Sabato 12 maggio 2001

Ce n'era una che mi piaceva un botto, non so nemmeno perchè.

O meglio, lo so perché, aveva un culo pazzesco, che faceva di tutto per mettere in mostra. E così era stata una cosa immediata, di pelle, tanto che non le avevo fatto pagare diverse cosette, e questo era stato un buon biglietto da visita. Tutte le volte che la vedevo in giro, prima o poi nel corso della serata la trovavo a parlare con tizi della medesima risma, ed a sparirci insieme, magari.

E mi saliva la carogna, immaginandola mentre cerca di "spingere" per trovare il suo spazio nel mondo dello spettacolo. Questo secondo me non era possibile, perché non era propriamente una bellezza da copertina, non era una ninfetta, non aveva tratti dolci. Eppure non so perché ma mi scuoteva, tanto che una sera, vedendola seguire mano nella mano un tizio che poteva essere un coetaneo del Turci, avevo deciso di farmi odiare per sempre.

Thug Life, Jay.

Avevo tagliato la strada al tizio, gli avevo distrattamente rovesciato addosso un bel bicchiere di max rosso ciliegia. Senza nemmeno dire un mezzo «scusa» lo avevo aggirato mentre lui smoccolava e avevo detto a lei «Ti ho salvato da un pompino inutile» tirandola via e scomparendo nel casino del locale.

Vi risparmio la discussione sulla Grande-Occasione-Che-Mi-Hai-Fatto-Perdere che avevo prontamente stoppato dicendo che in una scena simile con lei protagonista, l'avevo vista diverse volte, eppure era ancora in giro per locali. Aveva pianto come una fontana, senza chiedere scusa e dicendomi che ero proprio stronzo. Ma non volevo scuse, volevo proprio andarci, e gliel'avevo detto, aggiungendo che non lo facevo perché ero un vecchio assatanato di carne fresca al punto da dire balle sulla carriera da soubrette, ma perchè mi piaceva un botto, adoravo il suo culo, e occupava ogni spazio delle mie fantasie.

Sì, lo ammetto, ci avevo messo un po' di flow ma ci era stata. Si chiamava Diletta, l'avevo salvata nella rubrica come Culetta, e non so come facesse, ma faceva paura nel sesso.

Come ho detto, la pagina dei rapporti era stata occupata per molto tempo dalla milf americana. I rimanenti spazi si erano riempiti con rapporti profondi quanto una pozzanghera, consumati nei pressi dei locali che frequentavo e quasi sempre costruiti sull'asse che andava dal mio desiderio di svuotarmi alla gratitudine della ragazza di turno per averle procurato il giusto sballo.

Ma con lei era stato diverso, perchè io non volevo svuotarmi, io volevo scoparla, perchè lei mi faceva godere come un animale proprio nel lasso di tempo che andava dal primo sguardo che le piantavo addosso, al momento in cui ero talmente sdrenato che venirle dentro era quasi un gesto di autoconservazione, tipo evitare che mi scoppiasse una coronaria.

Nelle prime fasi del rapporto, che non avevamo nemmeno incasellato, la scopavo praticamente tutti i giorni per un motivo o un altro: aperitivi, caffè, serate nei club, mattine in cui le dicevo semplicemente, e candidamente, che non avevo nulla da fare e avevo voglia di montarla, e la giornata iniziava meglio.

Era destino, date le sue abitudini, che mi risucchiasse in un gorgo, un gorgo bianco, che io stesso le fornivo. Con lei avevo iniziato a consumare coca, lo avevo fatto perchè le promesse di piacere che mi aveva fatto erano state irresistibili. Ancora oggi non so spiegarmi che cazzo mi avesse fatto nel cervello, ma non avevo praticamente esitato nel tirare la prima striscia, e nel farmi scoppiare la prima bomba atomica nel cervello.

Il sesso andava a trecentomila chilometri al secondo e nei momenti stessi in cui lo facevamo, sentivo sgorgare immagini, figure, parole, che non avevo mai visto ed immaginato. Non riuscivo ad arginare le sensazioni come se mi dovesse esplodere l'apparato nervoso, come se avessi avuto improvvisamente mille cervelli che elaboravano il piacere di cento scopate, usando la restante energia psichica per produrre pensieri su pensieri su pensieri, fiumi e fiumi di parole e melodie.

Madonna che momenti, nella scrittura sentivo la Tartaruga Nera, la Fenice Rossa, il Drago Verde e la Tigre Bianca rincorrersi in testa, quando si colpivano emettevano suoni e rime che trascrivevo accuratamente. Nel rileggerle a distanza anche solo di mezz'ora ne rimanevo colpito per la potenza, a volte per l'assurdità, ma quasi non le toccavo, erano già perfette, solo in un numero limitatissimo di casi le sistemavo per renderle meno ostiche da ripetere sul beat o più comprensibili per qualcuno meno esperto.

Nei battle ero talmente su di giri che dovevano praticamente togliermi il mic di mano per farmi smettere. L'inserimento delle punchline provenienti dalla scrittura addizionata mi facevano andare da paura, talmente forte che sopravanzavo il beat finendo quasi fuori tempo per l'urgenza di chiudere la rima. Ovviamente non ero l'unico che usava sostanze prima di gareggiare, e probabilmente non ero nemmeno quello che ne usava di più, ma l'abbinamento tra il quantitativo che usavo, il mio carattere e il mio stato d'animo in quei momenti, creava un gran mix.

La gente iniziava a temermi, e questo mi piaceva un sacco. Raga occhio all'anima che Jay ci manda al creatore.

Credo che chiunque si potesse accorgere di come ero cambiato: avevo sbloccato il mio livello cerebrale superiore, Super Mario levati dalle palle che c'è Jay. Se ne erano accorti Santo e Cirì, soprattutto testando la creatività sui testi, ma anche l'atteggiamento al mic, se ne era accorto Stepz e chi della crew capitava a vedermi nelle battle.

«A te quella roba ti trasforma in un Super Sayan!»

Facevo addirittura fatica a spiegargli come funzionavo dentro in quei momenti, anche se spesso l'euforia veniva strozzata dall'annuncio della vittoria di qualcun altro. Ma avevo iniziato a capire una cosa: tutte le scelte avevano delle motivazioni extra-tecniche. Il pubblico aveva i suoi beniamini intoccabili e io non ne facevo parte. I giudici in qualche modo avevano legami con gli emcee, o con le loro crew, o con le etichette con cui pubblicavano, o con le radio che li passavano, o con le riviste che preferivano uno piuttosto che un altro.

Adesso sarebbe facile dire che questi traffici non mi toccavano, in realtà mi davano un fastidio bestiale. Era pura sabbia nelle mutande. E grazie soprattutto ai ragazzi della crew di writer, sapevo che tipo di manovre c'erano dietro. Gli scontri in rima mi avevano sempre fatto riecheggiare quello che era l'origine della cultura hip hop, ormai trasposta e radicata in italia, ma infettata dal germe della clientela, del favore, perchè cane mangia cane ma se sei il branco più grosso puoi mangiare tutti gli altri in barba alle regole del gioco dell'uno vale uno.

Ero una persona orgogliosa, molto più di quanto avrei dovuto, e tutti i tentativi di contatto da parte delle crew e dei collettivi in qualche modo "aiutati" nelle rap battle erano stati rispediti al mittente sdegnosamente, con tanto di palesi accuse di gioco sporco. Non mi rendevo conto ma mi stavo inimicando molta gente, e continuavo a dimenticarmi di non essere un cane sciolto come all'inizio.

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