Lunedì 17 settembre 2001

Qualche giorno dopo avevo visto il videoclip montato in anteprima. Si trattava di una versione "estesa" e più esplicita in cui il rappato era diviso su una lunghezza di circa otto minuti, la base tornava quasi ossessivamente come sottofondo. Non sembravo nemmeno io e vi giuro che mi era venuto un cazzo duro che non voleva andarsene, e avevo di nuovo cambiato il modo in cui vedevo la Dily: pur non riuscendo a lavare via tutta la gelosia per i suoi atteggiamenti da "scambio pompini con carriera nello show, anche solo prospettata". Avevo capito che in fondo, era di buon cuore, che un po' mi voleva bene.

L'immissione del video in vari canali, a cura della casa di produzione, aveva prodotto un buon riscontro, ma soprattutto, per canali oscuri che stentavo a capire, il pezzo aveva iniziato a essere un riempipista di fine settembre nelle ultime feste del litorale. E diversi pariolini se l'erano portata a casa mettendola nelle loro playlist.


Ed era arrivata la prima beef. Senza nemmeno andarla a cercare, stupendo.

Non era ironico, la notizia era veramente stupenda. E ancor più stupenda era stata la notizia che fosse un decrepito della vecchia scuola a farla. Non osavo chiedere di meglio, la possibilità di demolire un rudere già cadente con il minimo della fatica. Avevo studiato il personaggio, ripreso le sue rime più banali e le avevo tutte prese per il culo inserendo quanti più doppi significati possibili in un pezzo che all'apparenza doveva suonare come "in effetti hai ragione tu". Ed avevo scritto a Masta: "Masta ho una beef, mi serve un beat molto zarro, che suoni come un pezzo zarro da discoteca. Ho 24 ore!" allegando la traccia audio.


E lui, meglio di un treno tedesco, era arrivato in anticipo, con una base che suonava tunzettara ma ci si riusciva a rappare sopra senza farsi sporcare la voce. Santo l'aveva finita in due ore dicendo «porcoddinci.» E io l'avevo sparata su Vitaminic all'istante. La maggior parte dei ragazzi che aveva ballato il mio primo pezzo Loco Club non aveva capito quasi niente di quel secondo pezzo, ma la comunità hip hop sì, ed il messaggio era chiaro: potevo fare pezzi easy senza che nessuno mi potesse rompere il cazzo, perchè potevo mangiarmelo quando volevo.

In capo a due giorni mi avevano richiamato diversi di quelli che mi avevano chiamato all'epoca delle rap battle, anche pesci medi. Ma chiamavano a nome di collettivi, o crew: tutto quel ciarpame che in quel momento non mi serviva. Non volevo una crew in cui disciogliermi, dovevo in qualche modo elevarmi ancora di più.

Il mio doveva essere rap che arrivava in giro, senza più come obbiettivo primario la comunità hip hop, quella avrebbe sempre trovato qualcosa da ridire su come lo facevo e su quanto poco suonavo hip hop. Che loro facessero come credevano con le loro dinamiche che non avevano mai funzionato veramente se non per abbeverare il loro orgoglio di puristi, io avevo altre mire. Aveva ragione Orlà, stavo usando una forma di comunicazione ormai autonoma e non mi dovevo preoccupare di ossequiare qualcosa di cui in Italia troppi si riempivano la bocca e pochi capivano nel profondo.


Sarei stato zarro quanto mi pareva, ma pronto ad azzannare per far capire che ero sufficientemente armato per difendere qualsiasi scelta e controbattere qualsiasi critica. Dopo la beef mi aveva cercato un tizio di un quotato sito amatoriale di hip hop, di quei posti dove tutto fa cagare perchè ormai il meglio è alle spalle, e penso proprio che il suo obiettivo, parlando della beef, fosse proprio dare l'idea che se io ero il nuovo, meglio ascoltare roba del 1991.

Sulla beef avevo esposto la mia linea: intendevo il rap come una forma di espressione, quindi potevo metterci dentro qualsiasi contenuto, non necessariamente cose serie e basta. Non era in un pezzo party che dovevo far vedere doti da combattente.

Se il pezzo piaceva ai ragazzini di Roma nord, non dovevamo gridare allo scandalo, ma guardare in faccia alla realtà: il rap negli Stati Uniti si è affermato tra le fasce meno benestanti della popolazione, tra gli abitanti delle periferie e dei quartieri popolari. In Italia questo non è successo, è tutto sommato la musica dei "borghesi", chi aveva accesso alla possibilità di acquisto prima di tutto, ma anche di comprensione, il rap non era, in quel momento e in Italia, cosa da minoranze etniche in miseria nera. Se un pezzo rap piaceva a giovani molto borghesi, beh, nulla di nuovo e, in fondo, meglio io di certi gruppi.

Avevo avuto sulla punta della lingua qualche nome, ma non era il momento di dirlo. C'era cosi tanto distacco tra me e loro che una beef poteva solo ed esclusivamente essere presa come una ricerca di visibilità, non ci sarei cascato.

Avevo ribadito che volevo lavorare per imporre il rap in lingua italiana come una musica che raccontasse a chiunque i ragazzi negli ambienti popolari che conoscevo e frequentavo, non avevo paura di mettermi in gioco, non l'avevo mai avuta ed ero sempre stato pronto a pagare di tasca mia, come era già successo, proprio lì a Roma.

Sul video softcore e sul tentativo di estorcermi una valutazione etica, avevo spostato leggermente il focus: oltre a dire che mi ero divertito immensamente a girarlo con la mia tipa e una ottima regista, avevo imparato qualcosa in più sul filone hard con registe donne, inscenando «non un videoclip dove scopo una che finge di non volerlo, quella è roba da tizi di mezz'età frustrati dalla loro vita coniugale. Abbiamo girato la materializzazione dei sogni e delle fantasie di molte ragazze.»

Sulla droga, avevo tenuto una linea ironica, dicendo che sarebbe stato divertente, di lì in avanti, vedere chi avrebbe veramente compreso il mio rapporto con gli stupefacenti, perché in fondo non si può prescindere dagli stupefacenti se si vuole parlare di ragazzi nel 2001. Qualsiasi negazione, qualsiasi politica di muro contro muro avrebbe solo acuito il problema.

Volontariamente, non avevo mai detto la parola hip hop associandola a qualcuno, non avevo filosofeggiato, ed alla specifica domanda «Qual è la tua idea di hip hop?» avevo detto molto semplicemente che si trattava di una cultura sempre in movimento, ed essendo tale, non credevo ai "depositari" dell'hip hop.

Cirì, riguardo alla gestione della parte online, mi aveva dato un paio di consigli stronzi ma eccellenti:

«Tanto in rete son buoni tutti a parlare, quello che devi fare è fare un po' di casino, fatti tre o quattro profili e falli discutere, ce ne metti un paio che stanno dalla tua parte e uno che sta contro, ogni volta che si parla di te ti ci butti con con un profilo, poi un altro, poi un altro. Cosi sei sempre caldo.»

Nel fare questo, avevo ottenuto lo stesso effetto che ottenevano i club che tenevano la fila fuori con il locale mezzo vuoto dentro: dare l'idea, dall'esterno, che il locale era superfrequentato. Avevo invitato gli altri a postare un numero superiore di commenti su di me, sulle origini, su quanto ero o meno hip hop, su quanto ero più o meno fake nel parlare di argomenti come ad esempio la droga. Per i profani, i rapper vengono sempre considerati cattivi esempi perchè parlano di stupefacenti, senza cogliere il meccanismo dello storytelling che c'è dietro a tutto: Irvine Welsh, l'autore di Trainspotting, non è mai stato bersagliato di critiche quanto un qualsiasi Biggie, eppure entrambi, per dirne due qualsiasi, hanno prodotto il racconto dello spaccio e del consumo.

Ma era un argomento che faceva parlare: cosa nascondeva Jay sul lato della droga? Bene, avrei fatto un pezzo sulla droga. E doveva essere pronto tassativamente per Halloween, perchè volevo fare un pezzo tutto giocato sul parallelismo tra il dolcetto o scherzetto porta a porta e la distribuzione di droga ai ragazzi, sull'innocua mostruosità che cela la vera mostruosità del vuoto dei ragazzi.

Per quanto mi riguardava, per il rapporto mio con la droga, lasciavo l'ultima barra senza base dove giocavo con il significato primordiale di halloween, ovvero il contatto con il mondo dell'aldilà e quindi del soprannaturale, e quanto fosse di ispirazione alla scrittura.

Appena avevo avuta pronta una bozza accettabile, l'avevo rappata e mandata a Masta, non sapevo nemmeno cosa scrivergli, se non che suonasse un po' horror. E lui mi aveva prontamente scritto quattro giorni dopo con la solita mail che in confronto un haiku era la divina commedia. Ma la base suonava vagamente horrorcore tipo Three 6 Mafia ma meno cupa, non era spenta dove andava l'ultima barra ma suonava solo la cassa senza il rullante, accelerando, come se ci fosse urgenza, come se la sostanza andasse in circolo, il ritornello finale era 10 bpm più veloce dell'iniziale.

Masta mi sembrava magico. Disadattato ma magico.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top