13.
*** In questo capitolo sono presenti descrizioni di scene esplicite. ***
«Becky!» Jenna si sollevò, ritrovandosi in un letto morbido e caldo.
Becky corse da lei. «Sono qui», le si sedette accanto e la strinse a sé, «ora sei al sicuro.»
«Ero così preoccupata per te.» Alzò gli occhi nei suoi e le chiese: «Hai curato le ferite?» Le ispezionò il volto, illuminato da un sorriso appena accennato.
«Sto bene.» Le diede un bacio a stampo. «Eri preoccupata per me, nonostante ciò che ti stavano facendo?» La baciò di nuovo, lentamente, per assaporare le sue labbra carnose.
Jenna si lasciò trasportare dalla lentezza affettuosa di Becky, felice di poter sentire ancora le sue carezze. Poi tutt'a un tratto si bloccò. «Aspetta! C'è qualcosa che devo dirti.» Becky attese che continuasse.
«Marcus... Lui non mi ha fatto nulla.» Raccolse i suoi pensieri e ricominciò: «Voglio dire, mi ha spaventata a morte, facendomi credere che mi avrebbe torturata.» Si coprì il volto con le mani e lo strofinò. «Mi ha trascinata contro la mia volontà in una stanza enorme con un giardino finto», prese le mani di Becky tra le sue, «mi ha bendata e legato i polsi. Ho anche sentito la voce di una donna, ma non capivo di cosa parlassero.»
«Aspetta che li trovi e vedrai.»
Jenna si mise in piedi e la fermò: «No, Becky. Sto cercando di dirti che era tutta una messa in scena. Mi hanno messa su una sedia e poi bagnata con acqua fredda. Ero spaventata e ho urlato il tuo nome, ma non è successo altro.»
«Non capisco», la raggiunse, «cosa stai cercando di dirmi?»
Jenna prese il suo viso tra le mani e chiarì il punto: «Sto dicendo che avevi ragione», le sorrise, «Marcus non ha mai voluto farvi del male, anche se non sono riuscita a capire perché stia facendo tutto questo», riflettè.
«Io credo di averlo capito.» Prese le sue mani e se le posò sul petto. «C'è di mezzo una donna», le sorrise ancora, rapita dai suoi occhi color ambra.
Jenna sentiva i battiti del suo cuore sotto il palmo della mano. Ogni volta che Becky la guardava, provava una voglia matta di baciarla. E non dovette attendere a lungo, perché prima che potesse dire o fare qualsiasi cosa, Becky posò la mano dietro la sua nuca e l'attirò a sé per baciarla.
«So che è così, perché anche io andrei nella tana del lupo per te» le confessò, facendole salire i brividi lungo la schiena. La baciò di nuovo, con urgenza.
Jenna le buttò le braccia al collo e le mani di Becky trovarono via libera, scivolando lungo la sua schiena, per finire sul sedere tondo.
Prese con più foga le sue labbra, lasciando che la lingua scivolasse nella bocca per unirsi a quella di lei.
Ripresero fiato e si guardarono negli occhi.
Becky le spostò i capelli dal viso e le sorrise. «Non sono una che si fa prendere facilmente o che intraprende relazioni serie, ma tu hai cambiato il mio modo di vivere.» Le diede un altro bacio. «Ora sì, è il momento giusto», le carezzò il viso, «ti amo.»
Il cuore di Jenna saltò un battito, era rimasta a bocca aperta. La donna che aveva davanti, quella che le aveva fatto perdere la testa, quella della quale non riusciva più a fare a meno, le aveva appena detto di amarla. Sentì un senso di vuoto allo stomaco e deglutì sonoramente. Stavolta fu lei a baciarla, ricambiando il suo sorriso. «Non ho mai amato nessuna in vita mia, ora lo so. Sei l'unica. Ti amo, Rebekah.»
Di nuovo l'aveva chiamata con il suo nome completo. Come poteva una cosa così semplice, farla eccitare in tal modo? Il suono stesso che produceva la bocca di Jenna, le causava un aumento dei battiti. Era ingestibile, assurdamente eccitante.
E Jenna capì tutto dal suo sguardo.
I suoi occhi grigi sembravano più caldi e la guardavano con avidità.
Becky fece guizzare la mascella, prima di stringerla a sé per baciarla ancora, divorando le sue labbra piene e succose.
«Volevo lasciarti riposare», disse contro la sua bocca.
«Non ne ho bisogno» rispose Jenna, continuando a baciarla.
Si staccò da lei per guardarla negli occhi. «Allora di cosa hai bisogno?» chiese col fiato corto.
«Ho bisogno di te.» Cercò le sue labbra, respirando a fatica. «Voglio fare l'amore con te tutta la notte», confessò in un soffio.
Becky sentì un'altra stretta tra le cosce. Il suo cuore era impazzito. Baciò Jenna, affamata della sua bocca, e la fece indietreggiare fino al letto.
Le mani scivolarono sotto la sua maglia, gliela sfilò e la gettò via.
Guardò i suoi seni abbondanti, mentre tirava via anche la sua maglia, li afferrò e ne succhiò le punte turgide.
Lei gemette. Completamente persa, socchiuse gli occhi e inarcò la schiena.
Con la lingua, Becky seguì il profilo dei suoi seni, per poi scendere verso l'ombelico e infine incontrò i bordi dei pantaloni e delle mutandine.
Li calò entrambi, con uno strattone che fece gemere ancora Jenna.
Le sue pieghe strette erano così bagnate da riflettere la luce fioca della stanza.
Becky sospirò a quella vista. Le afferrò le cosce, aprendole un poco, e alzò lo sguardo.
Lei la stava guardando e attendeva con le labbra socchiuse.
Quando incrociò i suoi occhi, deglutì e di tutta risposta, si bagnò ancora di più.
Era impaziente, sopraffatta dall'eccitazione, e la sua compagna non si fece pregare.
Prese una gamba e se l'adagiò sulla spalla, facendola sussultare.
La sua donna aveva imparato presto quel nuovo modo di fare l'amore e non riuscì a controllare il suo bacino, che iniziò ad oscillare finché non sentì montare l'orgasmo dentro di sé.
Becky godé di ogni attimo di piacere.
Avrebbe dovuto sentirsi appagata almeno per dieci minuti, ma Jenna era già pronta per il secondo round.
Ne fu estasiata e divorò ancora le sue labbra. La invitò a stendersi sul letto e si insinuò tra le sue cosce, guardando sobbalzare i suoi seni pieni.
Jenna le tirò via i pantaloni e la spinse di schiena sul letto, finendo a cavalcioni su di lei e provocandole un gemito.
Becky fece scivolare le mani lungo le sue cosce, per fermarsi all'inguine e massaggiarlo, con i pollici rivolti verso le sue pieghe, di nuovo unte dai suoi umori.
Tremante, intrecciò le gambe con le sue.
«Sei così calda» le sussurrò, per poi accompagnarla nei movimenti.
Sentì la sua morbidezza e i suoi umori che la ungevano. Afferrò i seni di Jenna e li strinse un po', mentre con l'altra mano le diede un piccolo schiaffetto sul sedere, avendo come risultato quello di farla bagnare ancora di più e Jenna si morse il labbro.
Becky la sollevò per un braccio e la fece sdraiare su di sé a pancia in giù.
Gemettero all'unisono, accarezzandosi a vicenda. Sfinite, ma perdutamente innamorate e appagate.
Jenna le scivolò tra le braccia, cercando la sua bocca per baciarla. «Non smetterei mai» ammise, ancora in affanno per l'intensità del loro rapporto.
Becky sorrise e ricambiò i baci. «Chi ha detto che abbiamo finito?» sorrise ancora. «Ci stiamo solo ricaricando.» La tenne stretta a sé, con la schiena attaccata al suo petto.
A quelle parole, Jenna sentì che non ci sarebbe voluto poi tanto. La sua compagna la rendeva felice in ogni modo possibile. La guardava sempre con desiderio e, quando erano insieme, cercava sempre il contatto fisico con lei, anche solo poggiando una mano sul suo fianco o abbracciandola da dietro.
Sorrise, e le sue fossette si evidenziarono, facendo sciogliere il cuore di Becky, che la guardava dall'alto, poggiata su un gomito.
«Tu non sai quanto mi eccitano i tuoi sorrisi maliziosi» le sussurrò all'orecchio, prendendo il lobo tra i denti, per poi succhiarlo dolcemente e farla sussultare. «Stai rischiando grosso» le baciò il collo e la strinse al petto. «Ho tante cose ancora da mostrarti.»
A quelle promesse dette in un fiato, Jenna non resistette più. Fece scivolare una mano fra di loro per poterla toccare, scoprendo che anche lei era di nuovo pronta. «Ci sono cose che ancora non abbiamo fatto?» chiese sussurrando.
Becky le sollevò il mento e prese la sua bocca. Ancora la lingua cullò quella di lei.
Jenna esalò un respiro, sorpresa da quanto si sentisse eccitata. Le guance s'infuocarono.
«Stai bene?» le chiese premurosa la sua compagna e lei annuì, persa nel piacere.
Ben presto, i gemiti sostituirono le parole.
La rossa era estasiata. Fino a quel momento aveva solo sentito parlare di certe cose e non avrebbe mai creduto che potessero eccitarla tanto.
L'unica ragazza che aveva avuto prima di Becky, era stata Denise e lei di certo non osava tanto; mentre ora aveva perso il controllo e si lasciava trasportare dai gemiti e dal lungo orgasmo che riempì la stanza di urla di piacere.
Pronunciò il nome di Becky per intero, ottenendo come risultato che lei mettesse più intensità nei suoi gesti, facendole arrivare un altro orgasmo.
Strinse le lenzuola nei pugni e inarcò la schiena. Era sfinita, completamente persa, appagata come mai prima. La guardò, sorpresa da come si sentiva, da quello che provava; felice di averlo vissuto con lei e di non aver rinunciato a nulla.
Per la prima volta Becky, dal canto suo, non si stava preoccupando di se stessa.
Aveva portato Jenna al culmine, sfinendola fino a farla crollare addormentata tra le sue braccia.
Non le importava di aver rinunciato al suo piacere, per una volta.
Tutto ciò di cui aveva bisogno era lì, accoccolata al suo petto.
Le palpebre iniziarono a diventare più pesanti, fino a quando non crollò, addormentata accanto alla donna che amava.
• • •
Christopher aveva fatto una doccia e si apprestava a vestirsi.
Da quando erano rientrati, si era chiuso nella sua stanza e aveva evitato chiunque.
Frizionò i capelli bagnati con l'asciugamano e ripensò alle parole di Becky.
Marcus li aveva davvero abbandonati per una donna? Come poteva accettare di essersi messo dalla parte del nemico per questo?
Si guardò allo specchio, ritrovando il suo viso più magro, rispetto a qualche mese prima. Un velo di barba lo ricopriva e ne accentuava la lieve magrezza.
Passò un dito sul piccolo taglio che si era procurato sul sopracciglio, accennando un sorriso amaro.
«Questo è il meglio che sai fare, fratello?»
Serrò la mascella e strinse il bordo del lavabo tra i pugni. «Prima o poi me ne dovrai rendere conto.»
La mancanza di suo fratello gli aveva lasciato un vuoto dentro, difficile da colmare con altro, se non con il suo ritorno.
Si allontanò dallo specchio e afferrò il pantalone della tuta per indossarlo. Guardò in giro e trovò la stanza identica a come l'aveva lasciata. Il letto dove aveva dormito durante l'addestramento e la scrivania sulla quale aveva ideato i suoi primi piani; la stessa sulla quale aveva preso Kathleen per la prima volta, o lei aveva preso lui.
Gli sfuggì un sorriso. «Quella donna è davvero diabolica», disse fra sé.
I suoi pensieri furono interrotti dal bussare di qualcuno. Si avvicinò alla porta e l'aprì.
Davanti a sé, Silvia era rimasta impietrita a fissare il suo petto largo e le braccia muscolose. Seguì la scia di peluria che scendeva sotto l'ombelico, per finire dentro i pantaloni. Alzò lo sguardo e, quando incontrò quello di Christopher, deglutì nervosamente.
«Vedo che hai avuto tempo per sistemarti un po'» le disse dopo aver notato che aveva fatto lo shampoo e si era cambiata d'abito, indossando la tuta in dotazione dall'agenzia.
Osservò che anche senza trucco era di una bellezza naturale. Inclinò il capo per guardarla da testa a piedi e, alzando il braccio, si appoggiò allo stipite della porta.
«Hai trovato qualcosa a cui interessarti?» le chiese con un ghigno.
«Cosa?» Silvia fece un passo indietro e inciampò nei suoi stessi piedi.
Christopher l'afferrò, passandole un braccio intorno alla vita e finendo per averla a pochi centimetri dal suo viso. Fece guizzare la mascella.
Il respiro di lei divenne irregolare e lo spinse via, sistemando in tutta fretta la maglia che si era sollevata, lasciando scoperto il suo ventre piatto e mostrando il piercing che aveva all'ombelico, cosa che Christopher trovò allettante in modo particolare. Si schiarì la voce. «Chiedevo se ti è passata la voglia di fare domande alle quali nessuno risponderà. Magari interessandoti a qualcos'altro...» corresse il tiro.
Le guance di Silvia si colorarono di un rosa più acceso.
La stava prendendo in giro e ne era consapevole, motivo per il quale fu infastidita dalla propria reazione. Rimise il broncio. «Volevo solo sapere se c'è una palestra da queste parti», incrociò le braccia.
«Non potevi chiederlo a Kathleen? Hai atteso me tutto questo tempo, solo per chiedermi se abbiamo una palestra?» arricciò la fronte.
«Quella là?» sibilò.
Christopher studiò la sua reazione. «Kathleen», rimarcò, «si chiama Kathleen. Ed è il capo qui. Mostrale un po' di rispetto» la provocò, sicuro che avrebbe ribattuto senza esitare. Ma lei non lo fece.
«La palestra?» chiese di nuovo, ignorando il suo tentativo.
Christopher sbuffò, prese la maglia, la indossò e le indicò il corridoio. «È da quella parte», posò le mani sulle sue spalle e la voltò in quella direzione.
Silvia si lasciò trasportare senza dire una parola e quando furono arrivati lo ringraziò per averla accompagnata.
«C'è anche un sacco laggiù, dove puoi fare a pugni», le indicò una piccola saletta. Poi spostò il dito dalla parte opposta, dove una vetrata separava la palestra da una stanza con un tappeto da combattimento. «Io sarò lì, se hai bisogno.»
«Non hai delle cose da fare?» chiese infastidita. «Diamine! Volevo starmene un po' da sola, nell'attesa che Jenna si riprenda. Ma ero stufa di stare chiusa in quella stanza.»
«Jenna?» scoppiò in una risata divertita. «Jenna sta benissimo, non preoccuparti.»
«Certo. È stata la tua amica a metterla in questa situazione. Voi siete pericolosi e lei è stata coinvolta nei vostri casini!» gli urlò tra i denti.
«Jenna sapeva tutto di noi e ha scelto di sua spontanea volontà di restare con Becky. Tu non conosci Becky, non è come pensi» le si avvicinò «cosa credi che stiano facendo ora in camera?» le sussurrò ad un orecchio.
Silvia sentì i brividi lungo la schiena.
Perché doveva provocarla in quel modo? Non stava con la stronza-capo?
Oppure era solo un passatempo divertente, per lui, farla sentire in soggezione?
Lo spinse via ancora una volta e proprio in quel momento entrò Kathleen, seguita da Luca.
«Tutto bene qui?» serrò la mascella, vedendo che Silvia aveva una mano poggiata sul petto di Christopher.
«Ho interrotto qualcosa?» aggiunse piccata.
«Forse» ribattè lui, davanti all'espressione infastidita di Silvia, che ritrasse di scatto la mano.
Si voltò a guardare Luca, anche lui con addosso la stessa tuta.
«Sei pronto?» gli chiese.
«Quando vuoi» rispose l'altro, rivolgendogli uno sguardo truce.
Silvia seguì la loro conversazione povera di parole, fatta di occhiate furtive e loquaci.
Si sentì usata, buttata nella discussione come elemento disturbante.
Capì che Christopher l'aveva appena usata per far ingelosire Kathleen.
Questa volta però, non sarebbe rimasta a guardare.
«Incredibile!» esclamò, richiamando l'attenzione degli altri tre.
Richiuse la cerniera della felpa e si diresse verso l'uscita.
«Non volevi ammazzare il tempo in palestra?» chiese Christopher.
«Ho cambiato idea» rispose, senza neanche girarsi a guardarlo.
Semplicemente andò via a passo svelto.
«Cosa credevi, stupida?» rimproverò a se stessa.
Come poteva pensare di interessare davvero a uno come lui.
Si diede un colpetto in testa.
«Come se avessi mai potuto accettare ciò che fa per vivere.»
Fece un grosso respiro e continuò a camminare verso la sua stanza.
Non sopportava il modo in cui la faceva sentire.
Perdere il controllo della situazione non era da lei.
Entrò in camera e si ritrovò a guardare di nuovo il giacchetto di Christopher, ancora piegato sul letto.
Sbuffò.
«Che stronzo!» esclamò, per poi dare un colpo alla porta.
• • •
Le ultime due ore erano passate molto lentamente, tra un pisolino e due capitoli di romanzo scritti su fogli svolazzanti trovati in giro.
Non aveva potuto allenarsi, non poteva uscire e di Jenna non si era vista neanche l'ombra.
Come se non bastasse, erano tutti odiosi in quel posto.
Si buttò di schiena sul letto, con le braccia incrociate dietro la nuca, e si mise a fissare il soffitto.
Ripensò agli ultimi giorni.
Forse una nota positiva c'era in tutto quel trambusto.
Non aveva dovuto preoccuparsi di Leon.
Si erano lasciati da un anno, ma nell'ultimo mese si era fatto trovare sotto casa sua a giorni alterni, incolpandola per quanto stesse male e di come gli avesse rovinato la vita.
Non sapeva davvero cos'altro fare, se non rivolgersi alla polizia.
Poi era spuntato Christopher.
Forse aveva peggiorato la situazione, ma almeno qualcuno sembrava volerla proteggere, anche contro la sua stessa volontà.
Lei voleva solo evitare che Leon si arrabbiasse di più.
Se c'era un colpevole della loro rottura, quello era proprio lui.
Era stato lui a colpirla durante una discussione, per la prima volta dopo un anno di relazione.
Però tanto le era bastato per porvi fine.
Prese un grosso respiro e sollevò la schiena dal letto.
Forse fare un po' di esercizio l'avrebbe distratta dal pensare.
Scese dal letto e iniziò a distendere i muscoli, ma venne interrotta subito da qualcuno che bussava alla porta.
Andò ad aprire.
«Ah, sei tu.»
«Wow» disse Christopher, senza alterare l'espressione del suo viso «ti disturbo?»
Silvia fece spallucce «Cosa vuoi?»
«Perché hai lasciato la palestra?»
Silvia alzò gli occhi al cielo «Ancora?» afferrò la porta e fece per chiuderla, ma lui vi infilò un piede ed entrò nella stanza, sotto lo sguardo contrariato di lei.
«Cosa fai?»
Christopher si chiuse la porta alle spalle e i suoi occhi finirono subito sul giacchetto. Poi guardò lei, che imbarazzata abbassò lo sguardo.
"Cavolo! L'ho fatto di nuovo" pensò, maledicendo il modo in cui aveva reagito.
«Se ti piace, puoi tenerlo» lo indicò «ne ho altri.»
Silvia mise su la sua espressione strafottente «Cosa vuoi che me ne faccia?» Lo prese e glielo sbattè sul petto «Riprenditelo.»
Christopher lo afferrò, sfiorando la sua mano «Mi dici perché ce l'hai sempre con me?»
Lei sbuffò un sorriso e si liberò dalla sua presa «Io?» rise «Guarda che ti sbagli. È solo che non voglio essere in debito con nessuno.»
In un attimo d'improvvisa realizzazione, guardò in direzione della scrivania, e questo fece suonare un campanello nella testa di Christopher.
Scattò in quella direzione, ma lui fu più veloce.
Afferrò la foto che vi era poggiata, la guardò, poi sollevò lo sguardo su di lei e gliela sventolò davanti.
Silvia arrossì.
Rimase immobile, scavando nella sua mente per trovare una scusa plausibile, ma non ci riuscì, preferendo di gran lunga il silenzio.
«Dove l'hai presa?» le chiese con un mezzo sorriso.
La foto ritraeva se stesso con Becky e Marcus.
Ciò non lo aveva stupito, dal momento che quella stanza era stata di Marcus, mentre lo fece il fatto che lei la tenesse sulla scrivania.
«Era nel cassetto» disse a bassa voce, tenendo lo sguardo fisso sulle proprie scarpe.
«E cosa ci faceva là sopra?» si avvicinò di qualche passo.
Silvia esitò, non sapendo cosa rispondere.
Fece un altro passo verso di lei, ma qualcuno bussò alla porta, di nuovo.
Lei ricominciò a respirare, salvata da quel momento imbarazzante.
Corse ad aprirla, trovandosi davanti un uomo che la informò che Jenna l'attendeva nella sala riunioni.
Rivolse un ultimo sguardo a Christopher, prima di scappare via con l'altro e lasciarlo lì sospeso.
Ringraziò l'universo per averle risparmiato un'umiliazione.
Aveva trovato quella foto per puro caso, nella quale Christopher era sorridente, come non lo aveva mai visto.
L'aveva osservata per un bel po', prima di andare a letto, senza riuscire a richiuderla nel cassetto dove l'aveva trovata.
La tentazione di guardarlo ogni volta che ne avesse avuto voglia, era stata troppo forte. Anche se questo la stava mettendo in una posizione difficile.
"Stupida" si rimproverò di nuovo, stringendo i pugni per la rabbia.
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