Capitolo 9: Ritorno

Entro in casa e c'è silenzio. Ho camminato zoppicando, a testa bassa, passando per i vicoli meno frequentati. Non dovevo farmi vedere o attirare gli sguardi, e la mia faccia in questo momento non deve essere ben ridotta.

Jeff dorme, è sul divano. In casa c'è puzza di fumo. Jeff fuma sempre, un tempo lo facevo anche io.

Poi Jeff ha detto che no, dovevo smettere, e ho smesso. Si preoccupava perché il fumo mi faceva male.

Oggi è strano. Sono quasi felice che Jeff dorma. Che non mi guardi, che non dica nulla. Vorrei che non si svegliasse.

Mi dò un colpo in viso. Stupida. Non devo pensare queste cose, non dovrei mai. Anche solo pensare di essere cattiva con lui non mi piace. Non voglio trattarlo male, non se lo merita.

Questi pensieri sono ingiustificati, lui non ha fatto nulla di male.

Mi tolgo il maglioncino. Non so se Jeff mi voglia in casa. Magari ha deciso di non farmi tornare. Magari non si è preso la briga di cercarmi.

Non dovrei stare qui, lui non mi ha chiamata.

Il mio stomaco si contorce su di sé. Non mangio da più di un giorno, e mi sento debole. Troppo debole. Guardando le mie braccia, le vedo puntellate da grosse macchie scure, del colore dell'uva. Ogni passo, ogni movimento, fa male, è come una coltellata.

Sono tentata di prendere del cibo. Ho davvero fame. Ho tanta, tanta fame. E sono debole, la testa mi fa male e lo stomaco gorgoglia ed emette strani risucchi, cercando qualcosa che non c'è.

Non posso. Esco, torno dove Jeff mi ha gettata ieri sera, non fuori dall'appartamento, ma giù, nel vicolo.

Ho fame. Voglio che Jeff si svegli e mi dia del cibo. Non posso svegliarlo.

Non mangio da più di un giorno intero, mi sento vuota e debole.

Ci mette forse un'ora a porsi davanti a me. Lo vedo scendere le scale. Ha il cappuccio calato sul volto, coperto da un'ombra scura. Non riesco a vedere i suoi occhi.

Mi chiama. Dice solo "Madge".

Io mi alzo, e mi sento scossa da un tremito. Ora potrebbe dirmi che mi odia, che non vuole più vedermi in vita sua. E non potrei dargli torto. Gli arrivo davanti, ma lui non dice nulla.

Mi posa la mano sulla schiena, e mi fa entrare in casa.

Salgo le scale, torno nell'appartamento abbandonato.

Jeff mi segue e si chiude la porta alle spalle. Sento il suo cigolio.

Guardo il vecchio divano e mi tornano alla mente le urla che ho lanciato ieri, patetiche come il pianto di un bambino. Quanto mi odio.

Mi volto verso Jeff. Vorrei sorridergli, ma non ci riesco. Tremo. Che codarda, quando faccio cazzate so di farle, so che verrò punita. Se proprio devo farlo infuriare con me, dovrei solo ammettere di meritare le botte invece di piangermi addosso ed avere paura.

" Vai a letto " dice Jeff, e il suo tono mi sembra bellissimo. È caldo, più dolce del solito.

A testa bassa, con i capelli sporchi che in parte mi ciondolano davanti al viso, annuisco e faccio come dice. Ogni passo mi sembra una coltellata.

Entro nella mia stanza, nella nostra stanza, e mi sdraio sul materasso. Jeff si affaccia alla porta. Si abbassa il cappuccio, e mi guarda.

Mi fa male anche solo respirare. E continuo a non volere altro se non qualcosa da mettere sotto i denti.

Jeff mi guarda per un po'. I suoi occhi, praticamente bianchi, sono freddi, calmi. Molto calmi.

Non so perché mi guarda. Ma non sono sicura che mi piaccia il modo in cui mi fissa.

Resto in silenzio. È caldo, qui. Caldo come nelle coperte del letto della ragazza che non devo vedere mai più.

Lei credeva di dovermi aiutare. Ma io non devo essere aiutata riguardo a nulla, solo che questo non era in grado di capirlo.

Nessuno deve interessarsi a me. Gli unici occhi che voglio su di me sono quelli di Jeff.

Forse dovrei essere onesta con lui. Non voglio essere cattiva e deluderlo ancora. Avrò molti sensi di colpa se non gli dico di quella ragazza.

Poi ripenso a ieri. Alle botte, ai miei versi di dolore, alle lacrime che ho versato. Al mio corpo gettato a terra come una scomposta bambola di pezza.

La codardia vince, e per ora non dico nulla. Mi odio un po' di più per questo.

Jeff fa un rapido movimento con il braccio. Mi lancia qualcosa. Sento tumore di plastica.

È uno dei sandwich di ieri, ancora confezionato. Ho già l'acquolina in bocca.

Alzo lo sguardo su Jeff, e credo mi stia sorridendo, e non solo con i tagli che si è causato.

All'improvviso se ne va ogni preoccupazione. Dopo questo, va tutto bene.

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