Venerdì 13 luglio 2001
La Roma aveva vinto il campionato di calcio, che credo sia successo due volte in cent'anni, più o meno. Roma ribolliva, la città stava passando un momento magico e io, sull'onda di questo ribollire, avevo deciso che potevo spendermi un pezzo, che volevo assolutamente intitolare Homo homini lupus.
Dopo le vicende legate alle ultime jam, mi andava poco di avere a che fare con gli altri e quindi avevo scritto interamente il pezzo da solo, senza barre di nessuno, senza featuring, su un beat molto scarno, che esaltasse semplicemente il pezzo, fatto di uno storytelling infarcito di doppi significati. Avevo scomodato il mondo dei marchi di griffe e della TV, c'era una sorta di ritornello appena melodico, che avevamo provato a far cantare alla Dily con un certo riverbero che la rendesse eterea, come la voce della città che si guarda, fatta in un momento in cui ricominciava il beat dopo l'ultima barra fatta a cappella.
Avevo fatto girare il pezzo con la crew e con le amichette della Dily lasciando al buon cuore della gente la voglia di ascoltarselo. Non mi andava di spingerlo in giro, ma la pubblicità è l'anima del commercio e il pezzo aveva girato poco per quanto ne sapevo.
Per orgoglio, più che altro, ero convinto che la pubblicità e lo sbattersi per farsi conoscere era un abbassarsi troppo. Io non volevo piegarmi, non volevo piegarmi mai.
La Dily aveva rotto le palle per fare un party anthem e io mi ero un po' incazzato perchè non doveva mettere becco nelle mie decisioni artistiche. Tuttavia, sotto sotto, sapevo che aveva ragione, ma c'era un problema: ci voleva un beat veramente figo e un ritornello veramente orecchiabile. Non era facile, ci avevo pensato vari giorni ma non ero arrivato a trovare nulla di bello: per le basi dovevo ancora lavorare molto e nella crew nessuno aveva competenze di beatmaking tali da produrre qualcosa di valido. Considerate che io, con la mia roba scarna, ero quello messo meglio, perchè mi potevo permettere una bella strumentazione e un coinquilino che sapeva di cosa stavo parlando.
Poi, a metà luglio chi mi aveva contattato? Il Vecchio.
Partiamo dall'inizio: a Cesena, la cosiddetta crew di cui avevo fatto parte,all'inizio era fatta da due tizi, io e Marco. Casualmente eravamo partiti dal writing. Facevo pezzi già nel '97, e avevo cominciato a vederne anche di suoi. La sfida era inevitabile, ma la vivevamo diversamente, tanto che era riuscito a trovarmi, e a chiedere di collaborare.
Ammetto senza problemi che aveva sempre avuto un gran fiuto per il talento. Ma per il resto abbiamo sempre avuto modi di vederla molto diversi. A dire la verità non si capisce proprio come cazzo facevo a farci coppia, giusto perchè il genere era talmente poco battuto che non volevo sentire la disperazione della solitudine che in adolescenza è ancora più forte. Era un cambio di prospettiva più che un cambio di abitudini, era fare pezzi lo stesso per i cazzi miei ma sapere di essere in un "gruppo" mi dava sollievo e forza. Un meccanismo simile a quello che oggi consente ai minus habens di dire le peggio cose nei gruppi whatsapp proprio perchè è in sicurezza "tra pari".
Perché ho detto che facevo i pezzi da solo? Perché Marco aveva provato a cambiare il mio punto di vista continuamente, a volte lo sopportavo, a volte lo avrei trucidato violentemente. Era uno di sintesi, aveva la fissa con i manifesti di intenzione e tutte 'ste cazzate manco fossimo la Zulu Nation.
In uno di questi ultimi momenti in cui meditavo di salutarlo per sempre, avevamo incontrato Enrico, detto semplicemente il Vecchio, anche se in realtà aveva un anno meno di noi. Una persona volenterosa, che sapeva ascoltare, ma nel complesso mediocre nel disegno, mediocre nella tecnica, banale nei contenuti. Aveva una certa capacità nell'uso dei software per costruire i beat, ma a livello creativo era assolutamente incapace.
Il duo diventato un trio era stato più sopportabile per me. Tanto lui non ne sapeva un cazzo e ascoltava quell'altro per quanto riguardava tutte le storie sul consciousness, mentre a carisma era chiaro che guardasse me, che pensasse a me come esempio. Il Vecchio si occupava di tradurre (male) in beat i nostri stati d'animo, io facevo molti pezzi e scrivevo poche rime, lui faceva il contrario, e fumavamo cannoni.
Marco aveva poi trovato due ragazzi che facevano breakdance, assolutamente avulsi dalla crew che dipingeva e rimava. Loro ballavano e ballavano e ballavano fino alla nausea, quasi incapaci di tenere una bomboletta in mano o di fare una rima tipo cuore/amore. Erano bellini da vedersi, talmente affiatati da domandarsi se non scopassero anche tra loro, ma il loro contributo alla crew finiva al bordo del linoleum. E alla fine, senza che nessuno gliel'avesse chiesto esplicitamente, Marco aveva trovato un beatmaker, una specie di disagiato che diceva una parola ogni quattro ore e si vestiva come un manichino di DoubleKey.
Tempo due mesi e mi ero rotto il cazzo di quel buonismo, di quel caricarsi tutti nel buon nome dell'hip hop, di quel continuo diluire la forza dell'hip hop mascherandolo con la sperimentazione di aspetti nuovi, di sonorità scialbe fatte da una coppia disagiato/incapace, che in confronto i Gemelli DiVersi erano hardcore. Mi ero rotto le palle e avevo detto basta, e me ne ero andato.
Il Vecchio aveva cercato di rimanere in rapporti anche con me, lavorando al pezzo per la Festa della Musica. Era un evento che si teneva annualmente e coinvolgeva i due istituti tecnici che condividevano il parco/cortile, e che di solito era infestato da scialbissime cover band di gruppi rock che avevano smesso di fare pezzi decenti da almeno vent'anni. Già con la vecchia crew avevamo pensato di partecipare, e io da solo non avevo certo intenzione di lasciare loro campo libero. Così io e Enrico avevamo ritagliato e adattato un beat dal sapore East Coast, e avevamo scritto un pezzo cruento di critica sociale, diciamo.
Mi ero accorto troppo tardi che non avevo accettato una collaborazione con lui: mi ero semplicemente caricato un peso. Sul beat il lavoro era stato meramente tecnico: prendi il pezzo originale, estrapola il frammento, ripetilo senza praticamente nessun virtuosismo creativo. Poi gli avevo corretto tutta la strofa per renderla meno frignona ed eravamo saliti sul palco, lui quasi sussurrando, giusto per distruggere l'effetto di impatto delle rime.
Mi ero sentito un cazzo di babysitter non pagato. E come se non bastasse, non ci aveva cagato nessuno. Nulla di nulla, indifferenza totale ed enorme amarezza. Due mesi dopo ero partito per Roma e vaffanculo Cesena.
Nel frattempo il Vecchio aveva visto non so come un mio graffito, o meglio aveva pensato che potessi essere io con quell'Hellrazor, così mi aveva contattato.
«Bella Jay, ho visto un pezzo su un muro della metro, bellissimo, veramente figo.»
«Qui bisogna correre, sennò ti passano sopra» avevo detto, ributtando la parola sul suo campo.
«Ma non hai ricominciato con le rime?»
«Non proprio, qui la scena è molto satura e competitiva. Ho lavorato molto sul writing e sulle rap battle, per i pezzi veri non ho una gran fretta di pubblicare nulla. Registro e lavoro sul miglioramento.»
«Registri? Cioè vai in uno studio?» aveva chiesto, con la voce chiaramente più alta di venti decibel.
«Ho fatto uno studio a casa, in pratica.»
«Cazzo ma dici sul serio? Hai uno studio a casa?»
Si stava entusiasmando troppo, avevo avuto la voglia di tagliare corto, temevo finisse per chiedere quello che non volevo assolutamente chiedesse. Stupido io a dirgli dello studio. Stupido, stupido, stupido.
«Quasi quasi ti vengo a trovare: una giornata hip hop a Roma. Tanto non sono uno da mare, lo farei un sacco volentieri.»
"No, un rompicoglioni appresso no, ti prego! Non voglio fare di nuovo il babysitter! No!" avevo pensato: c'erano mille cose da fare e non volevo perdere tempo a fare tour romani per gente che già ritenevo scarsissima prima di venire a Roma.
«Vecchio, Roma d'estate è peggio di Cesena. Se vuoi fare un salto sei libero, se ti piace morire cucinato.»
«Ah, beh magari a Settembre, quando il tempo non sarà così caldo, sono curioso del tuo studio personale. Magari ti faccio sentire qualche beat di Masta, sta facendo cose grandiose ultimamente.»
«Si, e io scopo con Jennifer Lopez» mi era partito dal cuore, senza che potessi fermarlo in nessuna maniera.
«Sono serio. È un Masta diverso da quello di un anno e mezzo fa.»
«Credici, Vecchio, sto bene come sto.»
Poi un lampo mi aveva attraversato la mente, tanto valeva provare anche con quel limitato disadattato sociale.
«Anzi, Vecchio, sono alla ricerca di un beat figo per un party anthem. Se ne ha uno sono tutto orecchi.»
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top