3.
«Era qui. Me lo ricordo benissimo!» Becky diede un calcio allo sgabello malandato che aveva davanti e lo fece spezzare in due parti.
Avevano guidato per due ore e la stanchezza iniziava a farsi sentire. Legò i capelli in una coda e prese un grosso respiro.
«Li avranno trovati? Guarda che casino c'è qui dentro.» Christopher si accovacciò per cercare qualche indizio tra le macerie che ricoprivano il pavimento.
«Ci serve Michael. Abbiamo bisogno di cellulari nuovi, armi... e io rivoglio la mia moto.»
«Ti sembra questo il momento di pensare alla moto?»
«Michael era l'unico che poteva aiutarci.»
Un rumore di passi attirò la sua attenzione e lei si voltò di scatto verso la porta sul retro. Tirò fuori la pistola «chi c'è?» e la puntò in quella direzione subito dopo aver fatto scorrere il carrello sulla canna. «Michael?» fece penzolare le braccia lungo i fianchi, «credevamo avessero trovato anche te.»
L'uomo si avvicinò con fare disinvolto, calpestando le macerie. «C'è mancato poco.» Le diede una pacca sulla spalla e, dopo averle sorriso, i due si abbracciarono.
«Non mi avevi detto che vi conoscevate così bene.» Christopher interruppe il momento che si era creato tra i due e porse la mano all'uomo che era di almeno un palmo più alto di lui.
Dopo le presentazioni, Becky tornò a concentrarsi sulla distruzione di quel posto.
«Cos'è successo qui dentro?»
«Siamo stati noi», ammise con disinvoltura l'uomo.
Becky si accigliò. «Avete messo voi questo posto sottosopra?»
«Kathleen è stata da noi e ci ha avvisati che qualcuno era sulle nostre tracce, così abbiamo fatto in modo che sembrasse che fossimo già stati attaccati.» Mantenne lo sguardo fiero. «Mi ha anche detto che sareste venuti a cercarmi, prima o poi. Vi aspettavo.»
«Quando l'hai sentita l'ultima volta?» Christopher si inserì nella conversazione.
«È stata qui un mese fa, ma da quando è andata via , non l'ho più sentita. E c'è dell'altro; sembra che tuo fratello stia lavorando per i nostri nemici.»
Con uno scatto Christopher lo afferrò per la giacca. «Non lo farebbe mai! Chi diavolo credi di essere?»
Michael sorrise, senza curarsi troppo della violenza nello sguardo dell'altro.
«Christopher, lascia che ci spieghi.» Becky posò una mano sul suo braccio e, intercettato il suo sguardo, provò a farlo calmare.
«Tu gli credi? Non conosce mio fratello.» Lasciò Michael spingendolo via, ma senza riuscire a spostarlo di un centimetro.
Becky prese un altro grosso respiro e si rivolse all'uomo: «Conosco Marcus quasi quanto Christopher e posso assicurarti che ti sbagli.»
Michael fece spallucce e incrociò le braccia. «Vi ho solo riferito quello che Kathleen ha detto a me.» Volse lo sguardo verso di lui «Hai ragione, non conosco tuo fratello e neanche te, ma mi fido di Kathleen, perché Becky si fida di lei.»
«Beh, io invece di te non mi fido per niente.» Christopher rispose a muso duro. «Perché non ti ho sentita parlare di lui più spesso?» chiese alla sua amica. «Era solo il tizio delle armi.»
Becky si sentì in colpa per quella mancanza e, anche se non era il momento giusto per certe cose, si sentì in dovere di riassumere il più possibile la storia che la legava a quell'uomo. «Avevo sei anni quando Michael ha iniziato a prendersi cura di me. In pratica mi ha fatto da padre dopo l'incidente dei miei.» Un sorriso si disegnò sul suo volto. «So che non ti fidi di lui, ma io sì. Questo vale anche per te», puntò il dito verso Michael. «Non sarebbero miei amici se fossero dei traditori.»
L'uomo fece un cenno d'assenso. «Non lo metto in dubbio. Ci sarà tempo per chiarire la questione. Tornando a noi, cosa vi porta qui?» afferrò un tavolino rotondo e lo avvicinò. Rimase seduto lì, in attesa di una risposta.
«Abbiamo bisogno di armi e di cellulari nuovi, con nuove schede non rintracciabili. E io ho bisogno di una moto.»
«Sempre la stessa passione?» le sorrise.
Becky rivolse un'occhiataccia in direzione del suo amico. «Se qualcuno non avesse rottamato l'ultima che avevo, non avrei bisogno di comprarne un'altra.»
Michael fece scorrere la schermata del suo tablet. «Di che colore stavolta? Nera?»
Becky ritrovò il suo entusiasmo. «Ottimo.»
«D'accordo. Sarà pronta per quando torneremo.» L'uomo si rimise in piedi.
«Torneremo? Perché, dove stiamo andando?» fece segno a Christopher di seguirla, mentre camminava al fianco di Michael.
«Ovviamente abbiamo spostato il laboratorio. Da Brooklyn ci siamo trasferiti a Toronto.»
«Cosa?» chiesero i due amici all'unisono, scoraggiati dall'idea di dover affrontare un viaggio in macchina della durata di più di otto ore. Tutt'a un tratto, le due ore che avevano impiegato per arrivare lì sembrarono una passeggiata al confronto e si sentirono subito già più stanchi.
Nel frattempo, nel Connecticut, Jenna preparava i drink da servire al tavolo, mentre il terzetto musicale si esibiva di nuovo, ma con una Denise meno gioiosa del solito.
Jenna le aveva ripetuto, per l'ennesima volta, che per loro non c'era alcuna possibilità di tornare insieme.
Denise era stata la sua ragazza per tre anni, legate abbastanza da condividere un appartamento; ma il ricordo del suo tradimento con la vecchia chitarrista del gruppo non era ancora così lontano da farle decidere di perdonarla.
Aveva acconsentito affinché continuasse a suonare nel locale solo perché era a conoscenza delle sue difficoltà economiche, ma Jenna aveva bisogno dei suoi spazi. E ora aveva anche la testa presa da altre cose.
Ogni volta che la porta si apriva, il suo sguardo guizzava verso il fondo della sala, ma la delusione cresceva a ogni giro d'orologio.
Becky, infatti, non si era fatta più viva da quando Denise le aveva interrotte.
«Jenna, non sai niente di lei. Smettila di pensarci», rimproverò a se stessa dopo aver rivolto di nuovo lo sguardo verso la porta che si era appena aperta.
Il sorriso riapparve sulle sue labbra solo quando la sua migliore amica Silvia si avvicinò al bancone. «Ancora aspetti?» prese posto sullo sgabello di fronte a lei. «Mi servi una birra?»
Jenna aprì una bottiglia e la poggiò sul bancone. «Non la sto aspettando», rispose con tono risentito.
«Guarda che non devi giustificarti con me.»
Sospirò e versò della birra anche per sé. «Hai ragione. È che non riesco a fare a meno di pensarci.»
«Ti piace. E allora?» fece spallucce.
«Non è questo», bevve dal bicchiere, «è solo che non so niente di lei e... »
«E hai solo paura che ti ferisca», concluse per lei l'amica. «È tutta colpa di quella superficiale!» esclamò, alzando il tono della voce apposta per farsi sentire da Denise.
«Dai, smettila.» Jenna quasi si nascose dietro al bancone, per poi scoppiare in una grossa risata quando Silvia fece una faccia buffa.
° ° °
La serata volgeva al termine e di Becky neanche l'ombra.
«Chissà cosa starà facendo», si lasciò scappare Jenna ormai brilla, mentre Silvia salutava l'ultimo cliente e mandava via i musicisti con la loro paga.
«Perché non ci ha pagati Jenna?» chiese Denise e allungò il collo per guardare oltre Silvia.
«È stanca e ha bisogno di riposare.» Le rivolse il sorriso più finto che avesse mai fatto e l'accompagnò verso l'uscita, quasi trascinandola.
Richiuse la porta alle sue spalle con dei giri di chiave. «Mio Dio, che insistenza!» alzò gli occhi al cielo. «Sono andati via tutti. Ora puoi parlare liberamente.»
«Parlare di cosa?» Jenna sembrò scendere dalle nuvole. Capovolse la bottiglia di birra e solo dopo si accorse che era vuota. «Sono una stupida.»
«Ok, devo dirtelo. Se sei ridotta così dopo solo due giorni, forse è il caso di lasciar perdere, non credi?» aprì un'altra birra.
«Già. E se poi torna?» barcollò fino al tavolo al quale si era seduta con Becky il giorno prima.
«Allora aspettala.» Silvia la raggiunse. «Parlami un po' di lei.»
Jenna prese un grosso respiro e guardò nel vuoto. Con lo sguardo assente, tornò con la mente ai suoi ricordi. «Lei è... » prese il labbro tra i denti con un mezzo sorriso. «Lei è diversa.»
«Beh, qualunque cosa sia, se fa questo effetto vorrei essere al tuo posto.» Si bloccò quando notò della perplessità nel suo sguardo. «Ovviamente se fosse un uomo.» Si schiarì la voce: «Continua pure.»
«Figurati», le sorrise, «a noi piacciono sempre le situazioni strane.» Sospirò. «Basta ora. Voglio solo tornare a casa e andare a dormire.»
«Ti dico che queste sono le migliori.» Michael aggiunse altre tre pistole al loro borsone. «Non hanno numero di serie e sono di ultima generazione. Nessuno potrà mai risalire a voi.»
«Michael, non stiamo andando in guerra.» Becky cercò di farlo ragionare.
«Non ti ho insegnato niente, se pensi che contrastare queste persone non sia come andare in guerra. Te l'ho sempre detto di non metterti contro di loro.» La rimproverò, proprio come avrebbe fatto un padre.
«Noi ce ne stavamo per i fatti nostri, prima che prendessero mio fratello», aggiunse Christopher, prendendo le parti della sua amica.
«Purtroppo il problema principale non è che hanno preso tuo fratello. Capisco che tu lo voglia ritrovare, ma quello che portava con sé, quando l'hanno preso, è il motivo per cui la squadra di Kathleen ha iniziato tutto questo.» Si passò una mano tra i capelli. «Non voglio che Becky diventi un danno collaterale», le rivolse uno sguardo preoccupato.
Lei si avvicinò e prese la sua mano. «Ti prometto che starò attenta.»
«Tu», indicò Christopher, «farai bene a proteggerla, o sarai il primo che verrò a cercare.»
Christopher sollevò il sopracciglio, sorpreso dal modo in cui si era rivolto a lui. «L'ho sempre fatto.»
Michael abbracciò Becky. «Bene. Ora andate a riposare, partirete domani mattina. Vi ho fatto preparare una camera in fondo al corridoio.»
I due lo ringraziarono, prima di dirigersi verso la stanza.
° ° °
«Perché non mi hai mai parlato del vostro rapporto?» Christopher uscì dal bagno indossando solo dei pantaloncini, mentre Becky era già sotto le lenzuola, nel suo letto.
«Non la ritenevo un'informazione rilevante, dal momento che lavoravamo in squadra con Kathleen. Loro sono, come dire, simili. Non avrebbe cambiato nulla, sapere che per me è come un padre. Se avessimo lavorato con lui, da quando ho conosciuto te e Marcus, te lo avrei presentato di sicuro come "mio padre".» Si girò dall'altro lato, volgendo lo sguardo verso la parete spoglia.
Il laboratorio nel quale li aveva condotti Michael era fornito di ogni tipo di comfort, ma in quanto all'arredamento, questo era davvero minimal. Visto dall'interno sembrava un bunker militare e quella stanza non era diversa da tutto il resto. I muri erano spogli e di un colore anonimo. Persino i letti erano costituiti da semplici brandine.
«Ho capito, non hai voglia di parlarne», concluse lui dopo averla vista dargli le spalle. Si tuffò sul proprio letto e si mise a fissare il soffitto. «Però credevo che ci dicessimo tutto.»
Becky si rigirò. «Cosa vuoi sapere?» si tenne sollevata su un gomito.
«Niente. Cioè, avrei voluto che mi avessi parlato di lui, dal momento che lo consideri come un padre.»
«Lo so e mi dispiace, davvero. Ma ti giuro che non c'è altro di me che non sai.»
«Quindi non mi dirai a cosa pensavi prima?» sorrise sornione.
«Prima?» Becky si sforzò di apparire stranita dalla sua domanda.
«Sei stata in silenzio per così tanto in auto, che ho dovuto mettere le cuffiette con la musica, per non addormentarmi al volante.»
Becky evitò di rispondere e sollevò le lenzuola per voltarsi dall'altro lato. «Buonanotte.»
«Tanto lo so che pensavi alla barista.» Una risata sfuggì al suo controllo. «Buonanotte», aggiunse soffocando un'altra risata. Spense la luce e la stanza divenne buia.
Il viaggio fu lungo e arrivarono all'appartamento solo verso sera.
Christopher lanciò il borsone sul divano e andò a prendere una lattina di cola dal frigo «Lo sai, mi è mancato questo posto.» Si lasciò cadere accanto al borsone, scalciò via le scarpe e poggiò i piedi sul tavolino basso. «Non credevo di potermici affezionare. Sarà dura lasciarlo, quando sarà il momento.»
Quando finalmente si voltò verso l'ingresso, si rese conto che stava parlando da solo.
Becky aveva di nuovo fatto voto di silenzio per tutto il viaggio e lui non capiva se fosse preoccupata per la situazione o se, semplicemente, per la prima volta avrebbe voluto solo vivere la propria vita senza la continua preoccupazione che qualcuno potesse trovarli.
Christopher si sentì in colpa per averla trascinata nel suo inferno personale.
Di solito accettavano dei piccoli incarichi che portavano a termine nel giro di qualche giorno, al massimo una settimana.
Questa volta invece, la ricerca di Marcus li aveva tenuti impegnati per più di un anno.
Tornò con la mente a quel giorno...
[Avrebbero dovuto solo consegnare una valigetta, ma non ci era voluto molto a capire che quello che avevano assegnato a Marcus era qualcosa di molto grosso.
Già dai loro primi spostamenti, avevano incontrato delle difficoltà. Del percorso che avrebbero dovuto seguire, molte strade erano state chiuse. Prima lavori di manutenzione stradale, poi posti di blocco.
Tutto era stato studiato per condurli fino alla tana del lupo, dove un gruppo di almeno sei uomini, quelli che era riuscito a contare, li avrebbe braccati e derubati della piccola valigetta che trasportavano.
A nulla era servito ribellarsi. Solo Marcus era stato in grado di seguirli, restando aggrappato alla porta del loro blindato e venendo trascinato per qualche metro, prima di essere inghiottito al suo interno e sparire dalla circolazione.
I colpi d'arma da fuoco sparati nella loro direzione erano andati a vuoto e si maledisse per non essere stato in grado di aiutare suo fratello. Quando furono raggiunti dalla squadra di Kathleen, Becky era sdraiata sull'asfalto, tra le sue braccia, e una macchia di sangue si era allargata su tutta la maglia.
"Ha un proiettile tra le costole", aveva riferito, prima di perdere i sensi e accasciarsi accanto a lei.]
La porta si aprì e Becky uscì dal bagno avvolta da un grosso telo di spugna. «Senza Kathleen dovremmo vedercela da soli. Presto toccherà spostarci, ma se per te va bene, vorrei tenere questo appartamento.» Tamponò i capelli umidi.
«Ti chiedo scusa», disse Christopher, senza neanche alzare lo sguardo su di lei, «è colpa mia se ti hanno sparato ed è colpa mia se ora siamo in questa situazione.»
Becky sospirò e andò a sedersi accanto a lui. «Sai, a volte mi chiedo se non sia stata questa vita a scegliere me. Il giorno prima ero una bambina come tante, con dei genitori stupendi, e quello dopo era tutto finito.» Fece un sorriso amaro. «Michael è stato fantastico con me, ma la sua vita è diventata anche la mia. Niente di tutto questo è colpa tua; perciò non scusarti. Anzi, sono felice di avere te come compagno di viaggio.» Gli diede una spintarella con la spalla e sorrise ancora, ma questa volta fu un vero sorriso. «Grazie.»
Christopher l'abbracciò così forte da farle quasi mancare il fiato.
«Dovresti uscire», le suggerì, per poi mettersi in piedi e togliere la maglia. «Vado a farmi una doccia. Non voglio trovarti qui quando uscirò.»
«Chris io... »
«Cosa? Vuoi dirmi che non muori dalla voglia di vederla?»
Becky sbuffò. Si stese sul divano e si portò le mani alla testa. «Non voglio trascinarla in tutto questo.»
«È adulta Bek, può decidere da sola.»
«Stai suggerendo di raccontarle tutto?» si sollevò di colpo. «Sei impazzito?»
Lui si avvicinò di nuovo. «Così non ci perderai solo tempo», concluse e la lasciò lì, presa dai suoi infiniti ragionamenti, come faceva ogni volta che c'era una decisione da prendere.
Becky aveva un istinto fuori dal comune e nelle situazioni impreviste prendeva al volo decisioni che li avevano salvati più volte di quante ne potesse contare; ma quando si trattava di sentimenti non riusciva a sfruttarne appieno il potenziale.
Christopher le aveva lasciato una grossa decisione da prendere. Ripensò a Jenna.
Era così solare e la timidezza che la colpiva ogni volta che lei era nei paraggi la faceva sorridere. Quanta dolcezza nei suoi occhi e quanta vita da vivere serenamente.
La serenità, quella gliel'avrebbe portata via, così come la libertà di poter scegliere dove andare, come andarci e con chi.
Avrebbe davvero chiesto a Jenna di sacrificare tutto questo per lei? Per una ragazza che con tutta probabilità se non l'avesse incontrata sarebbe rimasta in città giusto il tempo di un paio di birre?
«Beh, non c'è molto su cui riflettere» disse fra sé e sé.
• • •
Il blindato mandato da Michael aveva appena consegnato la sua nuova motocicletta, una Honda CB500F alla quale aveva chiesto di apportare alcune modifiche, e lei la stava ispezionando in ogni suo piccolo dettaglio. Gli occhi le brillarono come due stelle e Christopher non riuscì a trattenere un sorriso. «Credo di non averti mai vista così felice.»
«Questo perché non lo sono mai stata di più.» Sorrise maliziosa e salì in sella, senza mai distogliere lo sguardo dal suo nuovo gioiellino.
Avvolse le dita intorno alle impugnature del manubrio e strinse forte, poi fece scivolare la mano su tutta la parte anteriore della carrozzeria. Questo le provocò un brivido lungo la schiena.
Aveva sempre amato quei bolidi così veloci che la facevano sentire viva, libera. Incrociò lo sguardo di Christopher, sciolta dall'ipnosi in cui era caduta e sorrise ancora. Girò la chiave e la moto si accese.
«Credo che andrò a fare un giro di prova.»
Indossò il suo casco integrale e, in men che non si dica, stava sfrecciando in sella al suo bolide.
Tutto sembrò scivolarle addosso, mentre il vento portava via con sé ogni pensiero. L'unica cosa che proprio non riusciva a lasciare la sua mente era Jenna. Andare in moto era sempre stato un modo per sentirsi più leggera, mentre ora il peso delle sue decisioni era così grande da non lasciarle un attimo di tregua.
Continuò a guidare, zigzagando tra le auto. Diede uno sguardo allo specchietto e si rese conto di non essere più sola. Un blindato la seguiva.
Un sorpasso a destra, uno a sinistra, e poi di nuovo a destra. Colpi lunghi di clacson rimbombarono nelle sue orecchie quando svoltò senza preavviso per prendere la prima uscita disponibile.
Per un attimo un camion le coprì la visuale e quando si spostò si accorse che il blindato era sparito. Li aveva seminati o erano loro ad averla lasciata andare?
Proseguì nella guida, cambiando di continuo direzione e destinazione, fino a quando fu sicura di non avere più nessuno alle calcagna.
Tornò indietro, fece qualche giro di controllo e alla fine decise di fermarsi.
Non riusciva a crederci, era di nuovo lì davanti al The Flick.
Restò a guardare l'insegna per qualche minuto, poi sfilò il casco e i capelli ricaddero liberi sulla sua schiena.
Portò la moto sul retro per nasconderla alla vista di malintenzionati e fu in quel momento che Jenna uscì dalla porta, trasportando con difficoltà due bustoni della spazzatura.
«Becky!» restò impalata.
Lei strinse la coda di cavallo e accennò un sorriso. «Ti serve una mano con quelle?» indicò le buste.
Jenna le lasciò cadere e si lanciò verso di lei per stringerla in un abbraccio.
Becky venne colta di sorpresa da tanto entusiasmo e restò ingessata per qualche istante, poi cedette alla sua dolcezza e ricambiò l'abbraccio.
«Credevo che non ti avrei più rivista», confessò un po' imbarazzata la barista.
Becky si diede un tono, ma non riuscì a restare impassibile alla sua dolcezza. «Non sarei mai andata via senza salutare un'amica. Anche se ci siamo appena conosciute.»
A quelle parole, Jenna fece un passo indietro. «Già.» Si sforzò di sorridere, rendendosi conto di quanto fosse prematuro il suo atteggiamento.
Becky sollevò i bustoni e gettò via la spazzatura al posto suo. «Lo so che è quasi orario di chiusura, ma posso chiederti una birra?»
Jenna aprì la porta «dai, entra. Ti preparo qualcosa», gliela tenne aperta e aspettò che entrasse.
«Ti ringrazio.» Quando superò l'uscio, Becky le sfiorò la mano e i suoi occhi grigi si immersero in quelli color ambra della barista, che sentì una morsa allo stomaco.
«Figurati», riuscì a dire a fatica, provando a ignorare la voglia che sentì di baciarla.
Becky aveva usato la parola "amica", ma tutto ciò che lei riusciva a sentire era l'attrazione che provavano l'una per l'altra.
Perché parlare di amicizia, se era evidente che quando la guardava Becky si tratteneva dal baciarla? Si stava forse immaginando tutto?
La seguì pensando ancora alle sue parole, ma più ci pensava e più si convinceva che non si stava sbagliando.
Becky la guardava mentre le sue mani tremanti preparavano il drink che le aveva promesso, con la testa bassa e il pensiero indirizzato a quella sera, sedute l'una di fronte all'altra.
Quando allungò la mano per servirle il drink, senza alcuna esitazione, Becky spostò il bicchiere e le afferrò il polso.
In un batter d'occhio si era alzata dallo sgabello e con una piccola spinta si era sporta oltre il bancone.
Le loro labbra si erano toccate e il cuore le sembrò scoppiare.
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