E non avrebbe senso nemmeno farlo senza Eve che mi sgrida perché metto le palline brutte in bella vista o per la punta storta>>.
Si mise seduto sul divano, ripensando all'ultimo anno della sua vita.
La frenesia.
I viaggi.
Le gare.
I record di quell'anno.
Il buio.
La rottura con Eve.
Non bastava aver eguagliato i sette mondiali di Schumacher, aver raggiunto le novantacinque vittorie in carriera ed essersi ricoperto di gloria, Lewis non aveva più Eve nella sua vita.
L'aveva delusa, non era stato alla sua altezza, l'aveva calpestata, l'aveva disintegrata, fatta a pezzettini e poi in polvere.
Polvere che lui adesso respirava fino a non sentire più aria.
Stronzo, si sentiva stronzo, nel peggiore dei modi.
Si sentiva stronzo perché Eve aveva bisogno di lui, e lui l'aveva tradita più e più volte.
La tradiva mentre lei era chiusa tra le mura di un ospedale, attaccata ai tubicini del macchinario che le somministrava la chemioterapia.
La tradiva mentre lei piangeva in silenzio ritrovandosi le ciocche dei suoi capelli lunghi e castani tra le dita.
La tradiva quando era stata costretta a radersi a zero.
La tradiva quando cercava di trovare fantasie e colori che la valorizzassero per quei foulard che si sistemava in modo ingegnoso sul capo.
La tradiva quando si sforzava di sorridere, quando i dolori erano più forti di tutto il resto e desiderava solamente smettere di vivere.
La tradiva anche mentre le dicevano che non ci sarebbe stato più niente da fare.
Leucemia.
Bastarda, spietata.
Come lo era stato lui.
Si faceva schifo e continuava ad incolparsi.
Non riusciva a levarsi dalla testa le urla di Eve, le sue lacrime, la delusione nei suoi occhi quando aveva scoperto tutto.
Paparazzi di merda, ma mai pezzi di merda quanto lui.
"Dicevi sempre che per te sarei stata ogni giorno la vigilia di Natale, tu invece da oggi sarai per sempre il mio due Novembre" gli aveva urlato a gran voce.
"Coglione" aveva poi aggiunto.
E lo aveva sbattuto fuori di casa.
Lewis aveva cercato di scusarsi, di darle delle inutili e insensate spiegazioni, ma Eve lo aveva sempre ignorato.
Le faceva trovare dei grandi mazzi di rose rosse davanti al cancello di casa, ma dopo qualche ora le ritrovava nel bidone della spazzatura sulla strada.
Le mandava il buongiorno e la buonanotte, senza però ricevere mai risposta.
L'aveva citata più volte nelle interviste post gara, dedicandole ogni sua vittoria davanti al mondo intero, ma non ottenendo mai niente se non indifferenza.
L'otto Dicembre, il giorno in cui ogni anno Eve iniziava a saltellare per casa dalla felicità di poter finalmente addobbare ogni angolo del loro appartamento, Lewis aveva ricevuto una delle chiamate peggiori della sua intera vita.
Era il fratello di Eve.
Non aveva capito molto di quella chiamata ma alcune parole le ricordava e le sentiva ancora come lame dolorose conficcate nella carne.
Emorragia.
Coma.
Intervento d'urgenza.
Settantadue ore di osservazione.
Non aveva nemmeno avuto il coraggio di presentarsi lì.
Troppo spaventato.
Troppo vigliacco.
Quella vigilia di Natale, senza albero, senza luci, senza l'amore in quella casa, Lewis si sentiva soffocare.
Smise di pensare e si ritrovò con le mani sul volante, guidando tra le strade londinesi innevate e quasi deserte.
Nessuno era in giro a quell'ora, in quel giorno dell'anno.
Tutti erano con le persone che più amavano, tutti, anche Lewis.
Nessun infermiere aveva fatto storie vedendolo arrivare, nonostante l'orario di visite fosse finito ormai da un pezzo, forse tutti lo stavano aspettando, in fondo.
Eve lo stava aspettando.
Ogni giorno per lei era uguale ad un altro da quando era stesa su quel letto senza potersi muovere, quella non era stata la vigilia di Natale fino a quando la figura di Lewis non aveva varcato la soglia della porta.
Lo guardò sedersi sulla sedia al fianco del letto, accarezzandole poi dolcemente la mano destra.
Continuava a mordersi il labbro inferiore.
Era in difficoltà, probabilmente sull'orlo del pianto.
<<Scusa>>.
Eve chiuse gli occhi, qualche lacrime le rimase impigliata tra le ciglia, altre scesero incontrollate sulle sue guance.
Avrebbe voluto urlare tutta la sua rabbia e il suo dolore, ma non ne aveva le forze e neanche più la capacità di farlo.
Eve da quell'otto Dicembre non parlava né si muoveva più.
Comunicava con gli occhi, gli stessi occhi offuscati da un velo di lacrime che guardavano Lewis.
Le aveva passato i pollici sul viso per asciugarle i segni di quel pianto silenzioso, alla fine era scoppiato anche lui, non trattenendosi più e cercando quanto più potesse di camuffare la cosa.
<<Sono un coglione, ti faccio piangere sempre>> disse, tirando su con il naso.
Lei sbatté due volte le palpebre, come per condividere ciò che stesse dicendo lui.
Gli stava dando ragione, gli stava dando del coglione.
Eve era anche questa e Lewis l'amava soprattutto per questo.
<<Eve, non fare la birichina, a Natale bisogna essere più buoni, me lo hai detto tu quella sera>>.
Scoccò la mezzanotte, arrivò il 25 Dicembre e Lewis le lasciò un bacio sulla fronte prima di andare via, promettendo di tornare presto a trovarla.
Si chiuse la porta alle spalle ed Eve dopo poco chiuse gli occhi, addormentandosi per sempre in un sonno senza più alcuna sofferenza e dolore.
Il candore della neve venne spazzato via dalla pioggia e Lewis volse gli occhi verso l'alto, portando dentro sé un pezzo del cielo dell'ultima notte dell'ultimo giorno di Eve.
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