7.
⚠️ In questo capitolo sono presenti scene esplicite
Il Flick aveva fatto il pienone e, proprio mentre rassettavano la sala, quasi a orario di chiusura, Becky e Christopher avevano fatto la loro comparsa, chiacchierando animatamente.
Alcuni si voltarono a guardarli, altri, intontiti dall'alcol, li ignorarono del tutto.
«Ti dico che dovremmo andarci», ripeté Becky per l'ennesima volta.
Christopher sbuffò innervosito. «Ne parleremo con Kathleen e poi decideremo.» Fece un segno col capo in direzione del bancone: «Ora pensa ad altro.»
Becky si voltò e scoprì il volto sorridente di Jenna.
La barista indossava abiti diversi da quelli che aveva quando si erano salutate quella stessa mattina all'appartamento.
Un paio di jeans corti a malapena riuscivano a contenere le sue curve, così come la camicetta bordeaux a fiorellini legata con un nodo sotto il seno.
Il caldo nel Connecticut iniziava a farsi sentire e non era solo colpa del sole dei mesi più caldi.
Becky lasciò il suo compagno di avventure e si avvicinò al bancone, ammaliata da quella visione. «Ciao», sorrise.
Jenna si allungò per darle un bacio a stampo. «Ciao», sorrise a sua volta, «posso offrirti qualcosa?»
Si picchiettò il mento: «Vediamo... Qualcosa di ghiacciato e un altro di questi», disse riferendosi al bacio che le aveva appena dato.
Jenna nascose la testa nelle spalle e, facendo leva sul bancone, si protese in avanti per dargliene un altro.
«Mio Dio!» esclamarono all'unisono Christopher e Silvia, con una smorfia di disgusto che si disegnava sulla faccia. Si guardarono sorpresi, poi Silvia abbassò lo sguardo.
«Lei è la mia migliore amica, Silvia», disse Jenna, indicando la mora dai grandi occhi verdi. «Lui, invece, è Christopher, il migliore amico di Becky. Mentre lei già la conosci.» Si tuffò tra le sue braccia, dopo aver fatto il giro del bancone, e le rubò un altro bacio.
«Piacere di conoscervi», rispose Silvia. Incrociò di nuovo lo sguardo di Christopher e lui fece un cenno con la testa, mentre Becky le sorrise, prima di dare un'altra strizzata al fianco di Jenna. Le due sembravano proprio non riuscire a staccarsi le mani di dosso.
«Tesoro, noi siamo pronti per andare via.»
La cantante del terzetto si fece avanti e si rivolse a Jenna, che di tutta risposta guardò Silvia con perplessità.
«I soldi sono sul bancone», rispose quest'ultima.
«Parlavo con Jenna», insistette Denise.
«Beh, in ogni caso la risposta non cambia», ribadì Silvia.
Denise capì che non avrebbe ricevuto attenzioni dalla diretta interessata, così prese i soldi e andò via con un'espressione adirata in volto.
«Ancora ti infastidisce?» Becky prese il viso di Jenna tra le mani e la guardò negli occhi, scorgendone tutto il fastidio e il nervosismo, ma lei fece spallucce e cercò di mostrarsi tranquilla. «D'accordo», continuò rassegnata, «sai meglio di me come gestirla, ma non lasciare che t'importuni. Devi dirmelo, se continua a farlo.» Le sistemò una ciocca ondulata dietro l'orecchio.
Jenna le sorrise e le fossette sulle sue guance si evidenziarono; questo la rese ancora più dolce e fece perdere un battito al suo cuore.
«Avete già cenato?», chiese alle due amiche.
«Purtroppo il venerdì è impossibile mangiare durante il servizio. C'è sempre il pienone.»
«Allora mangiamo qualcosa insieme?» sperò, per un attimo, che gli altri avessero degli impegni, ma sapeva per certo che Christopher aspettava solo lei per il lavoro e che quindi non aveva altro da fare. Quindi si preparò a rimandare un nuovo incontro privato con Jenna.
Silvia si voltò di scatto: «Io avrei delle cose da fare. Mi dispiace.» Tolse il grembiule, prese la giacca e in tutta fretta raggiunse la porta del locale.
«Silvia, aspetta!» Jenna la raggiunse. «È tardi, non dovresti girare da sola.»
«Non preoccuparti per me, pensa a divertirti. Te lo meriti, dopo quello che hai sopportato con Denise.» L'abbracciò e andò via.
«In realtà anch'io avrei da fare.» Christopher seguì il suo stesso percorso e lasciò il locale.
«Che tipi», disse fra sé Jenna, prima di venir colta di sorpresa dalle braccia di Becky, che la stringevano da dietro, con i palmi che si posarono sul suo ventre.
Becky si sentì come se fosse stato merito dei suoi desideri e sorrise compiaciuta. «Più tempo per noi», le sussurrò all'orecchio e le sue gambe si fecero molli.
Jenna fece scivolare una mano lungo la sua nuca e la carezzò.
Becky venne percorsa dai brividi. «Mi sei mancata per tutto il giorno», le spostò i lunghi capelli dal collo e vi lasciò un bacio.
Jenna socchiuse gli occhi e sospirò: «Anche tu», aggiunse. Poi prese la mano di Becky e ne baciò il palmo.
Quest'ultima continò a baciarle con delicatezza il collo, la spalla e a lasciare che il suo respiro caldo le facesse venire la pelle d'oca. Nel silenzio del locale vuoto, i loro respiri diventavano sempre più rumorosi.
«Becky», disse in un fiato.
Con una lentezza che creava sofferenza, lei aprì il bottone e la cerniera dei pantaloncini e fece scivolare una mano sotto la stoffa rigida e stretta.
Jenna gemette e si appoggiò al bancone, preoccupata che le sue gambe potessero cedere, stordita dall'eccitazione che provava in quel momento.
Per tutto il giorno non aveva fatto altro che lasciarsi trasportare da flash della notte passata con Becky, ricordando quanto si fosse sentita soddisfatta in ogni suo desiderio. Aveva creduto di aver già fatto sesso prima, ma ora che era stata con lei, aveva finalmente capito che non vi si era mai neanche avvicinata. Becky portava tutto su un altro livello.
Strinse il legno del bancone nelle mani e venne. Sentì tutta l'eccitazione scendere lungo i fianchi e le cosce.
Per fortuna c'era Becky a sorreggerla.
Le sorrise e prese la sua bocca a più riprese. «Mi piace vedere le tue guance prendere fuoco ogni volta che vieni per me.» Becky la baciò di nuovo, quando Jenna si portò le mani sul viso. Si avvicinò al suo orecchio: «Sai, mi eccita.»
Jenna deglutì sonoramente e sentì una stretta tra le gambe: «Dici sul serio?»
«Non ti mentirei mai.» La baciò ancora, sempre più affamata delle sue labbra. Quando si fermò, quelle di lei erano rosse come il fuoco e Jenna faceva fatica a controllare il respiro.
Stavolta fu la barista a sbottonarle i pantaloni, con urgenza ed eccitazione. Le aveva fatto perdere la testa, come non le era mai accaduto. Si sentiva accaldata e pronta a tutto, pur di portarla al culmine. Quando infilò la mano tra le sue cosce, sentì chiaramente quanto davvero quella cosa la eccitasse. Fu in quel preciso istante che capì che la notte passata insieme non era stato altro che un assaggio.
Nel loro appartamento, Christopher aveva appena finito di rimettere in ordine le scartoffie e si apprestava a fare una doccia, quando sentì bussare alla porta. Ignorò la cosa, ma bussarono ancora. Fece un grosso respiro e andò ad aprire.
«Kathleen?»
Lei entrò e lui rimase impietrito sull'uscio.
«Prego, entra pure», aggiunse ironico e chiuse la porta.
«Ti sei ripreso la copia delle chiavi, come credevi sarei entrata?» si sedette e aprì la valigetta in pelle nera per tirarne fuori dei grossi fogli. «Siediti», gli ordinò.
«Oh, bene! E tu come stai invece, Kat?» si versò dell'acqua e svuotò il bicchiere tutto d'un fiato.
Lei lo fissò fino all'ultimo, poi aggiunse: «Non è una visita di piacere.»
«E quando mai lo è stata?» sostenne il suo sguardo senza batter ciglio. «Cosa vuoi?», chiese con tono risentito.
«Sai, quando abbiamo scopato l'ultima volta non mi era sembrato che fossi così riluttante.»
«Quando abbiamo scopato l'ultima volta, sei stata molto chiara.»
«Esatto! E ti stava bene. Quindi perché ti sei ripreso le chiavi?»
Christopher si avvicinò a pochi centimetri dal suo viso: «Perché voglio essere libero di potermi scopare chi mi pare, senza il pensiero che tu possa entrare da un momento all'altro e interrompere forzatamente il mio coito.»
Kathleen deglutì e ingoiò le parole insieme alla saliva. Non voleva che lui capisse quanto si fosse innervosita; così, senza scomporsi, concluse con un: «Bene.»
«Bene», ribattè Christopher. Puntò con forza il palmo sul tavolo e la fece sussultare.
«Ok», Kathleen si diede un tono, «ora possiamo parlare di cose serie?» Quando lui le fece segno di continuare, lei proseguì: «Ti ho portato le mappe di due bunker. Uno dei quali è quello in cui tengono Marcus.» Aprì le planimetrie sul tavolo e con un pennarello segnò alcune zone della mappa delle quali non si conosceva l'utilizzo. «Purtroppo per noi, loro sono molto attenti alle informazioni che entrano ed escono e non abbiamo potuto scoprire di più.»
Christopher le osservò con attenzione e ci riflettè per un lungo momento.
«Quindi andiamo lì e cosa? Aspettiamo che ci sparino addosso e forse farai intervenire la tua squadra per recuperare i nostri corpi martoriati?» riempì un altro bicchiere d'acqua. «Tanto il piano è sempre questo, no? Siamo sacrificabili.»
Kathleen strinse i pugni sul tavolo, con lo sguardo fisso sulle mappe. «Mi dispiace», confessò sincera, «purtroppo non c'è altro modo.»
«Cazzo!» Christopher si portò una mano tra i capelli e li tirò indietro. I suoi occhi scuri percorrevano la mappa in lungo e in largo per provare già a memorizzare tutto ciò che riuscisse. Poi poggiò le mani sui fianchi e guardò Kathleen: «Perché? Perché è accaduto tutto questo? Non credi che abbiamo il diritto di saperlo?»
Lei abbassò ancora lo sguardo e incrociò le dita delle mani sotto al tavolo. Se le torturò per un minuto buono, in cerca delle giuste parole.
«Kat», Christopher capì di aver un po' esagerato nei modi e addolcì il tono, «ti prego.»
Dopo averci riflettuto per qualche istante, Kathleen arrivò alla conclusione che fosse giusto rivelargli la verità. Dopotutto i due mettevano a repentaglio la propria vita, e non solo per trovare Marcus.
«Le due valigette contengono i pezzi per fabbricare la bomba elettromagnetica più grande che si sia mai vista. Nelle mani sbagliate...»
«Maledizione!» Christopher si portò di nuovo le mani tra i capelli e fece avanti e indietro per la stanza. «Sai questo cosa vuol dire?»
Kathleen fece un cenno positivo. «Ecco perché abbiamo meno risorse. Non potevo dirvelo, ma a questo punto... »
«Certo, ormai siamo già morti.» Il suo tono la fece ammutolire. Come può essere stata con me, senza il minimo senso di colpa? Ripensò ai momenti passati insieme e scosse appena il capo.
Becky ebbe la sua stessa reazione d'incredulità; faceva avanti e indietro per il corridoio, mentre lui se ne stava sul divano a braccia conserte.
«Puoi fermarti, per favore? Mi stai facendo venire un gran mal di testa.» Chiuse gli occhi e li coprì con il pollice e l'indice della mano.
«Ci hanno tenuti all'oscuro di tutto e hanno giocato con le nostre vite!» gli si parò davanti.
«Già. Una spia nello staff del presidente è roba che scotta.» Si appoggiò con la testa allo schienale del divano: «Avrei dovuto farmi un'ultima scopata, prima di partire per una missione suicida», disse fra sé.
«Perché non gliel'hai chiesto, già che c'eri?» chiese Becky, per poi sedersi accanto a lui.
«Credo che questa volta sia finita davvero. Solo lavoro d'ora in avanti», parlò in modo svogliato. Non aveva parole per descrivere quanto si sentisse deluso da Kathleen e non era intenzionato a cercarle, così si limitò a un atteggiamento sconfitto.
«Quante storie per del sesso occasionale», sentenziò Becky, nella speranza di ottenere una sua reazione. E ci riuscì.
Christopher le rivolse un'occhiataccia. «Non mi va di fare sesso con una che il giorno dopo mi manderebbe a morire senza neanche dirmelo, ok? Discorso chiuso.» Dichiarò.
Becky fece spallucce. «Ok, non ti scaldare.» Posò i gomiti sulle ginocchia e si prese la testa tra le mani. «Cosa dirò a Jenna? Sapevo che non dovevo trascinarla in tutto questo», si grattò la testa, «cosa dovrei fare? Sparire e basta? Oppure lasciarla e sparire?»
Christopher la guardò con gli occhi sgranati. «Dici sul serio?»
«Cosa?» ribattè lei.
«Ora state insieme e lei sa tutto di noi. Devi dirle solo la verità.» Le diede una pacca sulla schiena.
«Sì, ma...»
Bussarono alla porta e i due si guardarono. «Sarà Kathleen. Apri tu», gli disse, prima di andare verso il frigo per prendere una cola.
Christopher sbuffò e andò ad aprire.
«Ciao!»
«Ciao», Christopher si voltò verso Becky, «c'è la tua ragazza», ma lei aveva subito riconosciuto la voce della barista ed era già alle sue spalle con gli occhi incollati al volto di Jenna, mentre stringeva la cola nel pugno.
«Che succede?» chiese Jenna, preoccupata, quando notò l'espressione turbata di Becky.
«Abbiamo un grosso lavoro da fare» iniziò lei, ma Jenna fece segno di no con la testa e con un dito, di nascosto, indicò le scale.
«Se avessi saputo che non c'era l'ascensore, non sarei venuta.» La mano sinistra di Silvia si aggrappò al corrimano e, facendo leva sul braccio, salì l'ultimo scalino. Riprese fiato e si soffiò il viso con una mano.
Quando alzò lo sguardo, scorse i tre a fissarla interrogativi.
«Che c'è? Non sono un tipo atletico», fece spallucce.
Becky scoppiò in una grossa risata, passò un braccio intorno alla vita di Jenna e invitò entrambe in casa.
Passarono un'ora a raccontarsi aneddoti divertenti che riguardavano Jenna e Becky, e qualche volta le avevano fatte sentire a disagio.
Becky si gustava i racconti di Silvia, senza riuscire mai a distogliere del tutto l'attenzione dalla barista, che invece di tanto in tanto veniva assalita dalla voglia di sprofondare nel pavimento.
Scoprire che Jenna non era sempre stata così formosa e inconsapevolmente sensuale, fece sì che Becky provasse ancora più tenerezza nei suoi confronti.
Quando Silvia le mostrò una sua foto, in cui era magrolina e con l'apparecchio, Jenna cercò di strapparle il cellulare dalle mani.
Becky però, per consolarla dall'imbarazzo, fece un sorriso e la strinse più forte.
Avrebbe voluto avere anche lei delle vecchie foto da mostrarle, ma la sua vita non era costellata da giorni di vacanza con gli amici o cene di famiglia, come quella di Jenna.
Una stretta allo stomaco le fece perdere il sorriso per qualche istante e la barista se ne accorse.
«Ok, ora basta», intervenne, «il passato è dietro di noi e non ci interessa. Il presente è ciò che conta», concluse regalandole un sorriso amorevole.
«E il futuro?» aggiunse Silvia.
Le due si guardarono, poi Jenna battè sul tempo Becky e rispose: «Il futuro è per chi non ha il presente che vorrebbe», prese le sue mani, «tutto quello che voglio io è qui, invece. Ora.» Le sorrise.
Anche Becky lo fece, ma lei poteva giurare di averci visto della tristezza. Fece finta di nulla e mandò giù il rospo. «Ok, forse dovremmo andare.» Si mise in piedi, con ancora il sorriso stampato sulle labbra.
Silvia la seguì e l'afferrò per un braccio «Sì, senti, io devo andare, ma tu perché non resti ancora un po'. Il sabato mattina siamo chiusi comunque. Ci vediamo più tardi.»
«Chris!» lo chiamò Becky. «Perché non accompagni Silvia?» gli chiese appena tornò in cucina.
«Ma stavo per mettermi a lavorare», arricciò la fronte, «non potete accompagnarla voi?» le lanciò le chiavi della Mustang, ma Becky gliele restituì subito.
«Devo parlare con Jenna», fece un cenno del capo in direzione della barista.
Christopher sospirò arreso. «Andiamo», sollecitò Silvia.
Lei diede una sistemata alla lunga coda corvina e sorrise. «Ma no, non ce n'è bisogno.»
«Cosa faccio?» chiese a Becky, alla quale bastò un'occhiata perché fugasse ogni suo dubbio.
Così i due, in men che non si dica, tolsero il disturbo, Christopher trattenendo un'imprecazione e Silvia in religioso silenzio, subito dietro di lui.
«Non sarai stata un po' troppo brusca?» Jenna le buttò le braccia al collo e le sfiorò il naso col suo.
Becky le rubò un bacio. «Christopher ha bisogno di staccare un po' la spina. La questione di Marcus non gli ha dato tregua per due anni.» Le sistemò i capelli dietro un orecchio. «È diventata un'ossessione. Dopotutto è suo fratello.»
«Hai ragione.» Jenna divenne seria e fece un passetto indietro. «Cosa stavi per dirmi, quando sono arrivata?» chiese, dopo essersi ricordata della faccia preoccupata di Becky al suo arrivo.
«Siediti.» La invitò ad accomodarsi sul divano e si allontanò per prendere qualcosa da bere e due bicchieri.
Jenna fece un grosso respiro e iniziò a torturarsi le dita nervosamente. Sembrava una cosa seria e sentì lo stomaco contrarsi.
Quando Becky tornò, si sedette accanto a lei. Prese le mani tra le sue, si fece coraggio e le disse: «Kathleen ci ha assegnato una missione. Potremmo finalmente riuscire a trovare Marcus e a riportarlo a casa.» Si sforzò di sorridere.
Jenna si mordicchiò l'interno della guancia, e vi si formò una fossetta, che Becky non perse l'occasione di accarezzare. «Perché mi sembra che ci sia dell'altro?» chiese abbassando lo sguardo per nascondere gli occhi lucidi.
«Forse perché c'è.» Le sollevò il viso per incrociare i suoi occhi d'ambra. «Starò via per un po' e non posso quantificarne il tempo. Dipende tutto da come evolverà la faccenda.»
Jenna si diede un tono e cercò di far asciugare i propri occhi. «Tornerai?» la incalzò, «perché non hai la faccia di una che mi sta salutando per un po'.»
«Jenna... » Becky distolse lo sguardo, ma lei la costrinse a guardarla negli occhi.
«No», replicò con fermezza, «non provare a prendermi in giro. Guardami negli occhi e dimmi la verità.»
«La verità? D'accordo.» Si schiarì la voce: «È una missione molto pericolosa e io non posso assicurarti nulla, se è quello che vuoi.»
«Non è quello che voglio. So bene cosa ho accettato quando abbiamo cominciato questa relazione. Solo che credevo avessimo più tempo.»
«Mi dai già per spacciata?» sorrise amareggiata.
Jenna le colpì la guancia con un buffetto. «Non ti azzardare a lasciarmi, altrimenti ti ammazzo io.» Il suo tono serio e profondo lasciò Becky in silenzio per qualche istante, mentre reggevano lo sguardo l'una dell'altra.
«Farò molta attenzione», concluse solenne.
«Bene. Quando dovreste partire?»
«Il prima possibile.»
«Bene.»
Fu un botta e risposta, senza tentennamenti, senza espressioni dubbie. Solo parole e lunghi sguardi, seri e profondi.
Le cose cambiavano velocemente nella vita di Becky e Jenna stava iniziando a impararlo a proprie spese.
Lei le aveva raccontato delle sue missioni, di quanto fossero pericolose e di quanto fosse stata male dopo che le avevano sparato, ma i suoi racconti erano al passato, mentre adesso era tra le sue braccia. Per un attimo si era illusa che le cose fossero diverse ora, anche se aveva accettato tutto di lei, ma solo in quel momento stava affrontando davvero la realtà delle cose e non poteva fare altro che accettarle.
Nella sua mente si susseguivano domande di ogni genere. Voleva conoscere il loro piano, illudendosi che questo bastasse a sapere come sarebbero potute andare le cose, come se servisse a proteggerla da qualsiasi pericolo ci potesse essere. E Becky non ne eludeva nessuna, rispondeva a ogni sua domanda senza fare obiezioni, senza scomporsi.
Si chiese ancora quanto potesse accettare di quella realtà e la risposta fu semplice. Avrebbe accettato tutto, purché Becky fosse stata con lei. Non sapeva spiegarsi da dove venisse fuori tutta quella forza che stava dimostrando, né perché proprio con lei. L'unica cosa certa era che nessuna l'aveva mai fatta sentire così speciale, desiderata e l'adrenalina che trasmetteva nei suoi racconti, la faceva sentire su di giri e capace di affrontare qualunque cosa.
• • •
Silvia se ne stava seduta al suo posto, nella Mustang nera, e giocherellava con il piccolo ciondolo che aveva appeso al collo mentre guardava fuori dal finestrino.
Christopher, invece, guidava in silenzio e stringeva il volante nei pugni e ogni tanto lanciava un'occhiata alla sua destra.
«Volevi fare tutta questa strada a piedi?» ruppe il silenzio.
Silvia lo guardò accigliata. «Mh?»
Lui si schiarì la voce e tornò a guardare la strada davanti a sé. «Dicevo... è un bel po' di strada da fare a piedi. Ti piace così tanto camminare?»
«In realtà avevo intenzione di chiamare un taxi.» Lasciò stare il ciondolo e posò le mani sulle ginocchia, ticchettando con le dita. «Comunque, grazie per il passaggio.» Annuì e tornò a guardare fuori dal finestrino.
«Ancora c'è qualcuno che lo fa?» continuò lui, tornando a guardare nella sua direzione. «Prendere un taxi, intendo», precisò quando lei lo guardò perplessa. «Credevo non fosse più così comune.»
«Ah. Sì, qualcuno c'è ancora», rispose tranquilla, anche se iniziò a sentirsi un poco a disagio.
Quel giovane uomo, dalle spalle larghe e il corpo statuario, riempiva l'intero abitacolo col suo buon profumo e con la sua scarsa dialettica le stava mettendo soggezione.
Lo guardò di nuovo. Distratto da chissà quale pensiero, se ne stava lì, in silenzio, dopo il vano tentativo di iniziare una specie di conversazione. Si sentì un poco in colpa e cercò di porvi rimedio.
«Quindi...» iniziò. Lui si voltò di scatto e incontrò i suoi occhi verde smeraldo. «Da quanto tempo vi conoscete tu e Becky?» continuò senza scomporsi, al contrario di Christopher che sembrò vacillare.
«Tanto», rispose, «così tanto tempo, che neanche mi ricordo quanto.»
«Capisco. Io e Jenna ci conosciamo da bambine. Diventerei una furia se qualcuno la ferisse.»
«Non preoccuparti, Becky non è quel tipo di persona.»
Silvia studiò la sua espressione, prima di riprendere il discorso: «E che tipo è?» incrociò le braccia. «Di cosa vi occupate? È qualcosa di illegale?»
Christopher quasi tamponò l'auto che aveva davanti; riuscì a frenare all'ultimo secondo. «Cosa? Certo che no!»
«Allora perché tutto questo mistero? Jenna mi racconta sempre tutto, ma non sono stupida, quando le ho chiesto di cosa vi occupate, con una certa abilità, ha cambiato discorso. E ieri ha evitato brillantemente l'argomento.»
«Non c'è nulla di cui tu debba preoccuparti. Facciamo consegne per grosse società di import-export. Materiale fragile, anche per il governo. Però questo deve restare segreto. Ecco perché non te ne ha parlato. Glielo abbiamo chiesto noi.» Mentì senza rimorso.
Non potevano rischiare che stancasse Jenna con le sue domande, fino al punto di farle confessare ogni cosa.
Aveva capito che Silvia era un osso duro e che prima o poi ci sarebbe riuscita a tirarle quelle verità dalla bocca. In questo modo le aveva dato una versione più semplice della cosa e abbastanza esaustiva.
Lei studiò di nuovo la sua espressione, per poi concludere che fosse quasi accettabile come risposta. Però c'era una cosa che non le tornava, così decise di rispondere alla battuta: «Se è un segreto e le avete vietato di parlarne, perché mi stai mettendo al corrente di tutto?» incrociò ancora le braccia davanti al petto.
Christopher ebbe un momento di esitazione. Aveva bisogno di trovare una risposta risoluta, ma sentì i suoi occhi riservargli attenzioni indagatrici e, nella fretta di liberarsi da quella pressione, sputò fuori la scusa più banale che gli venne in mente: «Perché posso decidere da me se dirlo oppure no.»
«Quindi non è Becky quella che comanda fra voi due?» lo guardò di sottecchi, consapevole di averlo provocato, nella speranza che si tradisse da solo.
Di nuovo dovette fare affidamento sui suoi riflessi per frenare a pochi centimetri dalla stessa auto che li precedeva.
«Mettiamo le cose in chiaro, signorina?»
«Cruz.»
«Mettiamo le cose in chiaro, signorina Cruz, io e Becky siamo alla pari», precisò, pizzicato nell'orgoglio.
Becky aveva di sicuro un tono più autoritario, doveva ammetterlo, dopotutto era la degna figlia di cotanto padre, ma di fatto nessuno dei due si era mai imposto sull'altro.
«D'accordo, mi dispiace», si mise comoda sul sedile e sbloccò il cellulare, «è solo che prima sembrava ti avesse dato un ordine.»
Fece spallucce e picchiettò con i pollici sul display, intenta a scrivere un sms.
Christopher sbuffò una risata. «Non l'hai capito? Mi ha chiesto il favore di lasciarle un po' sole. Certo che ne hai di fantasia tu.»
«Capisco», lo liquidò, distratta da quello che stava facendo.
Christopher giurò di averle visto cambiare espressione, diventando all'improvviso più nervosa. Le labbra imbronciate sembravano ancora più piene e lo sguardo perso oltre la fila di auto, bloccate anch'esse nel traffico.
Cosa le è preso? si chiese, scoprendosi stranamente incuriosito. Le lanciò un'altra occhiata prima di ripartire, quando la situazione si sbloccò un po'.
«Casa mia è proprio dietro l'angolo, lasciami pure qui. Ti sarà più semplice tornare indietro da questo punto», lo informò. Gli indicando il ciglio della strada e pose già le mani sulla maniglia della portiera, impaziente di andarsene.
«Posso lasciarti sotto casa, non è un problema», insistette Christopher. Ma lei sembrò scocciata dalla sua premura.
Prese un grosso respiro e si costrinse a sorridere. «Tanto devo fare una commissione. Va bene così.»
Christopher continuava a pensare che ci fosse qualcosa di strano nel suo sguardo.
Quella non era la verità, ma decise comunque di accontentarla. Accostò e lasciò che scendesse dove gli aveva indicato.
«Grazie. Ci si vede in giro.» Si affrettò a lasciare la Mustang, sotto lo sguardo interrogativo di Christopher che non ebbe neanche il tempo di rispondere. La portiera si chiuse e lei, svelta, se ne allontanò di qualche metro.
«Lascia stare», disse lui fra sé, cercando di ignorare il suo istinto. Sentiva che qualcosa non andava, ma lei era stata categorica.
Ingranò la prima e diede un altro sguardo allo specchietto retrovisore.
Silvia non andava da nessuna parte. Era ferma lì, con la testa abbassata sul suo cellulare.
Guardò nello specchietto ancora una volta e vide un uomo avvicinarsi a lei e urlarle contro. «Ma che diavolo... » sussurrò.
Scalò le marce e cercò un buon punto da cui fare inversione.
Trovò una piccola area di sosta e vi parcheggiò la Mustang. A passo svelto cercò di raggiungerla, perché si accorse, con estrema chiarezza, che la situazione iniziava a scaldarsi un po' troppo.
Grazie al cielo li aveva raggiunti celere, perché arrivò giusto in tempo per bloccare la mano dell'uomo che scendeva violenta per darle uno schiaffo.
«Fatti i cazzi tuoi, amico», ringhiò quest'ultimo.
Silvia aveva le lacrime agli occhi e non riusciva ad alzare lo sguardo, a causa della forte vergogna che provò per la scena che Christopher si era ritrovato davanti. Ma perché è ancora qui? Gli avevo detto di andarsene. Pensò, tra un senso di fastidio e il sollievo.
«Io non sono tuo amico», Christopher gli spostò via la mano, «ma suo sì.» Indicò Silvia, che con la mano si asciugava gli occhi e finalmente lo guardava.
«Conosci questo tizio?» le urlò l'altro, con lo stesso tono violento che aveva usato poco prima e che l'aveva fatta stringere nelle spalle.
In un primo momento, lei scosse appena la testa, poi guardò di nuovo Christopher in evidente imbarazzo.
«Non serve che mi conosca. Se anche fossi un estraneo, sarei intervenuto lo stesso.»
Lei restò in silenzio. «Fila via e non farti più vedere da queste parti, altrimenti te ne darò il triplo di qualunque cosa le farai.»
L'uomo le puntò il dito contro e aprì la bocca per dirle qualcosa; poi guardò Christopher e la richiuse. Convenì che avrebbe scelto un altro momento per quelle parole e girò i tacchi.
Christopher attese che fosse abbastanza lontano e si voltò verso Silvia: «Non so chi sia, ma non mi sembra un tipo da frequentare. Ti accompagno sotto casa.» La prese per il gomito con delicatezza, ma lei restò ferma.
Teneva lo sguardo basso e i pugni chiusi. «Non sono affari tuoi. Non capisco perché non sei andato via quando te l'ho detto», disse senza alzare lo sguardo, «so badare a me stessa. Torna a casa», s'incamminò per conto suo, «e non seguirmi.»
Lo aveva lasciato senza parole. Non si aspettava alcun ringraziamento, ma di certo neanche una risposta tanto rancorosa.
Perché ce l'ha con me e non se la prende con quel tizio che le stava per mettere le mani addosso? E soprattutto, chi era quell'uomo? Non gli sembrava tanto più grande di lui, quindi di certo non poteva essere suo padre. Però neanche un fratello; a guardarli, non aveva notato alcuna somiglianza. Inoltre lei non aveva nemmeno accennato a un fidanzato.
Pensò che di sicuro Jenna non ne sapeva nulla. Ma tra i due c'era un qualche tipo di rapporto, questo era ovvio.
Pieno di domande senza risposta e pensieroso, salì in macchina e se ne tornò a casa.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top