9.
Un forte battere di pugni alla porta lo svegliò di soprassalto. Christopher, intontito dal poco sonno e da un gran mal di testa, si levò in piedi e si diresse all'ingresso.
Ancora un forte trambusto contro la porta.
«Ma che diavolo... » Quando l'aprì, si ritrovò davanti una Silvia sconvolta, col viso segnato dalle lacrime.
«Il locale... Jenna... » Cercò di riprendere fiato, mentre balbettava frasi sconnesse.
Christopher l'afferrò per le spalle e la scosse. «Silvia!»
Lei incrociò i suoi occhi e, dopo aver fatto un grosso respiro, riuscì a mettere insieme una frase: «Il Flick è distrutto. Jenna e Becky sono sparite.» Sentì le forze scivolare dal proprio corpo e le gambe divennero pesanti, poco prima di svenire fra le braccia di Christopher.
• • •
Con difficoltà e infastidita dalla luce del sole, Silvia riaprì gli occhi. Aveva addosso una giacca leggera, più grande di qualche taglia, e se ne stava rannicchiata sul sedile della Mustang di Christopher.
Si sollevò di botto e guardò fuori per capire dove fosse, ma non riconobbe nulla di quel posto. Sentì solo una voce che proveniva da dietro e si voltò a guardare.
Christopher era al cellulare, un grosso cellulare strano come Silvia non ne aveva mai visto prima. Lasciò scivolare la giacca sul sedile e uscì dall'auto per raggiungerlo.
Mentre lui continuava a sbraitare, rimase a fissarlo senza riuscire a capire di cosa parlasse. Blaterava di tizi pericolosi, rapimento, distruzione. Tutti termini di cui Silvia conosceva il significato, ma ai quali non trovava una spiegazione.
Christopher incrociò il suo sguardo perplesso e ingoiò le ultime parole del discorso che stava facendo. «Ci vediamo al solito posto», terminò infine, e riattaccò. Afferrò Silvia per il polso e la trascinò con sé. La fece sedere sul cofano dell'auto e cercò di catturare tutta la sua attenzione. «Ascoltami bene», iniziò, «ora non ho tempo per spiegarti tutto, ma sappi che non sei al sicuro nel Connecticut. Ti accompagnerò in un posto e aspetterai lì fino a quando non troverò Becky e Jenna.»
Silvia seguiva le sue labbra e sì, l'aveva sentito parlare, ma faticava a capirlo. Non era al sicuro da cosa? Da chi?
«Ti ho detto che so badare a me stessa», rispose infastidita. Scese dal cofano per allontanarsi, ma Christopher la bloccò.
«Non posso lasciarti andare.» Si guardarono negli occhi.
«Che cazzo fai?» si liberò dalla sua presa, «Leon è un mio problema e tu non hai alcun diritto di interferire nelle mie cose.»
Lui sbuffò un sorriso amaro. «Non hai proprio idea di cosa stia succedendo.» Si passò una mano dietro al collo. «Credimi, Leon è l'ultimo dei nostri problemi ora.»
Ancora una volta, lei lo guardò perplessa.
«D'accordo.» Christopher fece un grosso respiro, poi continuò: «Becky e Jenna sono state rapite da persone molto pericolose e io devo trovarle subito, prima che ne perda ogni traccia. Però, per farlo, devo prima portarti al sicuro.»
Silvia iniziò a fare avanti e indietro, incapace di razionalizzare. «Cosa vuol dire tutto questo? Sapevo che stavate nascondendo qualcosa. Lo sapevo!» Gli puntò il dito: «Avevo avvertito Jenna, perché non mi ha ascoltata?» tirò indietro i capelli e si prese la testa fra le mani.
«Senti, ora non ho tempo per le tue crisi isteriche. Dobbiamo andare via.»
«Io non ci vengo con te!» lo affrontò a muso duro.
«Doveva capitare a me la pazza», commentò lui fra sé. «Sali subito in macchina! Siamo in Canada e sei a piedi. Non credo tu voglia fare l'autostop per tornare, o sbaglio?»
«Cosa?» si guardò di nuovo intorno. «Mi hai rapita, per caso? In Canada, ma scherzi?» si agitò. «E poi chi sarebbe la pazza?» gli colpì il petto. «Stronzo!»
Christopher la guardò, come avrebbe fatto una tigre attaccata da un cucciolo di chihuahua. «Ti senti meglio?» le afferrò ancora il polso e la trascinò fino alla portiera dell'auto. «Pensa quello che vuoi, ma tu vieni con me e basta discussioni!» finì per dirle faccia a faccia, facendola sentire ancora più piccola.
Lei si guardò intorno ancora una volta, tentata dalla fuga. Ma senza una meta le sembrò impossibile.
Quel posto le era sconosciuto e, per quanto odiasse ammetterlo, stare con lui la faceva sentire al sicuro.
Sospirò rassegnata e lo seguì riluttante.
Jenna aprì gli occhi.
Nella penombra di quella che sembrava una camera a malapena arredata, tastò in giro in cerca di Becky.
La chiamò sottovoce più volte, provando a non fare troppo rumore.
Un forte mal di testa le impediva di vedere con lucidità. Si sforzò di ricordare cosa fosse accaduto, ma senza risultato. Questo non fece altro che peggiorare il suo mal di testa.
Chiamò di nuovo Becky, poi si bloccò. Un rumore proveniente da un angolo della stanza l'aveva spaventata.
Si strofinò gli occhi e cercò di mettere a fuoco.
I capelli biondi di Becky erano sporchi di fango, girata di spalle e intenta ad aprire una porta che sembrava non volersi proprio aprire. Jenna fece appello a tutta la sua forza per mettersi in piedi e raggiungerla.
«Becky.» le toccò la spalla e la fece voltare per guardarla in viso.
Si guardarono negli occhi e Jenna si portò una mano alla bocca.
Quello che aveva creduto fango, altro non era che sangue. Becky aveva un brutto taglio all'orecchio e ne era tutta sporca.
«Stai sanguinando.» Jenna scoppiò a piangere spaventata, ma soprattutto preoccupata per la sua salute.
Becky le prese il viso tra le mani: «Starò bene, è solo un punto interessato da molti capillari, nulla di grave», disse come se fosse la cosa più normale del mondo.
Il suo sangue freddo le faceva onore, ma in quel momento Jenna si rese davvero conto di quanto fosse di routine per lei e di quanto aveva erroneamente creduto di riuscir ad affrontare tutto quello.
«Sei sotto shock, lo capisco, ma ora non posso permettermi di abbassare la guardia. Devo portarti via da qui.» Becky le diede un bacio frettoloso e si rimise a lavoro.
Jenna asciugò le lacrime e annuì a quelle parole, anche se ancora scossa. Per la prima volta si stava chiedendo cosa ne sarebbe stato della propria vita e come avrebbe affrontato quella nuova realtà con Becky.
Si rannicchiò in un angolo, incapace di pronunciare anche solo una parola, mentre osservava la sua ragazza darsi da fare per mettere in salvo entrambe.
Le mani avevano iniziato a tremarle e per un attimo aveva considerato l'idea di aiutarla, ma in che modo? Cosa avrebbe mai potuto fare per aiutarla? Era probabile che le sarebbe stata solo d'intralcio. Tuffò il viso fra le mani quando ricordò alcuni frammenti dell'accaduto.
Becky le aveva fatto scudo col proprio corpo ed era stato in quel momento che si era procurata il taglio.
Senza pensarci su due volte, le si era parata davanti, frapponendosi tra lei e la lama che un uomo dagli occhi di vetro le aveva lanciato. Una dura lotta era imperversata tra i due, finita con la disfatta di Becky quando altri due uomini della stessa stazza erano intervenuti a sedarla. Poi il buio.
«Non usciremo mai da qui.» Riprese a singhiozzare.
«Ehi», Becky si avvicinò e di nuovo le prese il viso fra le mani, «guardami», incrociò i suoi occhi color ambra, «andrà tutto bene.» La baciò e l'abbracciò per tranquillizzarla.
Jenna si asciugò le lacrime e annuì ancora.
«Voglio solo che tu sappia che...»
«No», Becky la fermò, «non voglio che tu lo dica ora. Non farlo sembrare l'ultimo desiderio di un condannato a morte.» Si allontanò per un istante. «Non farlo», ripeté di spalle.
Jenna si ammutolì e tornò a rannicchiarsi nell'angolo.
«Cosa cazzo è successo?» Christopher afferrò uno degli agenti della squadra di Kathleen per il giubbotto antiproiettile, sotto gli occhi sbarrati di Silvia.
«Christopher!» Kathleen entrò nella stanza seguita da due grossi uomini. Indossava un abito nero che metteva in risalto le sue forme, con tacco dodici e la capigliatura in ordine.
Silvia la osservò avanzare verso di lui con passo felino. Longilinea e raffinata.
Abbassò lo sguardo, si guardò le mani e le scarpette da ginnastica che indossava da tutto il giorno e arrossì.
«Anche noi siamo sconvolti», aggiunse la donna. Poi guardò Silvia e concluse: «Non avresti dovuto portarla qui.»
Christopher le fece segno di spostarsi altrove per continuare il discorso.
«Dovevate proteggerci», le ringhiò tra i denti appena furono abbastanza lontani dagli altri.
Kathleen strinse i pugni e sostenne il suo sgurdo senza fare una piega. «Ci sono cose che nemmeno noi riusciamo a controllare», provò ad avvicinarsi, «le hanno portate al bunker.»
Christopher fece un passo indietro e scansò la mano che lei stava per posare sul suo braccio. «Parto subito.» Guardò in direzione di Silvia. «Lei resta qui, al sicuro.»
Anche Kathleen si voltò a guardarla. «Era proprio necessario portarla qui?»
«Lo è, dal momento che a causa nostra è stata esposta.»
Kathleen sospirò rassegnata, contemplando la sua espressione e un po' turbata dallo sguardo che ci aveva visto. Era forse interessato a quella donna? Si morse l'interno della guancia dopo aver sentito una stretta allo stomaco.
«Cerca solo di non farti ammazzare», aggiunse prima di girare i tacchi sottili e allontanarsi a gran passo.
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