24.
Christopher si era svegliato all'alba e si era recato nella stanza adibita a sala controllo.
Tutta la sua strumentazione elettronica era stata disposta in modo ordinato e funzionale, ma soprattutto adeguata alla nuova condizione. Sbuffò un sorriso, immaginando Marcus concentrato e premuroso, aggettivi che poco gli si addicevano. Suo fratello sentiva di avere qualcosa da farsi perdonare e ce la stava mettendo tutta per riuscirci.
Andò ad osservare più da vicino, incuriosito dalle apparecchiature nuove a lui sconosciute. Dovevano essere quelle di Marcus, che sembravano riempire perfettamente gli spazi vuoti lasciati dalle sue. C'era poco da ragionarci su, erano due facce della stessa medaglia. Così diversi, ma anche tanto simili. Lasciò scivolare la mano sulla tastiera e per un istante si sentì ottimista, pronto ad affrontare qualunque sfida, affinché potesse ritornare alla sua vecchia vita. Il silenzio della sala cullò i suoi pensieri.
Cominciò a battere freneticamente sui tasti, spostandosi da una schermata all'altra per verificare il livello di sicurezza che avevano adottato fino a quel momento. Scosse il capo quando notò delle grosse falle e con ritrovato entusiasmo si mise a modificare i codici di programmazione.
Come una palla da ping pong, si occupava di più cose nello stesso tempo e si rese conto di quanto gli fosse mancato quel lavoro. Certo non poteva più unirsi all'azione, almeno per il momento, ma lui non era solo quello. Era molto di più ciò che poteva fare per aiutare i suoi, ma anche per sentirsi utile e apprezzato. Iniziava a rendersene conto.
~
Finalmente aveva finito. Si spinse più in là e, con le mani dietro la nuca, osservò il grande lavoro che aveva appena terminato. Una creazione che lasciava senza parole. Soddisfatto, prese un bel respiro profondo.
Ma non era tutto. Si rese presto conto che c'era stata una sola volta in cui si era sentito così soddisfatto, nell'ultimo periodo.
La sua espressione cambiò subito, quando si ricordò dello sguardo triste di Silvia.
Le cose che aveva detto di lei, quelle le aveva pensate davvero. Ma ci credeva sul serio? Scosse il capo. Fece ruotare la sedia, intenzionato ad andare a chiarire le cose.
Guardò l'orologio al suo polso. Senza che se ne fosse reso conto, aveva trascorso le prime ore del giorno davanti ai computer. Si chiese se Silvia fosse già sveglia, dal momento che erano appena le sette. Riflettè per un istante e decise che ci avrebbe provato ugualmente.
Diede delle forti spinte alla sedia, nell'intento di arrivare da lei il prima possibile, quando uno degli uomini di Michael gli si parò davanti e si avvicinò furtivamente. «Ho qualcosa per te», gli mostrò un satellitare. Christopher lo guardò interrogativo e lui continuò: «Mi ha raccomandato di dartelo appena fossi stato solo.» Glielo indicò. «Era preoccupata per te.»
«Lo sai che ci stiamo nascondendo da tutti, vero?» lo afferrò per il braccio. «Dovrei buttarti fuori a calci.»
L'uomo, poco più che ventenne, cercò di liberarsi. «Anch'io sono capace di alcune cose. Credi di essere l'unico in grado di comunicare con la tecnologia?» Finalmente riuscì a liberarsi. «Non può essere rintracciato», si schiarì la voce, «il numero è già salvato.» Si sistemò il giubotto e andò via.
Christopher se lo rigirò tra le mani. Quell'apparecchio poteva anche essere sicuro, ma lui non lo era affatto. L'ultima volta che aveva parlato con Kathleen, aveva messo un punto alla loro relazione, di qualunque natura fosse. E non solo.
L'avevano lasciata sola, con decisioni difficili da prendere e senza una squadra sufficientemente preparata alle missioni più complesse che avrebbe dovuto intraprendere. Però ora la rabbia che aveva provato per il rischio a cui li aveva esposti era scemata.
Tornò a guardare l'orologio. Era trascorsa un'altra mezz'ora. Sbloccò il cellulare ed entrò nella rubrica. Come gli aveva riferito il ragazzo, c'era un solo contatto, quello salvato come "Kat". Abbreviazione con la quale lei si faceva chiamare solo da pochi eletti. Non vi erano dubbi che fosse stata Kathleen stessa a salvare il numero e a recapitare il cellulare nelle mani del ragazzo prima, e nelle sue poi.
Rimase a osservare quelle cifre per qualche istante, poi prese un grosso respiro e si decise a far partire la telefonata.
«Santo cielo, finalmente!» Kathleen rispose subito.
Jenna si accomodó sul bordo del letto, mentre Silvia si vestiva. «Quindi cos'hai deciso?» chiese all'amica.
«Volevo aspettare che lui venisse a parlarmi, ma ho deciso che stavolta sarò io a fare il primo passo.»
Jenna si mise in piedi e l'aiutò a sistemare la camicetta. «D'accordo. Sai già cosa gli dirai? Insomma, vuoi stare con lui oppure no? Qual è la tua decisione?»
Silvia la guardò negli occhi. «Non credo di avere molta scelta. A questo punto sarebbe sciocco tornare indietro e rinunciare.»
Jenna le sorrise con la sua immensa dolcezza. «Vedrai che anche lui sarà del tuo stesso avviso», le fece una carezza.
«Lo spero.»
Uscirono insieme dalla stanza e incrociarono subito Becky nei corridoi.
«Silvia!» si avvicinò. «Come stai?»
Lei abbozzò un sorriso. «Bene.»
«Sappi che gli ho già fatto la ramanzina», aggiunse ironica.
«Ne sono certa e, anche se non ce n'era bisogno, grazie.»
«Quando vuoi», sorrise ancora.
«A tal proposito», s'intromise Jenna, «sai dove può trovarlo?»
«Vuoi andare a parlargli?» chiese sorpresa.
Silvia annuì decisa.
Quando si accorse che uno degli uomini di Michael stava per entrare nella stanza delle armi, Becky afferrò al volo l'occasione per chiedergli di accompagnare Silvia nella sala degli addetti alla sicurezza, dal momento che aveva convinto Christopher a rimettersi al lavoro. Le era stato riferito che, ancor prima che sorgesse il sole, lui si era messo a lavoro senza sosta, portando a termine i suoi obiettivi.
Se c'era una cosa di cui era sicura, era che di lui si sarebbe sempre potuta fidare, anche se qualche volta era complicato farlo ragionare. Non c'era compagno migliore.
«Allora ci vediamo più tardi.» Silvia salutò entrambe, prima di lasciarsi guidare dall'uomo.
~
L'abitazione era grande, ma la strada che la conduceva da lui sembrava infinita. Ormai c'erano uomini ovunque e solo ogni tanto, si vedeva qualche donna, ma quelle che c'erano la guardavano giudicanti. Sapeva di essere abbastanza fuori posto, anche se doveva ammettere di essersi sempre saputa difendere bene, quando l'occasione l'aveva richiesto. Per tutta la vita, aveva dovuto guardarsi le spalle. Forse era arrivato il momento di cambiare le carte in tavola, di rilassarsi e godersi dei veri sentimenti.
Christopher si sbagliava su di lei e glielo avrebbe dimostrato. Perché di una cosa era sicura, voleva dare una possibilità a entrambi.
«Siamo arrivati. Alla fine di questo corridoio, troverà la stanza che cerca.» L'uomo le indicò l'ultimo metro e mezzo che la separava dalla sua nuova vita. Il cuore cominciò a battere all'impazzata. Sentì il fiato accorciarsi e le mani sudare. Lentamente si avvicinò alla porta e sollevò il pugno per bussare.
«Kat...» Sentì la voce di Christopher colpirla come una lama al petto. La mano si bloccò a mezz'aria e un nodo le strinse la gola. Come aveva fatto a mettersi in contatto con lei?
Le tornò alla mente la foto, la dedica, il libro. Si ricordò dei loro scambi di sguardi e di come l'aveva provocata per farla ingelosire. E ora tutto questo faceva così male, da ostacolarle il respiro.
Dall'altro lato della porta, Christopher continuava a pronunciare parole poco comprensibili, se non per certi momenti in cui gli aveva sentito dirle di aver rinunciato a loro a causa sua, perché era quella che non riusciva a lasciarsi andare, tra i due.
Silvia si sentì un ripiego, il premio di consolazione quando quella che realmente vuoi non è raggiungibile. Non una scelta voluta, ma una capitata. I suoi occhi si fecero liquidi e una lacrima le scivolò lungo il viso. A quanto pareva era davvero solo una sfida. Dopotutto, era stato lui stesso a dirlo.
Fece penzolare le braccia lungo i fianchi, sconfitta.
Senza attendere un minuto in più, corse in camera sua. Aprì l'armadio con difficoltà.
Gli occhi erano così pieni di lacrime, che faceva difficoltà a vedere. Un po' a caso, iniziò a tirare via le poche cose che aveva e a metterle nel borsone che teneva sotto al letto. «Che se ne vadano al diavolo entrambi», disse singhiozzando, mentre prendeva le ultime cose. Si fermò per un solo istante. Se ne sarebbe davvero andata senza salutare la sua migliore amica?
Venne assalita dai sensi di colpa, che non fecero altro che peggiorare il suo stato d'animo.
Ancora una volta, diede libero sfogo alla propria frustrazione, lasciandosi andare a un pianto liberatorio.
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