Mercoledì 13 marzo 2002

Mi veniva attorno, annusava l'aria. Come un gatto che vede un giardino assolato e comodo: ci si avventura con attenzione e con interesse. Guardava cosa facevamo ma principalmente mi guardava. A marzo potevo anche uscire in scooter, e vedere di tirarla mentre tornavamo a casa.

«Dove hai imparato così bene a rappare?» mi aveva chiesto.

«Roma. Da dopo il diploma e ancora c'è l'appartamento pagato, per l'uni.»

«Ma segui anche i corsi? Studi?»

«No, mi sono iscritto ma ho fatto di meglio: ho conosciuto la scena a Roma, ho imparato molto. Poi sono in tanti, c'è confronto e tutto.»

«Ma come mai sei tornato allora?»

Non volevo giocarmi tutte le carte subito, così ero andato abbastanza liscio.

«Ho risentito il Vecchio e mi ha caricato, Masta come beatmaker è migliorato. Mi ha fatto sentire delle basi fatte apposta, gran botta.»

«Quindi fate un disco?» aveva chiesto riducendo tutto ai minimi termini.

Non aveva capito un cazzo, eppure le dinamiche, mentre parlavamo, mentre provavamo, mentre davo indicazioni, erano chiare.

«Io farò un demo, stiamo lavorando alle basi e a qualche feat, vediamo. E tu che fai?»

«Io?» aveva replicato, sulla difensiva.

«Si, non inizi a rappare?»

«Non sono capace, guardo voi che siete molto meglio.»

Dichiarazione di intenti servita su un piatto d'argento.

«Allora ti piaccio proprio, come rappo.»

«Si, sei bravo, ma come mai tutti 'sti tatuaggi?» aveva indicato con gli occhi il mio corpo coperto dalla felpa.

Sapeva bene dove erano perché l'avevo beccata più volte a guardarli, probabilmente aveva provato a decifrarli, o semplicemente a farci sopra fantasie. Un paio di volte me l'ero immaginata con le dita tra le gambe a pensare ai miei tatuaggi.

«La gente non sa un cazzo di me e glielo racconto. Questo è Hellrazor, questo è il mio segno, i gemelli, questa è la fenice perchè sono risorto, questo è il toro perchè mi sento sempre come il toro nell'arena, questo è Homo homini lupus, qui c'è Tupac Shakur. Sai chi è vero?»

«Si, l'ho imparato, tranquillo.»

«Bene, poi qui c'è una rima dei Sanguemisto "E adesso è tutto pronto per lo scontro, con chi viene da fuori e non ci sta più dentro", poi qui c'è la mia data di nascita in numeri romani e qui» mi ero tirato giù la tshirt per quanto possibile, al centro del torace capeggiava il mio nome, «in gotico c'è "Jay".»

Tutto aveva un significato: i tatuaggi, il raccontarli, il mostrare quello che era più importante e, soprattutto, più nascosto. Avevo improvvisamente voglia di scoparla, e nello stesso tempo volevo che me la facesse sudare.

«Zia dai, sali da me.»

«No Jay, devo andare, scusami.»

«Eddài, non ti mangio, giuro.»

«E che facciamo da te?»

«Ti faccio sentire un po' di cose che ho fatto. Eddài solo quello.»

La vedevo che non era convinta, e non era del tutto tranquilla ma aveva accettato. Appena arrivati mi ero tolto lo smanicato e la maglietta rimanendo a torso nudo, in modo che mi vedesse bene, prima di avermi alle spalle, poi mi ero infilato la 21 degli Spurs, e mi ero acceso un cannone buttandomi sul divano.

«Meglio del garage, e fa più caldo.»

«C'è sempre bisogno di accendersi dei cannoni?» aveva chiesto, vagamente spazientita.

«Mi aiuta a comporre, vuoi un tiro?»

«No, no, vado bene così» secca.

«Che vai bene così, non c'è dubbio.»

Avevo fatto partire un beat di Masta. Doveva entrare ancora qualche elemento melodico ma già così era piacevolissimo per fare un pezzo sciallo.

«È venuta bene, sfruttiamo basi di tormentoni e le riutilizziamo. Il suono è meno ruvido e entra più nelle orecchie. Senti.»

Avevo buttato là una cosa scema, ridendo:

«C'è la chi-ca Silvia / c'ha la fac-cia furba / io mi fu-mo ganja / ma lei non s'aggancia / vivi-la serena / c'è chi me la mena / meglio chi lo mena / chiavo e non ho pena. Ayeah! Zia faccio un disco che spacca, sono sicuro. C'è il canale comunicativo, si sente a pelle.»

«Cioè?»

«Cioè non è una stupidaggine di hiphop italiano per gli amanti dell'hip hop italiano che poi si fanno la guerra uno con l'altro su chi è più hip hop. E non è nemmeno rap di plastica dell'eurodance. Vuoi farci la vocalist?»

«Non sono brava a cantare.»

"Che cazzo te ne frega, basta che sai usare il microfono" potevo dirle, ma mi ero limitato a passarle la canna, aveva rifiutato sorridendo.

I casi erano due: o voleva farmela sudare un po' troppo, oppure aveva una certa dose di palle che le permetteva di stare a casa mia, in mezzo ai fumi di cannone, parlando sul serio solo di musica e di quello che avrei fatto nel mio demo. Avevo fatto finta di riascoltarmi basi, le avevo chiesto pareri, la guardavo, in certi momenti giuro che la spogliavo con gli occhi e tradivo fantasie sempre più assurde, ma zero.

«Ma com'è il singolo? Dai dimmelo.»

«È uno storytelling. Sotto c'è un beat ruffianissimo ma non scemo, è la storia di come ho perso per la strada le cose inutili e sono diventato un vero rapper.»

Le avevo soffiato un tiro in faccia, giusto per provocarla.

«Oh rapper come ti permetti? Non ti compro il disco.»

«Tanto lo scaricherai gratis, lo so.»

«E chi te lo dice?»

«Sento che piacerà, ho sbagliato troppo, non sbaglio più.»

«Ma in cosa hai sbagliato?»

«In tutto, nei testi, nell'atteggiamento, nei beat, nel come vedevo il rap.»

«Perché, come lo vedevi?»

«Lo vedevo come qualcosa che dovevo insegnare a tutti, anche a costo di litigarci. Invece è solo una via espressiva.»

«Un genere musicale.»

«Si. Non è più Jay che fa rap ma è il rap di Jay. So quello che devo fare e verrà una bomba sicuramente.»

Il suo entusiasmo per quello che dicevo mi aveva comunque lusingato, anche se rimanevo con la voglia di scoparla furiosamente. Avevo finito per dedicarmi solo alla musica, mentre lei sostava lì, senza perdersi niente. Con il colare via dei minuti mi era passata l'erezione e mi ero immerso veramente nel flow, l'avevo fatta partecipe veramente di quello che volevo fare. Era stato uno dei momenti più esaltanti degli ultimi mesi, paragonabile quasi alla trasferta a Roma per registrare. Da lei avevo la netta sensazione che quello che stavo facendo avrebbe funzionato, perchè non ne sapeva nulla di tutte le stronzate che ruotavano attorno alla parola hip hop, eppure la stavo coinvolgendo. La stavo coinvolgendo io come figura. Ero sereno, meno intorbidito, ma era finito tutto quando una chiamata l'aveva fatta schizzare via. Avrei voluto dedicarle una sega ma mi era sembrato più giusto nei suoi confronti gettarmi su un testo che parlasse del continuo imparare dagli altri e del continuo migliorarsi.


Era già iniziato aprile, il tempo correva un po' troppo in fretta.

Iniziava ad allungarsi troppo la questione, c'erano centomila cose che non andavano bene in tutto il progetto. Così avevo iniziato a mandare pezzi anche grezzi a diverse etichette che trattavano rap, quel progetto di terza compila ogni giorno mi convinceva meno, poteva andare bene a Gamil, ma non a me. Roma era varia, aveva una scena interessante, ma non so se fosse colpa del momento storico, di questa ossessione per il rap commerciale, i progetti andavano a rilento, troppo per i miei gusti

Mi aveva contattato alla fine un tizio di una etichetta di Milano: una cosa minuscola che sembrava essere nata il giorno prima. Mi aveva invitato su nella sede a parlare un po' dei futuri progetti. Gli interessava fare qualcosa, ma voleva capire bene chi fosse il soggetto.

Io ovviamente ero partito all'istante per Milano. A quei cazzari della crew avevo detto che partivo per Roma per via della cosa con lo Zoo: non mi andava troppo entusiasmo attorno, ero io il soggetto di quel viaggio, e nessun altro.

«Ho sentito Loco Club, poi ho scoperto il video.»

Risate.

«Era un modo per promuoverlo.»

«Non devi giustificare niente, è stata una cosa geniale. Che progetti hai?»

«Ovviamente un disco.»

«Ho notato che hai lasciato stare i pezzi fatti come pensierini di scuola, fai bene ma ci serve la filosofia che c'è dietro a quello che stai facendo.»

«Non c'è filosofia, c'è consapevolezza che stiamo parlando di un modo di esprimersi, il rap, il resto mi ha rotto il cazzo. Non voglio fare la morale a nessuno, non voglio che me la facciano gli altri, voglio solo raccontare.»

«Bene, ottimo. Occhio a questa domanda: a che pubblico vuoi fare riferimento?»

«Chiunque, senza scherzi. Sono un ignorante zarro, consumo stupefacenti, sfrutto le occasioni a mio vantaggio, come fanno storicamente tutti gli italiani, e voglio che si veda quanto ne traggo vantaggio, sia riguardo le tipe che quello che spendo, non devo fare il no logo. Non aspiro al meglio, come morale intendo, non sono un cazzo di cantautore.»

Una tizia aveva appoggiato la matita e si era sporta un po' avanti.

«Non hai figure di riferimento? Non hai artisti a cui ti ispiri?»

«Mi ispiro a quello che ho attorno, racconto, possibilmente il peggio, possibilmente al meglio. Non mi piace dare una chiave di lettura, al massimo delle analogie che vengono dalla mia formazione.»

«Parlavo proprio di questo: su chi ti sei formato?» aveva insistito.

«Anime, film d'azione, tonnellate di slogan pubblicitari, cose talmente immediate che la gente ci si ritroverà in maniera trasversale, sono temi che tutti conoscono, dal manager alla tipa che scambia bamba con sesso al sabato sera, al ragazzino che sta nella merda periferica qui a Milano.»

Il tizio e la tizia si erano guardati negli occhi. Poi lui era ripartito.

«Abbiamo interesse, non lo nascondo, ma ci serve avere materiale.»

«Forse uscirà un pezzo in una compila giù a Roma, ma ho altro.»

«Privilegia sonorità da club, quando arrivi all'orecchio poi arrivi anche altrove.»

Ma la bomba l'aveva sganciata lei:

«E privilegia sesso, droga e violenza.»

Sesso, droga e violenza, quello che volevo metterci. Gente che discute con gli spacciatori, gente che ha fretta di tirare su per tirare su la serata, un po' di gangsta per delimitare il territorio. Potevo solo essere autoreferenziale, perché non avevo a disposizione una gang, ma una pseudo-crew: la KKS, una cosa arcaica, ostinatamente legata a schemi hip hop vecchi, destinati a tramontare con l'evoluzione delle discipline.

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