capitolo 13
5 Maggio 1944, Lodi.
10 giorni. 10 giorni di pura agonia. Ci sono stati altri morti, ora sono più frequenti. La mia famiglia si è chiusa nel terrore, come tutti gli altri cittadini. Alle prime ore dell'alba bussano alla porta, così violentemente che sembra staccarsi dai cardini. «Fuori!» ordina un soldato, gettando quasi mio padre a terra. Ci fanno uscire di casa, mia madre stringe mia sorella fra le braccia. Ci portano insieme ad altri pochi cittadini, alcuni piangono disperatamente, altri hanno un'espressione confusa in volto. «Cosa sta succedendo?» chiedo ad una donna anziana li presente. «Un tedesco è stato ucciso, mentre un altro ferito gravemente» mi risponde, guardandomi con compassione. Continuo a non capire. «Noi cosa centriamo?» chiedo, sperando di ottenere una risposta chiara. «Tesoro...» dice lei poggiandomi una mano sul viso. Guardo confusa mia madre, la quale è sul punto di scoppiare a piangere. «Me lo dica!» alzo leggermente la voce. La donna non ha il tempo di replicare, un altro soldato richiama subito la nostra attenzione non appena arriviamo davanti al municipio. «Mettetevi in fila!» urla, spintonando i più anziani. Ci predisponiamo di fronte ai soldati, i quali imbracciano i fucili. Comincio a capire, forse troppo tardi. La mia giovane vita stava per finire, insieme a quella della mia famiglia. Mia sorella piangeva, continuando a cercare disperatamente lo sguardo di mia madre. Passano minuti interminabili, probabilmente per prolungare l'agonia. «Ana, hai detto che nessuno ci avrebbe mai fatto del male!» esclama. Le prendo e stringo la piccola manina, cercando di dosare le lacrime che scendono sulle mie guance. «Non ci succederà nulla, Ale, ti ricordi quello che ti ho detto?» si asciuga una lacrima. «Che eri la mia supereroina?» domanda calmandosi leggermente. «Esatto, ora affronteremo un viaggio insieme» lei sembra rallegrarsi, ingenuamente. «Dove andiamo?» chiede ancora. Mia madre ci guarda, non smettendo di piangere. «In un posto migliore, tesoro.» rispondo, ricominciando a piangere. Mia sorella aveva iniziato a preoccuparsi, stringeva più forte la mia mano, non avrei dovuto dirlo, ma cosa importa ormai? Mi volto, le prendo il viso fra le mani e le bacio la fronte. Sento le sue guance umide, mi affretto ad asciugargliele. Quando il soldato si gira, si posiziona ad un capo della fila, capisco che la mia fine sarebbe arrivata da lì a pochi secondi. Tengo per mano mia madre e mia sorella. Lancio uno sguardo a mio padre, il quale cerca disperatamente di raggiungere me e mia sorella con le mani, ma un altro soldato ci divide.Sentiamo i primi spari, e i primi urli. Quando tocca a mio padre, scoppiamo tutte a piangere nel vedere il suo corpo cadere a terra, senza vita. Il soldato si avvicina, ormai manca poco. Guardo mia madre negli occhi, l'ultima volta che li vedrò. «Ti voglio bene mamma» le riesco a dire, prima che il soldato le spari, e la sua mano cadda insieme al suo corpo nella polvere. Vedo in lontananza Albrecht correre dolorante verso la fila, urlando qualcosa che non riesco a decifrare. Lui, è lui che ha fatto sì che tutto questo accadesse. Un altro colpo. Quando non sento più la piccola mano di mia sorella stringere la mia, cado nella disperazione. Tutto, ho perso tutto. Guardo negli occhi la persona che mi ha reso felice, che ha reso tutto questo meno pesante, ma anche colui che lo ha fatto finire. Gli rivolgo un lieve sorriso, prima di cadere anch'io fra la polvere. Rimango per pochi minuti cosciente, riuscendo a sentire qualcosa sollevarmi da terra. «No no no» sento Albrecht schiacciarmi nervosamente lo stomaco, cercando di fermare l'emorragia. «Va tutto bene» dico, con un filo di voce. Apro faticosamente gli occhi, scorgendo il suo viso carico di dolore e disperazione. «Forse questa vita non era destinata a me, ma mi hai resa felice, Albrecht, anche se per poco. Ti perdono, ti perdono perché ti amo, avrei dovuto dirtelo molto tempo fa, lasciami andare.» dico, con uno sforzo immane a causa del dolore lancinante che sento. Poco a poco vengono a mancarmi le forze, gli occhi mi si chiudono, non vedo più nulla. Un giorno ci rincontreremo, e forse potremo vivere la vita che abbiamo sempre sognato, questo posto non ci apparteneva, meritiamo tutti una vita migliore. Si sa che la guerra non porta a nulla di buono, e ora me ne andrò come altre milioni di persone che hanno perso la vita per ragioni inutili. Non ho mai creduto nel fato, mi rifiuto di pensare che sia così crudele. Non potrai più vedermi, non potrai più sentire la mia voce, perciò ti chiedo soltanto una cosa; ricordati di me, perché io non ho mai avuto nessuno se non te.
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