28.
Aveva cominciato a piovere.
L'ora era tarda e con il buio che avanzava non si riusciva a capire quando avrebbe smesso.
Silvia camminava da un'ora. Si era lasciata la nuova base alle spalle, senza voltarsi neanche per un momento. Sapeva che se l'avesse fatto, non sarebbe più riuscita ad andare via.
Nella pioggia sempre più fitta, l'insegna luminosa di un diner attirò la sua attenzione e per scampare all'acquazzone che stava arrivando vi entrò senza ulteriore indugio.
Rovistò nelle tasche, alla ricerca di qualche soldo. Una bella tazza di tè fumante l'avrebbe aiutata a riscaldarsi.
Si recò al bagno. I capelli neri e lunghi erano bagnati, mentre i calzini avevano assorbito tutta l'acqua entrata nelle scarpe.
Prese un grosso respiro. Non era di certo un bagno di lusso, ma neanche uno dei peggiori che avesse mai visto. Con un po' di attenzione e aiutandosi con le salviette monouso, sarebbe riuscita a sistemarsi.
Adagiò un pezzo di carta sul lavabo e vi posò lo zaino. Cambiò la felpa bagnata e i calzini con degli altri asciutti. Aprì lo zaino e cercò gli indumenti puliti, ma si bloccò. Oltre a quello che aveva già preso, c'era solo la giacca di Christopher. Rovistò più a fondo.
«Cazzo!» Smise di scavare e lasciò penzolare le braccia lungo i fianchi.
Nella fretta di andare via, aveva dimenticato il suo quaderno; quello dove appuntava le idee per dei nuovi capitoli del suo romanzo.
«Che stupida.» Prese la giacca di Christopher tra i pugni. «Perché mi sono ricordata di una stupida giacca e non dei miei appunti?» scosse il capo, arrabbiata con se stessa. Si rassegnò presto all'idea di averli persi per sempre e si sistemò i capelli, frizionandoli con i pezzi di carta. Quando decise che fosse abbastanza presentabile, rimise in ordine e uscì dal bagno a gran passo. Infilò la mano in tasca e ne tirò fuori qualche spicciolo, che sarebbe bastato per il suo tè, e lo ordinò. Si sedette al tavolo più vicino e attese. Fece un altro grosso respiro.
Finalmente non avrebbe più dovuto sottostare alle regole assurde di un gruppo di pericolosi fanatici. Avrebbe vissuto la propria vita da persona libera. Il suo cellulare era andato perso ormai e raggiungere il Connecticut sarebbe stato solo un errore. Ora poteva andare ovunque volesse.
Allora perché si sentiva così in colpa?
Lasciare Jenna in quel grosso guaio era stata una mossa infame. Avrebbe voluto averla accanto per sempre. Purtroppo però, la sua amica aveva preso una decisione e sapeva che non c'era nulla che avrebbe potuto fare per farle cambiare idea.
Forse la sua vecchia vita un po' le sarebbe mancata; tutto sommato c'erano stati anche tanti bei momenti da ricordare.
Le immagini dei baci di Christopher di colpo le assalirono la mente. Chiuse gli occhi e deglutì con fatica.
Forse Jenna non sarebbe stata l'unica a mancarle. Scosse la testa per mandare via quei pensieri e la rabbia prese il controllo delle sue emozioni. «Che stronzo» sussurrò, ricordandosi del perché aveva preso la decisione che l'aveva condotta lontano da lì.
Una lacrima rigò il suo viso e la spazzò via con la mano.
«Ti prego, dimmi che l'hai trovata.» Con una mano Jenna tenne il satellitare all'orecchio, mentre si posò l'altra sul petto.
«Non ancora, ma sono sicura che non sia lontana.» Becky cercò di tranquillizzarla. La voglia di stringerla fra le braccia era assillante. Odiava stare lontana da lei.
«Spero che stia bene.» L'ormai ex barista lanciò un'occhiataccia a Christopher che se ne stava in silenzio in attesa di notizie.
«Stai tranquilla. Silvia sa badare a se stessa.» Becky la tranquillizzò ancora, prima di chiudere la telefonata.
«Spero davvero che stia bene. Non te lo perdonerei mai, se le accadesse qualcosa.» Jenna si avvicinò a Christopher, con aria minacciosa. «Credevo che fossi la persona giusta per lei. A quanto pare mi sbagliavo.» L'espressione sul suo volto cambiò, mutando in una maschera di tristezza.
Lui abbassò lo sguardo sul satellitare che aveva tra le mani e, in religioso silenzio, lasciò la stanza.
«Mi dispiace, ma stiamo chiudendo.» Una giovane donna con un sorriso cortese le si avvicinò.
Silvia si mise in piedi. «Ma certo, scusami.» Prese il suo zaino. «Sapresti indicarmi un motel nei paraggi? Uno che costi poco», sorrise imbarazzata.
La ragazza, molto gentile, le diede le indicazioni che aveva chiesto e Silvia andò via dopo averla ringraziata.
Finalmente aveva smesso di piovere, ma le scarpe le avevano inzuppato di nuovo i calzini. Sentì un brivido lungo la schiena.
«Prima arrivo al motel, prima potrò asciugare a dovere le mie cose.» Prese un grosso respiro e s'incamminò lungo la strada.
Aveva con sé la sua carta, ma le restava ben poco da poter spendere. Erano mesi che non lavorava a pieno regime e in quel momento avrebbe dovuto limitare le spese. Prendere un taxi le avrebbe fatto risparmiare del tempo, ma poi avrebbe dovuto pagare il motel, il cibo... Non c'era momento migliore per imparare a fare economia.
Cercò il lato positivo della situazione e lo trovò in una sola parola: libertà. Posto nuovo, vita nuova, una nuova sé.
La casa di notte sembrava spettrale.
L'elevato sistema di sicurezza permetteva di rilassarsi e avere solo due vigilanti che facevano a turno per tenere tutto sotto controllo.
Christopher percorse il corridoio deserto, spingendosi sulla carrozzina. Aveva passato l'intera serata a esercitarsi con la stampella fino allo sfinimento, dannandosi per non aver accompagnato Becky.
Raggiunse la camera di Silvia e vi entrò.
Avrebbe cercato un indizio o qualunque cosa gli facesse capire dov'era diretta.
Ripensò alle riprese delle telecamere di sorveglianza. Per come scappava, dubito che abbia pensato a dove andare, riflettè. «Voleva solo allontanarsi da qui più in fretta possibile.» Diede un colpo alla scrivania e il quaderno di Silvia cadde sul pavimento. Lo raccolse. Sfogliò le pagine e riconobbe la sua calligrafia. Scarabocchi, cancellature e due fogli svolazzanti, ne riempivano l'interno. Afferrò uno dei due fogli e lo lesse.
Ogni cosa di lui la infastidiva. La vita che conduceva, le persone che frequentava, la sua aria arrogante e saccente.
Avrebbe potuto prenderlo a schiaffi per ore, ogni volta che si comportava come se ogni donna lo desiderasse; ma c'era una cosa che la infastidiva più di tutte.
Ogni volta che lui sorrideva, il suo cuore saltava un battito.
Ogni volta che la sfiorava, sentiva le farfalle nello stomaco.
Ogni volta che si guardavano, lei lo sapeva; sapeva che si desideravano.
Quello che la infastidiva di più, comprendeva tutte queste cose, perché a causa di esse lei aveva capito di amarlo.
Era questo, proprio questo, che la infastidiva di più.
Allora capì che avrebbe dovuto indurire il proprio cuore, perché sapeva che lui amava un'altra e non sarebbe mai stato suo.
Christopher sospirò sconfitto e sentì un groppo in gola. Sapeva che Silvia scriveva, ma leggere quelle parole lo fece sentire tirato in ballo. «È questo che pensa?» chiuse gli occhi e si appoggiò allo schienale della sedia.
Nel frattempo, Jenna era rimasta a distanza a osservare la sua reazione. Aveva trovato il quaderno di Silvia sotto il suo cuscino e lo aveva messo di proposito in bilico sulla scrivania. A quanto pareva Becky aveva ragione a pensare che Christopher sarebbe andato in camera di Silvia a cercare una pista. Era stato in quel momento che le si era accesa la lampadina.
Forse così capirà quanto sta per perdere, aveva pensato.
Christopher ripiegò il foglio in quattro e lo infilò in tasca. Quando fece per girarsi e uscire dalla stanza, Jenna era già andata via.
Becky corse verso il diner. «Salve», giunse in affanno.
La ragazza occhialuta la guardò interrogativa. «Ciao. Mi dispiace, ma siamo in chiusura», l'aggiornò con tono sommesso.
Becky scosse il capo mentre cercava di riprendere fiato. «In realtà volevo chiederti se per caso si è fermata qui una ragazza dai lunghi capelli neri e due occhi color smeraldo. Dovrebbe indossare una felpa scura e portare i capelli legati in una coda. Portava...» fece dei gesti per mimare lo zaino in spalla, «portava uno zaino.»
La ragazza non dovette pensarci tanto, prima di rispondere. Silvia non era una che passava inosservata, anche se per nulla appariscente. «E aveva un berretto verde scuro?» Quando Becky annuì, lei continuò: «È andata via circa mezz'ora fa. Era diretta al Moon Motel.»
Becky trafficò con il cellulare. «Perfetto, grazie.» Fece per raggiungere la moto che aveva lasciato a ridosso della strada, ma la ragazza la fermò.
«Non le farai del male, vero? Mi sembrava così dolce.»
«In realtà sto cercando di proteggerla.»
La ragazza annuì appena, ancora dubbiosa, e la lasciò andare.
Il satellitare di Becky cominciò a suonare. Salì in sella alla sua moto e rispose alla chiamata: «Cosa c'è?»
«Riportamela sana e salva.» A Christopher morirono le parole in gola, con l'atteggiamento di chi ha capito di aver perso l'occasione più grande della propria vita.
Becky ammorbidì il tono e lo tranquillizzò: «Contaci.» Diede gas al motore e partì a tutta velocità.
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