48.
TEDDY
Teddy era in compagnia di un cliente e stavano progettando insieme un tatuaggio quando all'improvviso entrò nella stanza Julian, gli occhi sbarrati.
"Teddy! C'è un'ambulanza qui fuori. Qualcuno al bar si è sentito male..." Disse il biondo.
Teddy si irrigidì, guardò il cliente e gli chiese di aspettare un momento mentre si alzava e andava fuori dal negozio.
Dall'altra parte della strada c'era effettivamente un'ambulanza e il cuore di Teddy si fermò quando vide una persona sdraiata su una barella.
Senza pensare si ritrovò a correre finché non fu davanti all'ambulanza. Quando vide l'uomo sdraiato su di essa sollevò la testa e si accorse di James che era pallido, fissava assorto la strada sotto i suoi piedi.
Teddy lo chiamò un paio di volte, ma il barista non sembrò sentirlo. Preoccupato guardò uno dei paramedici che lo fece salire in ambulanza con loro.
"Dove lo state portando?" Chiese Teddy senza staccare gli occhi dal suo compagno.
"È un parente?" Chiese l'uomo.
"Si. Sono il compagno del ragazzo sull'ambulanza..." Disse il tatuatore.
"Stiamo andando al Queen Elizabeth..." Disse il paramedico prima di salire sull'ambulanza e chiudere il portellone.
Teddy osservò l'ambulanza sfrecciare via e corse verso la sua moto. Julian era in piedi fuori dal negozio e lo guardò preoccupato.
"Che sta succedendo?" Chiese.
"Devo andare al Queen Elizabeth... James è salito sull'ambulanza con il suo capo. Era in brutte condizioni. Devo... Io devo stargli accanto..." Disse Teddy mentre entrava nel negozio e spiegava la situazione al cliente. Si diedero appuntamento per il giorno dopo. "Mi perdoni, ma è un'urgenza. Devo scappare" disse Teddy sentendosi in colpa.
Il cliente annuì e prese un nuovo appuntamento con Julian mentre Teddy afferrava il casco della moto e se lo infilava sulla testa. Uscì dal negozio e salì sulla sua moto e corse lungo le strade della città. Era impensabile cercare di stare dietro l'ambulanza. A differenza loro, lui i semafori rossi non poteva passarli senza gravi conseguenze.
Raggiunse l'ospedale mezz'ora dopo e corse verso il pronto soccorso.
Ci volle parecchio prima di trovare qualcuno che gentilmente gli indicasse dove poteva trovare il suo ragazzo.
Quando percorse il corridoio, Teddy si strinse nelle spalle. Odiava gli ospedali. Non erano mai luoghi positivi per lui.
Quando sentiva il rumore delle ambulanze il suo cuore balzava in gola.
Ogni volta quel suono lo riportava al passato, a quando entrambi i suoi genitori vi erano saliti e non erano mai più tornati.
Teddy entrò nella sala d'aspetto e si guardò attorno. Vide James rannicchiato su una sedia, gli occhi vuoti mentre fissava un punto indefinito sul pavimento. Il suo cuore si spezzò a quella vista.
"Tesoro" disse Teddy sedendosi accanto a lui e stringendogli una mano.
James sembrò destarsi in quel momento. Sollevò lo sguardo su di lui e i suoi occhi nocciola si riempirono subito di lacrime. Teddy lo strinse forte tra le braccia mentre gli accarezzava la schiena e sussurrava al suo orecchio parole di conforto.
Non doveva essere stato affatto facile per lui assistere al malore del suo capo.
Dopo qualche ora di attesa, un medico si avvicinò a loro.
"Come sta?" Chiese James sollevandosi dalla sedia. "É... morto?"
Il medico negò con la testa.
"Il signore sta molto meglio, è stato fortunato ad essere in sua compagnia, è riuscito a salvargli la vita. Vuole parlare con lei, mi raccomando, non fatelo affaticare troppo..."
James corse nella stanza dove si trovava il suo capo e quando lo vide sveglio con una mascherina di ossigeno sulla bocca, si portò una mano sulla bocca e scoppiò a piangere.
Teddy gli accarezzò la schiena con la mano, stringendoselo al corpo.
Il suo capo si tolse la mascherina dalla bocca e guardò il suo dipendente.
"Sto bene" disse l'uomo guardando James singhiozzare contro il petto di Teddy.
I due giovani erano rimasti in piedi sulla soglia della camera.
Quando James smise di piangere si guardò attorno. Fu stupito di trovare la camera privata solo per l'uomo.
Si voltò verso il suo capo che gli sorrise dolcemente e gli fece cenno di avvicinarsi.
"Non piangere" disse l'uomo. "Sto meglio adesso. È stato solo un infarto. Mi hai salvato la vita"
James lo guardò afflitto.
"Un infarto? Cazzo" sussurrò.
"Sono vecchio, ormai. Sapevo già che non dovevo affaticarmi in quel modo. Purtroppo.. non potrò tornare al lavoro per almeno un mese. Voglio riposarmi, come chiedono i medici. Non voglio fare di testa mia. Tu... te la sentiresti di mandare avanti il bar?" Chiese l'uomo.
James lo guardò.
"In che senso?"
"Fare quello che fai sempre, ma in più lo gestisci..."
James lo guardò confuso.
"Ma... da solo?" Chiese.
"Se non te la senti e hai un altro cameriere da proporre, ti ascolto!"
James guardò Teddy che gli strinse una spalla.
"In realtà... si ricorda che io vengo da un vecchio lavoro in un bar in cui il mio capo non mi ha trattato bene?"
Il suo capo guardò Teddy e poi annuì.
"Beh... c'è questo mio amico che praticamente si è trovato senza lavoro dopo la mia denuncia..."
"Fallo venire qui. Se per lui non è un problema. Vorrei fargli un colloquio..." disse l'uomo.
James lo guardò.
"Ma... se la sente? Ha detto che vuole riposare.."
Il capo sorrise dietro la mascherina trasparente.
"Non ho nessuno che mi venga a trovare. Non ho una famiglia. L'unico che ritengo un figlio sei tu James. E anche Teddy, ormai. Conoscere un nuovo ragazzetto mi farà solo piacere e non mi piangerò addosso..." disse l'uomo.
"Ok. Allora lo chiamo e gli dico di venire qui domani. Che ne dice?" Chiese James.
Il capo sorrise e dopo essersi salutati, i due giovani fidanzati uscirono dall'ospedale tenendosi per mano e James chiamò immediatamente Nika.
"Ha chiesto se eri disponibile per domani per un colloquio..." stava dicendo James mentre Teddy si avvicinava alla sua moto e gli consegnava un casco.
James lo guardò male. Teddy sapeva quanto James odiasse le moto.
"Si, verrai con me. Tanto tornerò a trovarlo. Si, non ti preoccupare. È stato lui a chiedermi di dirtelo. Ok, a domani..."
James chiuse la chiamata e fissò torvo il suo compagno.
"Io non ci torno a casa su questa" disse incrociando le braccia davanti al petto, sul viso una smorfia irritata.
Teddy lo guardò.
"Ti ho visto salire su un'ambulanza e non mi parlavi. La prima cosa che mi è capitata l'ho presa. Dovevo fare in fretta..." disse Teddy.
James lo fissò ancora arrabbiato, così Teddy decise di giocare la carta della seduzione.
"Prometto che a casa mi saprò far perdonare" disse lanciandogli un'occhiata che lasciava ben poco all'immaginazione.
Le guance di James divennero rosse in pochi secondi.
"Mi scoperesti sotto la doccia?" Chiese con un sorriso.
Teddy si infilò il casco sbuffando prima di salire sulla moto.
"Sei fissato con i bagni..." borbottò.
"Dopo che mi hai sbattuto al muro in stazione... non faccio altro che pensare a te.." disse.
Teddy guardò davanti a sé mentre sentiva l'eccitazione violenta colpirlo. James salì sulla moto, dietro di lui, circondando la sua vita con le braccia.
"Non parti più?" Chiese James guardandolo.
Teddy a quel punto aprì gli occhi, l'erezione era ancora lì.
"Non ti faccio uscire dalla camera fino a domani" disse il tatuatore prima di mettere in moto e sfrecciare in strada, sentendo l'urlo terrorizzato di James alle sue spalle.
~*~
Giugno
NIKA
Nika sbuffò mentre apriva la porta di casa con le chiavi. Appena uscito dal Coffee Shop nel quale lavorava con James, alla fine i due ragazzi si erano trovati ad accettare le condizioni del loro nuovo capo ed erano stati in grado di gestire magnificamente la caffetteria, lo aveva colpito improvviso un violento temporale e ben presto si era trovato bagnato fin dentro le mutande.
Raggiunse il bagno, si spogliò completamente e si infilò sotto la doccia fredda. Si lavò velocemente e poi si avvolse i fianchi con un telo bianco.
Stava per recarsi in camera da letto quando il campanello suonò all'improvviso. Confuso, si avvicinò lentamente alla porta e controllò dallo spioncino.
I suoi occhi si spalancarono dallo stupore quando si rese conto di chi c'era dietro.
Zac, poco prima di finire la scuola, gli aveva comunicato che sarebbe partito negli Stati Uniti da suo padre e ci sarebbe rimasto per tre settimane. A Nika non era affatto piaciuto quel viaggio, ma si era finto entusiasta per lui. Odiava lasciarlo andare per così tanto tempo, voleva passare più tempo possibile in sua compagnia, ma per via del suo nuovo lavoro si vedevano molto raramente.
Per via degli orari alla caffetteria aveva anche smesso di andare al conservatorio e le loro possibilità di incontrarsi erano diventate minime. Per non parlare di quando era partito per l'America: per via del fuso orario si scambiavano nemmeno una decina di messaggi al giorno.
All'improvviso si ricordò che era il 10 di Giugno...
Cazzo, oggi era il suo compleanno, avrebbe compiuto diciassette anni!
Aprì velocemente la porta e fissò incredulo il suo ragazzo, in piedi sulla soglia, bagnato fradicio come lo era stato lui fino ad un'ora prima.
"Zac" disse il maggiore facendolo entrare.
Il ragazzino, che teneva sulle spalle quella che doveva essere la custodia di un violino, entrò dentro l'appartamento e si fermò al centro del salotto.
Mentre Nika lo raggiungeva, lo vide sfilarsi gli occhiali e cercare di asciugarseli sui vestiti, ma questi erano bagnati tanto gli abiti che aveva indosso.
Nika gli bloccò un braccio posandogli una mano sopra.
"Aspetta, ti porto dei vestiti asciutti..." disse.
Quando tornò, Zac era già seminudo al centro del suo salotto ed indossava solo i boxer, anch'essi bagnati, adesso così dannatamente stretti su un punto dove Nika non doveva assolutamente guardare, ma lo sguardo fu letteralmente rapito.
Tutta la voglia repressa che Nika aveva cercato di trattenere in quel lungo periodo di frequentazione, lo invase prepotentemente.
"Zac" sussurrò il maggiore mangiandoselo con gli occhi, ma il giovane si vestì rapidamente e lo fissò con sguardo offeso.
"Oh, vedo che ti ricordi ancora come mi chiamo..." disse il ragazzino e Nika lo fissò confuso e pure ferito per quel tono freddo che non pensava di meritarsi.
"C-cosa?" chiese Nika, la confusione dipinta sul suo volto.
Zac si infilò i pantaloni che gli aveva prestato il maggiore e poi si piazzò davanti a lui fissandolo negli occhi.
"Avanti, non metterci troppo, dimmi che è finita così me ne torno a casa" disse Zac guardandolo e Nika sbarrò gli occhi.
"Che...? Perché dovrei dirti che è finita? No. Io... cosa? Da dove ti escono fuori queste stronzate?!" disse Nika guardandolo, sentiva il cuore che batteva furioso nel petto.
Il cuore di Zac perse un battito mentre sentiva quelle parole, ma purtroppo non bastarono a sciogliere il nodo che gli stringeva lo stomaco da quando era partito per l'America a trovare suo padre.
"Non ci sentiamo più come prima, se mi mandi tre messaggi al giorno mi sento già fortunato! Non mi racconti più niente, non mi chiami, non ci vediamo più, sono tornato dagli Stati Uniti e nemmeno mi hai chiesto di venire a trovarti! Se non fossi venuto io adesso, quando saresti venuto tu da me? Non mi pensi più. Tu sei al centro dei miei pensieri ogni giorno e ogni notte, sei la mia certezza la mattina quando mi mandi il buongiorno. Quando leggo quella frase io so che la mia giornata sarà perfetta! Mi sei mancato come l'aria quando ero a New York, volevo chiederti di venire con me, ma sapevo che stai lavorando e non puoi allontanarti dal lavoro, ma... io mi sento messo da parte ormai. Sono geloso. Di te, del tuo lavoro che ti assorbe ogni energia, del fatto che passi il tuo tempo in compagnia di James..." a quella frase Zac cominciò a singhiozzare e si coprì la faccia con la mano, mentre scrollava la testa. "Sono un coglione. Ti amo così tanto che vorrei che tu vivessi solo per me. Non voglio niente che ci possa dividere, sono così schifosamente egoista che sarei felice se tu non lavorassi più e passassi il tempo solo con me. Capisci? Capisci che cazzo di persona sono diventato?! Come puoi stare con un egoista come me? Avevi ragione quando dicevi che sono un ragazzino. Ma guardami!" disse indicando se stesso con una mano. "Ho appena compiuto diciassette anni e sembro un bambino capriccioso!"
Nika si avvicinò a lui e gli afferrò il viso con entrambe le mani per guardarlo dritto negli occhi. Gli asciugò le lacrime con i pollici e sospirò.
"Non sei capriccioso. Ma sei il mio bambino..." disse posando la fronte contro quella del ragazzino. "Hai ragione tu, è colpa mia, sono così assorbito dal lavoro che quando arrivo a casa ho a malapena il tempo di mangiare, lavarmi e poi crollo addormentato. Perdonami, non voglio che tu ci stia male. Non devi essere geloso di James, lui ha occhi solo per il suo ragazzo tatuatore. Ed io ho occhi solo per te. il coglione egoista sono io, non immaginavo di farti stare così male, non ti merito affatto..." disse Nika e Zac singhiozzò.
"Mi vuoi lasciare?" chiese con un sussurro.
"Solo la morte mi potrà separare da te..." disse Nika prima di baciarlo sulle labbra.
Zac sospirò nel bacio e si strinse al compagno, accarezzandogli con le mani la pelle nuda. Improvvisamente, l'erezione che era scemata poco prima si risvegliò nei suoi pantaloni e si strusciò lascivo contro il corpo del suo compagno, gemendo nel bacio.
Nika lo strinse tra le braccia, sentì l'erezione del giovane premere tra i loro corpi e si sentì andare a fuoco. Da quanto tempo cercava di nascondere quello che davvero voleva?
"Zac" sussurrò contro le labbra il più grande e Zac gemette, mentre le sue mani si abbassavano verso il suo sedere fasciato ancora dall'asciugamano.
Nika sospirò e si sporse con le labbra verso il collo del suo ragazzo quando il suo cellulare squillò improvvisamente, facendo sobbalzare i due giovani e rovinando l'atmosfera.
"Il telefono" disse stupidamente Nika, ancora stretto tra le braccia di Zac che aveva il viso arrossato e gli occhi verde acqua luminosi.
Dio, Nika glielo aveva mai detto che aveva due occhi stupendi e lui, ogni volta che lo che fissava, ci si perdeva?
"D-devo rispondere" disse al suo compagno che lo liberò da quella presa piacevole in modo riluttante.
Nika afferrò il cellulare e il suo cuore balzò agitato quando lesse sul display il nome di sua madre.
"Mamma?" chiese agitato.
Sua madre non chiamava mai quando era al lavoro, mai.
"Amore sei a casa?" chiese la donna.
"Si, tu? Stai bene? E' successo qualcosa?"
"Sto bene, solo ti ho voluto chiamare perché ho avuto un'urgenza qui al lavoro e devo dare una mano, in più dicono che ci sia allerta meteo. Non uscire di casa."
"No, non ho intenzione di uscire, ma c'è Zac qui..." disse Nika.
"Non farlo tornare a casa! Io non torno, puoi farlo dormire nel mio letto, tanto ho cambiato le lenzuola stamattina, prima di andare al lavoro. Intesi?"
Nika annuì, anche se non poteva vederla.
"Ok, grazie mamma" disse prima di chiudere la comunicazione.
"Cosa ha detto?" chiese Zac guardandolo.
"Ha detto che ha avuto un'emergenza al lavoro e non può tornare a casa. In più hanno dato allerta meteo per il tempo di oggi. Ha detto di non farti tornare a casa e puoi restare a dormire qui..." disse Nika.
Le guance di Zac avvamparono.
"Saremo... io e te da soli?" chiese il ragazzino guardandolo.
Nika annuì.
Zac deglutì e poi lanciò un urlo quando un fulmine illuminò a giorno la stanza e la luce saltò, lasciandoli al buio completo.
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