Martedì 31 luglio 2001
Una mattina mi ero trovato una mail: era Masta che, telegrafico, mi diceva che aveva ricevuto la richiesta del beat dal Vecchio, e mi chiedeva se potevo mandargli il testo del pezzo per costruire lo scheletro del beat, e se aveva qualche indicazione su come doveva suonare.
"Partiamo bene" avevo pensato: uno che fa il beatmaker e chiede con me come deve suonare. Le idee di merda del Vecchio erano tutte su questa falsariga, perchè mi sarei dovuto stupire? Se c'era una cosa che avevo capito nel salto tra Cesena e Roma era che tutto quello che pensavo essere sufficiente, nella realtà della capitale si rivelava poco più che gravemente insufficiente. Tuttavia il party anthem stava iniziando ad infastidirmi perché non voleva nascere. Così avevo provato a rispondergli mandando una strofa e scrivendo che doveva suonare magari usando ruffianamente degli ottoni, che andasse a circa 125 bpm. Un suono che avesse delle attinenze con il filone latino che andava di moda per ballare.
Era scomparso dai miei radar, e così mi ero rimesso a fare l'unica cosa che mi riusciva bene in quel momento: il pusher. L'estate almeno da quel punto di vista era andata alla grande, tanto che avevo iniziato a ragionare seriamente sul possibile acquisto di una base, comprarla confezionata da qualche beatmaker serio. Avevo però affrontato un grosso problema: la gente veramente seria o ti sparava cifre assurde o poneva un sacco di paletti, come poter mettere mano a testo, lo studio dove registrarlo, il missaggio e tutte queste cose. La gente meno vanitosa ti offriva beat senza problemi a prezzi bassi, ma non suonavano per un cazzo fresh, anzi, mi veniva la depressione a pensare di abbinare le mie rime a quegli zerbini.
Mancava la via di mezzo, quella che si poteva percorrere se avevi accumulato una certa dose di fiducia, e fino a quel momento non se ne vedeva all'orizzonte. Colpa mia e di come mi ponevo? Può darsi, ma ormai il dado era tratto.
Alla fine, inaspettatamente, Masta mi aveva riscritto.
La lieve euforia che mi aveva preso alla vista della sua mail aveva lasciato il posto a una grande scocciatura quando non avevo visto allegati alla sua mail. Stavo evidentemente perdendo tempo.
Il testo della mail diceva semplicemente "Per favore mandami la traccia audio rappata perchè lavoro meglio sul beat". Cosa potevo aspettarmi da un tizio limitato come lui? Zarco probabilmente era stato preso dal suo lato da assistente sociale quando lo aveva raccattato.
Tuttavia, come una sorta di perversione in cui continui a torturare i bambini in difficoltà con domande che li mettono in crisi, gliel'avevo mandata giusto perché ce l'avevo lì che mi guardava come a dire "Non abbiamo altra scelta". Santo continuava a ripetere che, se il pezzo anche suonava su un beat già sentito, l'importante era far sentire la tecnica e gli argomenti. Io mi ero fissato che volevo qualcosa di nuovo, ed ecco a voi lo stallo di mezza estate.
In quel periodo pensavo che la Dily fosse per me una risorsa, perchè scopare come un opossum immerso in uno sballo chimico era un modo particolarmente adatto mettere a coltura le rime. Ma alla lunga, era diventata anche un problema, serio.
Era talmente presa dalla coca che la usava anche senza che ci fossi io, e non potevo controllarla H24. Avrei dovuto cambiare io il modo di vederla. Avrei dovuto mettermi in testa che il suo modo di fare era funzionale al suo obbiettivo, e il suo obbiettivo non ero io. Non era nemmeno la fornitura gratuita di bamba.
Era essere parte del mondo dello spettacolo.
Fare book negli studi fotografici con i leccalecca in bocca e sguardi ammiccanti e sentire le risate soddisfatte di fotografi dell'età del Turci, farsi mettere le mani addosso durante provini cinematografici in cui puntualmente c'erano scene di bacio e di contatto, fare pompini a gente di merda che presentava biglietti da visita dove in un angolo compariva disegnata una macchina da presa, eccetera eccetera.
Eccetera.
Per lei erano solo tentativi di raggiungere quell'obiettivo, nulla di più, nulla di meno. Anche io mi imboscavo nei bagni dei locali dove passavo a salutare e ne uscivo svuotato e ben contento. Ma le mie erano mere soddisfazioni di impulsi maschili. Nessun piano, nessun secondo fine. Solo emissione di sperma per diminuire la pressione nelle palle.
Ma mentre faticavo a mettermi in testa la sua visione del sesso, le nostre litigate diventavano leggendarie ed io strippavo, le urlavo dietro di tutto, la strattonavo, lei mi graffiava, mi prendeva a pugni e diceva che ero solo un pusher coglione che non sarebbe andato da nessuna parte anche se mi bullavo di voler diventare un rapper sfondato di cash. Io la scopavo con violenza tenendo le casse dello stereo come se fossi a un concerto, mi sfogavo della rabbia per un rapporto orrendo. Tiravamo, e tutto ripartiva.
Ripensandoci, ero io il suo problema e non viceversa.
L'indifferenza per il suo quotidiano non mi aveva nemmeno permesso di accorgermi di quando aveva quasi smesso di correre dietro ai vari presunti produttori, come se avesse raggiunto una strana pace con sé stessa. Alla lunga persino con me tutto si era fatto meno estremizzato: litigavamo molto meno, scopavamo molto meno, tiravamo molto meno.
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